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mercoledì 26 agosto 2009

Snakes on a Plane (2006)

Nel lontano continente australiano si è molto influenzati dai cuginetti americani. Capita quindi che i giornali della Terra dei Canguri diano molto risalto a film che hanno pian piano raggiunto un livello di cult raramente eguagliato, mentre qui magari gli stessi film passano praticamente inosservati. Ed è così che io sono riuscita ad infiammarmi, prima ancora della sua uscita, per Snakes on a Plane, pellicola del 2006 diretta da David R. Ellis, semplicemente leggendo di un film modellato sui gusti del pubblico, tramite un blog che il regista ha tenuto per tutta la realizzazione per rimanere in contatto con quanti aspettavano con ansia la sua uscita. I miei studenti di allora ricorderanno i miei deliranti status su MSN, che recitavano cose tipo: “Can’t wait to see those motherfucking snakes on that motherfucking plane!”, tanto che alla fine credo di essere stata l’unica insegnante a venire accompagnata da un branco di teenagers festanti che non vedevano l’ora di assistere allo spettacolo non tanto del film ma della prof ormai impallata. E il bello è che ne siamo usciti tutti soddisfattissimi, e anche a rivederlo questo Snakes on a Plane è puro delirio.

La trama? Ci sono serpenti. Su un aereo in volo. E Samuel L. Jackson a farli fuori. Direi che basta questo per convincere chiunque a vederlo.


Allora, freno un attimino l’entusiasmo. Io ho ADORATO questo film, ma non posso pretendere che lo facciano tutti, quindi un piccolo prontuario per l’uso è doveroso. Innanzitutto, se da piccoli non vi siete mai appassionati per roba come Lo squalo, Piranha o simili, non provateci neppure ad avvicinarvi a SOAP. Il motivo è presto detto, visto che la pellicola è una sorta di “operazione nostalgia”, un film dove è assolutamente vietato pensare, bisogna solamente farsi avvolgere dalle spire dei serpenti, accettare un assunto così assurdo da risultare irritante e pretestuoso e perdersi in ogni sboronata registica ed attoriale. Bisogna tornare bambini e fare “ooh”” saltando sulla sedia ad ogni attacco di serpenti, senza farsi troppe domande. Attenzione però a non confonderlo con boiate pseudo fashion come potrebbe essere un Anaconda, o un Blu profondo. Quelli sono privi della necessaria ironia, mentre in SOAP sembra di essere tornati ai tempi di Indiana Jones e a quel caustico, sprezzante umorismo che non risparmia nemmeno un personaggio, dallo steward apparentemente gayo, alla signora cicciona, dal marito ansioso, alla donnina con l’inseparabile chihuahua, passando ovviamente per lo sbirro di Samuel L. Jackson che si spreca in frasi storiche degne di quelle che uscivano dalla bocca di un Indy o di un Rambo. Se si è disposti a prendere il tutto come un gioco, allora si uscirà assolutamente soddisfatti dalla visione. Altrimenti, serpenti su di voi!


Ovviamente la regia è ottima, così come la realizzazione. I serpenti sono molto realistici, e a volte viene utilizzata anche la “serpentovisione” che consente di vedere attraverso i loro occhi, espediente che per fortuna viene usato con parsimonia. Il ritmo è serratissimo, com’è giusto per questo genere di film, e le scene catastrofiche si sprecano: spettacolare il primo attacco dei serpenti e la decisione finale di Jackson di eliminarli nel modo più pericoloso per i passeggeri all’urlo di “I’ve had enough of those motherfucking snakes on this motherfucking plane!”. I personaggi sono assai simpatici, sebbene proprio il protagonista che dovrebbe affiancare Samuel è tra tutti il più moscio ed insignificante, tanto che non sarebbe una gran perdita se i serpenti lo masticassero. Assolutamente esilaranti le due guardie del corpo del rapper nero terrorizzato dai germi altrui e il bastardissimo snob che usa cagnolini innocenti come scudo contro i serpenti. Persino la lunghezza del film è pressoché perfetta: non troppo corta da dar l’idea di un filmetto buttato via, e nemmeno troppo lunga da lasciar subentrare noia e tempi morti. “Imperdibile” il video musicale che accompagna i titoli di coda, con un branco di strepponcelli fighetti a cantare, appunto, una canzone dall’inequivocabile titolo: Snakes on a Plane. Un tocco di trash che, indubbiamente, in un simile film non può mancare.


