Pagine

sabato 28 febbraio 2015

And the Oscar Goes To... Pulp Fiction (1994)


Pensavate che noi del F.I.C.A. ci fossimo ritirati? Giammai! Su suggerimento di Alessandra del blog Director's Cult abbiamo deciso di coalizzarci nella settimana degli Oscar e conferire un premio "virtuale" ai film che, a parer nostro, sono stati trattati malissimo dall'Academy. Potevo forse rinunciare ad affrontare, finalmente, Pulp Fiction, diretto e co-sceneggiato nel 1994 dal mio aMMore Quentin Tarantino ed insignito SOLO di un Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale? Fuck, no! Preparatevi ad un'esplosione di aMMore con le MM MMaiuscole. ENJOY!


Trama: il film intreccia le vicende di Vincent e Jules, due sicari al soldo del boss Marcellus Wallace, della sua problematica moglie Mia, del pugile suonato Butch e dei due delinquentelli Ringo e Jolanda, pronti a rapinare un diner...


Quentin assieme a Roger Avary durante la premiazione per la Miglior Sceneggiatura
Pulp Fiction vince nella categoria Miglior Film, ritira il premio il produttore Lawrence Bender mentre Quentin è già al terzo frappé da 5 dollari con Bourbon, più Bourbon che frappé, e sta intrattenendo i convenuti con la sua aMMorosa logorrea.

Un po' mi spiace per Le ali della libertà, ma tant'è. Pulp Fiction trionfa in questa edizione degli Oscar, sbaragliando il favoritissimo Forrest Gump. L'Academy, per una volta, ha scelto di premiare un film movimentato e divertentissimo, che sposa le regole del Gangster Movie reinterpretandole ed aggiornandole ai tempi moderni. I malviventi sono stilosissimi, logorroici, vanitosi, quasi ridicoli, sicuramente privi di quella dignità Scorsesiana che li rendeva tragici e dignitosi anche nella loro negatività; Pulp Fiction è la naturale evoluzione di quel processo di sdrammatizzazione già cominciato ai tempi de Le iene, dove la risata strappata da un dialogo particolarmente sagace andava a braccetto con l'orrore causato da litri di sangue ed improvvisa violenza. Quentin sa bene di essere adorato dal pubblico e in Pulp Fiction sbriglia liberamente la fantasia, il citazionismo e il suo amore per il Cinema senza mai perdere di vista la storia che vuole raccontare, una storia di cambiamento e redenzione, giostrata da un deus ex machina burlone che non guarda chi è stato buono o cattivo per distribuire premi o punizioni e, ovviamente, non rispetta né le simpatie del pubblico né il tempo effettivo in cui i personaggi sono sullo schermo. Questo irresistibile ed imprevedibile mix di faccia tosta, musica, colori, dialoghi e sequenze già cult ha giustamente conquistato l'Academy e non poteva essere altrimenti visto che Pulp Fiction, almeno per me, è già il film dell'anno!

Le foto della premiazione misteriosamente non si trovano. Il capellone, comunque, è Bender.
John Travolta e Uma Thurman vincono rispettivamente come Miglior Attore Protagonista e Migliore Attrice Non Protagonista mentre Samuel L. Jackson viene battuto da Martin Landau. Jackson, gran signore, si complimenta appena il vegliardo torna a sedere mentre la Thurman e Travolta deliziano il pubblico improvvisando un balletto sulle note di You Never Can Tell.  

Quentin
è solo al secondo film "importante" come regista ma chi si è innamorato come me ha già capito che il ragazzone ne farà di strada, soprattutto per il modo geniale con cui riesce a mettere in piedi un cast. A parte che io avrei dato un premio "corale" (Bruccino adorato nei panni di Butch lo snobbiamo così? Harvey Keitel che risolve problemi? L'esilarante cameo di Christopher Walken? Lo stesso Quentin e il suo gustosissimo caffé?), però i tre attori nominati e i due vincenti meritano tutte le lodi che sono piombate loro addosso. John Travolta, santo cielo. Ma non lo davate per morto? L'ex Tony Manero osa ripresentarsi inchiattito, strafatto, scemo come un tacco e buffone come non mai per uno dei ruoli più splendidi della sua carriera, come se Quentin lo avesse preso per i lunghi capelli svunci e lo avesse tirato fuori dal limbo per riconsegnarcelo tirato a lucido. E come si muove ancora, quest'uomo! Il ballo con Uma Thurman prende a calci ogni scena tra Forrest Gump e Jenny. E, ovviamente, Uma Thurman è bellissima. Ora, io quest'attrice la ricordavo solo per aver interpretato Cécile De Volanges ne Le relazioni pericolose ma Quentin me l'ha riproposta in un'ottica completamente diversa: sexy, divertente, un'icona di stile con quel Rouge Noir sulle unghie dei piedi nudi, le labbra dipinte e il caschetto nero. Miss Thurman, io la odio perché si capisce che Quentin la ama alla follia, tanto quanto io amo lui, e non potrò mai competere con lei, Dea scesa in terra. Quanto a Samuel L.Jackson, la parte "saggia" del dinamico duo Vincent/Jules, era giusto dargli l'occasione di bucare lo schermo (dopo anni passati nelle retrovie) con il personaggio forse più sfaccettato del film, in grado di esplodere in gesti di violenza insensata ma anche di perdersi in profonde, quasi commoventi riflessioni. A lui auguro la migliore delle carriere!

Qui Los Angeles sembra tanto Cannes, vero? Ehi ma.. cos'è quello sguardo lubrico, Quentin???
Quentin Tarantino vince l'Oscar come miglior regista e ringrazia, tra gli altri, Rossellini, Bava, Fellini e ovviamente Sergio Leone! Grandissimooo!!! 

