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martedì 31 maggio 2016

Amityville Horror (1979)

Ultimamente mi sono resa conto di avere dedicato un po' troppo tempo alla cinematografia recente quindi ho pensato di rimediare guardando Amityville Horror (The Amityville Horror), diretto nel 1979 dal regista Stuart Rosenberg e tratto dal romanzo omonimo di Jay Anson.


Trama: la famiglia Lutz si trasferisce nella nuova casa ad Amityville, teatro di un orrendo massacro avvenuto un anno prima. A poco a poco, tutti i membri della famiglia cominciano a sperimentare strani fenomeni paranormali, sempre più invasivi e pericolosi...


Il rapporto tra me e la serie di film basati sul romanzo di Jay Anson è sempre stato fatto di alti e bassi, nonché molto confuso. Probabilmente la prima pellicola "a tema" che ho guardato non è stata Amityville Horror, bensì Amytiville 3-D, che vanta la presenza nel cast di una giovane Meg Ryan, e di sicuro prima di recuperare il capostipite ho avuto modo di vedere un paio di volte l'orrido Amityville Dollhouse (il quale comunque mi terrorizzò per motivi che ben potete immaginare...); il risultato di questo guazzabuglio, a cui in seguito si è aggiunta anche la visione del remake del 2005, è che nella mia testa questi film si assomigliano un po' tutti e si scambiano scene e trame, quindi qualche sera fa sono rimasta un po' perplessa dal fatto che Amityville Horror sia una pellicola fondamentalmente priva di palesi raffigurazioni del "maligno" o di immagini gore. E pensare che nel 2006 avevo anche acquistato e letto il libro di Jay Anson, uno dei pochi a non avermi fatto dormire la notte, quindi più o meno avrei dovuto ricordare che molte delle cose narrate traevano la loro potenza proprio dall'essere manifestazioni inspiegabili ma quasi "banali" di qualcosa di oscuro e sbagliato, cosa che le rendeva ancora più inquietanti. In pratica, Amityville Horror è il nonno o lo zio di tutti i film ad ambientazione "casa infestata" che negli ultimi anni sono spuntati come funghi nelle sale mondiali ma a differenza di questi non è scorretto o interamente basato su improvvise apparizioni da salto sulla sedia, piuttosto si concentra sul modo in cui il comportamento di alcuni dei protagonisti cambia a seguito del trasferimento nella nuova casa; il padre diventa violento e scostante, come se fosse stato posseduto dallo spirito dell'omicida che un anno prima aveva perpetrato un massacro proprio all'interno dell'abitazione, lo spirito solare della madre viene distrutto da incubi ricorrenti, la bimba più piccola asseconda i voleri di un'"amica immaginaria" e persino il cane viene sconvolto dalla presenza che si nasconde nella casa.


Il Maligno si manifesta non tanto attraverso scene eclatanti, piuttosto grazie ad un furbo lavoro di regia e montaggio che unisce tra loro immagini evocative, capaci di far drizzare le antenne al pubblico, facendo leva, come direbbe Stephen King, sulla semplicità della storia in sé; per esempio, il prete che decide di andare a benedire la casa non viene accolto da esseri demoniaci, bensì da nugoli di mosche, e in seguito viene piagato da nausee, ferite sui palmi delle mani, persino cecità, tutti chiari effetti di una presenza demoniaca che non necessita di mirabolanti effetti speciali per essere palesata. Diciamo che i realizzatori hanno probabilmente preferito risparmiare sul budget tenendo da parte i soldi per il finale, un po' più dinamico ed elaborato (nonché ispiratore delle sequenze finali di Poltergeist), lasciando il resto alla linearità della sceneggiatura e alla recitazione degli attori, tra i quali spiccano James Brolin e l'anziano Rod Steiger. Il primo ha probabilmente funto da modello per la mitica interpretazione di Jack Nicholson in Shining, sebbene il suo passaggio da patrigno modello a violento psicopatico sia molto più frenato e "debole" rispetto a quello di Jack Torrance, e svolge bene la sua funzione di elemento disturbante ed imprevedibile, mentre il secondo si rende protagonista non solo delle scene più horror del film ma soprattutto di un'appassionata invettiva nei confronti di un paio di alti prelati troppo impauriti e menefreghisti per consentirgli di aiutare la povera famiglia Lutz (diciamo che la Chiesa non ci fa una bellissima figura, tra zie suore che scappano a gambe levate e sacerdoti che se ne lavano le mani...). In definitiva, se non lo avete mai visto Amityville Horror merita un recupero in virtù dei suoi tanti meriti, riconosciutigli solo in seguito; all'interno del film potreste trovare tante cosette interessanti a cui hanno attinto molte delle pellicole horror che tanto amiamo!

Stuart Rosenberg è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Nick mano fredda, Brubaker ed episodi di serie come Alfred Hitchcock presenta e Ai confini della realtà. Anche produttore e sceneggiatore, è morto nel 2007, all'età di 79 anni.


James Brolin (vero nome Craig Kenneth Bruderlin) interpreta George Lutz. Padre di Josh Brolin nonché attuale marito di Barbara Streisand, ha partecipato a film come Viaggio allucinante, Il mondo dei robot, La macchina nera, Traffic, Prova a prendermi e a serie come Batman e Pappa e ciccia. Americano, anche produttore e regista, ha 76 anni.


Margot Kidder (vero nome Margaret Ruth Kidder) interpreta Kathy Lutz. Canadese, la ricordo per film come Black Christmas (Un Natale rosso sangue), Superman, Superman II, Superman III, Superman IV e Halloween II; inoltre, ha partecipato a serie come La signora in giallo, Oltre i limiti, Smallville e doppiato episodi di Capitan Planet e i Planeteers. Anche produttrice, ha 68 anni e due film in uscita.


Rod Steiger (vero nome Rodney Stephen Steiger) interpreta Padre Delaney. Americano, ha partecipato a film come Fronte del porto, Il dottor Zivago, La calda notte dell'ispettore Tibbs (che gli è valso l'Oscar come miglior attore protagonista), Mars Attacks!, Giorni contati e ha doppiato un episodio de I Simpson. E' morto nel 2002, all'età di 77 anni.


Il romanzo di Jay Anson è basato sulla "vera" storia della famiglia Lutz i cui membri, dopo essersi trasferiti nella casa dove Ronald De Feo Jr. aveva ucciso nel sonno padre, madre e quattro dei fratelli, ne erano fuggiti terrorizzati da presunti (e mai comprovati) fenomeni paranormali; la cosa divertente è che Anson aveva scritto anche la sceneggiatura per il film ma i produttori l'hanno rifiutata, preferendo affidare il lavoro a Sandor Stern. Un'altra cosa che potrete notare guardando il film è che la bambola della figlia dei Lutz è una Raggedy Anne, ovvero lo stesso "modello" della vera Annabelle, quella che ha ispirato il film omonimo e L'evocazione; di fatto, pare che i veri Ed e Lorraine Warren avessero investigato gli eventi accorsi ad Amityville senza trovare, a loro dire, tracce di frode da parte della famiglia. Ovviamente, Amityville Horror ha generato, negli anni, una sterminata quantità di sequel più o meno apocrifi e anche un remake del 2005, al quale dovrebbe aggiungersi l'anno prossimo il reboot Amityville: The Awakening, diretto e sceneggiato da Franck Khalfoun e interpretato da Jennifer Jason Leigh: nell'attesa che esca, se Amityville Horror vi fosse piaciuto recuperate il prequel nostrano Amityville Possession, Amityville 3-D e gli straight-to-video Amityville Horror - La fuga del diavolo, Amityville: Il ritorno, Amityville 1992 (o Amityville: It's About Time), Amityville: A New Generation, Amityville Dollhouse e The Amityville Haunting, sulla qualità dei quali però non posso garantire nulla. ENJOY!

domenica 29 maggio 2016

Pomi d'ottone e manici di scopa (1971)

Non lo vedevo da decenni ma qualche sera fa mi è capitato di recuperare in TV Pomi d’ottone e manici di scopa (Bedknobs and Broomsticks), diretto nel 1961 dal regista Robert Stevenson e tratto dai romanzi Il magico pomo d'ottone, ovvero come diventare una strega in dieci facili lezioni e Falò e manici di scopa di Mary Norton.


