martedì 23 giugno 2009

Il Bollalmanacco on The Road: SANTORINI

Siccome di essere nerd la Bolla, ovvero io, non ne ha mai abbastanza, inauguro con il viaggetto che mi porterà in quel di Santorini una rubrica cinematografica che scriverò ogni qualvolta mi muoverò dalla terra natìa, cercando di capire se i paesi visitati hanno meritato, almeno una volta, di essere immortalati in una pellicola che non fossa quella di telegiornali/documentari.


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Santorini è, in breve, un isola vulcanica greca, appartenente all'arcipelago delle Cicladi. E' l'isola maggiore di un arcipelago in miniatura che conta anche Thirasia, Aspronisi, Palea Kameni e Nea Kameni, dove si trova un vulcano ancora attivo. La leggenda narra che da quelle parti potesse trovarsi la famigerata Atlantide, ma ovviamente la faccenda non si può dimostrare!


Per una cinefila come me, inaugurare una rubrica simile con Santorini è un pò una barzelletta, visto che ha funto da location per film che non sarei andata a vedere nemmeno se mi avessero puntato un cannone alla testa; d'altronde negli ultimi tempi la Grecia viene vista come un paradiso bucolico (vedi il recente Mamma mia!) dove la gente è caciarona e genuina, e dove gli americanacci abbruttiti dal lavoro e dallo stress della vita cittadina possono trovare un novello Eden. Detto questo, è facile capire che tipo di film possano richiedere una simile location: commedie adolescenziali, romantiche, tamarrate della peggior specie.


Al di là di serie tv olandesi e greche, documentari e sporadici pornazzi (d'altronde, Bisio lo diceva che la sua fidanzata, con l'amica Giovanna, in Grecia ci andavano solo per fare la P***ana, come mostra la famosa canzone Rapputt) pochi sono i film più o meno famosi ambientati tutti o in parte a Santorini.


Nel 1982, il regista Randal Kleiser (Navigator), continuava a scodellare film sentimentali dove gli amori nascevano grazie all'influenza di isole incontaminate, sulla scia del successo della sua opera più famosa, Laguna Blu.  Così, decise di ambientare a Santorini, e in generale in Grecia, il film Summer Lovers, storia di un triangolo tra due americani, rispettivamente la splendida Daryl Hannah (Kill Bill) e Peter Gallagher (che si faceva allegramente la moglie di Kevin Spacey in American Beauty), e un'archeologa francese. La villa che i due americani affittano pare sia ubicata ad Oia, e che ora sia un negozio di souvenir che porta lo stesso nome della pellicola. 


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Nel 2003, abitanti e turisti dovettero inchinarsi, quando al largo delle acque incontaminate, apparvero due canotti di proporzioni epiche, accompagnati da ancor più grandi boe: l'Angelina Jolie ancora non signora Pitt infatti deliziava i teenagers di mezzo mondo cercando tesori sommersi nell'incipit di Lara Croft Tomb Raider: la culla della vita (Lara Croft Tomb Raider: The Cradle of Life), dell'olandese Jan De Bont.


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Due anni dopo toccava alla figlia di Una mamma per amica, Alexis Bledel (Sin City) ad ammorbare l'aria del luogo, nel quale è stato ambientata parte del film 4 amiche e un paio di jeans (The Sisterhood of the Travelling Pants), filmetto tratto da un bestseller che racconta le esperienze di vita di quattro ragazzette che per la prima volta nella loro vita devono separarsi per le vacanze estive, che ognuna si fa per i fatti propri, crescendo e scoprendo... l'aMMMMore! Evviva. Il film ha avuto anche un seguito, uscito l'anno scorso, con le stesse attricette.


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Ma non paghi di accogliere fuffa made in USA, gli abitanti di Santorini hanno lasciato che anche il cinema "moderno e GGGiovane" italiano andasse ad insozzare le spiagge incontaminate, e che raccontasse l'ennesima storia della svolta esistenziale di un branco di giovinastri di belle speranze appena usciti dalla maturità, che si renderanno conto che c'è altro nella vita, oltre a ciò che vorrebbero per loro i genitori. L'orrore in questione è Che ne sarà di noi, diretto nel 2004 da Giovanni Veronesi (Il mio West, Manuale d'amore ed il suo seguito) e recitato, tra gli altri da, orrore!!!!, Silvio Muccino e dalla meno orrenda Violante Placido.


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Insomma, la morale è: andate in vacanza a Santorini, ma per carità, gentili abitanti del luogo, vedete di tenere lontani i registi o non verrà più nessuno!!! E ora, l'avete voluta voi... la versione originale del Rapputt..! di Bisio! ENJOY!


 


martedì 16 giugno 2009

Le colline hanno gli occhi (1977)

E’ incredibile come a rendere bello o brutto un film spesso concorra l’atmosfera che ci circonda al momento della visione. Nel caso di Le colline hanno gli occhi, secondo film di Wes Craven, girato nel 1977, la seconda visione “in solitaria” (e non con un Toto tediato che ogni due secondi proferiva: “The Hills Have Eeeeeeeeyes…” con voce cavernosa!!) ha trasformato una noia scandita da sporadiche risate in un film comunque apprezzabile, vista l’epoca e i mezzi.