Di Samuel L. Jackson ho già parlato qui. Nel frattempo i suoi impegni si sono moltiplicati, e oltre a dare la voce a uno dei personaggi di Astroboy interpreterà Nick Fury (ma non era bianco? O___O) in una marea di film Marvel di prossima uscita, tra cui il seguito di Iron Man, Thor, The Avengers, Nick Fury e dovrà presenziare in altri 12 film. Auguri, Sam!!


David R. Ellis è il regista della pellicola. Americano, non proprio di primo pelo ma neppure troppo famoso,tra i suoi film ricordo Final Destination 2 e The Final Destination, l’ultimo episodio della saga, rigorosamente in 3D. Ha 57 anni e tre film in uscita.

Julianna Margulies interpreta l’hostess Claire. L’attrice americana è diventata famosa e familiare agli occhi di molti telespettatori grazie al ruolo dell’infermiera Carol Hathaway nella serie ER, dove la fortunata donna era la fidanzata del buon George Clooney. Tra i suoi film ricordo Nave fantasma e Il giovane Hitler, mentre tra le serie tv alle quali ha partecipato cito Law and Order, La Signora in giallo, Scrubs, I Soprano. Ha 43 anni.


Nathan Phillips interpreta il testimone, Sean. Australiano, ha raggiuntola notorietà con lo splendido, inquietantissimo Wolf Creek, che è l’unico altro suo film degno di menzione. Come tutti gli attori australiani che non hanno avuto parte in Home and Away ha partecipato comunque all’altra famosa soap del paese: Neighbours. Ha 29 anni e due film in uscita.  


E ora vi lascio con la cosa più trash del film, come promesso: i Cobra Starship e la loro Snakes on the Plane! ENJOY!!







domenica 9 agosto 2009

Ponyo sulla scogliera (2009)

Ogni tanto anche questo blog deve ospitare, al di là dell'horror e del trash, qualche film un pò più dolce e carino. In questo caso, dopo una lunga attesa, sono riuscita a vedere l'ultima fatica del maestro Hayao Miyazaki, datata 2009: Ponyo sulla scogliera (Gake no ue no Ponyo). L'attesa purtroppo non è stata ripagata come avrebbe dovuto, in effetti.


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La trama è questa: Brunilde, una piccola pesciolina dal volto umano, figlia dello scienziato/stregone Fujimoto, fugge dalla sua casetta in fondo al mare e viene salvata in superficie da un bimbo umano, Sosuke, che la ribattezza Ponyo. Quando il papà riesce a recuperarla e a riportarla all'ovile, Ponyo gli confessa che vuole diventare umana perché innamorata del bimbo. Riesce così nuovamente ad uscire dalla sua casa/prigione e, pasticciando un pò con la magia di cui dispone il padre, riesce a tornare da Sosuke e da sua madre, trasformata in bambina umana. Ma il suo gesto causerà inondazioni a non finire, e la fuoriuscita di parecchia magia che rischierebbe di modificare l'intera realtà...