Trama: negli anni della seconda guerra mondiale un’aspirante strega si ritrova costretta ad ospitare tre orfani proprio quando la sua istruzione magica per corrispondenza ha raggiunto un punto morto. Decisa a recuperare l’ultimo incantesimo mancante, il più importante, la donna si dirige a Londra, in cerca del suo insegnante…



Sono innumerevoli i film che ho visto e stravisto nel corso della mia infanzia ma purtroppo Pomi d’ottone e manici di scopa non è uno di questi; a differenza di Mary Poppins, Elliot il drago invisibile e persino La Gnomo-mobile o Darby O’Gill e il re dei folletti, visti perlomeno una decina di volte e recuperati anche in età più “avanzata”, Pomi d’ottone e manici di scopa non ha avuto l’onore di fissarsi nella mia memoria di bambina né di diventare in qualche modo un cult. E pensare che già solo la presenza di Angela Lansbury e dell’orrendo animatronic di un gatto nero avrebbe dovuto proiettarlo nell’empireo del mito, invece anche guardandolo pochi giorni addietro non è scattata la scintilla, nonostante mi sia scesa la lacrima ascoltando la canzone Portobello Road e l’ammirazione per la Lansbury e le sue mise surreali sia salita a tremila. Il problema del film, secondo il mio umilissimo parere, è la stretta sorellanza con Mary Poppins, di cui pare quasi una pallida imitazione, sorellanza dovuta ad un sacco di vicissitudini produttive di cui parlerò nelle note finali. Di base, lo schema seguito dai due film è più o meno lo stesso: bambini disagiati incontrano una signora dotata di poteri magici, assieme a lei vivono parecchie avventure (anche in universi a disegni animati) e vengono affiancati da una figura maschile sopra le righe, un po’ cialtrona ma fondamentalmente dal cuore buono. La differenza sostanziale tra le due protagoniste è che mentre Mary Poppins era “perfetta praticamente in tutto”, Miss Price è una pasticciona senza speranza, dotata della memoria di un criceto e per questo infinitamente più simpatica della tata volante, inoltre la sua missione non si limita a salvare i bambini e le loro famiglie da incomprensioni e superlavoro, bensì a contrastare i tedeschi intenzionati ad invadere i pacifici paesini inglesi, come preannunciato nei bellissimi titoli di testa. In virtù di queste differenze, Pomi d’ottone e manici di scopa risulta forse più vario e dinamico per quel che riguarda le ambientazioni e l’”azione” nel senso più vero del termine (si pensi anche solo alla scena finale con le armature e, in generale, ai pericoli ai quali vanno incontro i protagonisti), tuttavia il tempo lo ha fiaccato con non poche lungaggini, tanto che ho faticato ad arrivare alla fine.


I numeri musicali sono, a mio avviso, ciò che distrugge Pomi d’ottone e manici di scopa. Salvo la già citata Portobello Road, un trionfo di multi etnicità e nostalgia di un tempo che non tornerà mai più, e la simpatica Che bello ballonzolar, le altre canzoni non sono nulla di che e lo stesso vale per le coreografie che le accompagnano (se e quando le accompagnano, ovviamente). Abbastanza debole è anche la parte animata, composta da un balletto sottomarino e, ahimé, da un’infinita partita a calcio tra animali della foresta che diverte giusto il primo minuto e che mi sono ritrovata ad apprezzare soprattutto per il character design, identico a quello dell’adorato Robin Hood, con un Leonida/Principe Giovanni capellone ma scemo ed incazzoso quanto il re fasullo d’Inghilterra. Molto belle ancora oggi sono invece le scenografie, non a caso premiate all’epoca con l’Oscar, che mescolano pregevoli ricostruzioni in studio a location realmente esistenti e molto affascinanti, come per esempio Corfe Castle, nel Dorset; fanno il paio, ovviamente, i costumi azzeccatissimi e terribilmente stilosi della Lansbury, il cui ingresso a bordo di una motoretta scoppiettante, tra sbuffi di zolfo giallastro, è probabilmente uno dei più belli della storia del cinema. Non a caso, lei e David Tomlin reggono da soli il film, nonostante la Lansbury non abbia gradito l’essere costretta a “frenarsi”, condizionata da uno storyboard rigidissimo che le impediva di improvvisare come avrebbe voluto; problemi di recitazione a parte, è indubbio che la coppia funzioni e che la guasconeria (sempre molto elegante, per carità!) di Tomlin lasci il segno quanto la malinconica e testarda rigidità del suo Mr. Banks, dimostrazione che l’attore inglese era davvero un caratterista versatile e meritevole di aver lasciato un segno nell’infanzia della maggior parte dei 30/40enni di oggi. Nonostante ciò, mi sento di consigliare un recupero di Pomi d’ottone e manici di scopa solo se lo avete adorato nel corso della vostra esistenza perché se, come me, avete avuto modo di vederlo solo da bambini, probabilmente rimarrete delusi!   



Del regista Robert Stevenson ho già parlato QUI. Angela Lansbury (Miss Price), David Tomlinson (Emelius) e Roddy McDowall (Mr. Jelk) li trovate invece ai rispettivi link.


Julie Andrews aveva rifiutato il ruolo di Miss Price salvo poi pentirsene quando era ormai troppo tardi, perché nel frattempo Angela Lansbury aveva già firmato il contratto; sempre rimanendo in ambito Mary Poppins, la canzone Che bello ballonzolar era stata scritta per quel film ma era stata tagliata e quindi recuperata per Pomi d'ottone e manici di scopa. Il motivo di tutta questa serie di "coincidenze" è presto spiegato: nei primi anni '60 la Disney aveva acquisito i diritti dei due libri di Mary Norton, proprio nello stesso periodo in cui era cominciata la realizzazione di Mary Poppins. Quando la Travers, come raccontato in Saving Mr. Banks, aveva deciso di mettere i bastoni tra le ruote a Walt Disney, col rischio tangibile che il film non venisse mai realizzato, alla Casa del Topo erano cominciati i lavori per Pomi d'ottone e manici di scopa, che sarebbe stato girato al posto di Mary Poppins, nel caso il vecchio Walt non fosse riuscito a convincere la Travers. A parte questo, nel 1996 è uscita una versione rimasterizzata del film, contenente due sequenze inedite oltre ad una canzone tagliata nelle versioni originali, che se non erro è stata mandata in onda su qualche canale digitale della RAI; se Pomi d'ottone e manici di scopa vi fosse piaciuto recuperatela e aggiungete il pluricitato Mary Poppins, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Elliot,il drago invisibile. ENJOY!!!

venerdì 27 maggio 2016

The Invitation (2015)

Un altro film che sta giustamente spopolando sul web è The Invitation, diretto nel 2015 dalla regista Karyn Kusama.