 


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La trama: durante un viaggio in caravan, una famiglia rimane bloccata in mezzo ad una landa deserta circondata da colline rocciose, e viene aggredita dagli abitanti della zona, un branco di sozzi e mostruosi mutanti/cavernicoli/montanari. Inutile dire che sarà una strage che farà emergere i più bassi istinti di sopravvivenza…


 


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E’ difficile mettersi nei panni di uno spettatore degli anni ’70, che già ne doveva sentire di cotte e di crude riguardo alla guerra del Vietnam, l’inizio della guerra fredda tra USA e Russia, e quant’altro. Difficile, perché l’unico luogo dove poteva sentirsi al sicuro era proprio la sua terra, il vicinato, la buona vecchia America. E con il loro arrivo, Wes Craven, Tobe Hooper, Romero e compagnia bella hanno infranto anche l’ultima illusione, prendendo gli incubi dell’esterno ed inserendoli nella sicura realtà che circondava l’americano medio. L’ultima casa a sinistra, film d’esordio di Craven (pur avendo precedenti illustri, La fontana della vergine di Bergman, nientemeno) parlava della violenza ai danni di due adolescenti e della loro successiva morte proprio nei boschi dietro casa loro, nonché della ovvia vendetta perpetrata poi dai genitori di una delle vittime: Le colline hanno gli occhi prosegue questa analisi degli incubi della provincia americana, alzando il tiro.


 


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Infatti, mentre in L’ultima casa a sinistra la violenza è quasi casuale, frutto di un momento di noia (e quanto è moderno in questo) in Le colline hanno gli occhi i mostri sono un gruppo di cavernicoli che vivono uccidendo la gente di passaggio, tutelati dal vecchiaccio che gestisce la stazione di rifornimento solo per il profitto economico che ne ricava. Le vittime sono un nucleo familiare che più americano non si può: il patriarca ex sceriffo o comunque ranger, i figlioli adolescenti alti, biondi e prestanti, c’è persino una neonata e non mancano due cani lupo. La quintessenza della normalità si potrebbe dire, ed è per questo che è scioccante la violenza che si abbatte su di loro, seppur come tasso di “gore” al giorno d’oggi la pellicola sia stata ampiamente superata, in primis dal remake del 2006 diretto da Alexandre Aja.


 


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E’ interessante vedere come la crudeltà dei mutanti si sfoghi soprattutto sui capisaldi della famiglia, i due anziani genitori, infierendo sui loro cadaveri senza alcuna remora, come se il regista volesse dissacrare completamente tutto ciò che è “giusto e puro”: la ragazza viene praticamente violentata, anche se ovviamente e per fortuna il tutto viene lasciato all’immaginazione del pubblico, la neonata viene rapita e condotta verso il suo destino di spuntino di mezzanotte (e qui ci sarebbe da discutere: nelle pellicole di oggi, quelle di Aja in primis, la piccoletta non sarebbe sopravvissuta alla sua sorte infausta, all’epoca c’era ancora qualche remora…) e così via. C’è da dire anche che l’eversività di Craven alla fine viene bilanciata da altrettanto moralismo: i cattivi non sopravvivono, sebbene ai sopravvissuti della famigliola tocchi abbassarsi ai loro livelli di sadismo. E poi, cosa più importante, viene punita la madre snaturata che lascia la pargoletta incustodita nel camper solo per strombazzare col baffuto marito in macchina, il quale ovviamente si dovrà redimere, cosa che alla moglie non viene concessa (ed evviva il maschilismo…).


 


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Passando al lato più tecnico del film, bisogna dire che risente molto del peso degli anni. Gli effetti speciali sono pochi ed assai risibili, soprattutto nella scena più famosa, quella in cui uno dei mutanti, furioso ed affamato, infierisce anche sul povero canarino della famiglia, staccandogli la testa con le manone e bevendone il sangue: si noti come il tutto venga ben nascosto dalle mani dell’attore e come l’uccellino si veda solo quando è vivo nella gabbia. Anche la mise dei mutanti è tremebonda, pellicce e zanne ovunque, picchi di trash anni ’70 che si sprecano. Storica ovviamente la prova del mostruoso (e, purtroppo per lui quello è il suo vero aspetto…) Michael Berryman, icona dell’intero film, nei panni di Pluto, nome di pianeta come quelli dei suoi compagni Jupiter e Mars (me li immagino vestiti da guerriere Sailor… oVVove!!). Per contro gli altri interpreti sono ben maffi, e vieppiù irritante è l’attricetta bionda che interpreta la figlia maggiore, che non fa altro che urlare dall’inizio alla fine (molto meglio, nel remake, la bionda Claire di Lost, l’attrice Emilie De Ravin). Insomma, un buon film nonostante tutto, un caposaldo per appassionati, ma non aspettatevi chissà che… e magari guardatelo PRIMA di vedere il remake di Aja.




Wes Craven, il regista e sceneggiatore della pellicola, può essere a ragione considerato come uno dei maestri dell’horror, soprattutto per la non trascurabile creazione del più grande babau moderno: Freddy Kruger, protagonista della saga di Nightmare di cui ha diretto due dei sette capitoli (Nightmare dal profondo della notte e Nightmare: Nuovo incubo). Ultimamente sta imbroccando una schifezza dopo l’altra, ma molti sono i suoi film degni di essere ricordati. Tra i vari titoli rammento L’ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi II, Dovevi essere morta, Il serpente e l’arcobaleno, Sotto shock, La casa nera, Vampiro a Brooklyn, i tre episodi della saga di Scream, Cursed – il maleficio, Red Eye. Per la TV ha diretto episodi delle serie Ai confini della realtà, Nightmare Café. Ha 60 anni e due film in uscita tra cui, pare, uno Scream 4 annunciato per il 2010.


