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lunedì 31 agosto 2015

Wes Craven (1939 - 2015)


E' per colpa tua che non ho guardato horror fino all'età di 13 anni. Di Nightmare me ne parlavano tutti fin da bambina, era il babau della mia generazione, la cosa più terribile a cui si potesse pensare. Bastava addormentarsi e "One, two, Freddy comes for you": un uomo sfigurato e con gli artigli taglienti ci avrebbe portati via, così, senza possibilità di difesa.
E avevano ragione, perché il primo Nightmare è davvero una delle cose più spaventose che esistano ancora oggi.

Poi, a 16 anni, mi hai portata al cinema. Ricordo ancora la camminata sotto il sole caldo di Albisola perché con un'amica avevamo deciso all'improvviso di vedere Scream e prendendo la corriera saremmo arrivate troppo tardi. L'aria condizionata era fredda, ma ancor più mi aveva ghiacciato il sangue vedere Drew Barrymore morire in una delle sequenze più belle della storia dell'horror; ancor più bello, dopo mille visioni di Scream, era vedere però i miei amici inconsapevoli fare salti sulla sedia per quella tremenda maschera che tu avevi creato.

Ed è solo la punta dell'iceberg, ovviamente.

Mi hai fatto scoppiare il cuore nel petto con il terribile Beebee di Dovevi essere morta.
Mi hai perplessa, perché ero troppo giovane, con Il serpente e l'arcobaleno.
Mi hai affascinata con i "vecchissimi" L'ultima casa a sinistra e Le colline hanno gli occhi.
Mi hai regalato un cult con La casa nera.
Mi hai divertita con Sotto Shock.
Mi hai fatto tornare ad avere paura con Nightmare - Nuovo incubo.
Sì, mi hai anche delusa con Vampiro a Brooklin, Cursed e My Soul to Take ma ti ho sempre voluto bene.

E ora, ti sei fuso con la stessa materia di cui sono fatti gli incubi.
Ciao, Wes, che la terra ti sia lieve.

domenica 30 agosto 2015

The Gallows: L'esecuzione (2015)

Come al solito quando esce un horror a Savona mi fiondo a vederlo senza pormi troppe domande, anche quando la pellicola in questione era già stata Sconsigliata da cani e porci. Così martedì ho posato le mie chiappe in sala e ho sprecato un paio d'ore della mia vita, assieme a ben otto euRI, per guardare The Gallows: L'esecuzione (The Gallows), diretto e sceneggiato dai registi Chris Lofing e Travis Cluff.


Trama: negli anni '90 la rappresentazione teatrale di The Gallows finisce malissimo, con l'attore principale inspiegabilmente morto impiccato. Ai giorni nostri, nella stessa scuola, la classe di teatro decide di riproporre l'opera: per evitare un sicuro fiasco, l'attore scelto per interpretare il protagonista si lascia convincere a distruggere nottetempo la scenografia ma lui e tre suoi amici rimangono bloccati all'interno della scuola...


Allora, appena finirò di scrivere questo post prenderò un cellulare o una telecamera digitale da 100 euro, schiaccerò il tasto REC, correrò al buio agitando spasmodicamente uno di questi due oggetti chiedendo a un paio di amici compiacenti di urlare come forsennati e poi metterò il video on line o comunque lo manderò alla BlumHouse, vediamo come mi gira: spero vivamente che dopo tutto questo sbattimento anche a me verranno dati 8/10 euro a visione e spero anche di venire definita per questo regista o sceneggiatrice come i due cucciolotti Chris Lofing e Travis Cluff che, evidentemente, devono avere "girato" The Gallows proprio in questo modo. Sarà che avevo mangiato da poco e in Vespa faceva freddino ma giuro che era dai tempi di REC che non provavo così tanta voglia di vomitare davanti a un film (e la pellicola di Balagueró  e Plaza mi aveva fatto questo effetto più per la paura che per l'effetto dato dalla telecamera a mano...), al punto che almeno un quarto d'ora me lo sono perso fissando il vuoto buio della sala e facendo respiri profondi o avrei croccoglassato i pochi spettatori presenti come una qualsiasi Linda Blair. The Gallows è davvero il punto di non ritorno del found footage, la dimostrazione che ormai l'arte cinematografica in campo horror è diventata un optional quasi "fastidioso" perché laGGente vuole le riprese verdi in notturna, i primi piani di scarpe che corrono, il BUM! che ti frantuma i timpani prima che un'ombra sfocata compaia alle spalle dei protagonisti e ti frantuma, scusate il francese, i coglioni con le maledette riprese in soggettiva di 'sti attorucoli la cui massima espressione facciale è quella del cervo inchiodato in mezzo alla strada dai fari (fateci caso, è normale: questi poveracci sono costretti a "recitare" al buio con una luce piantata negli occhi, le loro pupille sono sempre talmente dilatate che pare si siano fatti di crack appena prima di cominciare le riprese...). Non c'è fotografia, non c'è scenografia tranne qualche oggetto buttato lì tanto per fare atmosfera, non c'è passione e non ci sono idee perché 'sti maledetti film sono davvero tutti uguali e le uniche due cose che "distinguono" The Gallows dagli altri sono la scelta di mostrare un paio di volte la stessa sequenza da due punti di vista diversi tornando indietro nel tempo e il finale, che non sarebbe neppure male se non fosse il solito compitino prevedibile che offre le terga al pubblico già voglioso di un sequel. E siccome Lofing e Cluff non si sono impegnati, perché dovrei farlo io arrivando a scrivere ben DUE paragrafi per questo filmucolo che tra due giorni avrò già dimenticato e che ha per protagonisti gli adolescenti più imbecilli della storia del cinema di serie Z? Ma per pietà del Signore, persino la voglia di stroncarlo si è addormentata. D'altronde, quando un film si permette di essere la scopiazzatura riveduta e corretta di una rumenta come ESP - Fenomeni paranormali non bisognerebbe nemmeno mettere mano alla tastiera per avvertire la gente di stargli lontano chilometri!



SPOILER

No dai, voi che avete visto il film rimanete ancora un po' a leggere, ché mi diverto e assecondo il mio lato pignolo. Davvero, quanto diamine può essere imbecille ed irritante l'amico del protagonista? Ma che razza di persona è uno che basa l'amicizia su un'ininterrotta serie di sfottò e prese per il culo?? Il tuo migliore amico è un cane col cervello di una nocciola, deciso nonostante questo a recitare per amore e tu o lo perculi oppure, invece di aiutarlo ad imparare la parte, riesci solo a consigliargli di devastare la scenografia evitando la figuremmé? E se per disgrazia 'ste tre oloturie non avessero deciso di vandalizzare il palco bensì di passare la serata a sniffare Coccoina, come avrebbe fatto l'attricetta a compiere la vendetta della madre pazza e del presunto padre ectoplasmico? E per finire: il genitore del protagonista non poteva raccontargli tutta la storia invece di fare il gallo sulla munnezza e permettersi anche di dirgli "oh, ciccio, tu le cose devi portarle a termine!!"? Ci saremmo risparmiati un'ora e mezza di camurrìa e l'ennesima riproposta della ragazza col muco al naso che si pente di essere solo una povera demente giusto un minuto prima di venire fatta fuori o degli idioti che sperano ancora di venire salvati da aitanti pompieri, polizia e magari anche Superman!! C'est fini!!