Dai, bisogna dirlo. Largo ai giovani! Zemeckis? Ma sì, Forrest Gump è bello e tutto ma non è innovativo! Kieslowski? Che due marroni! Woody Allen? Ma basta! Robert Redford? Che barba che noia! Il premio andava giustamente all'aMMore mio. Non vi sto neanche a dire quanto sia bello quel ballo che ho già nominato, con Travolta e la Thurman che si dimenano sulle note di You Never Can Tell come facevano già Romeo e Duchessa ne Gli Aristogatti. Volete un elenco delle altre sequenze che non dimenticherò finché campo? La ripresa "di nuca" di Marcellus Wallace, la tachicardica sequenza della rianimazione di Mia, il concitato confronto con Zed e compagno (come usa Bruccino la katana..!), i piedi nudi della Thurman che introducono il personaggio, lo shock del colpo di pistola in macchina, la ripresa "dal bagagliaio", lo "stacco" di Coniglietta e Zucchino che introduce i titoli di testa (ah, ve l'ho detto che Sally Menke ha vinto l'Oscar per il miglior montaggio? Non scriverò nulla sull'argomento perché non ne avrei le competenze ma Pulp Fiction non sarebbe stato lo stesso senza lei a tirare le fila di tutte le riprese e dei timeskip Tarantiniani), il piano sequenza di Butch mentre cerca di tornare a casa e tantissime altre scene sono fulgidi esempi di amore per il Cinema, conoscenza del mezzo, faccia tosta e incredibile bravura. Non ho le conoscenze per parlare in dettaglio della bellezza del cinema di Tarantino, ma mi basta pensarci perché mi batta forte il cuore e questo vorrà pur dir qualcosa. L'unico consiglio che posso darvi, se non avete mai visto un film di Quentin, è di cominciare subito approfittando di questa serata ricchissima di premi in cui l'Academy si è riscattata da tutte le sue cazzate. Sarà mica stato Marcellus Wallace a minacciarli con la promessa di praticare "una cura medievale per il loro culo" in caso di vittoria, che so, di Robert Zemekis? Sarò ingenua, ma credo proprio che l'Academy abbia visto la luce come Jules!

Quentin non si contiene e bacia il neo premiato Miglior Attore Protagonista. Come dite? Dal Chinese Theatre non si dovrebbe vedere il mare? Mah, strano...
Ovviamente, mica è finita qui! Gli Oscar del cuore continuano su questi blog. Seguite i link e... ENJOY!

Mari's Red Room
Non c'è paragone
Solaris
Delicatamente perfido
Director's cult
La fabbrica dei sogni
In Central Perk
Scrivenny
Cinquecento Film Insieme
Pensieri Cannibali

venerdì 27 febbraio 2015

Knockout - Resa dei conti (2011)

Siccome in questo periodo sto guardando parecchi film "pesi" mi è venuta voglia di alternarli a qualche pellicola un po' più tamarra per evitare di uscirci di testa. Con questa intenzione ho quindi recuperato Knockout - Resa dei conti (Haywire), diretto nel 2011 dal regista Steven Soderbergh.


Trama: dopo una missione finita malissimo, l'agente Mallory scopre di essere stata incastrata e che il suo datore di lavoro (nonché ex-fidanzato) la vuole morta. Ovviamente la donna non se ne starà a guardare e cercherà vendetta...



Riuscite ad immaginare il diludendo nello scoprire che la tanto bramata tamarreide è in realtà un action patinato zeppo di flashback? A rischio di beccarmi una botta di capra sgarbiana mi sento di affermare senza dubbio che Knockout - Resa dei conti è un affronto al genere nonché un enorme inganno per lo spettatore, peggio ancora puzza vagamente di The Counselor - Il procuratore e mi ha ammorbata talmente tanto che ho rischiato di perdermi la visione di Fassbender in deshabillé. E questa è una cosa grave, una cosa a cui mai si rimedia. Beninteso, il mio astio deriva principalmente dalla trama e dall'utilizzo di un personaggio principale assai distante dai miei canoni di donna forte e carismatica (leggi: Leeloo, Beatrix Kiddo, Nikita, Hit-Girl, solo per fare un paio di nomi); sulla carta, l'idea di una donna sola contro tutti in un mondo in mano agli uomini sarebbe stata una figata ma in realtà la trama di Knockout è zeppa di momenti morti in cui i personaggi si guardano in cagnesco o parlano, parlano e parlano come se l'intera pellicola fosse un dramma esistenziale, mentre Mallory Kane è una virago senza alcun carisma, tutta tecnica marziale e niente passione, perennemente scazzata al punto che mentre tutti parlano, parlano e parlano ancora... lei sta muta, a cogitare sul perché della sua esistenza ingrata e probabilmente a cercare di far esplodere l'interlocutore col pensiero. Ho trovato assai poco riuscito il mix di action e spy story perché il primo richiede poca raffinatezza e molta innovazione mentre il secondo necessita di qualcosa di più elegante e sottile per funzionare al meglio e il risultato finale per Knockout è quello di un film ibrido dove la vendetta della protagonista deve passare necessariamente attraverso un paio di "machiavellici" personaggi che non sanno neppure perché diamine sono finiti lì ma si vantano comunque della cosa.