 


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Dee Wallace interpreta Lynne, la figlia maggiore con tanto di figlia e marito al seguito. Quest’attrice non ha mai smesso di lavorare fino ad oggi, a partire dal ’74, e ha collezionato un’innumerevole serie di ruoli tra film e telefilm. Tra le pellicole cinematografiche ricordo La fabbrica delle mogli, L’ululato, E.T. l’extraterrestre, Cujo, Critters, Sospesi nel tempo, lo squallido Boo – Morire di paura, Halloween: The Beginning. Per la TV ha recitato in Starsky & Hutch, Chips, Taxi, Simon & Simon, Ai confini della realtà, La signora in giallo, Nash Bridges, Ally McBeal, Cold Case, Bones, Senza traccia, Grey’s Anatomy, My Name Is Earl, Ghost Whisperer, Criminal Minds. Ha 61 anni e la bellezza di diciotto film in uscita.


 


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Michael Berryman interpreta Pluto. Maledetto da una malattia rara, la displasia ectodermica ipoidrotica, che lo ha reso privo di ghiandole sudoripare, capelli, unghie e denti, è diventato per questo un’icona horror anni ’70 e la sua immagine a tutt’oggi non è mai tramontata. Tra i suoi film ricordo Qualcuno volò sul nido del cuculo (era il malato bloccato a letto che fanno ubriacare..), Le colline hanno occhi II, Il corvo, Spia e lascia spiare, La casa del diavolo e un film intitolato Satan Hates You, uscito da poco, che devo assolutamente vedere. Per la tv ha partecipato a ALF, Star Trek: The Next Generation, Racconti di mezzanotte, X-Files. Ha 61 anni e sette film in uscita.


 


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Una paio di curiosità. L’attrice che interpreta Ruby, Janus Blythe, ha partecipato anche a Quel motel vicino alla palude, già citato in questo blog, mentre l’interprete di Bobby, Robert Houston, ha vinto nel 2005 l’Oscar per il miglior documentario breve. E ora vi lascio con il trailer originale con la vociazza immonda che dice…The Hills Have Eyes!… ENJOY!



lunedì 15 giugno 2009

Mirrors - Riflessi di paura (2008)

Sto meditando di eliminare la rubrica Bolla:Wannasee. Dopo la delusione di Dragonball Evolution speravo che almeno Mirrors – Riflessi di paura, film del 2009 di Alexandre Aja, si rivelasse il capolavoro che avevo sperato. Invece, mi ha un po’ delusa, e adesso temo il momento in cui guarderò Lasciami entrare, che era un altro dei Wannasee in programma. Porterò mica sfiga? Argh. Ma andiamo con ordine…

 


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Trama: Ben è un ex poliziotto che cerca di scrollarsi di dosso gli incubi di un incidente sul lavoro e del conseguente alcolismo accettando il posto di custode notturno in un lussuoso grande magazzino andato quasi distrutto in un incendio. Già dalla prima sera capisce che negli enormi specchi rimasti nell’edificio si nasconde qualcosa di non troppo simpatico, una maledizione che riesce a diffondersi anche sulle superfici riflettenti di tutta la città e comincia a perseguitare Ben e la sua famiglia…


 


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L’inizio di Mirrors è devastante: un uomo che cerca di scappare nei bui cunicoli di quella che sembra una metropolitana e viene ucciso in un modo decisamente inaspettato, a causa di “qualcosa” che si annida negli specchi. Diamine, CHI non ha uno specchio in casa? Questo è l’assunto di una pellicola che, date le premesse, prometteva horror e paura a palate, e che per almeno una quarantina di minuti mantiene le promesse, regalando allo spettatore una morte talmente splatter da fare invidia ai numeri più beceri di Dylan Dog e da farmi pensare di coprire la finestra che rifletteva la mia immagine poco distante (non si sa mai che anche ai miei specchi potessero venire deliri di onnipotenza…). Il terrore si propaga di specchio in specchio, ma non solo: qualsiasi superficie riflettente diventa “nemica”, mostra echi di un passato da incubo, fa da porta per un’altra dimensione ed è potenzialmente onnipotente perché se la mia immagine riflessa decide di fracassarsi la testa contro un muro, a quanto si comprende dalle prime immagini la mia testa dovrebbe aprirsi come un melone. Un’idea surreale, terribile se si pensa quanto di ciò che ci circonda riflette le nostre immagini, persino l’acqua… insomma se il film fosse vero saremmo tutti del gatto!




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E invece, forse perché l’onnipotenza degli specchi sarebbe stata “troppa” e i protagonisti non avrebbero avuto nessuna chance, andando avanti il film si contraddice, arriva qualche salvataggio in extremis… E il tono della pellicola cambia. Gli specchi cominciano a fare da contorno ad una storia troppo simile all’Esorcista e a quella di Emily Rose, dove una schizofrenia che rasenta la possessione demoniaca viene “curata” infilando la malcapitata in una stanza piena di specchi che imprigionano il demone interiore, o la pazzia, non viene mai spiegato benissimo (forse perché neppure lo sceneggiatore sapeva scegliere) in una dimensione “altra”, a sti punti direi quella dell’es freudiano. E poi a questo delirio pseudopsicanalitico si aggiunge il concetto dello specchio come zona di passaggio per e dall’aldilà, raccoglitore di anime prave che vanno a rafforzare quella del demone principale, e poi credo anche negozio di alimentari, visto che ci stiamo infilando di tutto e di più. Troppa fuffa che appesantisce il film rendendolo più ridicolo del necessario, e che ci regala un becero finale a base di zanne ed artigli, salvato solo in extremis da una scena triste e commovente.