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In un'epoca in cui la CG domina, questo Ponyo sembra davvero un film d'altri tempi. Completamente realizzato con disegni fatti a mano, dallo stile un pò vecchio stampo sia come character design che come colori è comunque una gioia per gli occhi ed è l'ennesima conferma che Miyazaki è una spanna sopra a qualsiasi produzione ipertecnologica giapponese e americana. Scene come la splendida danza delle meduse, che trascinano Ponyo in superficie, il mare che insegue la madre di Sosuke in macchina, su per le colline, come se fosse un terribile ed instancabile gigante fatto d'acqua, la splendida luce della mamma di Ponyo, la divinità Gran Mammare (un nome che rimane identico anche nell'originale, e che palesa l'amore incondizionato di Miyazaki per l'Italia) rimangono impresse nella mente dello spettatore per lungo tempo, tanto sono perfette e grandiose.


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Purtroppo, in tutta questa meraviglia stilistica, ciò che manca a Ponyo è proprio l'anima. Intendiamoci, i grandi temi di Miyazaki ci sono sempre: l'attenzione per la natura corrotta dalla stupidità umana, l'ammonimento a non turbare forze più grandi di noi, una nostalgia per l'innocenza dei tempi passati, l'inno all'amicizia e all'amore, le forze più grandi che esistono, infine il rispetto assoluto per chi è anziano e quindi saggio, nonostante possa essere bislacco. Però sembra che questa volta i temi tanto cari al maestro siano solamente una cifra stilistica, e che non vengano affatto approfonditi. Ponyo sembra più una favola per bambini, ma non poetica e commovente come nel caso de Il mio vicino Totoro, quanto piuttosto sciocchina e anche un pò superficiale. Forse a dare quest'impressione è proprio il personaggio di Ponyo, a mio avviso uno dei meno riusciti del regista. Certo, la pesciolina dalla faccia umana è deliziosa, paurosamente carina; però è anche scemina, ripetitiva, somiglia tanto a una di quelle maghette oche dello Studio Pierrot. Inoltre alcune sboronate, come quella dei pesci preistorici che invadono il pacifico villaggio di Sosuke, riconosciuti specie per specie da un bambino prodigio di appena cinque anni sono francamente inverosimili anche per una favola. Altro difetto di Ponyo è la forse eccessiva velocità con la quale si scopre ogni cosa e si risolve ogni vicenda, lasciando lo spettatore con la sensazione di aver visto un cartone animato senza averlo però "vissuto" appieno. Solitamente Hayao Miyazaki coinvolge ed emoziona, offre un'immedesimazione con i personaggi (che pur sono simpatici anche in questa pellicola, soprattutto la madre di Sosuke ed il trio di vecchiette) che ha del miracoloso. Questa volta, ahimé, non è successo. Speriamo nella prossima pellicola!


Hayao Miyazaki è il regista e sceneggiatore della pellicola. Credo che pochi al mondo non conoscano questo maestro dell'animazione giapponese, e quelli che non lo conoscono sono comunque cresciuti con lui senza saperlo, visto che ha collaborato ad alcune tra le serie animate più famose della tv. Tra i suoi splendidi film (che peraltro stanno venendo rispettati solo ora nel nostro Paese, mentre in passato soffrivano di mutilazioni e mancanze che sfioravano il ridicolo: basti pensare che Totoro verrà distribuito nei cinema italiani a fine anno, pur essendo datato 1988) ricordo  Lupin III - Il castello di Cagliostro, Nausicaa della valle del vento (di cui esiste anche un meraviglioso manga), Il mio vicino Totoro, Kiki's Delivery Service, Porco Rosso, La principessa Mononoke, La città incantata, Il Castello errante di Howl. Tra le serie animate citerei parecchi episodi di Lupin, Conan ragazzo del futuro e il bellissimo Il fiuto di Sherlock Holmes. Ha 68 anni.