Per fortuna Soderbergh è comunque un regista capace e stiloso e si sbizzarrisce con inquadrature prese da angoli insospettati ed arditi, si permette di riprendere un silenzioso corpo a corpo davanti ad uno splendido tramonto, regala (dopo tanta sofferenza, va detto) un finale esilarante che lascia allo spettatore il compito di immaginare cosa succeda al "villain supremo"... però, che camurrìa dover aspettare questi pochi zuccherini. Il problema è che Knockout è zeppo di attori famosi ma, a parte l'elegante Fassbender e il particolare Antonio Banderas, tutto il cast è o sprecato oppure utilizzato malissimo. Parlando di quelli che compaiono per più di cinque minuti (Douglas, Paxton e Kassovitz non fanno praticamente testo) Gina Carano, come ho detto sopra, è sicuramente una lottatrice bravissima ma è anche un gatto di marmo inespressivo, costretta ad un certo punto in un abito da sera che, poverino, urla vendetta mentre Ewan McGregor, con quella sua faccetta carina da ragazzino svagato, è adatto al ruolo di cattivissimo boss come potrei esserlo io. Il peggior attore della pellicola è però sicuramente Channing Tatum e io mi chiedo come possa ancora avere una carriera questo quarto di bue visto che, se non ci fossero stati i sottotitoli, probabilmente avrei pensato che il buon Tatum parlasse una lingua totalmente avulsa dalle regole base della pronuncia americana. Per tutti i motivi di cui sopra, dunque, dichiaro Knockout - Resa dei conti nettamente inferiore per passione e tamarreide ai begli action con i quali sono cresciuta nonché pellicola buona solo per chi snobba questo genere di cinema "basso" ma vorrebbe comunque sfogarsi con qualche pugno ben dato. Mi dispiace ma per me non è la stessa cosa!


Del regista Steven Soderbergh ho già parlato QUI. Di Channing Tatum (Aaron), Michael Douglas (Alex Coblenz), Antonio Banderas (Rodrigo), Ewan McGregor (Kenneth), Michael Fassbender (Paul) e Bill Paxton (John Kane) ho già parlato ai rispettivi link.

Gina Carano interpreta Mallory Kane. Ex lottatrice di arti marziali e concorrente di American Gladiators, ha partecipato a film come Fast & Furious 6. Anche produttrice, ha 33 anni e quattro film in uscita.


Mathieu Kassovitz interpreta Studer. Francese, lo ricordo per film come L'odio, Il quinto elemento e Il favoloso mondo di Amélie. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 47 anni.


Dennis Quaid avrebbe dovuto interpretare John Kane ma per impegni pregressi ha dovuto rinunciare ed è stato così sostituito da Bill Paxton. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Nikita, Kill Bill e Drive. ENJOY!

giovedì 26 febbraio 2015

(Gio)WE, Bolla! del 26/02/2015

Buon giovedì a tutti! Inutile dire, anche questa settimana, che gli unici film che avrei dato un rene per vedere (Vizio di forma di P.T. Anderson e il fantascientifico Automata) a Savona sono stati direttamente ignorati. Se per la mancanza del primo riuscirò ad ovviare, per il secondo mi attaccherò al tram e tirerò forte, per colpa di un paio di "film" che non dovrebbero neppure venire proiettati. Il primo è Cinquanta sfumature di grigio, alla TERZA settimana di programmazione, il secondo è... ENJOY!

Kingsman: Secret Service
Reazione a caldo: Vabbé.
Bolla, rifletti!: Sempre meglio di nulla, questo fumettone dall'aria british mi ispira giusto per la presenza del sempre valido Colin Firth. Non è ovviamente all'altezza di un Anderson ma perlomeno mi consentirà di non stare a casa anche questa settimana!

Spongebob: Fuori dall'acqua
Reazione a caldo: Bahahaahhaahh!!!
Bolla, rifletti!: Andrei a vederlo solo per il cameo di Banderas travestito da pirata, giuro. Per il resto, mi imbarazza un po' la sola idea che esista un seguito di Spongebob: Il film: la spugna gialla non è passata di moda da un pezzo?

Birdman
Reazione a caldo: No ma fate con comodo, eh!!
Bolla, rifletti!: Il film di Iñarritu doveva vincere l'Oscar per uscire a Savona, ovviamente. Quello che penso della pellicola potete leggerlo QUI, il mio consiglio per i miei compaesani è comunque di non perderlo assolutamente.

Le leggi del desiderio
Reazione a caldo: Il mio desiderio sarebbe quello di non vedere più Muccino piccolo sullo schermo.
Bolla, rifletti!: Presentato da una locandina imbarazzante dove Muccinetto fa il figo conciato come un incrocio tra Gesù Cristo e Tom Cruise (seeh, vabbé), a sto giro ce lo dobbiamo sorbire per la terza volta anche come regista. Piuttosto mi cavo gli occhi, giuro.

Al cinema d'élite invece si buttano su un cinema italiano un po' più autoriale rispetto alla muccinata...

Meraviglioso Boccaccio
Reazione a caldo: Però boh...
Bolla, rifletti!: Laddove Pasolini si concentrava più sull'aspetto erotico del Decamerone, i Fratelli Taviani decidono di puntare invece più sull'allegria, l'amore e l'amicizia. L'operazione riuscirà? Mah, non so, sapete che io sono sempre un po' diffidente nei confronti del cinema italiano moderno...

mercoledì 25 febbraio 2015

Due giorni, una notte (2014)

Il progetto Road to the Oscars continua e oggi tocca a Due giorni, una notte (Deux Jours, Une Nuit), diretto e sceneggiato nel 2014 da Jean-Pierre e Luc Dardenne e candidato a un premio Oscar per l’interpretazione di Marion Cotillard come miglior attrice protagonista.


Trama: dopo un periodo di malattia, l’operaia Sandra torna al lavoro solo per scoprire che i suoi colleghi, fomentati e minacciati dal capo reparto, hanno votato per farla licenziare e prendere in cambio un bonus di 1.000 euro. La donna, grazie all’interesse di un’amica, riesce ad ottenere una seconda votazione anonima ma ha solo due giorni e una notte per convincere gli altri operai a rinunciare al bonus, consentendole così mantenere il posto di lavoro…