 


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Bisogna dire che Alexandre Aja ci mette tutto il suo entusiasmo, la resa registica del tutto è meravigliosa, a partire dai titoli di testa, assai simili ad un caleidoscopio, per non parlare poi della stanza piena di specchi, della grandiosità di un appartamento pieno di cascatelle d’acqua, della tensione palpabile che si respira in ogni anfratto delle rovine del centro commerciale, colmo di manichini, bambole bruciate e visioni delle vittime arse vive nell’incendio. Gli effetti speciali ed il trucco sono ovviamente superiori alla media, si pensi solo all’orrendo omicidio/suicidio della ragazza nella vasca da bagno ed anche la resa finale del mostro, sebbene non c’entri a mio avviso nulla col resto del film. Mi spiace dirlo ma il buon Kiefer Sutherland non riesce ad elevarsi, penalizzato anche dal solito, banale ruolo del poliziotto alcolizzato al limite della follia.. ed anche il resto degli attori è leggermente sottotono, tranne il meraviglioso vecchio custode che in originale ha un accento italiano da manuale. Insomma, un buon film, ma deludente nonostante tutto. Pensavo di dare una chance all’originale coreano Geoul Sokeuro (2003) di Sung Ho – Kim ma qualcuno mi ha detto sia insopportabilmente terrificante… e qualcun altro mi ha detto insopportabilmente noioso. Aiuto. Meglio evitare, vah!




Alexandre Aja (vero nome: Alexandre Jouan Arcady) è il regista della pellicola. Francese, ha cominciato col botto, imponendosi sul mercato internazionale con l’ormai superato (da tanti altri horror francesi molto più bastardi) pugno nello stomaco Alta Tensione, e specializzandosi poi in remake, come il pregevole Le colline hanno occhi. Ha 31 anni e un film in uscita, quel Pirana 3D che attendo già con una gocciolina di bava alla bocca.


 


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Di Kiefer Sutherland ho già parlato qui.




Paula Patton interpreta la moglie, Amy. L’attrice californiana ha cominciato a lavorare solo da qualche anno, tra i suoi film ricordo Hitch e Deja Vu. Ha 34 anni e un film in uscita.


 


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Amy Smart interpreta la sorella di Ben, Angela. La bionda attrice californiana, seppur giovane, si è data parecchio da fare, e tra i suoi film rammento Starship Troopers, Road Trip, Rat Race, The Butterfly Effect, Starsky & Hutch. Per la tv ha partecipato a Scrubs e ha doppiato alcuni episodi di Robot Chicken tra cui il secondo special su Guerre Stellari. Ha 33 anni.


 


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E ora vi lascio col trailer di Into The Mirror, ovvero Geoul Sokeuro. A dispetto delle “voci” a me pare inquietantissimo… ma ho capito che spesso l’apparenza inganna. ENJOY!


 


giovedì 11 giugno 2009

Identità (2003)

Io sono una di quelle persone folli, che rivedono un film almeno 300 volte se gli è piaciuto, anche se il film in questione è assurdo rivederlo, proprio perché viene meno l’elemento sorpresa che è alla base della trama. Però se gli attori sono bravi ed il film è fatto bene, come nel caso di Identità (Identity), diretto nel 2003 da James Mangold, ogni visione è sempre un piacere.

 


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La trama: durante una sorta di diluvio, i destini di dieci persone si intrecciano nel più scabeccio dei motel. A poco a poco queste persone cominciano a morire, trucidate da mano ignota o da casualità più o meno inquietanti, e i sopravvissuti devono cercare di capire chi li vuole tutti morti e, soprattutto, come rimanere in vita. Nel frattempo, in un’altra città, giudici e psichiatri riuniti devono decidere se condannare o meno a morte Malcom Rivers, maniaco assassino affetto da disturbi di personalità multipla…


 


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Premetto una cosa: Identità non è un film da vedere mentre si fa dell’altro, o si perdono tanti piccoli particolari. Certo, è un film americano quindi il regista e gli sceneggiatori quei particolari ve li faranno saltare all’occhio ad un certo punto, ma il divertimento è proprio quello di stupirsi, mettere in moto il cervello e dire: “Eeh? Ma, aspetta un po’…”, e farlo prima che la cosa divenga troppo evidente. Lì per lì la pellicola sembra davvero un giallo di Agata Christie, con omicidi commessi sotto gli occhi di tutti da qualcuno che molto probabilmente fa parte del gruppo di personaggi, anche perché, grazie ad un abile gioco di interessanti flashback, si capisce che la maggior parte di loro non è chi dice di essere o comunque ha qualcosa da nascondere. Tutti i protagonisti sono ambigui, fanno qualcosa che “stona” con il loro essere e sono ugualmente sospettabili tranne, forse, la sfortunata famigliola la cui tragedia dà il via al film.


 


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Ma anche gli eventi che scandiscono il film sono strani, e lo spettatore deve seguirli con attenzione, se non vuole perdersi, perché alcune cose non vengono spiegate, ma solo intuite con la rivelazione shock a tre quarti del film, e lasciano parecchie domande allo spettatore: perché il galeotto non approfitta della liberazione per scappare? Perché nessuno, in effetti, pensa a lasciar lì le macchine e fuggire dal maniaco invisibile? Perché ad un certo punto i corpi spariscono senza lasciare traccia? Ma soprattutto… cos’ha a che fare con tutto questo Malcom Rivers? Non preoccupatevi, a quest’ultima domanda si troverà risposta, ma non in un modo troppo ortodosso… ed è questo il bello del film. Regista e sceneggiatori si divertono a mescolare diversi piani della realtà e tempi, incrociando flashback, ricordi, eventi che stanno avvenendo in contemporanea in due posti diversi e senza soluzione di continuità, lasciando che la tensione e la curiosità dello spettatore siano costanti.




