martedì 15 febbraio 2022

Drive My Car (2021)

Il percorso lungo e tortuoso dei recuperi pre-Oscar continua con Drive My Carドライブ・マイ・カー), diretto e co-sceneggiato nel 2021 dal regista Ryusuke Hamaguchi a partire dalla raccolta Uomini senza donne di Haruki Murakami e candidato a 4 premi Oscar (Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Non Originale, Miglior Film Straniero).


Trama: Dopo avere scoperto i tradimenti della moglie, un attore e regista teatrale rimane ulteriormente sconvolto dalla morte di lei, che lo lascia con troppe domande senza risposta. 


Sarebbe molto facile iniziare il post su Drive My Car saltando sul carro del vincitore e magnificando le lodi del film che ha stregato Cannes, prima ancora dell'Academy, vincendo ben tre premi, tra i quali quello per la migliore sceneggiatura. Purtroppo per voi (ma soprattutto per me), io sono una Crassa ignorante e ritengo che Drive My Car sia una di quelle pellicole che necessitano di essere elaborate, magari dopo un paio di visioni, e che riescono a colpirmi maggiormente dopo una riflessione a freddo invece di folgorarmi sulla via di Damasco; purtroppo, a causa della sua durata elefantiaca probabilmente non rivedrò Drive My Car mai più nella vita, ché (con rispetto parlando) tre ore di depressione e silenzi non mi fanno benissimo alla psiche. Quindi no, Drive My Car non è il mio film del cuore, ma neppure il più bello del 2021, almeno per quanto mi riguarda, e se arriverà a vincere qualche Oscar spero sia solo quello per la sceneggiatura, effettivamente profonda e articolata, a mio avviso più godibile non tanto per chi conosce l'opera originale di Murakami, quanto piuttosto Zio Vanja di Checov. La creatura del drammaturgo russo, infatti, "perseguita" i personaggi e scorre in parallelo con le loro vicende, trasformandosi in una sorta di specchio o di completamento di tutto ciò che li turba, in primis, ovviamente, per quanto riguarda il protagonista Kafuku-san, drammaturgo e attore che ha perso la moglie poco dopo averne scoperto i tradimenti. Kafuku è un artista specializzato nella produzione di opere multilingue, ovvero con attori di diverse nazionalità che recitano nella loro lingua d'origine; l'amara ironia della vicenda è l'impegno profuso da Kafuku nel superare ogni scoglio legato alla comunicazione, adoperandosi affinché siano le interpretazioni degli attori ad arrivare al cuore del pubblico e a far "parlare" il personaggio, in aperto contrasto con l'incapacità di Kafuku di comunicare con la moglie, risultante in un gigantesco senso di colpa a seguito della morte di lei.


Fin dall'inizio, Kafuku viene connotato come un uomo metodico ed indipendente, e la prima parte del film è dedicata a tratteggiare il legame tra lui la moglie, sceneggiatrice dall'animo contorto che sembrerebbe il perfetto opposto del marito; quest'ultimo, prima ancora della scoperta del tradimento, parrebbe restio ad aprirsi completamente con lei o a sondarne l'animo, anche a seguito di un lutto che ha minacciato di distruggere il matrimonio. Lo stesso distacco, la stessa freddezza, Kafuku la dimostra nei confronti di attori e collaboratori, come se tra lui e loro ci fosse un muro, lo stesso che lo spingerebbe a non cedere a nessuno la guida della sua Saab rossa (un piccolo mondo di solitudine); suo malgrado, a Hiroshima Kafuku viene costretto dai produttori del suo ultimo spettacolo ad affidare la guida a un'autista, che diventerà la prima, minuscola crepa nel suo isolamento. Non aspettatevi, tuttavia, che la giovane, silenziosa autista cambi in quattro e quattr'otto il carattere di Kafuku, come accadrebbe in qualsiasi film americano. Qui siamo in Giappone e il silenzio è d'oro, la confidenza e la fiducia vanno conquistate a poco a poco e, anche quando ciò accade, i sentimenti di amicizia e rispetto sono talmente soffusi (e, allo stesso tempo, intensi) che le parole non possono comunque esprimerli. Lo stesso vale per la rabbia, per il dolore, per l'odio, la passione, per tutto ciò che ci rende umani e quindi imperfetti, più proni a venire colpiti e sconfitti, a venire atterriti dai neri abissi che si nascondono dentro di noi; Drive My Car prende questa paura, adegua ad essa gli stilemi del cinema "on the road" alternandoli a momenti in cui il cinema si fa teatro e viceversa, dove le voci di Murakami, Checov e Hamaguchi si fondono arrivando a dialogare con quella della nostra coscienza, tra attimi quasi triviali (anche un po' weird, vedi la lampreda), altri di indiscutibile poesia e moltissimi, troppi per la verità, di inconfutabile stasi letargica. Per me la visione di Drive My Car equivale al cibo giapponese degustato in loco: lì per lì soddisfa poco, rischia anche di non piacere, ma rimane sempre la voglia di mangiarlo e di sentire ancora quel gusto tutto particolare... ma occhio, in questo caso, a non farvi calare la palpebra nel frattempo. 