Chris Lofing e Travis Cluff sono i registi e sceneggiatori della pellicola, inoltre Cluff interpreta anche Mr. Schwendiman. Americani, non sono riuscita assolutamente a trovare informazioni sulle loro età, sorry, ma tiro un sospiro di sollievo all'idea che, per ora, non abbiano progetti futuri.


A dimostrazione della pochezza dell'intera operazione della furberia, signò! dei due realizzatori, parte del battage pubblicitario del film è stato basato sulla Charlie Charlie Challenge  diventata fenomeno virale sul web per il solito mesetto o due ma nata per caso ben prima che la pellicola venisse distribuita. A parte questo, il problema è che a quanto pare The Gallows in America è stato un successone, quindi aspettatevi che il fantasma di Charlie Grimille torni per qualche sequel o prequel e nel frattempo, se il film vi fosse piaciuto, recuperate Unfriended, il primo Paranormal Activity, The Blair Witch Project e la serie [REC], quattro esempi un po' più validi e meno derivativi di found footage.

venerdì 28 agosto 2015

Rainbow Day - Cruising (1980)


Quest'oggi La fabbrica dei sogni compie sette anni e la padrona del blog ha chiesto alla solita cumpa di cinefili scribacchini di farle gli auguri in modo un po' speciale, ovvero parlando di un film a tematica omosessuale per ricordare quanto ancora sia diffusa l'omofobia e quanta strada si debba fare (soprattutto in Italia) perché alle coppie gay vengano giustamente riconosciuti gli stessi diritti di quelle etero. La mia scelta è caduta, più per curiosità che per effettiva conoscenza del film in questione, su Cruising, diretto e sceneggiato nel 1980 dal regista William Friedkin partendo dal romanzo omonimo di Gerald Walker.


Trama: dopo una serie di brutali delitti compiuti ai danni di alcuni omosessuali dediti a pratiche sadomaso, un poliziotto viene scelto dal suo capo per infiltrarsi all'interno di questo "microcosmo" e scovare il killer...



Sono sinceramente dispiaciuta di avere scelto Cruising come film per celebrare la diversità e l'orgoglio omosessuale, dico davvero. E non perché la pellicola di Friedkin non mi sia piaciuta, anzi, l'ho trovata molto weird ed intrigante ma c'è da mettersi le mani nei capelli per il modo in cui dipinge la scena gay "underground" del Greenwich Village e non c'è da stupirsi che il film sia stato boicottato già durante le riprese dalla comunità omosessuale. Immaginate qualsiasi stereotipo possa venirvi in mente sui gay, cominciando molto banalmente da un mix tra i video dei Village People e le scene ambientate al Blue Oyster in Scuola di polizia, aumentate brutalmente il livello di pornografia e avrete una vaga idea di quello che vi aspetterà se mai deciderete di guardare Cruising: il film infatti non lesina scene hard di ordinarie orge sotterranee tra fustacchioni dotati di baffoni a manubrio, aderentissimi pantaloni con apposite aperture ad altezza chiappe, accessori sadomaso e berrettini da poliziotto, oppure panoramiche di parchi popolati da aitanti omosessuali in modalità "cruising", ovvero pronti a cercare la scopata facile (da cui nasce il gioco di parole tra "cruising" inteso come andare in cerca di partner e "cruising" nel senso di andare di pattuglia) e sculettanti buliccetti sognatori rigorosamente scrittori, costumisti, attori, ecc. ecc. Non certo un bel modo di presentare la comunità gay ad un pubblico che l'anno seguente avrebbe cominciato a vedere ovunque l'alone violaceo del morbo dell'AIDS e scatenato una caccia all'omosessuale che, siamo sinceri, dura ancora oggi. Pensandoci a mente fredda, lo sguardo di Friedkin è impietoso e, sia a livello di sceneggiatura che di regia, ci sono pochissime occasioni in cui lo spettatore viene spinto non tanto a provare pietà ma perlomeno ad empatizzare con le vittime in particolare o con gli omosessuali in generale. Tutto viene infatti filtrato attraverso il punto di vista (dapprima naif poi sempre più allucinato e distorto) di un giovanissimo sbirro che viene costretto non solo a fare da esca per un eventuale killer ma anche a diventare "carne da macello" agli occhi di questi branchi di gay violenti ed infoiati, all'interno di ambienti talmente sordidi che la mente del protagonista viene inevitabilmente travolta ed annullata. Soltanto una volta Steve Burns prova un reale impulso di umana pietà nei confronti di un giovane omosessuale brutalizzato dalla polizia ma è solo perché, per esigenze di "copione", si mette finalmente nei panni di chi viene malmenato ed umiliato in quanto "diverso" e ciò lo porta a mettere in discussione tutto quello che gli è sembrato normale fino a poco prima, fidanzata e lavoro compresi. Un po' poco per celebrare l'orgoglio gay.


Nonostante tutto questo bailamme di stereotipi e momenti talvolta anche abbastanza trash, pare che Cruising abbia fatto storia e si sia comunque conquistato un suo spazio nell'empireo dei cult, per vari motivi. Innanzitutto, il film è basato sulla storia vera di un serial killer che negli anni settanta aveva fatto parecchie vittime tra gli omosessuali e, molto probabilmente, l'omicida era un tale Paul Bateson, che aveva partecipato a L'esorcista nei panni dell'infermiere che infila Reagan sotto la terribile macchina per la scansione cerebrale e che, di conseguenza, è stato spesso consultato da Friedkin durante la realizzazione di Cruising. Una realizzazione travagliata, come avrete capito dal tema trattato, e non solo per le giuste proteste della comunità gay: pare infatti che il regista abbia dovuto tagliare le scene più spinte onde evitare che il film venisse interamente censurato e non si sa tutt'oggi se questi quasi 40 minuti di girato siano stati (come si vocifera) distrutti oppure se ancora esistano da qualche parte, cosa di cui i fan sono convinti e che da anni li spinge a chiedere una riedizione integrale della pellicola. Come avrete capito, non faccio parte degli aficionados di Cruising e starei serena anche senza un eventuale director's cut ma non nego di avere apprezzato il cupissimo clima generale di ambiguità ed incertezza che permea l'intera vicenda, fatta di continui scambi di ruolo tra prede e predatori, di vicendevoli pregiudizi, di violenza tollerata e malcelata, di imbarazzo e di follia. Altro non aggiungerò sulla trama, perché credo che Cruising sia un film da scoprire (e da cui lasciarsi sconvolgere) a poco a poco, con un Al Pacino reduce da ruoli già iconici ed impegnato in una parte per molti versi difficilissima e logorante; sono quasi convinta che, alla fine delle riprese, gli attori coinvolti abbiano dovuto tirarsi delle gran secchiate di acqua addosso per lavare via quell'aura di "sbagliato" e corrotto che si portano addosso quasi tutti i protagonisti, salvo forse la povera ed ignara Karen Allen, la fidanzata della porta accanto costretta a stare fianco a fianco con una realtà pericolosa appena fuori dalla portata del suo campo visivo. Altro che Rainbow: la comunità gay americana non è mai stata così Black!!