Trama: Will e la nuova fidanzata Kira vengono invitati a casa di Eden, ex moglie di lui, e del suo compagno per una rimpatriata assieme ad altri amici. Reduce da un terribile trauma, Will inizia a temere che dietro la cena ci siano inquietanti secondi fini…

Pensereste mai, guardando un thriller, ad un film come Lost in Translation? Credevo che una cosa simile non fosse possibile, eppure durante la visione di The Invitation il mio pensiero è corso spesso e volentieri al film della Coppola e alle insistenti inquadrature del volto triste e fuori fase di Bill Murray, alla solitudine e al dolore tenuti a malapena a bada da uno stile di vita ben più che benestante, alle luci soffuse e “calde” che erano la cifra stilistica delle stanze dell’hotel dove si incontravano Murray e la Johansson, ognuno perso nei propri malinconici pensieri. Questo è probabilmente successo perché The Invitation è un film interamente centrato sul trauma subito dal protagonista Will e all’interno del quale tutto viene filtrato attraverso il suo punto di vista, inevitabilmente scollegato dal mondo che lo circonda e dagli amici (persino dalla fidanzata) che vorrebbero a tutti i costi tornare a catturare la sua attenzione, ricostruendo così un legame distrutto dalla tragedia; Will ha perso un figlio e ciò ha spinto non solo sua moglie a chiedere il divorzio dopo essere comprensibilmente uscita di testa, ma ha anche portato i suoi “meravigliosi” amici ad eclissarsi con la scusa di lasciargli spazio per elaborare il lutto, un modo carino e molto superficiale di allontanare una persona troppo complicata da gestire, insomma. Dopo due anni di solitario dolore, Will si ritrova così nell’imbarazzo di accettare l’invito del titolo originale, recandosi con ovvia riluttanza ad una cena organizzata dalla sua ex moglie e dall’attuale compagno di lei, entrambi ormai in pace con sé stessi grazie all’incontro con un “santone” conosciuto in Messico; invitation, come scoprirà Will, ha la doppia valenza di invito a cena ma anche ad entrare tra gli adepti del culto al quale si sono uniti Eden e David e, non a caso, accanto agli amici di sempre ci sono tra gli ospiti anche due estranei a dir poco peculiari. Tutta questa serie di circostanze sfavorevoli, alle quali se ne aggiungono altre che non vi spoilero, concorrono ad alimentare la diffidenza e i sospetti di Will, sensazioni che si trasmettono inevitabilmente allo spettatore e lo costringono a stare sul chi va là per tutta la durata della pellicola.

La caratteristica vincente di The Invitation è proprio questa capacità di procrastinare il momento clou e tenere viva e palpabile la tensione, lasciando lo spettatore a crogiolarsi nell’attesa; di fatto, l’appassionato medio di thriller e horror non avrà nessuna difficoltà a capire dove andrà a parare il film dopo i primi dieci minuti (al limite, se avete una fantasia galoppante come la mia potreste ritrovarvi indecisi su un paio di ipotesi relative alla natura della minaccia ma il risultato finale non dovreste sbagliarlo…) ma questo non ha importanza perché stavolta, anche se sembra una banalità, è più importante il percorso del traguardo. La scelta impopolare di girare un film interamente basato sull’attesa della “mazzata” e sull’elaborazione del lutto rende The Invitation un thriller particolarmente elegante, all’interno del quale bisogna apprezzare soprattutto la regia della Kusama, fatta di immagini raffinate che focalizzano l’attenzione dello spettatore non solo sui personaggi ma soprattutto sui dettagli, su quello che non viene mostrato e su ciò che viene percepito da Will nel corso della serata, prima di concludere con una zampata assai tamarra, più vicina agli altri film della regista che ho avuto modo di vedere; molto intrigante anche la location, con l’enorme casa a due piani zeppa di porte socchiuse su segretucci inquietanti e porte a vetri da cui osservare non visti e cercare di capire cosa c’è che non va all’interno della vicenda. Tra gli attori spiccano invece il sempre gradito John Carroll Lynch, con quella faccia da eterno sconfitto e la stazza da orso, perfetto per ruoli ingannevoli ed ambigui, e ovviamente il protagonista Logan Marshall-Green, ritratto di un uomo sconfitto dalla vita e probabilmente incapace di perdonare non solo sé stesso ma anche quegli amici che hanno scelto di abbandonarlo nel momento del bisogno, non a caso interpretati da attori che non si sono impegnati a conferire ai loro personaggi una certa profondità d’animo. Ma va bene così, perché effettivamente non ce n’era la necessità! Detto questo, The Invitation è un film che vi consiglio di recuperare appena possibile, soprattutto se vi piacciono i thriller “d’ambiente”.   

Della regista Karyn Kusama ho già parlato QUI mentre John Carroll Lynch, che interpreta Pruitt, lo trovate QUA.

Logan Marshall-Green interpreta Will. Americano, ha partecipato a film come Devil, Prometheus e a serie come 24 e The O.C.. Ha 40 anni e due film in uscita. 


Tammy Blanchard interpreta Eden. Americana, ha partecipato a film come Blue Jasmine e Into the Woods. Ha 40 anni e due film in uscita. 


Michiel Huisman interpreta David. Olandese, ha partecipato a film come World War Z e a serie come Il trono di spade. Ha 35 anni e tre film in uscita. 


Nel 2012 Zachary Quinto, Topher Grace e Luke Wilson erano stati ingaggiati per alcuni dei ruoli principali e visto quanto apprezzo questi attori è un peccato che non se ne sia fatto nulla. Detto questo, se The Invitation vi fosse piaciuto recuperate Piccoli omicidi tra amici, Rosemary's Baby e Una cena quasi perfetta. ENJOY!

giovedì 26 maggio 2016

(Gio)WE, Bolla! Copenhagen Edition

Come indica il titolo, oggi sarò già in viaggio per Copenhagen, dove starò fino a domenica. Per sopperire all'ovvia impossibilità di farvi conoscere gli abissi di depravazione in cui sarà sicuramente caduta la programmazione del multisala Savonese, vi piazzo un bell'elenco dei film in uscita questa settimana che mi piacerebbe vedere al ritorno... avrò fortuna? Mah! Nell'attesa di conoscere il mio destino, NYDE!