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Ovviamente buona parte del merito per la bellezza della pellicola sta negli attori: John Cusack, che io adoro, è perfetto per la parte dell’ex poliziotto divorato dai dubbi e dai sensi di colpa, Ray Liotta è ambiguo come non mai, John C. McGinley (il dottor Cox di Scrubs, per intenderci) per una volta è lo sfigato di turno, che verrebbe semplicemente massacrato dal buon dottore che interpreta nella serie, Pruitt Taylor Vince è un inquietante serial killer dalle mille sfaccettature. Il mio consiglio è quello di guardarlo, e poi dopo qualche tempo riguardarlo alla luce delle rivelazioni finali: vi accorgerete che non perde assolutamente di bellezza, ma anzi, riuscirete ad apprezzare il meccanismo giallo pressoché perfetto che governa la pellicola. Vorrei far notare che il film è anche stato “omaggiato” da Sclavi nel numero 243 di Dylan Dog, L’assassino è tra noi… E il buon Sclavi non omaggia mai a caso!!! Insomma, in una parola: guardatelo.




James Mangold è il regista della pellicola. Tra i suoi film ricordo Ragazze interrotte, Kate & Leopold e Walk The Line. Americano, ha 53 anni e un film in uscita.


 


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John Cusack interpreta Ed. L’attore americano è uno dei miei preferiti, anche se alterna film orrendi a film che rasentano il cult, come Alta fedeltà, Stand By Me ed Essere John Malkovich. Tra le altre pellicole ricordo Con Air, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, La sottile linea rossa, I perfetti innamorati e 1408. Ha dato la voce a Dimitri nell’edizione USA di Anastasia e ha partecipato alla serie Frasier. Ha una sorella, Joan Cusack, che è stata un’esilarante Debbie ne La Famiglia Addams 2, che ha recitato con lui in Alta fedeltà e che ha fatto un sacco di altri splendidi film. Ha 43 anni e quattro film in uscita.


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Ray Liotta interpreta l’ambiguo Rhodes. Lui per me è e rimarrà sempre l’indimenticabile protagonista di Quei bravi ragazzi, uno dei miei film preferiti in assoluto, imprescindibile. Tra gli altri film di questo particolare attore ricordo Una moglie per papà, Hannibal, Heartbreakers – Vizio di famiglia. Ha recitato in Frasier, ER e inoltre ha doppiato episodi de I Griffin e Spongebob. Ha 55 anni e cinque film in uscita.


 


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Amanda Peet interpreta Paris. Fortunata fidanzata di Bruce Willis in FBI protezione testimoni e nel suo seguito, l’attrice americana ha recitato anche in Un giorno per caso, Scherzi del cuore, Tutto può succedere, l’orrendo Syriana e X – Files – Voglio crederci. Ha partecipato inoltre alle serie TV Law & Order, Spin City e Seinfeld. Ha 37 anni e quattro film in uscita.


 


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John C. McGinley interpreta lo sfortunato ed ansioso George. Dopo anni di onorata carriera come attore feticcio di Oliver Stone, questo caratterista americano ha trovato la fortuna e la fama internazionale, paradossalmente, interpretando il nevrotico e meraviglioso Dr. Perry Cox della divertentissima serie Scrubs. Se volete vederlo in panni diversi, vi consiglio Platoon, Wall Street, Talk Radio, Nato il 4 luglio, Se7en, The Rock e, per la TV, Frasier. Ha inoltre doppiato alcuni episodi delle serie Spider – Man, Kim Possibile e Robot Chicken. Ha 50 anni.


 


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Pruitt Taylor Vince interpreta lo psicopatico Malcom Rivers. Potete ritrovare il ciccionissimo e bravo caratterista in miriadi di film “storici” come Angel Heart – Ascensore per l’inferno, Danko, Mississippi Burning – Le radici dell’odio, Poliziotto a quattro zampe, Cuore selvaggio, JFK – Un caso ancora aperto, Scappo dalla città 2, Natural Born Killers, Il dottor Dolittle, gli splendidi La leggenda del pianista sull’oceano e Mumford, l’inguardabile Cell – La cellula, Sim0ne, L.A. Confidential, Constantine e il devastante Captivity. In TV lo troverete invece in alcuni episodi de L’ispettore Tibbs, X – Files, Alias, CSI, Dr. House. Ha 49 anni e due film in uscita.


 


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Meritano una menzione anche Clea DuVall (già citata in questo blog come protagonista del film The Grudge), Alfred Molina (il Dr. Octopus dello Spiderman 2 diretto da Sam Raimi), e una delle attrici “cult” degli anni ’80/’90, Rebecca De Mornay, protagonista di La mano sulla culla. E siccome io AMO il Dr. Cox, non vi lascio con il trailer di Identità, bensì con i monologhi in italiano del divin dottore. ENJOY!!!




martedì 9 giugno 2009

30 giorni di buio (2007)

Cattivo segno, quando un film viene trascinato avanti per una settimana prima di arrivare alla fine. Ed infatti la visione di 30 giorni di buio (30 Days of Night), horror del 2007 di David Slade, è stata un insuccesso. Non so come sia la graphic novel 30 giorni di notte, che in origine contava tre volumetti scritti dall’americano Steve Niles (seguita poi da un’infinità di spin – off e altre serie), ma so che la pellicola è una bella menata.


