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martedì 8 maggio 2018

You Were Never Really Here (2017)

E' uscito questa settimana in tutta Italia (ma non a Savona, avevate dubbi?) You Were Never Really Here, diretto nel 2017 dalla regista Lynne Ramsey e da lei sceneggiato a partire dal romanzo omonimo di Jonathan Ames. Esiste anche un titolo italiano ma è talmente idiota da non meritare menzione.


Trama: Joe, reduce di guerra dal passato traumatico, lavora nei bassifondi cittadini come esecutore di pedofili e salvatore di povere ragazzine rapite da questi ultimi. Quando però un lavoro va male, Joe si ritrova solo, a combattere agenti corrotti e la propria follia galoppante...


No, dai, menzioniamolo il titolo italiano: A Beautiful Day - You Were Never Really Here. Vista la giornata, anzi, le giornate che compongono la triste esistenza di Joe, protagonista del film, sembrerebbe quasi una presa in giro, invece i titolisti hanno ripreso un pezzetto della frase che chiude la pellicola, in cui i personaggi affermano "It's a Beautiful Day". Inutile dire che la frase in questione, estrapolata dal contesto, non vuol dire proprio nulla, mentre bisognerebbe concentrarsi su quel "You Were Never Really Here", ovvero "Non sei mai stato realmente qui", che è poi la condizione perenne del protagonista. Joe, infatti, può tranquillamente essere definito un uomo "fuori dal mondo", una creatura divorata da traumi passati (che a noi spettatori non sarà mai concesso di comprendere nella loro interezza) che scivola ai margini della percezione visiva delle persone, cercando di non lasciare nessun ricordo di sé e incapace di integrarsi nella società; Joe vive solo con la madre, con la quale c'è un rapporto profondo, cementato da qualcosa di terribile accaduto in passato, per il resto gli unici contatti dell'uomo con altri esseri umani sono ricevere "ordini dall'alto" ed elargire tanta, tanta violenza. Sì perché Joe è una sorta di sicario, inviato su richiesta a liberare ragazzine rapite e tenute segregate da pedofili. Anche qui, non ci è dato sapere perché ma probabilmente Joe, perseguitato da allucinazioni e dai ricordi di eventi orribili accorsi nell'infanzia e durante l'esperienza come militare, è stato spinto ad intraprendere questa "professione" da un mix di senso di colpa ed empatia, che uniti al suo quasi totale distacco dalla realtà e a ricorrenti manie suicide lo rendono, letteralmente, il migliore in quello che fa. E quello che fa, beninteso, è terribile ed angosciante proprio perché la Ramsey ha scelto (forzata anche da un budget limitato) di giocare di sottrazione e mostrare il minimo indispensabile, quanto basta affinché lo spettatore immagini tutto il sangue che può venire spillato da un martello inquadrato con insistenza e quasi affettuosamente; arditi tagli di montaggio ci mostrano le vittime prima vive poi morte, oppure la cinepresa decide di guardare altrove proprio all'ultimo momento, o ancora sceglie di indugiare su dettagli macabri resi con la stessa freddezza di una natura morta, dopo che l'amico martello o chi per lui ha fatto il suo dovere.