Ryusuke Hamaguchi
è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Happy Hour e Il gioco del destino e della fantasia. Anche produttore, ha 44 anni. 



9 commenti:

  1. Io dopo "Burning" ho deciso di recuperare un po' degli scritti di Murakami e a sto giro prima leggo e poi guardo.

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    1. Burning, già che lo avete citato in due, lo recupererò. Di Murakami non ho mai letto nulla nonostante adori il Giappone, pensa quanto sono ignorante!

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  2. Sì, però Burning era davvero un gran bel film... questo invece mi sembra il classico titolo "cool" che fa figo dire che è bello, quasi per mantenere lo status di cinefilo impegnato. Anch'io sono rimasto alquanto freddo, e nemmeno io lo rivedrei mai: in una Award Season per me comunque abbastanza mediocre gli preferisco di gran lunga il film di Sorrentino. Non è stata una grande annata per i film da Oscar, inutile girarci intorno. Anche il tanto decantato Il potere del cane su di me non ha fatto presa, gli ho preferito di gran lunga un film come Belfast (che sarà pure ruffianissimo - e lo è - ma stimola emozioni vere). Drive my car lo lascio volentieri ai puristi e ai critici "veri"

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    1. Io non sono una di quelle rimaste folgorate neppure da Sorrentino, eppure sì, l'ho preferito a Drive My Car. Per Belfast aspetto l'uscita al cinema, che dovrebbe avvenire prima della notte degli Oscar, quanto a Il potere del cane ha lasciato freddissima anche me.

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    2. "Burning" è anche qualcosa di più che solamente un "gran film" e sono sicuro che il tempo mi darà ragione

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  3. L'ho trovato ostico, noioso, troppo contemplativo per i miei gusti. Visto, credo, in tre giorni. E non sapere la trama di Zio Vanjia non ha aiutato, per nulla. Invano, tiferò Sorrentino!

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    1. Allora non sono l'unica che si è sentita "respingere" da questo film. Peccato, davvero, ma mi consolo.

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  4. Mi unisco al coro e mi sento meglio anch'io :D
    Mi dispiace definirlo a tratti davvero noioso, anche perché da come me ne avevano parlato mi aspettavo un gran film, e per me non lo è affatto.
    E a proposito di "rielaborazione": neanche a me ha fatto impazzire il film di Sorrentino, ma al contrario di questo, avrei voglia di rivederlo perché penso che così facendo lo apprezzerei e capirei meglio. Qui, con tutta la buona volontà, non credo ci sia da rielaborare granché. Ma parlo dal mio basso e umile profilo di spettatore ;)

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    1. Io ne avrei una riga di film da rivedere: questo, Licorice Pizza, quello di Sorrentino... anche Il potere del cane, incensato da tutti ma poco apprezzato da me. Però manca il tempo, ahimé.

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