Nonostante abbia guardato, finora, solo Rosetta e Due giorni, una notte, il cinema dei Dardenne  mi mette più ansia di quanto farebbe un horror. I due autori belgi sono maestri nel portare sullo schermo le brutture della vita quotidiana e la terribile, fin troppo reale condizione di chi vorrebbe a tutti i costi lavorare ma non riesce perché nella società (in senso stretto e lato) “non c’è posto”. Rosetta e Due giorni, una notte mi hanno terrorizzata perché raccontano storie di donne “normali”, volenterose, capaci ed oneste che si ritrovano a venire letteralmente scartate, costrette a  buttare via l’orgoglio per ottenere quello che dovrebbe essere un sacrosanto diritto di tutti e piegate da un mondo spietato che si regge unicamente sulle leggi del profitto e dell’egoismo, dove le guerre tra poveri sono all’ordine del giorno. Quello che succede a Sandra è scandaloso ma anche troppo familiare; in un sistema che porta le persone all’esasperazione e non accetta chi soccombe per fragilità, soprattutto se si parla di donne, non esiste che qualcuno si ammali “di depressione” ed è quindi giusto che chi ha osato tanto venga punito. La depressione, come vi dirà il 90% dei capoccia che posseggono il mondo, non esiste, è una scusa per non lavorare, per farsi compatire o, ancora peggio, per ottenere dei privilegi sulle spalle dei colleghi: in Due giorni, una notte i capi di Sandra fanno leva proprio su quest’ultimo punto per convincere gli operai a diventare gli esecutori materiali del licenziamento, illudendoli di avere potere decisionale quando in realtà questi poveracci sono solo marionette influenzate dalla promessa di un bonus. Un bonus che serve, per carità, perché viviamo in tempi difficili dove persino 1.000 euro in più al mese significano tutto, soprattutto per chi ha famiglia ed è precario o immigrato, ma che viene comunque ottenuto in maniera infame.


E' questa la cosa terribile di Due giorni, una notte. Come spettatori, ovviamente, ci ritroviamo a parteggiare per la bravissima Marion Cotillard, qui talmente dimessa da risultare quasi irriconoscibile, incrociamo le dita affinché il secondo voto vada interamente a suo vantaggio e malediciamo chiunque rifiuti di aiutarla... tuttavia bisogna mettersi anche nei panni dei suoi colleghi e porsi una domanda terribile: io avrei il coraggio di rifiutare mille euro per aiutarla? Avrei il coraggio di condannarmi a dover cercare un altro lavoro appena finito il contratto perché non me lo rinnoverebbero? Un paio di "interpellati" sarebbero da mandare al diavolo subito perché palesemente benestanti ma pensiamo anche a quei due o tre poveracci che contano sul bonus per dare da mangiare al figlio appena nato oppure hanno un contratto a tempo determinato e sanno che un loro eventuale voto a favore di Sandra farebbe diventare un miraggio la possibilità di avere un lavoro fisso e rispondiamo sinceramente alla domanda di cui sopra. Io, in tutta onestà, se Sandra non fosse mia amica (e lei in ditta amici ne ha davvero pochi) ci penserei su e la mia risposta non sarebbe affatto scontata. D'altra parte è anche ingusto che Sandra sia costretta ad umiliarsi e pregare in ginocchio i suoi colleghi di "risparmiarla" e non solo perché costringerli a scegliere è un'esperienza terribile, sfiancante e degradante ma anche perché la donna non avrebbe più vita nel caso il voto decretasse la sua vittoria, le persone la odierebbero per quei maledetti mille euro perduti e lei lo sa bene. Testimoniare al dibattito interiore della protagonista, sempre più depressa e scoraggiata, costretta a vergognarsi anche davanti ad una risposta positiva o una parola gentile, è a dir poco straziante ma è anche peggio sapere che certe situazioni esistono e possono capitare a chiunque. Per questo film come Due giorni, sette notti sono necessari e meriterebbero di essere visti dal maggior numero di persone possibile, senza relegarli ai cinema d'essai.


Dei registi e sceneggiatori Jean-Pierre e Luc Dardenne ho già parlato QUI mentre Marion Cotillard, che interpreta Sandra, la trovate QUA.

Fabrizio Rongione interpreta Manu. Belga, ha partecipato a film come Rosetta e Diaz - Don't Clean Up This Blood. Anche sceneggiatore e produttore, ha 41 anni.


Se Due giorni, una notte vi fosse piaciuto recuperate il plurinominato Rosetta. ENJOY!

martedì 24 febbraio 2015

Big Hero 6 (2014)

L'avevo perso sotto Natale per mille e uno motivi ma siccome era uno dei candidati all'Oscar come Miglior Film d'animazione (categoria in cui ha trionfato) ho deciso di recuperare nei giorni scorsi Big Hero 6, diretto nel 2014 dai registi Don Hall e Chris Williams e (molto) liberamente ispirato all'omonimo fumetto della Marvel.



Trama: il giovane studente prodigio Hiro, assieme al robot guaritore Baymax e un gruppetto di geni, si mette alla ricerca di un uomo misterioso che ha provocato un terribile incidente per impossessarsi dei nanobot inventati dal ragazzino...



Quando ero piccola la morte nei cartoni animati era qualcosa di tangibile e sempre presente ma mai interamente sviscerato. Molti personaggi orfani, come Biancaneve o Cenerentola, venivano presentati già in età post-adolescenziale, con il trauma della morte dei genitori ormai alle spalle e col problema molto più pressante della matrigna perfida; per altri, come il povero Simba o l'ancor più povero Bambi, la morte del padre o della madre erano necessari e terribili catalizzatori per il loro passaggio all'età adulta, quasi una sorta di "sacrificio" tribale che scatenava un meccanismo di vendetta oppure di perdita dell'innocenza; altri ancora non avevano i genitori e punto, la cosa non influiva minimamente nella trama del cartone animato, come accadeva per esempio in La bella e la bestia, Aladdin o La sirenetta. Big Hero 6, invece, è il primo film Disney (almeno, che io ricordi) a mostrare finalmente il protagonista messo di fronte alla perdita di una persona amata e alla difficoltà di elaborare un lutto che non può essere messo da parte tanto facilmente. Al di là del tema supereroistico un po' bambinesco, questo aspetto della trama è secondo me fondamentale e trattato con una buona dose di sensibilità; senza entrare troppo nei dettagli per non fare eccessivi spoiler, Hiro non è mai completamente distolto dalla terribile perdita che ha subito, il ricordo del caro estinto è sempre presente nella sua mente e per tutto il film guida non solo le sue azioni ma anche quelle del robot Baymax, creatura "terapeutica" e quindi programmata per curare i mali sia fisici che psicologici del suo giovane paziente. All'interno alla trama avventurosa vengono inseriti momenti in cui eventuali piccoli spettatori (ma anche grandi) che dovessero avere subito un trauma simile a quello di Hiro possano avere qualche elemento da cui partire per superarlo, affidandosi agli amici, alla famiglia e facendo tesoro delle esperienze condivise con chi non c'è più, senza cedere al dolore e alla disperazione che portano a compiere gesti estremi.