Somnia
Perché lo vorrei vedere? Perché un horror diretto da Mike Flanagan non va perso a prescindere. E poi perché c'è l'adorabile mostrillo Jacob Tremblay. L'unico problema è che sicuramente dalle mie parti non uscirà e, mannaggia alla morte, stavolta la distribuzione italiana ha superato a destra quella USA, col risultato che negli Stati Uniti il film uscirà a settembre e ottobre sarà probabilmente il primo mese buono per recuperarlo...
Probabilità di uscita a Savona: 10%


Julieta
Perché lo vorrei vedere? Perché Almodóvar da spesso delle gioie, soprattutto quando racconta storie di donne perseguitate da un doloroso passato. Dubito fortemente che sarà un altro Tutto su mia madre ma se capitasse lo guarderei volentieri!
Probabilità di uscita a Savona: 50%

E prima che qualcuno lo chieda: Alice attraverso lo specchio è già in cartellone ma piuttosto che andarlo a vedere mi sparo!

mercoledì 25 maggio 2016

Womb (2010)

Insomma, ho aspettato solo sei anni ma alla fine ho avuto modo di vedere il peculiare Womb, diretto e sceneggiato nel 2010 dal regista Benedek Fliegauf.


Trama: dopo la morte del fidanzato, una donna decide di partorirne il clone, scegliendo di affrontare tutti i problemi di questa scelta controversa...



Vorrei cominciare il post dicendo che Womb è un film molto bello ma per nulla facile. Il suo più grande difetto è il modo in cui traspare la volontà del regista e sceneggiatore di girare un film "di nicchia", che non concede allo spettatore né un accenno di commercialità né, tanto meno, un'apertura attraverso la quale arrivare al cuore di Fliegauf (questa è un'opinione strettamente personale e rispecchia essenzialmente ciò che ho provato guardando Womb, quindi prendetela con le pinze ché io col regista non ho mai parlato); di solito queste sono caratteristiche che confermano la bontà di una pellicola ma stavolta a mio avviso sono riuscite solo a rendere il film "superficiale", ricco di immagini bellissime e idee "scandalose" che tuttavia non riescono a dare il La a riflessioni ben più profonde. Il fulcro della trama, l'amore ossessivo della protagonista che sceglie di partorire il clone del suo amato pur di poter passare ancora del tempo con lui, è sconvolgente e surreale, eppure il regista ungherese ha ammantato Womb di una freddezza tale che la cosa sembra quasi normale. E' solo una volta finito il film, infatti, che ho avuto modo di ragionare sui pensieri e le azioni di Rebecca e del figlio clone, scrollandomi di dosso il brullo paesaggio marino che fa da sfondo alla vicenda e arrivando a pormi delle domande scomode, soprattutto relative al comportamento dei protagonisti: davvero il desiderio di riavere accanto la persona amata merita di essere perseguito al punto da mettere al mondo un essere che non potrà che essere infelice come chi lo ha generato (e al punto da andare contro le idee di quella stessa persona, attivista contrario alle manipolazioni dell'ingegneria genetica)? Davvero un clone, nonostante abbia seguito un percorso di crescita diverso dall'originale, è costretto comunque a sottostare alle pulsioni insite nel suo DNA? Ma soprattutto, qual era lo scopo ultimo della protagonista e del regista? Col senno di poi, pare che Benedek Fliegauf puntasse essenzialmente alla scena clou finale, preannunciata più volte nel corso della pellicola, ma non voglio credere che un film dall'incipit così complesso si debba ridurre solo a questo.


Ora, rileggendo il paragrafo precedente pare che questo film l'abbia odiato ma non è così. E' difficile detestare una pellicola sulla quale ci si ritrova a ragionare per giorni, così come è difficile sottrarsi alle atmosfere malinconiche, ai paesaggi desolati ricreati dal regista e soprattutto allo sguardo ambiguo e cupo di una Eva Green favolosa come sempre. Nei silenzi e negli sguardi dell'attrice è racchiusa tutta l'impotente disperazione di un personaggio che ha scelto di vivere, per amore e per una forma di egoismo travestita da generosità, un'esistenza da reietta che nel corso del film la trasforma da ragazza innamorata a donna sfiorita, poco meno inquietante della madre di Norman Bates. Il viso allegro e "strano" di Matt Smith è invece un perfetto contraltare di quello della Green, e allo spettatore fa ancora più male vedere le espressioni scanzonate di chi non ha idea della propria reale natura cambiare mano a mano che la terribile verità di un passato non scelto sale a galla. La decisione di ambientare il film in un luogo isolato, con poche baracche situate su una spiaggia ben distante dal centro abitato, accentua ancora più la peculiarità dell'animo della protagonista e la sua condizione di "straniera in terra straniera" (Rebecca ha passato dieci anni a Tokyo), inconsapevole delle dinamiche pettegole che rischiano di crearsi all'interno di un piccolo paesino; la natura del mondo esterno riflette alla perfezione quella del microcosmo interno di Rebecca, fatto di tempestosi sconvolgimenti e cupi momenti di statica quiete, dove le uniche due persone che contano rischiano di perdersi... oppure di separarsi per sempre, chissà. Se ci avete capito qualcosa in questo post sconclusionato vi consiglio di recuperare Womb ma vi avverto di nuovo che è un film che richiede un bel po' di attenzione e apertura mentale. Se al momento non ve la sentite, potete sempre aspettare sei o sette anni, come ho fatto io!


Di Eva Green (Rebecca) e Matt Smith (Thomas) ho già parlato ai rispettivi link.

Benedek Fliegauf è il regista e sceneggiatore della pellicola. Ungherese, ha diretto film come Dealer, Milky Way e Just the Wind, mai arrivati in Italia ma passati per parecchi festival internazionali. Anche produttore, compositore e attore, ha 42 anni.


Se il film vi fosse piaciuto recuperate Perfect Sense e magari anche Cracks. ENJOY!

martedì 24 maggio 2016

X-Men: Apocalisse (2016)

Siete pronti a leggere il lunghissimo sproloquio SENZA SPOILER su X-Men: Apocalisse (X-Men: Apocalypse), diretto e co-sceneggiato dal regista Bryan Singer? Dai, non perdiamo tempo.


Trama: A dieci anni dagli eventi accorsi nell'ultimo film Mystica è un'eroina ormai leggendaria, Magneto si è ritirato a vita privata e Xavier ha aperto la sua scuola per giovani dotati. Il risveglio dell'antichissimo mutante Apocalisse e l'arrivo dei suoi quattro Cavalieri cambierà ovviamente le cose, costringendoli a tornare in azione...


 Invecchiando cambiano le priorità, ormai l'ho capito. Se 20 anni fa mi avessero detto che sarebbe uscito un film sugli X-Men, avrei ovviamente voluto vedere sul grande schermo quanti più mutanti possibili, non importa per quanto tempo, e mi sarei divertita come una matta a puntare il dito urlando a squarciagola "Ma quello è - inserire nome mutante a piacere - !!!" per poi magari ficcarmi lo stesso dito in gola vomitando per l'orrore di un make-up teso a rovinare per sempre l'immagine di un personaggio che sulla carta era un figo pazzesco (Sabretooth nel primo X-Men docet). Allo stesso modo, se 20 anni fa mi avessero detto che avrei aspettato con più ansia una pellicola sugli odiati Avengers rispetto ad una dedicata agli X-Men avrei riso e sicuramente avrei giurato che la seconda sarebbe stata meglio della prima. Oggi però voglio assolutamente mettere nero su bianco che le parate di guest star non mi bastano più e che, per quanto blanda, voglio l'introspezione psicologica, ESIGO che si creino un minimo di legami sensati tra i personaggi, soprattutto che i nuovi eroi introdotti non siano messi lì tanto per vendere pupazzetti o stagliarsi sullo schermo freddati in improbabili pose epiche. Nei limiti, a queste poche pretese sono venuti incontro la Marvel e persino Gabriele Mainetti, la Fox e Bryan Singer invece no, quindi mi ritrovo a dire che X-Men: Apocalisse è semplicemente un divertente fumettone senz'anima, buono per una serata in compagnia passata a scommettere come Xavier perderà i capelli o poco più, dimenticabile nel giro di una settimana o anche meno. Quello che nei primi due reboot era uno spunto interessante, ovvero mostrare, di decennio in decennio, un mondo ancora "vergine" per quanto riguarda la questione mutante, e gli stessi mutanti ancora incerti su come usare i propri poteri o affrontare la propria diversità, in X-Men: Apocalisse si rivela un autogol sottolineato dalla stessa Mystica in uno dei dialoghi: di Magneto parliamo tra un attimo, ma com'è possibile che per dieci anni (l'azione si è spostata negli anni '80) Xavier, nonostante possieda un macchinario capace di trovare chiunque sia in possesso del Gene X, si sia isolato nella sua scuoletta pensando solo ai mutanti che possono pagare la retta quando nel resto del mondo i suoi simili vengono sfruttati come fenomeni da baraccone? Mistero.