Peccato, perché la trama è intelligente ed interessante: nella cittadina di Barrow, in Alaska, ci si prepara a trascorrere i canonici 30 giorni di buio annuali. Però stavolta il periodo nero è preceduto da strani avvenimenti, come telefoni fuori uso, cani che vengono uccisi, ecc. Quando poi una colonia di vampiri viene a svernare nella cittadina, cominciando a tagliare gole a destra e manca, tutto diventa più chiaro ma per i poveri abitanti iniziano trenta giorni in cui sopravvivere anche se nascondersi diventa quasi impossibile..


Cavoli, anche a rileggere quello che ho scritto mi verrebbe voglia di vedere il film! E invece no, perché la verità è che in 30 giorni di buio… non succede davvero niente!! E’ tutto così: i vampiri arrivano, punto. E per due ore c’è un mordi e caccia che non lascia nemmeno il tempo di inquietarsi o avere la minima paura, tanto sai che: ad uccidere gli esseri umani sono dei vampiri, e che questi ultimi sono tanti e brutti, e ti spiano dai tetti. Francamente io ho avuto l’impressione che lo sceneggiatore non sapesse come tirarla avanti e creasse degli stratagemmi risibili per costringere i pochi sopravvissuti a lasciare il posto sicuro che trovano prima della metà del film. E il nonno rincoglionito, e l’esca umana, e l’idiota che al ventisettesimo giorno decide di mettersi a fare segnali luminosi per vedere se è rimasto qualcuno, altre due o tre esche umane (mi piacerebbe sapere sti vampiri perché alcuni li mordono, altri no…), e via così per due ore.


Avrete già immaginato che i protagonisti umani sono di un’idiozia rara, e alcuni di essi hanno anche una discreta botta di culo. Non si spiega infatti perché il ragazzino continui a cavarsela in barba alla nonna masticata e a fior fior di omoni che cadono come mosche. Diciamo anche che, alla fine della visione, mi viene da pensare che tutti gli abitanti di quella cittadina orrenda ed isolata dal mondo soffrissero di una depressione cronica visto che il 90 % degli stessi è disposto a sacrificare la propria vita trovando qualsiasi scusa, anche la più becera. Ora, capisco che l’eroe ci vuole, e che se vedi una povera bambina insanguinata in mezzo alla neve magari vieni mosso a pietà (ma se l’alternativa è farsi squarciare la gola… mi dispiace povera bambina, ma schiatti tu…) o magari se vedi tua moglie in pericolo ti immoli per amore. Però lì si immolerebbero tutti, uomini, donne, bambini, piuttosto che vivere ancora in quel paese maledetto da Dio funestato da neve, freddo e buio: ma avete ragione, chi ve lo fa fare??!! Le perle di saggezza (o per dirlo alla Elio sarebbe meglio parlare di PEERLE?) sono almeno due: lo sceriffo che per fare lo sborone ed ammazzare UN vampiro con uno stratagemma lì per lì furbo ma col senno di poi decisamente inutile, fa ammazzare la metà dei suoi compagni; e poi il suo degno compare, che per simpatia decide di fare fuori preventivamente moglie e figli prima che se li mangino i vampiri e poi, o sfortuna delle sfortune, non riesce ad ammazzarsi a sua volta perché “casualmente” gli si inceppa il fucile, costringendolo così a vivere nella colpa e nella solitudine, nonché a metterla nello stoppino agli ultimi sopravvissuti. E il suo amichetto sceriffo, invece di rovinarlo di mazzate lo consola anche! Allora avevo ragione io, manie suicide… L’unica scena con le palle è quella in cui il 50% dei vampiri viene fatto fuori dall’unico umano illuminato che, paradossalmente, fino ad allora si era comportato da cavernicolo: basta usare uno spazzaneve/tagliaghiaccio e via, quanti succhiasangue che si segano in due!


Ma parliamo dei vampiri. Orrendi. Buffoni. Tabozzi. Parlano tra loro con un linguaggio che assomiglia alle urla di Chewbacca incrociate con il rantolo di un essere umano che sta per essere strozzato da un osso di pollo conficcato in gola. Dico, ALMENO, dai una spiegazione, dì da dove vengono, dagli la facoltà di parlare in una lingua comprensibile di tanto in tanto: figuriamoci. Per tutto il film saltano come rane e mostrano zanne che al confronto quelle di It sono dei dentini da latte. E visto che abbiamo tirato in mezzo il Re King, vorrei ricordare che, come ben insegna Le notti di Salem (che pur è stato adattato in un omonimo film noiosissimo ed orrendo, nonostante sia stato diretto da Tobe Hooper e contasse nel cast Donald Sutherland), il vampiro fa paura perché è insinuante, strisciante, si confonde bene con gli umani e ti prende quando meno te lo aspetti. In quello splendido romanzo un’intera cittadina viene vampirizzata e distrutta da un solo vampiro che crea proseliti, non arriva con un branco di suoi consanguinei mettendola a ferro e fuoco. Una cosa così ti sbatte in faccia il vampiro togliendogli il fascino, togliendo l’incertezza, l’inquietudine del “non sapere”. Altra cosa che non si spiega, inoltre, è in base a cosa alcuni vengano infettati dal sangue dei vampiri (ma lo sceneggiatore era anche indeciso: il mezzo per essere infettati è il sangue o il loro morso? Boh, nell’incertezza li ha messi tutti e due, a seconda di cosa faceva comodo, soprattutto per lo sboronissimo finale…) e altri no? Bah. E bah anche agli attori: molli, molli, molli… non ai livelli di Tom Hanks ma si vede benissimo che non ne hanno voglia, né quando devono scappare, né quando devono far andare l’accetta. Insomma, io da buona amante dell’horror e soprattutto dei vampiri, vi consiglio di evitarlo. Ma ho anche letto recensioni positive, quindi… fate vobis, anche solo per curiosità. In fondo la storia è particolare, però potevano portarla avanti meglio.

