domenica 26 febbraio 2017

Jackie (2016)

L'ultimo film di cui vi parlerò prima che vengano assegnati gli Oscar (per chi fosse interessato, i post sugli altri arriveranno a ridosso delle rispettive uscite italiane) è Jackie, diretto nel 2016 dal regista Pablo Larraín e in concorso con tre nomination (Natalie Portman Migliore Attrice Protagonista, Migliori Costumi e Miglior Colonna Sonora Originale).


Trama: dopo la morte del presidente Kennedy, la moglie Jackie si ritrova a dover tenere in piedi la propria famiglia e ad onorare la memoria del marito senza crollare nel tentativo...


Di base, ritengo quello americano come uno dei popoli più stupidi sulla faccia del pianeta, giudizio che, se possibile, si è intensificato ancora di più dopo l'elezione di quella sorta di imbarazzante Gabibbo malvagio che risponde al nome di Donald Trump. Nonostante questo o forse, chissà, proprio per questo, la storia americana esercita su di me un fascino stranissimo, soprattutto per quel che riguarda il periodo turbolento precedente e successivo alla morte di John Fitzgerald Kennedy. Morto giovanissimo, all'età di 46 anni, questo giovane e sfortunato presidente è diventato nel tempo un mito, il simbolo di un'era, la versione buona del "quando c'era lui" e persino Stephen King (che lo definisce nel ciclo de La Torre Nera "l'ultimo Pistolero del mondo occidentale") è arrivato a chiedersi, nel romanzo 22.11.63, cosa sarebbe successo se JFK non fosse morto. Non ci è dato sapere cosa ne sarebbe stato dell'America e del mondo sotto la sua guida ma quel che è certo è che tra coloro che hanno contribuito a costruire il mito Kennedy c'è sicuramente la moglie Jackie, figura diventata nel tempo altrettanto "mitica" e protagonista del biopic di Pablo Larraín il quale, concentrandosi principalmente sull'intervista concessa dalla ex first lady al giornalista Theodore H. White una settimana dopo la morte del presidente, fa poca luce sulla vita privata di Jacqueline Lee Bouvier in quanto donna. Il punto di vista adottato nel film è infatti piuttosto quello di una neo-vedova, di una Ginevra che ha perso il suo Re Artù e cerca in tutti i modi di consegnarne il ricordo ai posteri tentando, allo stesso tempo, di non soccombere al dolore e proteggere sé stessa e i figli ancora piccoli non solo da eventuali attentati ma anche dall'indigenza e dagli sciacalli mediatici. Intelligente, piena di amore per le arti e la storia, Jackie è nata per essere più un membro di qualche famiglia reale europea piuttosto che la first lady americana; nonostante l'amore del popolo americano, la consacrazione ad icona della moda e l'impegno profuso nel trasformare la Casa Bianca in un museo dedicato alla storia americana, alla morte di Kennedy la donna è diventata per legge una semplice civile che da quel momento in poi avrebbe avuto poco tempo per portare via baracca e burattini dall'edificio presidenziale, lasciando così il posto al neo presidente Johnson e alla moglie.