Se volete continuare a celebrare La fabbrica dei sogni e il Rainbow Day potete andare a leggere i post scritti dai colleghi blogger! ENJOY!

In Central Perk
Inside the Obsidian Mirror
Non c'è paragone
Pensieri Cannibali
La fabbrica dei sogni
Delicatamente perfido
Solaris
Director's Cult
Montecristo
WhiteRussian


giovedì 27 agosto 2015

(Gio)WE, Bolla! del 27/8/2015

Buon giovedì a tutti!! Nonostante oggi escano la bellezza di DODICI film, a Savona ne esce solo uno, indovinate quale? Non certo Taxi Teheran o Partisan, due pellicole che mi sarebbe piaciuto vedere, però la possibilità di andare al cinema ce l'ho ugualmente... ENJOY!


Minions
Reazione a caldo: Banana!!!!
Bolla, rifletti!: Film da me attesissimo per "colpa" dello sviscerato amore che provo per i Minions, i personaggi più riusciti dei carinissimi Cattivissimo me e Cattivissimo me 2. Spero vivamente che non sia un diludendo e soprattutto che le scene migliori non siano concentrate tutte nel trailer!

mercoledì 26 agosto 2015

Perfect Sense (2011)

Una delle cose più belle per me è guardare i film senza sapere quasi nulla della trama prima di accingermi alla visione. E' così che ho avuto modo di scoprire e gustare Perfect Sense, diretto nel 2011 dal regista David Mackenzie.


Trama: uno chef e una ricercatrice si conoscono e s'innamorano proprio mentre nel mondo sta scoppiando una strana epidemia...


Nonostante abbia adorato Perfect Sense questa sarà una recensione brevissima perché la cosa bella del film di David Mackenzie è gustarselo da soli ed apprezzarne le peculiarità, a poco a poco. Non parlerò della trama particolarissima, né del modo assai intelligente in cui il regista consente allo spettatore di seguire con pochissime immagini simboliche sia il progressivo diffondersi della pandemia in tutto il mondo, sia la vicenda personale di Susan, Michael e delle poche persone che stanno loro accanto, perché ogni parola in più rappresenterebbe un tremendo rischio di spoiler. Allo stesso modo, non parlerò del modo infingardo in cui i diversi stadi della malattia riescono a colpire al cuore lo spettatore costringendolo a porsi delle domande "scomode" ed inquietanti prima di portarlo a mettere mano ai fazzoletti e pregare perché almeno a Susan e Michael vada tutto per il meglio. Non parlerò del modo in cui Mackenzie è riuscito a rendere coinvolgenti e plausibili anche delle sequenze che in un film diverso sarebbero potute risultare esagerate e persino ridicole, né della storia anche troppo "stereotipata" dei due protagonisti perché il loro rapporto è e allo stesso tempo non è il fulcro di questo mix tra fantascienza, horror e dramma.


Posso però dire che Ewan McGregor ed Eva Green non sono solo bellissimi e dolorosamente sexy quando i loro corpi si incontrano e si uniscono ma sono anche terribilmente bravi nei momenti di solitario sconforto e ineffabile terrore. Posso dire che la fotografia di Giles Nuttgens, quasi interamente virata nei toni grigi e uggiosi tipici di una giornata di pioggia inglese, è perfetta per rappresentare gli stati d'animo dei protagonisti e dell'intera popolazione mondiale man mano che la malattia progredisce. Posso dire che le melodie di Max Richter si insinuano nel cuore dello spettatore fino a farlo scoppiare, coinvolgendolo quasi più della storia narrata e delle immagini mostrate, tanto che nel momento in cui queste vengono a mancare sembra davvero di avere perso qualcosa di importante. Posso infine concludere questo stranissimo, atipico post chiedendovi di fidarvi e recuperare questo piccolo, disperato gioiellino che dalle nostre parti è stato ovviamente snobbato persino per quel che riguarda il mercato dell'home video. E' un peccato, perché Perfect Sense non è sicuramente un film per tutti ma molti spettatori potrebbero rimanerne conquistati com'è successo a me... quindi, perché privarli di questa opportunità?


Di Eva Green (Susan), Ewan McGregor (Michael), Connie Nielsen (Jenny) e Ewen Bremner (James) ho già parlato ai rispettivi link. 

David Mackenzie è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Young Adam, Hallam Foe e Il ribelle - Starred Up. Anche sceneggiatore e produttore, ha 49 anni e un film in uscita.


Denis Lawson, che interpreta il capo di Ewan McGregor, nella vita reale è suo zio. A parte questa piccola curiosità, se Perfect Sense vi fosse piaciuto recuperate Blindness, Contagious: Epidemia mortale e Contagion. ENJOY!

martedì 25 agosto 2015

Quando c'era Marnie (2014)

A partire da ieri e per tre giorni sarà possibile anche per noi italiani godere dell'ultima fatica dello Studio Ghibli, ovvero Quando c'era Marnie (思い出のマーニ - Omoide no Maanii), diretto nel 2014 dal regista Hiromasa Yonebayashi e tratto dal romanzo When Marnie Was There della scrittrice inglese Joan Gale Robinson.


Trama: Anna è una ragazza introversa che adora disegnare e soffre di frequenti attacchi d'asma. Per consentirle di guarire, la madre adottiva la manda per un po' in campagna, a casa degli zii, e lì Anna rimane affascinata da una villetta abbandonata sul mare, dove incontra la misteriosa Marnie...


Quando c'era Marnie, così si dice, sarà l'ultimo lungometraggio dello Studio Ghibli prima di un lungo periodo di pausa. Se da un lato questa notizia mi strugge il cuore, mi rendo conto che forse la mia adorata casa di produzione giapponese necessita di un periodo per ricaricare un po' le pile e tornare a regalare al mondo intero altri indimenticabili capolavori perché, e mi sento male a doverlo dire, Quando c'era Marnie non è una pellicola particolarmente entusiasmante. Il film di Yonebayashi racchiude in sé molte delle caratteristiche che mi hanno portata ad amare lo Studio Ghibli, su questo non ci piove: in esso vengono trattati temi delicati ed importanti come la solitudine, il senso di non appartenenza al mondo, la condizione disagiata di chi si ritrova ad essere orfano in tenerissima età e i conseguenti dubbi sulla reale portata dell'affetto dei genitori adottivi e l'ulteriore disagio causato dal possedere qualcosa che ci rende anche fisicamente "diversi" e forse reietti. La natura (nella fattispecie incarnata da mare, vento e tempesta), come in molte produzioni Ghibli, viene resa in tutta la sua delicata maestà e diventa la culla di importanti rivelazioni, un'entità da rispettare e talvolta temere ma anche una sorta di ventre materno in grado di curare le ferite del cuore oltre a quelle fisiche; in essa, la giovane Anna si muove con circospezione, esplorando gradualmente i dintorni di un paese a lei sconosciuto ed abitato da persone semplici, tipiche di un ambiente di campagna, ai margini del quale si staglia questa magione abbandonata che entra in risonanza col suo animo d'artista e con la sua profonda solitudine. Un'emozione così forte, come nelle migliori storie "di fantasmi", richiama inevitabilmente uno spirito e in questo caso abbiamo Marnie, un animo affine a quello di Anna che diventa il fulcro del racconto di un'amicizia difficile, dolorosa e commovente, resa ancora più complessa da una serie di misteri che troveranno una logica soluzione nel finale e che tuttavia, a mio avviso, più che appassionare lo spettatore rischiano di confonderlo sfilacciandosi in modo eccessivo per tutta la durata del film.