Da qui si snoda la trama di X-Men: Apocalisse, la cui azione "vera" parte dal momento in cui Mystica, forse l'unico personaggio ancora tratteggiato decentemente, decide di dare la sveglia a Xavier. Ma il film si chiama Apocalisse, quindi parliamo di En Sabah Nur. Il villano della pellicola si ritaglia un paio di scene epiche, scatenando "fenomenali poteri cosmici" capaci di far scurire la braghetta di Stan Lee e della moglie, ma in definitiva Elvis avrebbe potuto prenderlo da parte e dirgli: "A little less conversation, a little more action please". Buona parte del film infatti è basata soltanto sul lavoro di restyling offerto dal vecchio Apocalisse ad un quartetto di mutanti, ai quali viene data non solo la possibilità di aumentare i propri poteri ma anche quella di sfoggiare un look cool indispensabile per gli araldi di una Divinità egizia; e se è vero che Tempesta, orfana abitante del Cairo costretta a rubare per vivere, oppure Angelo, privato delle ali come nel fumetto, un paio di motivi per dare retta a 'sto vecchio pedofilo ce li avrebbero pure, nulla giustifica la decisione dell'inutile Psylocke e di Magneto di seguirlo imbarcandosi nella distruzione del mondo "perché sì". A proposito di personaggi gettati a caso nel calderone, Psylocke, Havok e Jubilee hanno avuto la sfiga di finire sotto le mani di sceneggiatori incompetenti ottenendo lo spessore di tre figurine di carta, tanto che vi sento già pensare "Jubilee chi?": ecco, avete presente la tizia con l'impermeabile giallo, i codini e gli orecchini grossi che dirà due parole in tutto il film? E' una dei personaggi mutanti più gradevoli di sempre ma in X-Men: Apocalisse è diventata una tristissima marchetta che abbiamo riconosciuto solo noi nerd. Forse però è andata peggio a Magneto il quale, come dicevo, per ogni anno che passa perde probabilmente un pezzo di cervello e non sa più bene se essere buono o cattivo, dipende da quale enorme tragedia ha la sventura di segnarlo quel giorno e se la bromance tra lui e Xavier funziona oppure no. Sta di fatto che ormai Xavier a furia di perdere parti del corpo per colpa di Magneto è diventato 'na chiavica, mentre Erik viene rimandato a casa con una ramanzina e una botta di "vecchio amico" a prescindere che faccia saltare un pianeta oppure uccida una cucciolata di gattini (vi rendo edotti del fatto che il bodycount di X-Men: Apocalisse è altissimo e le implicazioni delle azioni di ogni mutante coinvolto farebbero schiumare di rabbia non solo Trump, Salveenee e Tony Stark ma persino il Dalai Lama eppure nessuno batte ciglio. Giuro. Come se nulla fosse successo).


Sulla trama e i personaggi non dirò più nulla, rischio lo spoiler e ho promesso che non ne avrei fatti, rinuncio anche a spiegarvi qualcosa sulla continuity, tanto il furbissimo Singer ha cancellato i tre film originali e il futuro mostrato in Giorni di un futuro passato con un barbatrucco temporale quindi ha ragione lui (nei limiti, ché comunque mi deve spiegare cosa diamine ci fa un Angelo adolescente a Berlino negli anni '80). Aggiungo solo, per ricollegarmi alla parte tecnica del film, che il Quicksilver di Evan Peters è favoloso come sempre e, insieme a Hugh Jackman, vince a man bassa per quel che riguarda le sequenze più fighe di tutta la pellicola. Narra la leggenda che Peters sia stato l'attore che ha passato più tempo sul set, probabilmente perché la scena riservata a Quicksilver in Giorni di un futuro passato era qualcosa di spettacolare e giustamente i produttori e Singer hanno deciso di girarne una simile, più lunga e più divertente, sulle note di Sweet Dreams, facendone il fiore all'occhiello di X-Men: Apocalisse; per il resto, le altre due sequenze che ho molto apprezzato sono quella iniziale e quella ambientata dentro Cerebro, andando avanti si assiste invece ad un triste riciclo di idee straviste nei film precedenti e, peggio ancora, ad una certa sciatteria fatta di scene statiche e pose epiche che paiono realizzate apposta per creare dei wallpapers (a farne le spese, neanche a dirlo, sono quella tristezza di Psylocke e la povera Tempesta). Il make-up e il guardaroba dei personaggi, i due elementi che più di tutti rischiano di trascinare nel baratro dell'ignominia un film di supereroi, vanno dall'inguardabile di un Nightcrawler emo e un Angelo zamarro, alla bellezza di una Tempesta finalmente credibile e con un taglio di capelli e una tinta "naturali", un bel traguardo rispetto all'orrido gnomo imparruccato che era Halle Berry. Gli attori portano più o meno tutti a casa la pagnotta, nei limiti ovviamente della caratterizzazione del loro personaggio. Se, infatti, McAvoy, la Lawrence ed Evans ne escono a testa alta, a farne le spese stavolta sono Michael Fassbender, decisamente poco convinto, il povero Oscar Isaac sepolto sotto tonnellate di cerone, un'Olivia Munn tanto attesa e tanto gnocca ma anche tanto gatta di marmo e un Nicholas Hoult nei panni di una Bestia interessata solo a bombarsi Mystica (ho davvero sentito la frase "E io copro te!" in un film di supereroi? Serva, GIRATI che ti copro!), mentre i novellini Nightcrawler, Jean, Tempesta e Ciclope alla fine sono carini e potrebbero regalare delle soddisfazioni in futuro. Se un futuro ci sarà per la franchise. Quello che spero è che NON ce ne sia uno per l'orribile doppiaggio italiano. Vi prego, davvero, BASTA utilizzare degli stranieri per doppiare accenti diversi da quello americano: già l'Ajax di Deadpool faceva schifo ma Magda e Nightcrawler sono proprio inascoltabili, un mortale mix tra "spaco botilia amazo familia" e una pessima imitazione di Papa Ratzinger. Possiamo ritornare all'uniformità di accenti e al limite se vogliamo capire la nazionalità di un personaggio recuperiamo il film in lingua originale o la evinciamo dai dialoghi? Grazie. Ah, il post è finito, potete andare in pace Vecchi Amici.