Larraín racconta dunque questo momento assai delicato nella la vita della ex first lady mettendo sotto i riflettori il dolore per la morte di un marito "ingombrante" ma comunque molto amato (le immagini che mostrano Jackie subito dopo il tristemente famoso attentato a Dallas sono molto crude e fanno riflettere sull'incredibile forza d'animo di una donna che è stata letteralmente investita dalla materia cerebrale e dal sangue del suo compagno di vita), la rabbia, l'impotenza e la confusione di chi non ha più un appoggio spirituale e materiale e di chi non può prevedere un futuro che si prospetta terribilmente buio ed incerto, contestualizzando il tutto attraverso il racconto di un America e di un mondo costretti a cambiare nella maniera più drastica. Oltre a tutto ciò, viene sottolineata anche l'importanza mediatica di Jackie Kennedy non solo nella creazione del mito di Camelot (nome con cui gli americani sono arrivati nel tempo a definire la presidenza Kennedy) ma anche nel rendere in qualche modo più vicina al popolo un'istituzione come la Casa Bianca, mostrata per la prima volta in TV dalla stessa Jackie come fulcro della storia e della cultura americane, quindi un patrimonio nazionale e non solo dimora presidenziale. Inutile dire che l'intero film poggia sulla straordinaria interpretazione di una Natalie Portman che è riuscita a riportare in vita la sfortunata Jackie, impadronendosi di quell'accento mezzo americano, mezzo british e assolutamente posh che la caratterizzava, soprattutto nelle occasioni pubbliche (e che, intelligentemente, si riduce fino a scomparire quando viene mostrata la Jackie più intima ed emotivamente scossa), ma non solo; la fisicità, gli sguardi e i vezzi dell'attrice sono emozionanti sia quando la Portman è da sola, sia quando interagisce con gli altri (la sequenza in cui Jackie vaga per le stanze ubriaca e in lacrime, cambiando un vestito dopo l'altro, è magistrale ma vengono resi alla perfezione anche il rapporto con i figli e Bobby, con Johnson e persino col prete interpretato da John Hurt, Dio lo abbia in gloria sempre) e attorno a lei scenografi, costumisti e soprattutto il direttore della fotografia Stéphane Fontaine, responsabile della bellezza degli innumerevoli primi piani dell'attrice, hanno creato un perfetto scorcio di vita della first lady più amata dagli americani, tra dolorosa realtà e sognanti fantasie da musical.


Di Natalie Portman (Jackie Kennedy), Peter Sarsgaard (Bobby Kennedy), Greta Gerwig (Nancy Tuckerman), Billy Crudup (Il giornalista), John Hurt (Il prete), Richard E. Grant (Bill Walton), Beth Grant (Lady Bird Johnson) e John Carrol Lynch (Lyndon B Johnson) ho già parlato ai rispettivi link.

Pablo Larraín è il regista della pellicola. Cileno, ha diretto film come Tony Manero, No - I giorni dell'arcobaleno, Il club e Neruda. Anche produttore e sceneggiatore, ha 41 anni.


Inizialmente il film avrebbe dovuto girarlo Darren Aronofsky, con Rachel Weisz in qualità di protagonista, ma quando entrambi si sono ritirati dal progetto Aronofsky è rimasto solo come produttore. Diversamente dal solito, se Jackie vi fosse piaciuto non vi consiglio di recuperare altri film a tema, bensì il musical Camelot e il film TV A Tour of the White House, entrambi citati nella pellicola di Larraín. ENJOY!

9 commenti:

  1. L'abbiamo visto in anteprimqa il giorno di San Valentino, in una serata con la sala piena, e l'effetto è stato straniante, anche perché qualche giorno prima avevamo visto "La La Land" (prima il sogno e poi l'incubo americano, ma entrambi di ottimo livello cinematografico). Non è un film perfetto, ma molto psicologico, funereo come ci si immagina, ed è ottima l'interpretazione della sempre impeccabile Natalie Portman, che meriterebbe l'Oscar. Tu hai detto tutto quello che c'era da dire, aggiungo solo che questo Larrain è un regista interessante, da seguire (di lui, prima, avevo visto solo "No - I giorni dell'arcobaleno", gran film).

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    1. Mi sono ripromessa di recuperare un po' di Larrain che, colpevolmente, mi manca. Comunque se i suoi film sono a questo livello tanta roba! :)

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  2. bello, ma un po' deludente rispetto ai precedenti del regista. Sarà l'America sarà, l'impostazione generale della sceneggiatura ...

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    1. Non ho mezzi per replicare visto che di Larrain non ho visto nient'altro :(

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  3. Molto freddo all'apparenza, ma per me di una potenza straordinaria.
    Le sequenze del corteo funebre sono pazzesche.

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    1. A me sono piaciute molto quelle appena successive alla morte di Kennedy. Ma in generale, più ci ripenso più mi rendo conto di quanto sia bello tutto :)

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    1. Assolutamente! E se riesci a vederlo in lingua ancora meglio!

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  5. Hm, purtroppo credo che molti americani della nostra età siano ormai lontani dal mito di Kennedy, quindi probabilmente potrebbero dire la stessa cosa :)

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