I film dello Studio Ghibli non sono mai stati i più dinamici e complessi del mondo ma io ho sempre adorato il modo in cui venivano portate sullo schermo le loro storie semplici, radicate nel quotidiano, oppure fantasiose e zeppe di significati reconditi mentre a mio avviso Quando c'era Marnie soffre di una lentezza anche troppo esagerata, legata forse alla natura silenziosa e schiva della protagonista. In termini più prosaici, Anna tira fuori le palle giusto sul finale però per tutto il film non si pone mai dubbi sulla natura di Marnie e sulle tante cose assurde che la circondano ma sembra subire passivamente i desideri della sua nuova amica, lasciando che davanti allo spettatore sfili un mero susseguirsi di eventi che sembrano quasi accavallarsi l'uno all'altro per raggiungere la lunghezza canonica del lungometraggio. Come ho detto, è un peccato perché il finale è molto commovente e anche perché Quando c'era Marnie è comunque una gioia per gli occhi e per le orecchie. Il character design è delicato, gli ambienti naturali e soprattutto gli interni delle varie abitazioni sono di una bellezza incredibile (le gite in barca al chiaro di luna di Anna e Marnie e la casa degli zii della protagonista, zeppa di dettagli, mozzano il fiato) mentre i colori sono talmente tenui e delicati da dare l'illusione di trovarsi davvero in riva al mare a giocare oppure dipingere accanto ai personaggi principali. La colonna sonora, che mantiene vive le lacrime dello spettatore durante i titoli di coda con la struggente Fine on the Outside di Priscilla Ahn, contiene a sorpresa anche una versione di Recuerdos de la Alhambra di Francisco Tárrega (e ringrazio Toto per averlo notato!!!), importante veicolo dei ricordi di Anna e melodia indicatissima per il mood dolceamaro dell'intera pellicola. Rileggendo il post come faccio sempre mi sono resa conto di avere apprezzato Quando c'era Marnie più di quanto mi fossi resa conto "a caldo", tuttavia come "canto del cigno" dello Studio Ghibli non è purtroppo il lungometraggio indimenticabile che mi sarei aspettata e che avrei desiderato. Ovviamente, ciò non significa che sia un film da evitare o da disprezzare, anzi: se stasera o domani vi capita di avere la fortuna di trovare una sala vicina che lo proietti non lasciatevelo scappare!!


 Del regista Hiromasa Yonebayashi ho già parlato QUI.

Il doppiaggio americano della pellicola vanta nomi come Hailee Steinfeld (Anna), Kathy Bates (l'odiosa signora Kadoya), Geena Davis (la madre adottiva di Anna), John C. Reilly (Kiyomasa Oiwa), Ellen Burstyn e Catherine O'Hara. Detto questo, se Quando c'era Marnie vi fosse piaciuto, recuperate La collina dei papaveri, Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento, Ponyo sulla scogliera, Il mio vicino Totoro e Wolf Children. ENJOY!

domenica 23 agosto 2015

La maledizione di Damien (1978)

L'estate, si sa, reca seco zero voglia di sbattersi. Ed è così che ho ravanato nel fondo della mia collezione di film tirandone fuori La maledizione di Damien (Damien: Omen II), diretto nel 1978 dal regista Don Taylor.


Trama: Alcuni anni dopo la fine de Il presagio ritroviamo un Damien ormai tredicenne e ancora ignaro di essere l'Anticristo. Così non è per chi lo circonda, tra amici che cercano di favorirne l'ascesa e nemici che tentano inutilmente di fermarla...


Certo che essere l'Anticristo significa davvero vincere facile. Qualunque cosa accada, per chiunque voglia farci fuori o privarci dei nostri diritti o del nostro patrimonio, c'è sempre babbo Satana a metterci una pezza scatenando corvi assetati di sangue o incredibili botte di sfiga. Succedeva così già ne Il presagio, lo stesso accade anche in La maledizione di Damien, con la differenza fondamentale che nel primo film "un minimo" si riusciva a mantenere la speranza che il demoniaco pargoletto potesse venire fatto fuori, mentre nella pellicola di Don Taylor basta solo che uno pensi di contrastare le intenzioni di Damien o dei suoi seguaci per essere fatto fuori nel giro di un minuto. Insomma, fondamentalmente il difetto di La maledizione di Damien è l'essere stato girato con un ritmo tutto sbagliato che concentra l'attenzione su queste rapide morti ad effetto e per il resto ammorba lo spettatore con interminabili parate militari e ancor più tediosi dialoghi relativi ai ben poco etici piani aziendali di tal Paul Buher, intenzionato a sfruttare la fame nel mondo per fare soldi. Francamente, al posto degli sceneggiatori mi sarei maggiormente concentrata sul passaggio di Damien dall'adolescenza all'età adulta e magari su eventuali pensieri del ragazzino all'idea di essere l'Anticristo, cosa che invece viene liquidata in quattro e quattr'otto con una poco convinta fuga verso il mare con tanto di urlo "Perché proprio a me? Perché? Perchééééé???": o pargolo, non mi sembri tanto disperato all'idea visto che dopo questa merolata vai ad ammazzare tre o quattro persone! Davvero, per quel che riguarda la trama non c'è proprio gusto a guardare La maledizione di Damien, che sembra la versione horror della tipica giornata di Gastone.