David Slade è il regista della pellicola. Inglese, si è fatto le ossa su alcuni video prima di salire alla ribalta con il controverso e chiacchieratissimo Hard Candy. Ha 40 anni e tre film in uscita, tra cui (orrore!!) il terzo capitolo della saga di Twilight.


Josh Hartnett interpreta lo sceriffo Eben. Per fortuna questo attorucolo diventato famoso solo perché belloccio (e per aver interpretato l’orrendo ma ahimé amatissimo dalle fanciulle dell’epoca Pearl Harbor) non ha fatto troppi film, ma anche quei pochi sono comunque troppi. Tra le sue pellicole ricordo il mediocre Halloween 20 anni dopo, Il giardino delle vergini suicide, O come Otello, Sin City (si vede poco ma è “l’uomo”, colui che offre alle donne un modo elegante per uccidersi…), Black Dahlia. Ha 31 anni e tre film in uscita.


Melissa George interpreta Stella, la moglie di Eben. Io mi sono innamorata della sua interpretazione della perfida Lauren nella serie Alias, ma l’attrice australiana (che pure in 30 giorni di buio da il suo peggio…) ha all’attivo parecchi bei film. Come tutti gli idoli della terra dei canguri, ha esordito nell’orrenda ed infinita soap opera Home and Away, l’incubo mio e di Toto, per colpa della maledetta Matilda, nei 9 mesi passati a Mildura; la carriera della bionda Melissa è poi continuata con Dark City, Mulholland Drive, L.A. Confidential, Amityville Horror (ovviamente il remake), Derailed – Attrazione letale e Turistas. Per la TV, oltre al già citato Home and Away, ha recitato in Friends, Monk, Streghe, Two Twisted (che nostalgia…). Ha 33 anni e un film in uscita, un probabile seguito di questo orrendo film.


Danny Huston interpreta Marlow, irriconoscibile come capo vampiro. L’attore di origini romane è già stato protagonista di questo blog, pur non essendo mai citato: ha interpretato 21 grammi – Il peso dell’anima, The Aviator, Maria Antonietta, The Number 23, X – Men le origini: Wolverine. Ha 47 anni e tre film in uscita. 


Dopo questa devastante recensione, vi lascio al pur promettente trailer… ENJOY!


venerdì 5 giugno 2009

Two Sisters (2003)

E’ uscito nel multiplex di Genova un film intitolato The Uninvited, ovviamente l’ennesimo remake di un horror asiatico. Ciò mi ha portata, oltre che a vedere l’originale coreano Two Sisters (Janghwa, Hongryeon) del 2003, diretto da Ji Woon-Kim, a chiedermi perché mai invece di perdersi nell’inquietante bellezza delle pellicole originali, un americano debba scegliere di guardare un’insipida replica. La risposta l’ho trovata proprio ieri sera: l’americano medio è troppo idiota per sopportare la complicata e troppo spesso simbolica trama degli originali e ha bisogno del didascalico film horror con gli spaventi al posto giusto e possibilmente chiaro (si vedano gli esempi di One Missed Call, ma anche The Ring e The Grudge). Ed ecco il motivo per cui, sulla fiducia, non andrò assolutamente a vedere The Uninvited, anche se tra i protagonisti c’è Emily Browning, la Violet di Una serie di sfortunati eventi


La trama di Two Sisters non è complicata, almeno in apparenza: Su – Mi e Su – Yeon sono due giovani sorelle che tornano a casa dopo che la prima è stata in cura per problemi psichiatrici. Al loro arrivo trovano una matrigna indisponente e violenta, un padre distante e soprattutto inquietanti presenze che a poco a poco svelano a loro e allo spettatore un terribile passato che riguarda entrambe. 


Non è facile parlare di questo film senza svelarne gli intrecci e gli abbondanti colpi di scena (che pur avevo presentito ad un certo punto…). Two Sisters passa come il più terribile horror coreano, brutale e sanguinolento, almeno da quello che avevo letto. Francamente, ho visto assai di peggio, anche perché non è un horror propriamente detto, ma l’elemento “pauroso” viene usato per scavare nella psiche umana. Il tema portante, che viene svelato verso la fine del film proprio dalla matrigna, è la ferma volontà dell’essere umano di dimenticare ciò che è spiacevole e troppo doloroso da ricordare, soprattutto quando è legato al senso di colpa. Si può dire che il fantasma presente nella casa (perché come mostra il finale “qualcosa” c’è davvero al di là di allucinazioni o sogni, e viene percepito, anche se non troppo chiaramente, dalla giovane zia delle due ragazzine durante un’imbarazzante cena) si nutre, più che di un desiderio di vendetta come nel caso di The Grudge, di un desiderio di espiazione, di non essere dimenticato, del senso di colpa di ogni abitante della casa.


Seppure il fantasma ci sia e segua la solita moda della maggior parte degli horror orientali (donna, dai lunghi capelli neri che le coprono la faccia ed accompagnata da suoni gutturali più o meno forti), non è una presenza preponderante però. Anzi, se possibile serve a confondere e sviare lo spettatore dalle parole che vengono dette nel corso del film, dalle azioni dei personaggi, dalle immagini che spesso e volentieri mischiano i due piani del reale e dell’immaginario, del sogno e della realtà. Non è un film da guardare con occhio disattento, il divertimento sta proprio nel cercare di capire la situazione prima che il regista ci dia una spiegazione, per quanto neppure quest’ultima sia troppo immediata.