Paradossalmente, proprio un film come You Were Never Really Here, basato sul non detto e non mostrato, è una di quelle pellicole che si incide a fuoco nella mente e nel cuore dello spettatore. Benché di Joe non si sappia un granché, le sue vicende ci coinvolgono, arriviamo a tifare per lui e a dispiacerci fino ad avere paura quando le cose sfuggono di mano; quegli sprazzi di passato che la Ramsey dispensa a spizzichi e bocconi, apparentemente senza un senso logico, ci spingono a cercare di risolvere un rompicapo impossibile e a scavare nell'animo del silenzioso protagonista e di coloro che arrivano, in qualche modo, a scuotere la sua esistenza, come la madre oppure la piccola Nina. Se ci si pensa bene quello di Joe, interpretato magistralmente da un Joaquin Phoenix (premiato giustamente l'anno scorso a Cannes) allo stesso tempo bellissimo, eroico e sconfitto, è un personaggio archetipico, l'uomo senza passato e laconico di moltissimi film d'azione, la cui vita viene sconvolta da eventi impossibili da controllare, eppure l'approccio della Ramsay trasforma una storia "banale" in un film elegante, meritevole di venire ricordato, a tratti doloroso e sì, anche "insoddisfacente" se vogliamo, nella misura in cui lo spettatore viene lasciato a bocca asciutta e privo di appigli concreti per "capire" al 100% ciò che muove Joe. A mio avviso, è proprio qui però che risiede la bellezza di You Were Never Really Here, fatto di momenti di dolorosa poesia (la tumulazione nel lago stringe il cuore), in buona parte silenzioso salvo per la particolare colonna sonora elettronica di Johnny Greenwood, a tratti impregnato di un male di vivere e di uno squallore difficilmente sopportabili. Al di là dello schifo della depravazione che fa da perno all'intera vicenda, è proprio l'orrore del vuoto che si trova dentro e fuori Joe a sconvolgere, l'idea di un uomo costretto a vivere fuori dal mondo, costantemente intrappolato in un incubo al punto da non sapere più distinguere cos'è vero da cosa è falso, un dead man walking se mai ne è esistito uno, forse per questo tanto più umano rispetto alla miriade di sicari duri e puri che popolano da decenni gli schermi dei cinema. In due parole, l'ennesima vittoria della Ramsey, dalla quale non mi sarei aspettata di meno.


Di Lynne Ramsey, regista e co-sceneggiatrice del film, ho già parlato QUI. Joaquin Phoenix (Joe) e Alessandro Nivola (Governatore Williams) li trovate invece ai rispettivi link.

Alex Manette interpreta il Senatore Albert Votto. Americano, ha partecipato a film come ... e ora parliamo di Kevin, Shame, Disconnect e The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca. Anche produttore, ha 49 anni.


Se You Were Never Really Here vi fosse piaciuto recuperate Drive. ENJOY!

10 commenti:

  1. Dopo le stroncature di Cannibal e Ford di oggi, finalmente un parere più in linea con il mio. Non mi ha esaltato, è l'hard boiled che sembra, però regia e Phoenix fanno la differenza. Lento, volutamente, anche quando tutto precipita.

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    1. Hard Boiled è la parola giusta che non trovavo, grazie! :)

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  2. Bah, perché aggiungere biutiful dei, non capisco. Meglio tradurre il titolo, allora.
    Sembra davvero interessante. Specie per il vissuto del protagonista... ottima la scelta del dire/non dire. Fuori campo, le cose si ricordano di più :)

    Moz-

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    1. Il titolo originale è splendido. Anche secondo me al limite si poteva tradurre quello. Anche perché sai il casino alla cassa? XD

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  3. Un bel filmettino hard boiled con un Joaquin Phoenix decisamente a suo agio col ruolo.

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    1. Sì, lui è perfetto con quell'aria da Jesus Christ che si ritrova!

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  4. Per me, invece, noiosissimo e vuoto. Un film di cui non si sentiva affatto la necessità, che non fa altro che far salire la nostalgia di cose fighe come Drive.
    Bocciatissimo.

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    1. Sarà che a me Drive è piaciuto ma con riserva, questo l'ho trovato un suo degnissimo cuginetto :)

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  5. Un film con più tecnica che cuore. Sia chiaro non c'è niente che non vada nel film, tra l'altro ha uno dei montaggi sonori più incredibili degli ultimi anni, però le emozioni non ci sono. Non basta mettere assieme immagini ineccepibili condite da una interpretazione splendida per trasportare dentro al racconto. Il risultato è che il fuori campo con le azioni suggerite è più interessante del racconto stesso.

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    1. Eh, questo è uno di quei casi, secondo me, in cui fa molto la soggettività dello spettatore. Io sono rimasta incuriosita e avvinta fino alla fine, ho provato molta pietà per Joe e la storia mi ha coinvolta ma capisco che non per tutti può valere la stessa cosa :)

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