Per quanto riguarda il resto, la pellicola viene resa incredibilmente noiosa anche dalla non memorabile regia di Don Taylor, che a differenza de Il presagio riesce a confezionare solo una sequenza degna di essere ricordata (quella dell'ascensore per intenderci, al massimo quella della giornalista attaccata dai corvi) e persino la musica di Jerry Goldsmith, per quanto evocativa ed azzeccata, riesce ad essere utilizzata malissimo e solo per sottolineare, molto banalmente, i momenti in cui l'intervento di Satana si abbatte sui vari personaggi. Poco da dire anche sugli attori. L'inquietantissimo pargoletto di Harvey Stephens è stato sostituito da un adolescente con la faccia da chiulo che, lungi dal fare anche solo minimamente paura, instilla nello spettatore l'incredibile voglia di prenderlo a calci nel didietro, un ancora poco famoso Lance Henriksen viene poco utilizzato e lo stesso vale per il personaggio più interessante della pellicola, l'odiosa ma perspicace zia Marion dell'iconica Sylvia "Juno" Sydney; i nuovi genitori di Damien, William Holden e Lee Grant, lasciano il tempo che trovano e sono davvero poco carismatici, soprattutto il personaggio di Anne Thorne viene sfruttato e sviluppato malissimo e, se arriverete alla fine del film senza addormentarvi com'è capitato di tanto in tanto a me, capirete anche il perché. Dopo questo filmucolo non so nemmeno io se proseguire, come mi ero prefissata tanto tempo fa, nell'impresa di recuperare anche Conflitto finale (c'è Sam Neill però... mah...) e il remake del primo Il presagio ma sicuramente al momento la mia "storia" con Damien si conclude qui. Ne riparliamo magari fra qualche tempo.

 Di Sylvia Sidney (zia Marion) e Lance Henriksen (Sergente Neff) ho già parlato ai rispettivi link.

Don Taylor è il regista della pellicola (ha sostituito il non accreditato Mike Hodges, che ha abbandonato il set a causa di divergenze creative). Americano, ha diretto film come Fuga dal pianeta delle scimmie, L'isola del dottor Moreau ed episodi di serie come Alfred Hitchcock presenta. Anche attore, sceneggiatore e produttore, è morto nel 1998 all'età di 78 anni.


William Holden (vero nome William Franklin Beedle Jr.) interpreta Richard Thorn. Americano, ha partecipato a film come Viale del tramonto, Stalag 17 (che gli è valso un Oscar come miglior attore protagonista), Sabrina, Il ponte sul fiume Kwai, Casino Royale, Il mucchio selvaggio, L'inferno di cristallo, Quinto potere e S.O.B.. E' morto nel 1981 all'età di 63 anni.


Lee Grant (vero nome Lyova Haskell Rosenthal) interpreta Ann Thorn. Americana, ha partecipato a film come La calda notte dell'ispettore Tibbs, Shampoo (che le è valso un Oscar come miglior attrice non protagonista), Il villaggio dei dannati, Airport '77, Mulholland Drive e a serie come Peyton Place e Colombo. Anche regista, produttrice e sceneggiatrice, ha 90 anni.


William Holden avrebbe dovuto partecipare già a Il presagio ma aveva rifiutato perché non voleva prendere parte ad un film incentrato sulla figura del demonio; neanche a dirlo, dopo che Il presagio è diventato un successo al botteghino, l'attore ha deciso di partecipare al secondo capitolo della saga. David Seltzer, che aveva sceneggiato la prima pellicola, ha invece deciso molto coerentemente di chiamarsi fuori da La maledizione di Damien e ha dichiarato che, se avesse accettato di scrivere la sceneggiatura del secondo capitolo, l'avrebbe fatta cominciare il giorno dopo la fine del primo film, con Damien che viveva nella Casa Bianca. Detto questo, se La maledizione di Damien vi fosse piaciuto recuperate Il presagio e i due seguiti, Conflitto finale e Omen IV: Presagio infernale ed estote parati! perché nel 2016 la A&E dovrebbe mandare in onda la serie TV Damien. ENJOY!

venerdì 21 agosto 2015

Il Bollodromo #10: Death Note di Tsugumi Ooba e Takeshi Obata

Dopo averne parlato con un amico, in queste settimane ho deciso di ripescare e rileggere il manga Death Note di Tsugumi Ooba e Takeshi Obata, pubblicato in Italia dalla Planet Manga e composto da 12 volumi più una sorta di compendio/guida alla lettura.


Di cosa parla?
Light Yagami è uno studente liceale molto dotato e brillante che, un giorno, entra in possesso di un Death Note, un quaderno che consente di uccidere le persone semplicemente scrivendoci sopra il loro nome. Il ragazzo comincia ad usare il quaderno (lasciato cadere sulla Terra per divertimento dal dio della morte Ryuk) per liberare il mondo dai criminali ma le sue buone intenzioni lo trasformano presto in un assassino privo di scrupoli...

Perché mi è piaciuto?
Cosa fareste voi se aveste tra le mani un quaderno capace di dare la morte a tutti coloro di cui conoscete volto e nome? Come può un essere umano rimanere tanto lucido davanti ad un simile potere da non cominciare ad usarlo per scopi poco nobili e decisamente personali? E qual è la differenza tra chi uccide per "giustizia" e chi per pura e semplice malvagità? Uccidere, a prescindere dalle motivazioni, non è già sbagliato di per sé? Questi sono i presupposti da cui parte Death Note, un manga che inizia come opera horror/fantastica e viene sviluppato con un approccio razionale ed estremamente logico, trasformando la caccia all'assassino in un'investigazione a tutti gli effetti (resa difficoltosa dal fatto che il protagonista ha ovviamente poteri ultraterreni assai difficili da provare empiricamente). Death Note è essenzialmente una sfida di intelligenza tra Light Yagami, ribattezzato dai media Kira come "killer" e l'abilissimo detective Elle e si snoda tra ininterrotti colpi di scena, cambi di schieramento, sacrifici di pedine, scazzatissimi interventi divini (gli Dei della morte sono in gran parte dei debosciati che giustamente non hanno alcun interesse per le umane vicende ma riescono a farsi manipolare da Light come fossero dei mocciosi) e ininterrotte elucubrazioni atte ad ingannare e prevenire le mosse del nemico. La sceneggiatura di Tsugumi Ooba mescola sapientemente i generi e anche i vari registri, passando dall'angosciante, al serio e persino al comico con invidiabile naturalezza e tenendo le fila di una storia incredibilmente complessa, zeppa di importantissimi personaggi secondari che, in qualche modo, l'autore riesce a rendere umani e complessi anche solo con un paio di dialoghi. I disegni di Takeshi Obata e il suo stile elegante e sobrio sono invece perfetti per raccontare attraverso le immagini le vicende di Light Yagami e compagnia; a rigor di logica, l'ambiente della polizia giapponese rischierebbe di risultare molto noioso sia da disegnare che da guardare ma Obata riesce a conferire ad ogni detective una caratteristica peculiare e un character design accattivante (Elle, Mello e Near sono graficamente assurdi, pur essendo esseri umani) e ovviamente si "sfoga" disegnando di tanto in tanto dei fantasiosi quanto darkettonissimi shinigami o gli stravaganti look della idol Misa Misa.

E quindi?
Quindi, come dimostra il fatto che a distanza di anni ho riletto l'opera almeno mezza dozzina di volte e ancora non mi sono stancata, Death Note è una piacevolissima lettura che consiglio senza remore. La prima parte a mio avviso è più incalzante, rapida ed esaltante, nella seconda diventa un po' più ripetitiva e i personaggi perdono un po' del carisma iniziale, inoltre ho trovato la conclusione leggermente "insapore" ma per il resto credo che il manga di Ooba e Obata meriti di fare bella mostra sugli scaffali di qualsiasi libreria!