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E ora, semplicemente, vi lascio con il trailer originale di Ponyo sulla scogliera. Vale comunque una visione, a prescindere da quello che penso io! E ascoltate la canzoncina assurda e giapponese che lo accompagna XD! ENJOY!


venerdì 7 agosto 2009

L'ululato (1981)

Sia nei giochi che nei film che nella letteratura non vado matta per il tema “lupi mannari”. Trovo che quelle bestiacce siano quanto di più noioso esista sulla faccia della terra, niente a che vedere con i ben più stilosi ed affascinanti vampiri. E’ quindi con parecchia disillusione che mi sono messa a rivedere L’ululato (The Howling), film di Joe Dante del 1981, dopo una disastrosa prima mezza visione nell’halloween di qualche anno fa. Dimostrazione di come spesso non è tanto il film a contare per un giudizio, quanto piuttosto l’atmosfera in cui lo si guarda. Infatti a questo giro mi è piaciuto, e molto.

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La trama è questa: una giornalista riesce a diventare il contatto di un serial killer particolarmente sanguinario, Eddie Quist. Quando quest’ultimo le propone un appuntamento lei ci va per amore dell’audience ma l’esperienza, che si conclude con l’arrivo della polizia e con la morte del killer, la traumatizza lasciandole la consapevolezza di aver visto qualcosa di terribile che pur non riesce a ricordare. Decide così di andare, assieme al marito, in un centro “spirituale” tra le montagne, una comunità diretta dal Dr. George Waggner, che nasconde un tremendo segreto e i cui membri sono molto più vicini ad Eddie di quanto non si immagini…


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Comincio subito con un’avvertenza: non aspettatevi effetti speciali della madonna né abbondanza di computer graphic. Questo film è affascinante proprio per la sua aria artigianale. Le zanne sono palesemente delle dentiere da mettere e togliere, almeno una scena della pellicola viene mostrata a disegni animati data l’impossibilità di mostrare un’intera trasformazione in lupo mannaro (sebbene sia la prima in assoluto, visto che il contemporaneo Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis è dello stesso anno ma successivo di qualche mese, ed è leggermente più raffinato come realizzazione) e i lupacchiotti presenti sono particolarmente mostruosi e disgustosi, coaguli di pelo, lattice ed animatronics. Ma la messa in scena rozza viene ampiamente compensata da una trama interessante e da una spietata critica nei confronti di una società guidata dai media e dai guru occasionali.




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Joe Dante come al solito ci mette davanti la sua satira sociale, che rende delle piccole perle anche le sue pellicole apparentemente meno impegnate e più “infantili”. In questo caso utilizza la figura della giornalista televisiva Karen White per scagliarsi contro l’idea del sensazionalismo a tutti i costi, di quella banalizzazione dell’orrore che ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni, ci viene propinata quotidianamente ogni volta che accendiamo la televisione. Karen decide di metterci la faccia, di diventare ancora più famosa offrendo in prima persona allo spettatore un viaggio nella psiche malata di un serial killer, che non a caso preferisce la visibilità televisiva all’anonimato. Se ne pentirà amaramente, com’è ovvio e giusto, e anche se alcuni colleghi illuminati proveranno ad usare la sua storia come monito ed avvertimento per tutta l’America, ormai il danno è già stato fatto: come si può inculcare un senso di reale pericolo ad un’intera nazione assuefatta all’irrealtà di un giornalismo che punta solo allo share? Ed è in questa realtà così schiava del mezzo televisivo che i lupi mannari prosperano, anche se, poveracci, non hanno vita facile nemmeno loro.




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Infatti, peggio di un lupo mannaro, c’è solo un licantropo moralista e new age. Ora, non starò a svelare troppo a chi non ha visto il film, ma l’ironia di Joe Dante sta nell’inserire, all’interno di una comunità di lupi mannari selvaggi e schiavi degli istinti, una sorta di guru mediatico che cerca di sedarne la natura bestiale e di rinnegare la propria. Sembra davvero che Dante ci voglia mostrare come ognuno nasconda dentro di sé una sorta di bestia che non deve avere necessariamente il controllo su di noi se non lo desideriamo, e di come si debba assolutamente diffidare, oltre di chi vuole lo spettacolo a tutti i costi, anche dei teleimbonitori che offrono soluzioni facili e filosofia spicciola incantando le masse di tacchini pronti a bersi ogni singola parola. La soluzione ad ogni cosa, come diceva Quèlo, è sempre e comunque dentro di noi. Ma anche in questo caso, se ci sono di mezzo dei mannari, potrebbe essere sbagliata. Non è sbagliata invece la scelta di vedere questo film, che regala anche qualche genuino momento di tensione. Lo consiglio anche a chi non ama l’horror, ma preparatevi ad un inizio un po’ lento.