Le immagini sono bellissime, inquietanti ed evocative, così come la casa dov’è ambientata la vicenda. Abbondano, ovviamente, i luoghi bui, ma il particolare che mi ha attirato è l’arredamento dal sapore vintage, l’armadio “maledetto” dalla fantasia a fiori come la carta da parati, il giardino zen, la deliziosa gabbietta per uccelli, lo stile femme fatale orientale della matrigna, che sembra uscita da una foto degli anni venti. Sono preponderanti come colore il rosso e il bianco, i colori del trauma violento e dell’innocenza, vera o presunta che sia (il bianco in oriente è anche colore associato alla morte e al lutto, non dimentichiamolo). Inoltre il tema del fiore ricorre anche nel titolo originale, la cui traduzione sarebbe “La Rosa e il Loto Rosso”, titolo che ha lo stesso significato dei nomi delle protagoniste. Gli attori sono tutti molto bravi, a cominciare dalle giovani protagoniste e nonostante i due zii siano decisamente da dimenticare, ma è proprio grazie a questi ultimi che assistiamo alla scena più trash ed esilarante del film. Un film da provare, a mio avviso, ma non per una sera di divertimento fancazzista.

Ji Woon-Kim è il regista della pellicola, nonché sceneggiatore (anche del remake americano). Nativo della Corea del Sud, tra i suoi film ricordo Three e The Good, The Bad, The Weird. Ha 45 anni e un film in progetto.


Su – Jeong Lim interpreta Su – mi. Come molte idol (anche se forse nella Corea del Sud non si può parlare di idol…) ha cominciato la sua carriera come modella per riviste giovanili. Ha recitato in Happiness e ha 29 anni.


Geun – Young Moon interpreta Su – Yeon (anche se la pronuncia coreana è totalmente diversa…). Anche lei originaria della Corea del Sud, ha 22 anni e cinque film all’attivo.


Jung – ah Yum interpreta la matrigna. Sud coreana, ha recitato in Three… Extremes. Ha 37 anni. 


Kap – su Kim interpreta il papà. Sud coreano come il resto dei membri del cast, ha recitato in non molti film e serie tv coreane, nonostante l’età. Ha 52 anni.




E ora vi lascio col trailer di The Uninvited... dopo averlo visto, poiché alcune scene sono simili a quelle di Two Sisters, la mia decisione è stata presa: lo eviterò come la peste, e terrò vivo il ricordo di questo bell'originale! ENJOY!




giovedì 4 giugno 2009

David Carradine (1936 - 2009)

Uso lo spazio che avrei dovuto utilizzare per una piccola recensione del film Two Sisters per un omaggio postumo ad un grande attore che, come molti grandi “minori” del passato, è stato riportato a nuova gloria dal cinofilo zio Quentin: David Carradine è scomparso all’età di 72 anni.

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Pare infatti che proprio oggi il vecchio David sia stato trovato impiccato nella sua casa di Bangkok, dove stava girando il suo ultimo film. Non voglio entrare nel merito del gossip o meno, credo che il modo migliore per celebrare un grande attore sia quello di ripercorrere la sua carriera suggerendo qualcuno dei suoi film più belli o famosi. E così farò io, prima di commuovermi davanti ad una commemorazione a base di Kill Bill volume 1 e 2.


 


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Comincerei col primo film hollywoodiano del divino Scorsese, quell’America 1929: Sterminateli senza pietà che lo vede crocifisso ad un vagone del treno, icona di una perduta libertà, ed ironicamente già Bill, seppure “Big”. Non si può prescindere ovviamente dalla serie, nata negli anni ’70, che gli ha dato il successo, Kung Fu, e che Tarantino ha omaggiato degnamente nei suoi Kill Bill. Lo ha voluto anche Bergman, come ahimé ricordiamo io e Toto, per il devastante L’uovo del serpente, mattonazzo datato 1977 dalla trama confusetta e pseudo fantastica. Rimanendo in tema di serpenti, ma cambiando decisamente genere, rammento Il serpente alato, classico film “di mostri” dei primi anni 80, quando già la stella di Carradine aveva cominciato a declinare, portandolo a finire in filmacci indegni persino di una menzione… se non fosse che nel 1992 ha fatto parte del cast del già citato (su questo blog) Evil Toons. Il buon David era destinato a passare davvero gli ultimi anni della sua vita nel buio delle produzioni mediocri e nei vari ripescaggi della sua serie più famosa, se non fosse che nel 2003 Tarantino è arrivato e lo ha impresso a fuoco nella memoria di vecchi affezionati e nuovi spettatori, regalandoci il personaggio di Bill, enigmatico e bastardo castigatore di Spose ed affezionato papà, di cui sentiamo solo la voce in Kill Bill 1, per poi apprezzare in tutta la sua grandiosa infamia e saggezza in Kill Bill 2, nonostante il pubblico parteggi per la Sposa e voglia solo vederlo morto. Da qui la carriera di David è tornata in piena forma, facendogli passare la vecchiaia cullato in comparsate di lusso: basti pensare che alla sua morte sono ben sette i film che devono ancora uscire e che lo vedono presente.


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Figlio di John Carradine (I dieci comandamenti, Il giro del mondo in 80 giorni, America 1929: Sterminateli senza pietà Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere, L'ululato), e fratello dei meno conosciuti Keith Carradine (Nashville), Robert Carradine (La rivincita dei nerds) e Michael Bowen (il Buck di Kill Bill), mi va di ricordarlo non già con scene da Kill Bill, sarebbe troppo banale, ma mostrando un pezzetto di ciò che lo ha consacrato nel cuore di trashofili e amanti delle arti marziali di tutto il mondo, Kung Fu. Ci mancherai, David.




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