Elle sfida pubblicamente Kira, per la gioia dello shinigami Ryuk!




giovedì 20 agosto 2015

(Gio) We Bolla! del 20/08/2015

Buon giovedì a tutti!! Quella di oggi sarà una rubrica atipica in quanto sto scrivendo il post con una decina di giorni di anticipo e non so in effetti cosa uscirà a Savona... mi limito quindi a stilare l'elenco dei tre film che gradirei tanto vedere!! ENJOY!

Mission: Impossible - Rogue Nation
Come se avessi mai visto i capitoli precedenti della saga!! Eppure questo mi ha conquistata fin dal trailer... sarà per la faccetta simpatica di Simon Pegg o per quella figonza di Jeremy Renner? Poco importa perché purtroppo non sono riuscita a recuperare in tempo gli altri quattro film...

The Gallows: L'esecuzione
Me lo stanno vendendo come il punto di non ritorno del diludendo da found footage e obiettivamente non avrei nessun motivo per pensare il contrario. Ma, si sa, un horror al cinema è sempre il benvenuto!

Quando c'era Marnie
L'ultimo film dello Studio Ghibli sarà nelle sale cinematografiche da lunedì 24 agosto a mercoledì 26 agosto. Io vi consiglierei di andarlo a vedere e spero tanto che a Savona lo distribuiscano, anche se ne dubito...

mercoledì 19 agosto 2015

Crazy, Stupid, Love. (2011)

Era qualche anno che l'avevo lì in attesa e in questi giorni mi sono decisa a guardare Crazy, Stupid, Love., diretto nel 2011 dai registi Glenn Ficarra e John Requa.


Trama: alla fine di una cena, Emily confessa al marito Cal di volere il divorzio e di averlo tradito con un collega. L'uomo, disperato, va a vivere da solo e passa le serate ad ubriacarsi in un club dove incontra il donnaiolo Jacob che, d'impulso, decide di migliorarne l'immagine e trasformarlo in un tombeur de femmes...


Crazy, Stupid, Love. L'amore pazzo, imprevedibile, stupido ma in fin dei conti sempre Amore, magari non con la A maiuscola, chissà, ma magari ci arriva vicino. E' di questo che parla, in soldoni, la pellicola di Ficarra e Requa, cominciando con una situazione in cui l'amore, ahimé, è stato sconfitto: il divorzio. Emily e Carl stanno insieme praticamente dall'adolescenza e ormai il loro sentimento si è raffreddato, condannato alla routine oppure all'incapacità di comprendere i desideri e le necessità del partner. Cal è talmente impreparato ad affrontare la cosa che non chiede neppure alla moglie i motivi che l'hanno spinta a chiedere la separazione e a finire tra le braccia di un aitante collega e continua a non comunicare con Emily; si limita, come il 90% delle persone, a lamentarsi del destino infausto, di lei e dell'altro, senza capire che magari buona parte di questa disfatta è anche colpa sua. Ed è lì che arriva Jacob, elegante, bellissimo e circondato da donne. Il quale, stufo di sentire Cal lamentarsi tutte le sere, decide di spronarlo a reagire, a farsi crescere un paio di palle e innanzitutto a diventare un uomo migliore. Che poi Cal sbagli strada più volte, arrivando a credere che la via della "scopata facile" sia quella giusta per essere felici e per riacquistare fiducia in sé stessi, è parte integrante del cammino di formazione costruito per il personaggio ma l'importante è che pian piano il protagonista arrivi a capire cosa voglia davvero e come provare (attenzione: PROVARE, ché in Crazy, Stupid, Love. non esiste l'happy ending definitivo ma solo potenziale) ad ottenerlo e con lui tutti gli altri comprimari, Jacob compreso. Crazy, Supid, Love. è infatti un film corale che prova a declinare l'amore in tutte le sue sfumature, intrecciando i destini dei vari personaggi attraverso un intrigante gioco di infatuazioni non sempre corrisposte e goffi corteggiamenti che portano alle situazioni più classiche della commedia degli equivoci e anche, per la gioia di ragazzine in crisi ormonale e casalinghe disperate, alla capitolazione del classico bello ed impossibile che, chissà perché, sceglie sempre di buttarsi su quella che non se lo fila di striscio.


A parte un piccolissimo "colpo di scena" nella seconda metà della pellicola, Crazy, Stupid, Love. è un film prevedibile dall'inizio alla fine e per la sua natura di commedia romantica è incredibilmente rilassante. Fortunatamente, la prevedibilità dell'intreccio viene vivacizzata da dialoghi divertenti ed intrigranti, personaggi assai umani e simpatici, una bella colonna sonora e, soprattutto, dalle validissime interpretazioni di tutti gli attori. Anzi, dopo Crazy, Stupid, Love. mi rimangio tutte le cattiverie dette in passato su Steve Carrell e pubblicamente dichiaro di volergli tantissimo bene. A lui e anche alla "patata lessa" Julianne Moore, che in questo film mi è stata molto simpatica e mi ha anche commossa. Ho provato simpatia persino per Emma Stone e Ryan Gosling che, intendiamoci, non mi sono mai stati sulle palle come attori ma interpretano la tipica coppia stereotipata di personaggi che normalmente prenderei a ceffoni e invece in Crazy, Stupid, Love. mi sono fatta comprare dalla simpatica goffaggine di lei e dall'addomin... ehm... e dalla faccia da piacione di lui. D'altronde, a parte la loro assurda situazione da romanzetto rosa e ad un paio di personaggi surreali come l'insegnante di Marisa Tomei e il padre apprensivo di John Carrol Lynch le situazioni raccontate nel film sono assai comuni (in alcune mi sono persino riconosciuta...) e in particolare ho apprezzato tanto la rappresentazione della stupidera di un amore adolescenziale, privo di freni e colmo di disperazione e speranza; per una volta un film che non si concentra solo sui sentimenti del loser innamorato ma anche sulle difficoltà provate dalla ragazza che vorrebbe friendzonare l'importuno corteggiatore senza farlo soffrire o distruggere un'amicizia! Ora non spaventatevi, ribadisco che le commedie romantiche non sono e non saranno mai il mio genere ma per questa ho fatto un'eccezione e sono davvero contenta di averle dato una chance. In due parole, film consigliatissimo e non solo alle damigelle all'ascolto!!


Di Steve Carell (Cal), Ryan Gosling (Jacob), Julianne Moore (Emily), Emma Stone (Hannah), Marisa Tomei (Kate), John Carrol Lynch (Bernie) e Kevin Bacon (David Lindhagen) ho già parlato ai rispettivi link.

Glenn Ficarra è il co-regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Colpo di fulmine - Il mago della truffa e Focus. Anche sceneggiatore, produttore e attore, ha due film in uscita.


John Requa è il co-regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Colpo di fulmine - Il mago della truffa e Focus. Anche sceneggiatore e produttore, ha due film in uscita.


Analeigh Tipton interpreta Jessica. Americana, ha partecipato a film come Damsels in Distress, Warm Bodies, Lucy e a serie come The Big Bang Theory. Ha 27 anni e tre film in uscita.