Dite che sono andata un po' troppo sul pesante? Avete ragione e mi scuso. Big Hero 6 non è malinconico come vi ho dato a intendere, anzi, a tratti è decisamente esilarante... però è stato proprio il suo lato triste ad avermi colpita maggiormente durante la visione e ammetto di essermi innamorata del morbidoso e dolcissimo Baymax fin dal primo momento in cui l'ho visto e di essermi convinta che tutti, soprattutto i bimbi tristi e soli, dovrebbero avere un amicone così, premuroso, paziente e interamente votato a far del bene al suo protetto. Guardando all'aspetto più generale, il film in sé è simpatico e divertente, sfrutta i vari cliché supereroistici con discreta originalità e mette in campo una banda di personaggi che sono uno più matto dell'altro (devo forse specificare che il mio aMMore sconfinato non va solo a Baymax ma anche allo schizzato Fred? Non credo, soprattutto non dopo aver visto l'indimenticabile e geniale scena post credits che farà la felicità di qualunque nerd che si rispetti!). La qualità Disney si avverte palpabile non solo nella sceneggiatura ma anche nella realizzazione di Big Hero 6. Il character design dei vari personaggi strizza l'occhio ai manga e ai supereroi senza esagerare né risultare ridondante o parodico, Baymax è talmente pacioccoso e morbido che verrebbe voglia di crearlo davvero solo per poterlo abbracciare e le sequenze d'azione sono così ben fatte che è stata la prima volta in cui mi sono pentita di non aver visto un film in 3D; peraltro, è stata anche una delle poche volte in cui ho guardato i titoli di coda senza stancarmi un attimo perché i disegni di Scott Watanabe e Shiyoon Kim, con quel tocco manga e leggermente underground, sono una gioia per gli occhi. Insomma, signori, la Disney colpisce ancora. Per il 2015, prometto solennemente che non salterò mai più il film natalizio della Casa del Topo!


Di Jamie Chung (Go Go), James Cromwell (Robert Callaghan) e Maya Rudolph (Zia Cass) ho già parlato ai rispettivi link.

Don Hall è il co-regista della pellicola e ha diretto anche Winnie the Pooh - Nuove avventure nel Bosco dei Cento Acri. E' anche sceneggiatore, animatore e doppiatore.


Chris Williams è il co-regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Bolt - Un eroe a quattro zampe. Anche sceneggiatore, animatore e doppiatore, ha 46 anni.


Scott Adsit (vero nome Robert Scott Adsit) è la voce originale di Baymax. Americano, ha partecipato a film come The Italian Job, St. Vincent e a serie come Friends, Dharma & Greg, Ally McBeal, CSI: Miami, Alias, Streghe, Malcom, Monk e 30 Rock; come doppiatore ha inoltre lavorato anche per serie come Robot Chicken. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 49 anni e due film in uscita.


T.J. Miller è la voce originale di Fred. Americano, ha partecipato a film come Cloverfield, L'orso Yoghi e I fantastici viaggi di Gulliver; come doppiatore ha inoltre lavorato anche per i film Dragon Trainer, Dragon Trainer 2 e per le serie American Dad!. Anche sceneggiatore e produttore, ha 33 anni e due film in uscita tra cui Deadpool.


Alan Tudyk è la voce originale di Alistair Krei. Americano, ha partecipato a film come Patch Adams, Cuori in Atlantide, Dodgeball - Palle al balzo, Tucker and Dale vs. Evil, La leggenda del cacciatore di vampiri e a serie come Firefly, CSI - Scena del crimine e Dollhouse; come doppiatore ha inoltre lavorato anche per i film L'era glaciale, L'era glaciale 2 - Il disgelo, Alvin Superstar 3 - Si salvi chi può!, L'era glaciale 4 - Continenti alla deriva, Frozen - Il regno di ghiaccio e per le serie I Griffin, Phineas e Ferb, Robot Chicken, American Dad! e Adventure Time. Ha 43 anni e tre film in uscita.


Tra gli altri doppiatori segnalo Damon Wayans Jr. (la voce di Wasabi), che nella serie Tutto in famiglia era l'amico infamino di Junior. Nel fumetto originale compaiono due personaggi piuttosto conosciuti dell'Universo Marvel in generale e delle storie degli X-Men in particolare, Silver Samurai e Sole Ardente, che tuttavia non hanno potuto partecipare al film in quanto è la Fox che ne detiene i diritti; tra le altre differenze del fumetto rispetto al film ci sono inoltre il passato criminale giapponese di GoGo o il fatto che la borsa di Honey Lemon sia un luogo dove si può stipare praticamente qualsiasi oggetto, a prescindere dalle dimensioni; inoltre, Baymax ha un tipico design mecha ben diverso dal paffuto robottone della pellicola e può anche prendere la forma di un dragone, mentre Wasabi è un cuoco asiatico e Fred, detto Fredzilla, può generare un'aura solida a forma di Kaiju. Purtroppo il fumetto in questione non è mai arrivato in Italia ma se Big Hero 6 vi fosse piaciuto potete compensare recuperando magari Il gigante di ferro. ENJOY!


lunedì 23 febbraio 2015

Oscar 2015

Buon lunedì a tutti! Ieri notte sono stati assegnati i premi Oscar, c'è da dire senza troppe sorprese. Tolto il miglior film ho infatti azzeccato più o meno tutti i pronostici, rimanendo delusa ovviamente dal fatto che L'amore bugiardo - Gone Girl non abbia portato a casa nemmeno mezza statuetta. Si sapeva ma non è comunque una bella cosa. Bando alle ciance però e vediamo come s'è svolta più o meno la serata che, come al solito, non ho guardato. Ho capito che la diretta su Cielo cominciava alle 23, ma i premi cominciavano ad assegnarli alle 2 di notte.. ma anche no, grazie!! ENJOY!