 Del regista e co-sceneggiatore Bryan Singer ho già parlato QUI. James McAvoy (Professor Charles Xavier), Michael Fassbender (Erik Lehnsherr/Magneto), Jennifer Lawrence (Raven/Mystica), Nicholas Hoult (Hank McCoy/Bestia), Oscar Isaac (En Sabah Nur/Apocalisse), Rose Byrne (Moira MacTaggert), Evan Peters (Pietro Maximoff/Quicksilver), Tye Sheridan (Scott Summers/Ciclope), Lucas Till (Alex Summers/Havok), Kodi Smit-McPhee (Kurt Wagner/Nightcrawler) e Hugh Jackman (un non accreditato Logan) li trovate invece ai rispettivi link.

Josh Helman interpreta il Colonnello William Stryker. Australiano, ha partecipato a film come X-Men: Giorni di un futuro passato, Mad Max: Fury Road e a serie come Home and Away e Wayward Pines. Ha 30 anni e un film in uscita.


Olivia Munn (vero nome Lisa Olivia Munn) interpreta Psylocke. Americana, ha partecipato a film come Iron Man 2, Magic Mike, Liberaci dal male e Zoolander 2, inoltre ha lavorato come doppiatrice per serie come Robot Chicken. Anche sceneggiatrice, ha 36 anni e un film in uscita.

Sophie Turner, che interpreta Jean Grey, ha ottenuto la fama come Sansa Stark della serie Il trono di spade ma siccome non si parla ancora di un sequel diretto del film non è detto che torni nei panni della rossa telepate; Alexandra Shipp invece, che nel film interpreta Tempesta, potrebbe tornare nell'annunciato spin-off X-Men: The New Mutants, la cui data è ancora da destinarsi. Passando a chi non ce l'ha fatta, Tom Hardy ed Idris Elba erano stati contattati per il ruolo di Apocalisse poi scartati (fossi in loro me ne farei una ragione, indubbiamente!) mentre per quello di Jean erano in lizza Elle Fanning, Chloë Grace Moretz, Hailee Steinfeld, Saoirse Ronan, Lily Collins e persino Margot Robbie; Taron Egerton (il protagonista di Kingsman: Secret Service) ha giustamente rifiutato il ruolo di Ciclope mentre Kodi Smit-McPhee aveva invece rinunciato di interpretare il giovane Logan in X-Men: le origini - Wolverine e a proposito del canadese artigliato questo sarà il penultimo film in cui Hugh Jackman ne vestirà i panni, prima di concludere l'ormai quasi ventennale carriera con una pellicola (ancora senza titolo) che dovrebbe uscire l'anno prossimo. Rimaniamo in tema progetti futuri. Jennifer Lawrence ha dichiarato che questo sarà il suo ultimo film nei panni di Mystica, mentre Fassbender, McAvoy e Hoult si sono resi disponibili per ulteriori sequel, nel caso gli script fossero interessanti; al momento, tuttavia, in cantiere per l'universo mutante cinematografico ci sono "solo" Deadpool 2, il già citato spin-off X-Men: The New Mutants, X-Force (nel quale dovrebbe tornare Psylocke) e il nuovo Wolverine, al quale dovrebbe fare riferimento la scena post-credit di X-Men: Apocalisse. Nell'attesa, se questo film vi fosse piaciuto recuperate  X-MenX-Men 2X-Men - Conflitto finale, X-Men - L'inizio X-Men: Giorni di un futuro passato, X-Men Origins: Wolverine, Wolverine - L'immortale e Deadpool. ENJOY!

L'angolo del nerd (o del gnègnègnè, fate voi!!)
HIC SUNT SPOILER

En Sabah Nur/Apocalisse: diciamo che pressappoco quello del film rispetta la controparte cartacea, i cui poteri sono assai nebulosi. Fondamentalmente, parliamo di un mutante antichissimo capace di controllare ogni molecola del proprio corpo il quale, in aggiunta, è entrato in possesso della tecnologia dei Celestiali rendendosi virtualmente immortale; col tempo è diventato anche telepate, telecineta, spara raggi, guarisce altri mutanti, è in grado di modificarli geneticamente... insomma, un tuttofare che ha creato non pochi grattacapi agli X-Men presenti, futuri e di altre dimensioni (d'altronde la saga Era di Apocalisse era interamente basata su di lui). L'ultima volta che ho letto fumetti Marvel Apocalisse era un adolescente di nome Evan, clonato dalle cellule del malvagio e cresciuto in un mondo artificiale. Avete mal di testa, eh?

I quattro cavalieri di Apocalisse: siccome anche questi sono diventati, col tempo, tanti quante le stelle in cielo, soffermiamoci su quelli contemplati anche nel film. Angelo è stato uno dei primi X-Men a diventare Cavaliere, col nome di Morte, proprio perché gli erano state strappate le ali in battaglia e Apocalisse gliene ha dato un paio di acciaio organico, semi-senzienti, oltre a fornire al mutante un bel colore blu puffo e una personalità da psicopatico. Anche Psylocke è stata Morte per un certo periodo, così come Calibano, visto brevemente nel film e stravolto da Apocalisse sia nel fisico che nell'animo. Gli altri Cavalieri sono Pestilenza, Carestia e Guerra e tra gli eroi "conosciuti" ad essere finiti a ricoprire l'uno o l'altro ruolo ci sono stati anche Wolverine, Gambit (entrambi come Morte) e persino Hulk (Guerra).

Magda: ebbene sì, è vero che Magneto si è sposato e ha avuto dei figli dall'umana Magda, ma questo prima di sapere di essere un mutante. Nella fattispecie, i suoi poteri si sono scatenati per la prima volta dopo che una folla inferocita, scoperta la natura di Erik, ha bruciato la casa del mutante con dentro la prima figlioletta, Anya. Magda è fuggita terrorizzata dopo che Magneto ha sterminato la folla, dando poi APPARENTEMENTE luce a Pietro e Wanda, i futuri Quicksilver e Scarlett (il fatto che ora si sia scoperto come costoro non fossero i veri figli di Magneto e neppure mutanti è uno dei motivi per cui mi sono rotta le palle di leggere i comics della Marvel) prima di morire.

Psylocke: Elizabeth "Betsy" Braddock era una mutante inglese dai blandi poteri telepatici che, per traversie che non vi sto a raccontare, si è ritrovata nel corpo di una mutante ninja giapponese, cosa che nel tempo le ha causato non pochi scompensi psico-fisici e un lato oscuro mica da ridere. L'espressione fisica dei suoi poteri telepatici (ai quali col tempo si sono aggiunti anche quelli telecinetici) è la cosiddetta "lama psionica", capace di lobotomizzare le persone, non quella belinata né carne né pesce vista nel film!! Capre! Al momento la signorina dovrebbe militare in X-Force ma per anni è stata una delle colonne portanti degli X-Men.