Jonah Bobo, che interpreta Robbie, il figlio di Cal, aveva partecipato anche a Disconnect nei panni del ragazzino che tentava di suicidarsi dopo un pesante scherzo su internet mentre Joey King, che interpreta la piccola Molly, era la bambolina di porcellana ne Il grande e potente Oz. Se Crazy, Stupid, Love. vi fosse piaciuto recuperate American Beauty, 40 anni vergine e Qualcosa è cambiato. ENJOY!

martedì 18 agosto 2015

Ant-Man (2015)

Indubbiamente uno dei film più attesi dell'estate, almeno per me, era Ant-Man, diretto dal regista Peyton Reed e per fortuna il multisala ha riaperto in tempo per consentirmi di guardarlo. Segue post SENZA SPOILER!


Trama: Scott Lang è un ladruncolo dal cuore d'oro a cui un giorno viene chiesto di rubare in casa del genio miliardario Hank Pym. Lang si ritrova così tra le mani una tuta dagli incredibili poteri e l'inaspettata occasione di salvare il mondo...


Come già era successo per The Avengers, Ant-Man non è mai stato un personaggio di cui mi sia mai interessato qualcosa, almeno a livello cartaceo. Sono quindi andata a vedere il film di Peyton Reed a cuor leggero, sicura che mi sarei trovata davanti il tipico film Marvel divertente e avventuroso e così, in effetti, è stato: Ant-Man è totalmente conformato allo stile cinematografico della Casa delle Idee, un simpatico ed indispensabile tassello che porterà a quella che ormai dovrebbe, se non sbaglio, essere la terza fase dell'ondata di film Marvel che ci sommergeranno negli anni a venire. La sua natura di "tassello", comunque, non gli impedisce di essere un film godibilissimo a sé, con un suo stile scanzonato in parte legato ai ritmi latini di un demenziale sottobosco criminale e con un protagonista che, a differenza della maggior parte dei film Marvel, è il tipico uomo "di strada" privo di legami col mondo dei supereroi di cui, al massimo, ha sentito parlare nei telegiornali. E' la natura scanzonata e disincantata del protagonista la carta vincente di Ant-Man, ideale passaggio di testimone tra il vecchio (rappresentato dallo scienziato, miliardario, agente segreto Hank Pym) e il nuovo, tra la vecchia generazione di lettori legati al personaggio creato da Stan Lee e quella nuova che magari non ha mai preso in mano un fumetto e conosce gli Avengers e compagnia cantante solo dalle pellicole a loro dedicate; il fulcro della sceneggiatura (alla quale ha messo mano anche quell'Edgar Wright che si è chiamato fuori come regista proprio perché voleva un film indipendente) è proprio la nascita di un nuovo eroe con una forte personalità e degli obiettivi da perseguire più legati alla propria serenità familiare che al mantenere la pace nel mondo, un uomo impegnato a diventare migliore innanzitutto per sé stesso e a sfruttare le seconde occasioni che gli vengono offerte. Tutto il resto è mitologia Marvel, indispensabile e godereccia quanto volete (MOLTO godereccia ad un certo punto, grazie ad una battaglia incredibilmente epica che non vi sto a spoilerare) ma priva di significato se il personaggio principale non mostrasse di avere cuore ed anima come lo Scott Lang di Paul Rudd.


Per quel che riguarda il fondamentale aspetto visivo della pellicola, non posso fare a meno di chiedermi "cosa avrebbe fatto Edgar Wright" ma alla fine Peyton Reed ha imbastito un lavoro dignitoso o, meglio, un lavoro che rientra nella media "alta" delle migliori produzioni Marvel. Indubbiamente gli sbalzi tra le due dimensioni in cui vive il personaggio, che può rimpicciolirsi e tornare grande a piacere, sono l'elemento più spettacolare del film e non solo quando Scott Lang interagisce con le amiche formichine/formicone o cambia stazza senza soluzione di continuità ma anche quando, molto ironicamente, il regista sceglie di mostrare le devastanti battaglie in miniatura dal punto di vista di un essere umano normale (il momento "Trenino Thomas" tocca livelli di epicità assoluta!). Personalmente, ho anche adorato la scelta di inserire nel film un Michael Peña particolarmente logorroico e divertente e di rappresentare i suoi interminabili racconti con una sfilata di persone che ovviamente parlano con la sua voce. L'aver citato Peña mi porta necessariamente a dover parlare degli attori che, a parte una quasi irriconoscibile e neroparruccata Evangeline Lilly nei panni di Hope Van Dyne e l'inquietante Corey Stoll chiamato ad interpretare il ruolo di un capriccioso villain, formano un campionario di facce anni '80/'90 mica da ridere: da Paul Rudd a Michael Douglas per arrivare a Judy Greer mi è sembrato di essere tornata ai bei tempi in cui Douglas era un affascinante piacione (il ringiovanimento nelle scene iniziali è impressionante e per nulla fasullo, giuro!) e gli altri due imperversavano nelle commedie adolescenziali, senza contare che i duetti tra vecchio e nuovo Ant-Man sono decisamente simpatici e ben riusciti. Molto belli anche i costumi di Ant-Man e della sua nemesi (un po' più tamarro del normale ma comunque minaccioso al punto giusto) e per il futuro si prospetta un costume ancora più bello ed elegante... ma questo lo capirà solo chi avrà la pazienza di aspettare le ben DUE, importantissime scene post-credits. Nell'attesa che Ant-Man torni, si capisce, perché quest'uomo formica mi è davvero piaciuto parecchio!!


Di Paul Rudd (Scott Lang/Ant-Man), Michael Douglas (Dr. Hank Pym), Evangeline Lilly (Hope Van Dyne), Anthony Mackie (Sam Wilson/Falcon), Judy Greer (Maggie Lang), Michael Peña (Luis), Hayley Atwell (Peggy Carter), John Slattery (Howard Stark) e Martin Donovan (Mitchell Carson) ho già parlato ai rispettivi link.

Peyton Reed è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Abbasso l'amore - Down With Love, Ti odio, ti lascio, ti..., Yes Man ed episodi di serie come Ritorno al futuro. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 52 anni e un film in uscita.


Corey Stoll interpreta Darren Cross. Americano, ha partecipato a film come Number 23, Midnight in Paris e a serie come CSI - Scena del crimine, Streghe, NYPD, Alias, Numb3rs, ER - Medici in prima linea, CSI: Miami, House of Cards e The Strain; come doppiatore, ha lavorato per serie come American Dad!. Ha 39 anni e cinque film in uscita.


Bobby Cannavale (vero nome Roberto Cannavale) interpreta Paxton. Americano, ha partecipato a film come Il collezionista di ossa, Snakes on a Plane, Blue Jasmine e a serie come Sex and The City, Squadra emergenza, Ally McBeal, Oz, Six Feet Under, Will & Grace, Cold Case e Broadwalk Empire; come doppiatore, ha lavorato per serie come American Dad! e Robot Chicken. Ha 45 anni.