L'unica vera sorpresa della serata è stata la schiacciante vittoria di Birdman su Boyhood, risultato a cui non avrei dato un euro ma che mi rende comunque felice visto quanto ho amato il film di Iñárritu, premiato come miglior Regista. Birdman porta a casa non solo la statuetta per il Miglior Film ma anche quella per la miglior Sceneggiatura Originale e, giustamente, per la splendida Fotografia di Emmanuel Lubezki. Stranamente, all'accattivante Montaggio Sonoro di Birdman è stato preferito quello di American Sniper, probabilmente per dare un premio anche al povero Clint Eastwood rimasto a bocca asciutta.


Nessuna nuova dal fronte del Miglior Attore Protagonista. Eddie Redmayne vince giustamente per La teoria del tutto confermando così l'unica caratteristica positiva di un film altrimenti dimenticabile.


Senza troppe sorprese, l'Oscar per la Migliore Attrice Protagonista va a Julianne Moore, anche lei unica stella fulgida di un film che si regge interamente sulla sua interpretazione. Rimango dell'idea comunque che Rosamund Pike sarebbe stata una scelta migliore e più coraggiosa ma d'altronde a presentare la serata c'era Neil Patrick Harris e chi ha visto Gone Girl saprà che il poveraccio non è stato trattato benissimo dalla bella Rosamunda!


All'urlo di Not Quite My Tempo, J.K. Simmons sbaraglia la concorrenza e si accaparra giustamente l'Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista. Per la cronaca, Whiplash ha vinto anche per lo splendido Montaggio e per il Sonoro, due premi sacrosanti per un film che avrebbe comunque dovuto meritare di più (per esempio il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale, che è andato invece a The Imitation Game, a mo' di contentino).


Gaudio e giubilo per l'adorata Patricia Arquette, che in Boyhood ha dato davvero il bianco e ha giustamente vinto l'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. E' paradossale ma questo è l'unico premio conferito a Boyhood, che partiva come strafavorito ed è stato brutalmente ridimensionato.


Diamo un'occhiata anche agli altri premi, perlomeno a quelli di cui posso parlare con un minimo di cognizione di causa. L'amatissimo Grand Budapest Hotel ha vinto una marea di Oscar tecnici (e vorrei ben vedere, era un gioiello!!!!); quello che mi rende più orgogliosa è ovviamente quello conferito a Milena Canonero per i meravigliosi Costumi, al quale si aggiungono Miglior Trucco, Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora Originale. A proposito di colonne sonore, il bellissimo Selma si becca un altro dei "contentini" della serata, venendo premiato solo per l'orrenda canzone Glory di Common e John Legend. Rimanendo in tema contentini, il "nuovo 2001 Odissea nello spazio (mwaahahahahmavaciappàiratt'!)" Interstellar porta a casa solo l'Oscar per gli Effetti Speciali, assieme alle pernacchie e gli sputi di chi come me lo ha ridimensionato dopo l'orchitica visione. Concludo con il sommo scorno di aver visto vincere nella categoria Miglior Film d'Animazione una robetta (per quanto gradevole) come Big Hero 6 e non il capolavoro Ghibliano La storia della principessa splendente e con la promessa di recuperare Ida, Miglior Film Straniero. Ci si risente nel 2016!!

domenica 22 febbraio 2015

Selma - La strada per la libertà (2014)

Stasera verranno consegnati i premi Oscar e, nonostante i post debbano ancora uscire, io ho fatto del mio meglio per guardare praticamente tutti i film che concorreranno a qualche statuetta "importante". L'ultimo in ordine di tempo è stato Selma - La strada per la libertà (Selma), diretto nel 2014 dalla regista Ava DuVernay e candidato a due Oscar, uno per il Miglior Film e uno per la Miglior Canzone, Glory.


Trama: nel 1965, Martin Luther King si batte affinché i neri ottengano il diritto di voto e la chiave del movimento di protesta è riuscire ad organizzare una pericolosa, benché pacifica, marcia da Selma a Montgomery, in Alabama.


Selma è un film che mi incuteva timore, come tutte le pellicole che, in qualche modo, hanno a che fare con delle figure storiche moderne. Alla matematica certezza di perdermi nei nomi e nelle date, infatti, si aggiunge di solito la paura di avere davanti una mattonata retorica della peggior specie e questo Selma, che aveva anche troppi legami col pesantissimo The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca, sembrava davvero averne tutte le caratteristiche. Fortunatamente esiste Lucia, con la quale di solito mi trovo assai d'accordo in fatto di gusti, che ha cominciato a magnificare il film subito dopo averlo visto spingendomi così a recuperarlo, cosa che mi ha permesso di guardare uno dei migliori biopic in un anno che è stato anche troppo pieno di esempi mediocri del genere. Lungi da essere una menosissima prosopopea sul razzismo e sugli ideali di Martin Luther King, Selma è innanzitutto un film su un uomo. Un uomo sulle cui spalle un'intera comunità ha posato desideri, speranze, paure e odio, pretendendo che lui se ne facesse carico, senza mai sbagliare, senza mai tirarsi indietro, accompagnando i suoi sostenitori verso una battaglia contro dei mulini a vento che avrebbero intimorito lo stesso Don Chisciotte. Il film si intitola Selma e non "King" proprio per questo motivo; la cittadina di Selma e la marcia fino a Montgomery, sono lo snodo cruciale da cui si dipanano tutti i dubbi e le incertezze di Martin Luther King, afflitto da problemi personali, incalzato dai ragionamenti non interamente sbagliati del presidente Johnson (vero è che il vecchio testone cercava di accontentare i bianchi cercando di procrastinare le leggi elettorali ma non era neppure sbagliato concentrarsi prima su problemi come l'ignoranza e la povertà) e sconvolto dalla consapevolezza di avere sulle mani il sangue di molti suoi "fratelli neri" morti nel tentativo di resistere pacificamente ai soprusi e manifestare per i propri diritti in uno stato, l'Alabama, ancora profondamente razzista. King viene così quasi interamente spogliato del suo ruolo di icona e Selma diventa un film corale in cui, giustamente, molti uomini e donne "grandi" ma anche "semplici" influenzano in qualche modo le scelte del protagonista facendo la Storia come noi la conosciamo.  