Essex: Nathaniel Essex, conosciuto come Sinistro. Nel film non si vede neppure, si legge solo il suo cognome su una valigetta, ma sappiate che è uno dei mutanti più pericolosi del mondo, uno scienziato pazzo mutaforma con il pallino della genetica. E' grazie a lui se praticamente tutti i mutanti morti tornano in vita (ha una scorta di cloni praticamente infinita) e se Scott Summers ha più figli di Noé, tutti sparsi in una moltitudine di realtà e futuri, poiché Sinistro ritiene che nel gene dei Summers si nasconda il segreto per creare il mutante perfetto.




lunedì 23 maggio 2016

Cannes 2016

L'ho già detto un paio di volte negli ultimi tempi e potrei anche ripeterlo, non mi merito di avere un blog di cinema. Della Cannes di quest'anno non ho seguito nulla, non so quasi nemmeno quali film siano passati (a parte Il GGG di Spielberg, Personal Shopper con Kristen Stewart e ovviamente The Neon Demon di Nicolas Winding Refn, gli unici di cui ho sentito parlare) quindi l'elenco dei vincitori sarà particolarmente freddo e distaccato.


La Palma d'Oro va a I, Daniel Blake del regista Ken Loach, un film che parla dei nuovi poveri e di lavoratori in lotta contro la fredda e spietata burocrazia. In Italia dovrebbe arrivare in autunno ma si sa come funziona con la distribuzione!


Nell'indecisione, il premio per la miglior regia è andato a ben due autori, Olivier Assayas per Personal Shopper e Cristian Mungiu per Bacalaureat. Personal Shopper, nonostante la presenza di Kristen Stewart, mi ispira in quanto thriller con venature sovrannaturali (inoltre il regista è lo stesso di Sils Maria, di cui ho sentito parlare benissimo) ma anche Bacalaureat pare non essere male, un film sull'essere genitori e sul "fine che giustifica ai mezzi" per amore dei propri figli. Di nessuno dei due film è ancora disponibile una data di uscita italiana.


Il miglior attore è risultato essere l'iraniano Shahab Hosseini, del quale non avevo mai sentito parlare fino ad oggi. Il film Le client, diretto e sceneggiato dal regista Asghar Farhadi, parla di una coppia che, nel corso della rappresentazione di Morte di un commesso viaggiatore, comincia a sfaldarsi. Sarà interessante? Chissà!


Pare più nelle mie corde Ma' Rosa, diretto da Brillante Mendoza, che è valso a Jaclyn Jose il premio come miglior attrice per l'interpretazione della donna del titolo. Il film racconta la vita di una madre che gestisce un negozietto di alimentari a Manila e, per mantenere i suoi figli, è costretta anche a vendere narcotici, almeno finché non viene arrestata assieme al marito dalla polizia. Storia di disperazione e corruzione, due elementi che paiono essere il filo conduttore dei premi assegnati a Cannes quest'anno.


Per concludere questa sconclusionata rassegna Cannesiana, sottolineo anche la vittoria del Grand Prix della giuria, andato al giovane ma ormai scafatissimo Xavier Dolan per Juste la fine du monde, che vede nel cast pezzi da novanta come il protagonista Gaspard Ulliel e i comprimari Marion Cotillard e Vincent Cassel. Che dire, c'è solo da aspettare un'uscita italiana! ENJOY!

domenica 22 maggio 2016

Hush (2016)

Ne stanno parlando tutti benissimo quindi è venuta anche a me voglia di guardare Hush, diretto e co-sceneggiato dal regista Mike Flanagan e distribuito in Italia con l'orrido titolo Il terrore del silenzio che durante il post non userò manco morta!


Trama: all'età di 13 anni la scrittrice Maddie è diventata sordomuta a causa di una meningite. Nonostante questo handicap, per poter immergersi meglio nel lavoro la ragazza ha scelto di vivere in un'isolata casa di campagna e una sera viene aggredita proprio lì da un uomo mascherato e armato di balestra, intenzionato a ucciderla...



Quello delle home invasion è un filone tra i più ansiogeni che siano mai stati creati. Dopo avere apprezzato Mike Flanagan come autore di horror sovrannaturali, posso dire di avere gradito molto anche il suo approccio a questo genere meno "fantasioso" ma più terrificante, soprattutto perché lui e la moglie Kate Siegel (che veste anche gli scomodi panni della protagonista) si sono impegnati a creare un terribile gioco tra gatto e topo, zeppo di ostacoli da superare necessariamente con una buona scrittura e un'ottima regia. Ciò che differenzia Hush dalla maggior parte degli home invasion è proprio il fatto che, come da titolo originale, la protagonista è muta e soprattutto sorda; all'handicap di non poter chiamare aiuto una volta capito che qualcuno la vuole uccidere si aggiunge pertanto quello di non sentire neppure il proprio aguzzino e qui viene meno il grosso vantaggio che le damsel in distress mediamente furbe possono sfruttare per sopravvivere in situazioni simili. Maddie è letteralmente costretta a tenere SEMPRE il killer sotto stretto contatto visivo e ciò scatena inevitabilmente nello spettatore dei moti d'ansia ininterrotti perché, ovviamente, la protagonista deve esporsi più del necessario e ogni volta che lo psicopatico esce dall'inquadratura subentra la consapevolezza che potrebbe trovarsi davvero ovunque, protetto dalla cappa di silenzio che opprime la ragazza. E' proprio questo dettaglio apparentemente "insignificante" a creare tutta una serie di dinamiche capaci di rivitalizzare e rendere ancora originale un filone ormai abusato come quello degli home invasion, oltre ad incrementare l'empatia provata dallo spettatore verso la protagonista, potenzialmente più fragile di altri e quindi maggiormente degna di umana pietà.


Kate Siegel mette palesemente l'anima nell'interpretazione di Maddie, aiutata da una sceneggiatura che fa di tutto per renderla simpatica e molto umana, ponendo l'accento su quei piccoli difetti che esulano dal suo handicap e relazionandola con pochi personaggi che, giustamente, la trattano come la persona normale che vorrebbe essere. Di fatto anche il maniaco si rapporta a Maddie come farebbe con qualsiasi altra vittima, sfruttando i suoi problemi non tanto come un vantaggio (il film finirebbe subito) ma piuttosto come un divertimento aggiunto che potrebbe potenzialmente portare avanti il suo gioco perverso all'infinito. Certo, laddove Kate Siegel è capace e profondamente espressiva, quel John Gallager Jr. che già non avevo apprezzato in 10 Cloverfield Lane lascia un po' a desiderare anche qui ma fortunatamente lo spettatore italiano potrà ravvisare un'incredibile somiglianza con il baldo Salveenee, cosa che mi ha reso il personaggio ancora più inviso e, di conseguenza, ha trasformato ogni mazzata infertagli in un attimo di pura e semplice goduria. Gli ultimi punti a favore della pellicola sono il sonoro (e soprattutto la parziale assenza dello stesso) e la capace regia di Mike Flanagan il quale, nonostante sia la Blumhouse che la Intrepid Pictures lo stiano praticamente facendo lavorare a cottimo, non perde un briciolo della sua eleganza neppure dietro la macchina da presa e sono convinta che mi darà ancora parecchie gioie per il futuro. Quindi, dategli fiducia e recuperate Hush!


Del regista e co-sceneggiatore Mike Flanagan ho già parlato QUI mentre John Gallager Jr., che interpreta Salv... ehm... "l'uomo", lo trovate QUA.