Inizialmente il film avrebbe dovuto concentrarsi su Hank Pym ma il personaggio è stato ritenuto troppo poco adatto alle famiglie (personalità multiple, abusi sulla moglie, insomma una personcina simpatica...) e quindi si è preferito puntare su Scott Lang.. sarà questo uno dei motivi per cui Edgar Wright ha deciso di chiamarsi fuori dal progetto dopo che per anni aveva portato avanti la causa di un film su Ant-Man possibilmente STACCATO dall'Universo Marvel cinematografico? Un altro nome eccellente ad essere rimasto fuori  dalla pellicola è quello di Steve Buscemi, originariamente scelto per il ruolo di Hank Pym e poi costretto a rinunciare per impegni pregressi (cosa che sono stati costretti a fare anche Jessica Chastain, in lizza per il ruolo di Hope Van Dyne, e Patrick Wilson, scelta originale per Paxton), mentre se Wasp fosse stata inclusa nello script il ruolo sarebbe probabilmente andato ad Emma Stone. Non è rimasto fuori invece Stan Lee, che compare verso la fine come barista dopo avermi fatto inutilmente preoccupare! E ora, tenetevi pronti al momento continuity! Ant-Man segue Iron Man, Iron Man 2, Thor, Captain America - Il primo vendicatore, The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia , Avengers: Age of Ultron e la serie Agents of S.H.I.E.L.D: se il film vi fosse piaciuto recuperateli e tenetevi pronti per l'arrivo di Captain America: Civil War, Dottor Strange, Guardiani della Galassia Vol. 2, Thor: Ragnarok, Avengers: Infinity War - Part I e Avengers: Infinity War - Part 2. ENJOY!

giovedì 13 agosto 2015

(Gio) WE, Bolla! del 13/8/2015

Buon giovedì a tutti!! Siete ancora in vacanza? Beati voi! Io sono finalmente in ferie ma di viaggi o vacanze quest'anno non se parla e allora, visto che il multisala ha riaperto, mi converrà sperare che ci sia qualcosa di valido per sfuggire al caldo opprimente... ENJOY!!

Ant-Man
Reazione a caldo: Eh beh!
Bolla, rifletti!: Dopo essermi sbattuta per ottenere il personaggio in Avengers Alliance volete davvero che non vada a vedere il film al cinema? Che poi della versione cartacea non me n'è mai importato una cippa ma Paul Rudd l'è un bell'omett' e poi dai, Fantastici 4 a parte un film Marvel va sempre visto!

Come ti rovino le vacanze
Reazione a caldo: Per esempio andando a vedere questo film...
Bolla, rifletti!: Non sono mai stata una grande fan di Chevy Chase ma l'idea di poter girare un reboot di National Lampoon's Vacation SENZA Harold Ramis, SENZA John Candy e SENZA anni '80 mi sa molto di affronto. Eviterollo!!!

mercoledì 12 agosto 2015

Il Bollodromo #9: Wayward Pines (2015)

Anche se non ne ho mai parlato sul blog, ogni tanto capita anche a me di guardare delle serie TV. The Walking Dead, con tutti i suoi difetti, e American Horror Story sono due appuntamenti imprescindibili ma ultimamente ho cominciato ad appassionarmi anche a True Detective. A onor del vero, sono una spettatrice incostante per mancanza di tempo: una decina di anni fa non perdevo una puntata di Buffy, E.R., Alias, Streghe, X-Files o Heroes ma ora ho lasciato perdere serie già iniziate come Once Upon a Time, The Strain, Bates Motel, persino The Big Bang Theory perché troppo lunghe e difficili da recuperare. Nonostante questo e nonostante il mio atavico odio per M. Night Shyamalan, quest'estate ho però guardato per intero la miniserie Wayward Pines, prodotta proprio dall'indianaccio banfone e tratta dalla trilogia di romanzi di Blake Crouch. Ne è valsa la pena? Mah...


Di cosa parla?
A seguito di un incidente stradale l'agente speciale Ethan Burke, alla ricerca di due colleghi scomparsi, si risveglia nell'ospedale di Wayward Pines. Apparentemente nella cittadina sono tutti molto gentili, se non fosse che Ethan non può più né uscire da Wayward Pines né contattare i suoi familiari o il suo capo; quel che è peggio è che nel paese vigono regole inquietanti e chi non le rispetta fa una brutta fine. Ad aggiungersi alle stranezze c'è anche il fatto che Kate, una dei due colleghi scomparsi di Ethan, sembra ormai avere dimenticato il suo passato mentre l'altro collega è morto...

Cose che mi sono piaciute
Shyabadà sarà anche un maledetto ma devo ammettere che le prime due, tre puntate di Wayward Pines mi avevano inchiodata alla poltrona. Cercare di capire cosa si nascondesse sotto la cittadina era intrigante, gli attori erano di mio gusto (e poi, nonostante ormai sia sfatta come il tagliolino al pesto che ho mangiato, a quel gran puchiaccone di Juliette Lewis voglio sempre bene) e la serie aveva quel giusto grado di misterioso weird in grado di mettermi in una disposizione d'animo molto indulgente. Certo, Wayward Pines non è nemmeno lontanamente parente di Twin Peaks, come hanno cercato di far credere fin dai primi trailer, ma le prime puntate avevano un accenno di personalità per nulla spiacevole. Altri punti di forza, la brevità (10 puntate in tutto), cosa sconosciuta ahimé agli autori dell'orrido Under the Dome (che stanno mungendo un romanzo di neanche mille pagine da ben TRE stagioni) e il finale incredibilmente pessimista e debitore di un certo tipo di horror che adoro. Peccato per tutto quel che sta nel mezzo...

Cose che non mi sono piaciute
Il problema di Wayward Pines è LA cazzata col botto che viene data in pasto allo spettatore più o meno alla sesta puntata. Una roba che forse al confronto gli squali tempestini di Sharknado sono dei capolavori di plausibilità e realismo. In tutto questo, forse scossi dall'esplosione di quest'incredibile meenkiata che ovviamente non vi racconterò per evitare spoiler, gli attori principali (perlomeno, quelli rimasti, ché Wayward Pines vantava grandi nomi ma in soldoni si sono visti davvero poco...) smettono di recitare e cominciano ad indossare tutti un impermeabile di scazzo cosmico e fissità oculare che non risparmia nessuno, neppure l'ex ragazzo della 56sima strada Matt Dillon. Dopo LA cazzata col botto a me è passata la voglia sia di guardare la serie, che ho finito per inerzia giusto per vedere dove sarebbe andata ancora a parare, sia di recuperare i romanzi di Blake Crouch che, con tutto il rispetto, m'è sembrato il solito autorucolo "spugna", privo di qualsivoglia originalità.

E quindi?
E quindi Wayward Pines è la tipica miniserie horror/fantascientifica da guardare senza impegno d'estate. Aspettatevi il sommo diludendo tipico dei prodotti che promettono un sacco di cose senza mai mantenerle e consolatevi, è una roba che per fortuna dura poco.