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Di Dee Wallace ho già parlato qui.




Joe Dante è il regista della pellicola, uno dei registi più particolari, ironici e graffianti d’America, nonché un grande mito che accompagna noi figli degli anni ’80 fin dall’infanzia. Tra i suoi film ricordo Pirana, Ai confini della realtà, il meraviglioso Gremlins, Explorers, Salto nel buio, Gremlins 2 – La nuova stirpe, La seconda guerra civile americana, Small Soldiers, Looney Tunes: Back in Action. Per la TV ha diretto Ai confini della realtà, due episodi di Masters of Horror, tra i quali lo splendido Homecoming, e un episodio di CSI: NY. Ha 63 anni e tre film in uscita.


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Patrick McNee interpreta il Dr. George Waggner. L’attore inglese, diventato un personaggio cult interpretando l’agente John Steed nella mitica serie Agente speciale, ha lavorato in pellicole come Agente 007 – Bersaglio mobile, Waxwork, La maschera della morte rossa e The Avengers – Agenti speciali, mentre tra le serie TV alle quali ha partecipato ricordo Alfred Hitchcock presenta, Rawhide, Ai confini della realtà, Colombo, Magnum P.I, Cuore e batticuore, Love Boat, La signora in giallo, Frasier. Ha 87 anni.




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Dennis Dugan interpreta Chris, collega e amico della protagonista. L’attore americano ha sviluppato in seguito la sua carriera soprattutto in campo registico, collaborando a più riprese con l’odioso (per me è un pessimo attore…) Adam Sandler e facendo piccoli camei in ogni pellicola diretta. Tra i suoi film come regista ricordo La piccola peste, Mai dire ninja, Assatanata, Zohan – Tutte le donne vengono al pettine, mentre per la TV ha firmato alcuni episodi delle serie Hunter, Moonlighting, Avvocati a Los Angeles, Chicago Hope, Ally McBeal, New York Police Deparment. Ha 63 anni e un film in uscita.


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E ora, prima di lasciarvi al trailer del film, un paio di curiosità. Il film è tratto dal libro The Howling di Gary Brandner, del 1977. Ha avuto ben sei seguiti molti dei quail inediti in Italia ed usciti solo per il mercato dell’home video: Howling II – L’ululato, Howling III, Howling IV: The Original Nightmare, Howling V: The Rebirth, Mostriciattoli (alias Howling VI: The Freaks) e Howling: New Moon Rising. Christopher Stone, che interpreta il marito di Karen, Bill, è stato sposato con Dee Wallace anche nella realtà ed è morto nel 1995 per un attacco cardiaco. Dick Miller, attore feticcio di Joe Dante e non solo, ha recitato anche nel film Evil Toon. E ora… a voi il trailer, ENJOY!!




lunedì 3 agosto 2009

Non entrate in quella casa (1980)