Selma può vantare una bella sceneggiatura dunque, scorrevole ed emozionante, non banale, una vicenda interpretata magistralmente da tutti gli attori coinvolti a cominciare da un intenso David Oyelowo che riesce ad incarnare perfettamente il lato umano di Martin Luther King, ma anche tutti i personaggi "di contorno" (che, come ho detto sopra, di contorno non sono) finiscono ognuno per ritagliarsi un piccolo spazio importante e ben definito, risultando tridimensionali e credibili quanto il protagonista. Detto questo, tutti quelli che hanno visto Selma saranno però d'accordo col fatto che la mancata candidatura di Ava DuVernay per la regia è stata uno scandalo di proporzioni epiche, perché al di là della sceneggiatura (alla quale peraltro ha messo mano anche la DuVernay sebbene non venga accreditata) e degli attori sono molte le sequenze che rimangono nel cuore dello spettatore dopo la visione del film. L'aggressione dei manifestanti durante la prima marcia verso Montgomery, con le violente figure dei poliziotti che emergono dalle nebbie dei gas lacrimogeni per colpire le persone indifese, ha un sapore horror, quasi post-apocalittico, ed è girata con rara maestria ma è solo l'esempio più eclatante (o meglio, quello che più mi ha colpita) di una pellicola che è piena di bellissime immagini, dove l'equilibrio della composizione e un sapiente uso delle luci si fondono per sottolineare sia i momenti salienti che quelli solitamente ritenuti "di passaggio". A questo proposito, ho molto apprezzato, per esempio, le immagini che accompagnano le inevitabili scritte in sovraimpressione che riassumono il destino dei protagonisti alla fine del film, montate assieme in un modo troppo particolare per essere casuale, arrangiate in modo diverso per ogni personaggio. Davanti a tanta bravura trovo quindi ancora più scandaloso il contentino offerto al film per la moscia canzone Glory che accompagna i titoli di coda, forse la parte più debole di una colonna sonora altrimenti assai azzeccata. Peccato davvero: Selma - La strada della libertà è un grandissimo film e meriterebbe, oltre ad una visione assicurata, molti dei riconoscimenti che sono stati accordati a pellicole ben più celebrate che, al confronto, risultano mediocri. Maledetta Academy, maledetta!


Di David Oyelowo (Martin Luther King Jr.), Tom Wilkinson (Lyndon B. Johnson), Giovanni Ribisi (Lee White), Dylan Baker (J. Edgar Hoover), Tim Roth (Governatore George Wallace), Jeremy Strong (James Reeb), Cuba Gooding Jr. (Fred Gray), Alessandro Nivola (John Doar) e Martin Sheen (Frank Minis Johnson) ho già parlato ai rispettivi link.

Ava DuVernay è la regista della pellicola. Americana, ha diretto film come I Will Follow e Middle of Nowhere. Anche produttrice, sceneggiatrice e attrice, ha 42 anni e un film in uscita.


Oprah Winfrey interpreta Annie Lee Cooper ed è anche la produttrice della pellicola. "Donna più potente d'America" e conduttrice storica dell'Oprah Winfrey Show, come attrice la ricordo per film come Il colore viola e The Butler - Un maggiordomo alla casa bianca; inoltre, ha partecipato a serie come 30 Rock e doppiato film come La principessa e il ranocchio. Anche sceneggiatrice, ha 60 anni.


Ruben Santiago-Hudson interpreta Bayard Rustin. Americano, ha partecipato a film come Il principe cerca moglie, L'avvocato del diavolo, Shaft e a serie come NYPD; come doppiatore, ha lavorato per la serie Gargoyles. Anche sceneggiatore e produttore, ha 58 anni.


Colman Domingo interpreta Ralph Abernathy. Americano, ha partecipato a film come Lincoln, The Butler - Un maggiordomo alla casa bianca e a serie come Nash Bridges. Ha 45 anni e un film in uscita.


Wendell Pierce interpreta il reverendo Hosea Williams. Americano, ha partecipato a film come Sono affari di famiglia, Malcom X, Può succedere anche a te, Sleepers, Come ammazzare il capo... e vivere felici e a serie come Tutto in famiglia, Numb3rs e The Michael J. Fox Show. Anche produttore, ha 51 anni e due film in uscita.


In origine il film avrebbe dovuto essere diretto da Lee Daniels (altri interessati erano Steven Spielberg, Stephen Frears, Spike Lee e Michael Mann) e il cast comprendeva Hugh Jackman nel ruolo dello sceriffo Jim Clark, Liam Neeson in quello di Lyndon Johnson, Robert De Niro come George Wallace e Lenny Kravitz come Andrew Young; dopo che il progetto è passato ad Ava DuVernay l'unico ad avere mantenuto la parte è stato David Oyelowo, che fin dall'inizio era stato designato come Martin Luther King Jr. (sebbene Lee Daniels non lo ritenesse adatto). Detto questo, se Selma vi fosse piaciuto recuperate Grido di libertà, Malcom X e The Butler - Un maggiordomo alla casa bianca. ENJOY!


venerdì 20 febbraio 2015

The Judge (2014)

Il recupero pre-Oscar non lascia passare indenni neppure le più “piccole” nomination, come quella di Robert Duvall migliore attore non protagonista in The Judge, diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista David Dobkin.