Kate Siegel interpreta Maddie ed è anche la co-sceneggiatrice della pellicola, oltre che moglie di Mike Flanagan. Americana, ha partecipato a film come Oculus - Il riflesso del male e a serie come Ghost Whisperers e Numb3rs. Ha un film in uscita, Ouija 2 che, in quanto diretto da Flanagan, si spera verrà fuori meglio del predecessore.


Se Hush vi fosse piaciuto recuperate Gli occhi della notte, The Strangers, You're Next e Funny Games. ENJOY!

venerdì 20 maggio 2016

The Boy (2016)

Ultima degli ultimi (in più di un senso visto che credo di essere l'unica ad esserlo andata a vedere al cinema), martedì ho guardato The Boy, del regista William Brent Bell.


Trama: Greta è una ragazza americana che si reca in Inghilterra per lavorare come babysitter alle dipendenze di una ricchissima famiglia. I problemi sorgono quando il bambino da accudire si rivela una bambola di porcellana, la cui cura è governata da strettissime regole...



Forse dovrei considerare la chiusura del Bollalmanacco. No, non è uno sfogo dovuto alla mancanza di commenti, lettori o quant'altro ma semplicemente alla mancanza di memoria. Alla fine della recensione di Le metamorfosi del male avevo scritto "Ormai il nome William Brent Bell l'ho segnato sull'agenda nera degli indesiderati e confido non mi farà mai più fessa". Infatti sono subito corsa al cinema a vedere The Boy, fresca come un quarto di pollo. Fortunatamente la mia dabbenaggine stavolta non è stata punita o, meglio, non come avrei meritato, in quanto The Boy non è un film orribile come L'altra faccia del diavolo o insignificante come Le metamorfosi del male, bensì un prodottino simpatico che si lascia guardare dall'inizio alla fine. Ovviamente, chi legge da un po' di tempo il blog sa benissimo che la mia opinione è viziata da un atavico terrore nei confronti di bambole, pupazzi, clown e affini, fobia che mi ha quasi portata alla morte durante il primo tempo del film (mai ho benedetto tanto la scelta di rimettere l'intervallo!), alla fine del quale ho letteralmente chiesto pietà all'amico Ale sussurrando "Ale, io me ne vado! Non ce la faccio più!"; d'altronde, il maledetto Brahms, questo il nome del bambolotto, fa percepire la sua presenza incombente anche quando non è inquadrato e l'intera prima parte del film è giocata interamente sul mistero che lo circonda, sulle regole da seguire pedissequamente per non incorrere nella sua ira e sulla condizione solitaria della bambinaia Greta, straniera in terra straniera e per di più in fuga da una situazione familiare a dir poco cupa. La seconda parte è più "tranquilla" e mi ha lasciata pressoché indenne, anche perché Greta fortunatamente comincia ad assecondare il pupazzo e viene trattata bene di rimando, senza contare che nella testa dello spettatore mediamente scafato potrebbe cominciare a farsi strada tutta una serie di ipotesi capaci di mettere in discussione ciò che viene mostrato all'interno del film. E più non dimandate.


Si diceva, William Brent Bell. Il regista ha fortunatamente scelto di abbandonare lo stile found footage per abbracciare un più anonimo ma sicuramente molto più piacevole approccio classico; niente telecamere nascoste, per intenderci, che in casa di Brahms non arriva nemmeno il WI-FI, ma comunque tante soggettive ad altezza bambolotto, riprese ad ampio respiro tipiche degli horror a tema "casa infestata" e parecchi omaggi a gente del calibro di Carpenter e della bonanima di Wes Craven, soprattutto nella seconda parte del film. L'ambientazione, per chi come me ama l'Inghilterra e le vecchie magioni nobiliari, è uno dei punti forti del film, con scenografie che ricreano alla perfezione il senso di isolamento e solitario terrore a cui viene sottoposta la protagonista, grazie anche ad un valido utilizzo di specchi, porte, soffitte e quant'altro possa servire a nascondere eventuali presenze malevole agli occhi dei personaggi e dello spettatore. Neanche a dirlo, il punto debole del film, al di là di una storia che può convincere come no, dipende come al solito dall'occhio di chi guarda, sono invece gli attori; presenze anonime dalla personalità appena abbozzata (il garzone sarà anche simpatico ma è fastidioso come una zanzara mentre il fidanzato manesco sarebbe da appendere al muro subito), non ce n'è uno che rischi di rimanere impresso nella memoria dello spettatore, nemmeno la bellissima Lauren Cohan la quale, perlomeno, ha la fortuna di godere di un minimo di approfondimento psicologico, per quanto trito e ritrito. D'altronde, il vero protagonista del film è il bambolotto Brahms, con quella faccia già inquietante di suo che i realizzatori sono riusciti a rendere ancora più terrificante grazie ad abili giochi di luce in grado di infondergli una strana, impenetrabile e malvagia espressività (se fossi stata in Greta avrei rifiutato il lavoro per principio, ovviamente), quindi se avete paura di questo genere di film come la sottoscritta potreste anche apprezzare. Diciamo che stavolta Bell è riuscito a non farsi schifare come in passato ma, tanto, chi se ne frega: probabilmente la prossima volta avrò di nuovo dimenticato il suo nome!


Del regista William Brent Bell ho già parlato QUI.

Lauren Cohan interpreta Greta Evans. Americana, la ricordo innanzitutto per il ruolo di Maggie Greene nella serie The Walking Dead, inoltre ha partecipato a film come Batman vs Superman: Dawn of Justice e ad altre serie come Supernatural, Beautiful, CSI: NY e Cold Case. Ha 34 anni e un film in uscita.


Per la serie "dove l'ho già visto": Rupert Evans, che interpreta Malcom, era l'agente che diventava il "babysitter" di Hellboy nel primo film dedicato alla creatura di Mike Mignola. Detto questo, se The Boy vi fosse piaciuto recuperate La bambola assassina, Dolls, L'evocazione - The Conjuring e anche La casa nera. ENJOY!

giovedì 19 maggio 2016

(Gio)WE, Bolla! del 19/5/2016

Buon giovedì a tutti! Scusate il ritardo ma sono reduce da quella meraviglia di concerto dei Muse e il sonno è venuto prima di tutto. Questa settimana a Savona sono usciti solo due film nuovi, comunque due pezzi da novanta, eh... ENJOY!

 X-Men: Apocalypse
Reazione a caldo: Evviva!!!
Bolla, rifletti!: Gli X-Men cartacei sono stati la mia passione per anni sebbene ora, dopo l'ennesimo mastruzzo editoriale made in Marvel, abbia scelto di abbandonarli definitivamente; paradossalmente, per i film targati Fox invece ho molto meno hype rispetto a quando escono le pellicole dedicate agli Avengers ma sono sicura che questo Apocalypse sarà un trionfo!

La pazza gioia
Reazione a caldo: Mi ispira.
Bolla, rifletti!: Eh già. Nonostante la Ramazzotti, un cane in guisa di attrice della quale ancora non capisco il successo, l'ultimo film di Virzì andrei a vederlo. Magari con la mamma, che al cinema non va mai.

Il cinema d'élite rimane nei territori di Cannes...
 
Pericle il nero
Reazione a caldo: Mah.
Bolla, rifletti!: Non so. Scamarcio versione picchiatore cattivo non lo vedo benissimo. Storia di un criminale che fugge e si redime per amore? Poco convincente invero, ma potrei sbagliarmi.