martedì 22 marzo 2022

Flee (2021)

Questo mese è uscito in Italia anche Flee (Flugt), documentario animato diretto e co-sceneggiato dal regista Jonas Poher Rasmussen, candidato per tre premi Oscar: miglior film d'animazione, miglior documentario e miglior film straniero.


Trama: alla vigilia del suo matrimonio, Amin, profugo afgano emigrato in Danimarca, racconta la sua dolorosa storia al migliore amico...


Fa male, in un periodo di guerre ed incertezza come questo, guardare film come Flee. Fa male perché, dagli anni '80 ad oggi, ben poco è cambiato, tra guerre, disperazione, razzismo, persone senza scrupoli che si arricchiscono sulla pelle degli altri e poveracci costretti a scappare dalle loro case per andare, troppo spesso, a morire in terre a loro sconosciute. Fa male perché, parliamoci chiaro e senza ipocrisie, sentirne parlare tutti i giorni al TG in qualche modo anestetizza al dolore, ce lo rende estraneo e dura il tempo di mezz'ora, massimo un'ora, di indignazione casalinga; poi subentrano tutti i nostri problemi (insignificanti ma pur sempre problemi) e quei volti senza nome chi se li ricorda più? E' dunque sempre più necessario, nella nostra società abituata a puntare l'attenzione solo sul singolo individuo, che vengano realizzati film come Flee, che vengano raccontate storie assurde di "ordinaria" ingiustizia e orrore, perché sono le uniche capaci di affondare una lama di disgusto e vergogna nel cuore dello spettatore, sciogliendo l'egoismo in umanissime lacrime di compassione. "Sì, ma lui è stato fortunato!": questo si potrebbe dire di Amin, nato in Afghanistan e costretto a subire (assieme alla famiglia) una terrificante ordalia in Russia prima di trovare la salvezza in Danimarca, intraprendere una carriera di successo e riuscire persino a venire a patti con la sua omosessualità trovando l'amore... purtroppo, come viene raccontato in prima persona da quest'uomo (il cui nome, Amin, è ovviamente falso), per chi ha subito ciò che lui è stato costretto a subire non esiste liberazione dalla paura costante di venire scoperto, catturato e rispedito nel suo Paese d'origine. Una sfiducia soverchiante, frutto di orribili esperienze con la peggiore feccia dell'umanità e con la spietatezza della burocrazia, costringe i migranti illegali a nascondere ogni aspetto della loro personalità e del loro passato per non correre rischi (e non farli correre alle proprie famiglie) e ciò, ovviamente, impedisce loro di godere della nuova vita e rischia di costituire una barriera insormontabile per integrarsi o anche, semplicemente, per vivere in serenità.


La triste storia di Amin viene trasposta in questo particolare film che unisce lo stile del documentario (o della seduta psichiatrica), con interviste, primi piani del protagonista e veri filmati d'archivio, ad un'animazione semplice ma efficacissima, che cambia stile a seconda del tempo che viene raccontato. Il presente vanta disegni eleganti e nitidi, precisi sia per quanto riguarda i personaggi che i dettagli, mentre il passato ha un'animazione leggermente più semplice quando i ricordi di Amin sono chiari e le sue emozioni controllate. I flashback cambiano decisamente tono e stile nei momenti più orribili e concitati: lì, l'animazione degli esseri umani si limita a definirne i contorni, dando prevalentemente l'idea di sagome antropomorfe, mentre gli sfondi diventano macchie di colore in movimento, dove spiccano toni cupi e violenti come il rosso e il nero, ma anche il grigio, che dà invece un'impressione di confusione e ansia. Jonas Poher Rasmussen sfrutta al meglio tutto l'infinito potenziale espressivo di questa scelta "ibrida" e confeziona un film capace di parlare a più livelli, veicolando forse molte più emozioni di quanto avrebbe potuto fare un semplice documentario, che mai avrebbe potuto rendere così bene le mille sfumature di un ricordo, che cambia col tempo e talvolta viene anche "romanzato", nel bene e nel male, magari infilando una colonna sonora ad hoc, fatta da una canzone particolarmente calzante (io adoro Veridis Quo dei Daft Punk e ritrovarla in Flee, in un determinato momento, mi ha sciolta in lacrime) che riesce a renderlo ancora più nitido per chi lo ha vissuto. Per questo vi consiglio di cercare Flee nelle pochissime sale che ancora lo danno e di guardarlo, e spero vivamente che possa portare a casa almeno uno dei tre Oscar per cui è candidato, perché merita di essere conosciuto da un pubblico ben più vasto di quello dei circuiti festivalieri.

Jonas Poher Rasmussen
è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Danese, ha diretto altri documentari a me sconosciuti. Anche produttore, ha 41 anni.




Se Flee vi fosse piaciuto recuperate The Breadwinner (o Sotto il burqa o I racconti di Parvana, chiamatelo come volete, lo trovate su Netflix e gratis su Rai Play), Persepolis (lo trovate a pochissimo su Chili o Prime Video) e lo splendido For Sama (sempre su Prime a una cifra irrisoria). ENJOY!

6 commenti:

  1. Condivido ogni parola.
    Visto in realtà prima che scoppiasse la guerra, rileggere quello che avevo scritto ha reso ancora più attuale il suo intento. Anche se i Paesi di chi fugge sono diversi.
    Quando penso alle capacità e alla forza del cinema, penso a storie e produzioni come queste. Non un semplice documentario, non un semplice film di animazione.
    Agli Oscar, tiferò per lui.

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    1. Onestamente, visto in questi giorni, ho trovato il ritratto fatto della burocrazia e della polizia russa ancora più agghiacciante. Un film attualissimo, per cui anche io faccio il tifo.

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  2. Non originalissimo, ma toccante. La scelta dell'animazione non è un vezzo ruffiano ma pura necessità per rendere anonima la figura del protagonista. Una storia che aveva il diritto di essere raccontata, ed è stata raccontata pure bene.

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    1. Credo che l'originalità, in questi casi, conti poco. Conta sapere parlare al cuore degli spettatori e questo film, fortunatamente, lo fa :)

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  3. Mi è piaciuto tantissimo, ed è stato un vero peccato non averlo visto premiato. Certo è che, in effetti, vederlo in un periodo come questo ha creato suscitato sicuramente ancor più emozione.
    Grazie per avermi ricordato "Sotto il Burqa"... ce l'ho in lista su Netflix da non so quanto tempo: è ora di recuperarlo!

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    1. Sì, purtroppo ha vinto la "solita" Disney ma non c'era nemmeno da stupirsi. Spero che Sotto il Burqua ti sia piaciuto!

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