Trama: Hank Palmer è un avvocato di successo che si è lasciato alle spalle le sue origini di “ragazzo di campagna”. Dopo la morte della madre è però costretto a tornare a casa e ad affrontare l’inesistente rapporto col padre, stimato giudice accusato di aver ucciso un uomo finito sotto il suo giudizio moltissimi anni prima…



Guardare The Judge è come fare un salto indietro nel tempo di almeno una ventina d’anni, quando andavano di moda i drammi giuridici mescolati a problemi familiari irrisolti. Il film racconta la solita storia del giovinotto scapestrato che scappa dalla campagna, diventa uno spregiudicato cittadino dopo aver tagliato tutti i ponti col passato e si ritrova dopo anni a dover riaffrontare la sua disagiata famiglia con un bel malloppo di cinismo e nuove, strabilianti abilità perlopiù sconosciute ai poveri zoticoni che ancora si cullano nella loro ingenua ignoranza. Queste situazioni di solito si risolvono in uno scontro cultural-generazionale e finiscono spesso a tarallucci e vino; The Judge non fa eccezione per quel che riguarda il primo punto ma strappa un bel po’ di lacrimoni (nonostante la prevedibilità del tutto) per quanto riguarda il secondo, seppellendo i personaggi con tante di quelle tragedie e situazioni irrisolte da far invidia ad un episodio di Candy Candy. La cosa incredibile è che The Judge è leggero, simpatico e molto ironico per almeno metà della sua durata e questi momenti più ilari vanno serenamente a braccetto con delle mazzate sotto lo sterno non da poco, che lasciano lo spettatore spiazzato a chiedersi il perché di questo continuo alternarsi di registri. La storia personale del protagonista Hank e di suo padre, il giudice del titolo originale, procede di pari passo con la loro vicenda giudiziaria, in un susseguirsi di deposizioni, scelte di giurati, arringhe ed interrogatori che potrebbero fare la felicità di ogni appassionato del genere e che, in effetti, hanno appassionato anche me, spingendomi a fare il tifo per il giudice sperando che vincesse la causa in barba all’azzimato avvocato dell’accusa e a tutti i familiari redneck della vittima.


Sicuramente, se la trama di The Judge riesce in qualche modo a catturare lo spettatore il motivo non risiede né nella sceneggiatura né nella realizzazione della pellicola, entrambe abbastanza mediocri, bensì nell’indubbio carisma degli interpreti principali e nell’azzeccata scelta dei caratteristi. Robert Downey Jr., affascinante come sempre, sembra nato per essere un avvocato sbruffone e senza scrupoli; Robertino brilla nei momenti più leggeri e patisce un po’ in quelli drammatici, risultando forse un po’ poco credibile, ma in generale è sempre piacevole vederlo muoversi e parlare sullo schermo. D’altra parte, Robert Duvall merita la nomination di quest'anno perché impegnato in un personaggio non facile, molto poco simpatico e tuttavia capace di accattivarsi a tratti la tenerezza del pubblico, accettando di caricarsi sulle spalle l'ingrato compito di mostrare buona parte degli aspetti negativi (e anche imbarazzanti) della vecchiaia e della malattia con incredibile dignità e sensibilità. I duetti tra i due Robert sono i momenti più interessanti, commoventi e riusciti di tutto il film ma anche i personaggi secondari sono ben caratterizzati; a Vera Farmiga basta essere bellissima, potrebbe anche non aprire bocca e riuscire comunque a dare dei punti con la sua sola presenza a tante mocciose di belle speranze con la metà dei suoi anni, mentre Vincent D'Onofrio e Jeremy Strong spiccano sugli altri interpreti maschili nonostante anche i due fratelli Dale e Glen non siano proprio dei mostri di simpatia o carisma. A The Judge avrebbero probabilmente giovato venti minuti e un po' di retorica in meno ma, come spesso succede davanti a film "classici" nell'impianto e nella bravura degli attori, è difficile non lasciarsi trasportare e goderseli fino in fondo, un po' come se ormai fossero insediati profondamente nel nostro DNA: The Judge non sarà il filmone del 2014 ma merita sicuramente una visione!


Di Robert Downey Jr. (Hank Palmer), Robert Duvall (Joseph Palmer), Vera Farmiga (Samantha Powell), Billy Bob Thornton (Dwight Dickham), David Krumholtz (Mike Kattan), Grace Zabriskie (Mrs. Blackwell) e Denis O'Hare (Doc Morris) ho già parlato ai rispettivi link.

David Dobkin è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come 2 cavalieri a Londra e 2 single a nozze. Anche produttore, ha 45 anni.


Vincent D'Onofrio interpreta Glen Palmer. Americano, lo ricordo per film come Full Metal Jacket, Mystic Pizza, JFK - Un caso ancora aperto, Ed Wood, Men in Black e The Cell - La cellula, inoltre ha partecipato a serie come Miami Vice. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 55 anni, sette film in uscita tra cui Jurassic World e dovrebbe interpretare Wilson Fisk nell'imminente serie Daredevil.


Jeremy Strong interpreta Dale Palmer. Americano, ha partecipato a film come E venne il giorno, Lincoln, Zero Dark Thirty e Parkland. Ha un film in uscita.


Nonostante Robert Duvall sia stato giustamente candidato all'Oscar per la sua interpretazione, per il ruolo di Joseph Palmer c'erano in lizza anche Jack Nicholson e Tommy Lee Jones mentre Elizabeth Banks è arrivata a contendersi con la Farmiga la parte di Samantha. Detto questo, se The Judge vi fosse piaciuto recuperate Music Box - Prova d'accusa, Conflitto di classe e Il verdetto. ENJOY!