Da che mondo e mondo, anche i titoli italiani degli horror seguono le mode. Al giorno d’oggi basta che ci sia una parola inglese preceduta da un “The”, come nel caso di The Grudge, The Ring, The Phone, e chi più ne ha più ne metta, e si può star certi che orde di persone andranno a vedere il film, che sia una belinata o meno. Ma nel ruggente ventennio che va dall’inizio degli anni ’70 alla fine degli ’80 le parole d’ordine erano “divieti” oppure “case”. Tutto era verboten, non si poteva fare nulla: non si poteva aprire quella porta, figurarsi poi quel cancello, né seviziar paperini, o profanare il sonno dei morti, insomma non si poteva fare nulla di nulla o come minimo si sarebbero spalancate le porte dell’Inferno. Senza contare poi che anche se si rimaneva chiusi in casa, fermi, immobili, anche solo respirare poteva comportare l’arrivo di demoni calderiani e affini, tutto per colpa di Sam Raimi che con il suo Evil Dead, in italiano tradotto con La casa, diede inizio all’invasione di “case”, più o meno apocrife e spesso inguardabili, che invasero i cinema dell’epoca. Immaginate quindi quanto pubblico avrà richiamato nel 1980 un film dal titolo Non entrate in quella Casa (Prom Night), che racchiudeva in sé la summa del trend, come se oggi uscisse The Grudge of The Child at The Phone. Mi immagino però anche la reazione dello spettatore di allora nel trovarsi davanti la pellicola diretta dal regista Paul Lynch, così banale e noiosa che definirla horror mi pare azzardato.

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La trama è questa: un gruppetto di bambini si diverte a giocare all’”assassino” in una casa abbandonata, intonando macabre filastrocche. Senza un motivo plausibile i mocciosi si accaniscono contro un’altra bimba arrivata lì per caso e tanto fanno che la poveraccia casca giù dalla finestra e muore. Ovviamente i pargoli bastardi si giurano a vicenda che nessuno avrebbe mai saputo nulla di questa storia e così capita che venga incolpato un povero pazzoide che passava di lì per caso. Anni dopo i ragazzini cresciuti, e i fratelli della bimba morta, si trovano a dover fare i preparativi per il ballo della scuola (il prom, appunto), mentre qualcuno, nascosto nell’ombra, trama per uccidere tutti quelli che hanno preso parte alla morte della bimba.


 


Prom Night 1


A dare una scorsa alla trama, si capisce già l’errore di fondo di un film simile. Nessuno sano di mente parteggerebbe per le “vittime”, che sono palesemente un branco di bastardi e di ipocriti, addirittura due degli assassini della bimba sono rispettivamente la migliore amica e il fidanzato (!) di sua sorella. Tolto quindi l’elemento ansiogeno che solitamente si innesca durante l’immedesimazione nei poveri agnelli da macello della maggior parte degli horror, in questo film cosa rimane? Considerato che anche le scene splatter si riducono ad una testa che rotola (il resto avviene in fuori campo) e che il killer ha il fisico da sminchiatello inguainato in una calzamaglia nera, direi nulla! Nulla… tranne alcune allegre punte di goliardia e kitch.


 


Prom Night 2


Infatti, a dispetto della noia che regna sovrana, le scene esilaranti contenute in questo film sono molte. Cominciamo dalla migliore amica della protagonista che, priva di un partner per il prom, si riduce a portare con sé il primo che le fa un fischio per strada. E pazienza se costui è un mostriciattolo laido, occhialuto, ciccione, palesemente geek, che si fa chiamare “lo svelto”, mica dovrà andarci a letto.. Ecco. Mai parole furono più sbagliate, ci va a letto e pure mica una volta, ma almeno tre nella stessa sera. Potenza degli spinelli che il geek nasconde in un libro? Va bene, ma a tutto c’è un limite, e per l’ennesima volta si ringrazia l’assassino che sgozza lei e fa saltare in aria lui (scena che fa venire in mente i momenti più esilaranti dei Simpson e dei Griffin, nei quali qualsiasi oggetto che cade da un dirupo, fosse anche un passeggino per bambini, appena toccato il suolo esplode)! Altra scena trash ma parecchio diluita dall’eccessiva lunghezza è quella in cui Jamie Lee Curtis e il suo partner vengono colti dalla febbre del sabato sera e cominciano a ballare come dei tarantolati con delle mosse che farebbero invidia al Disco Stu dei Simpson, il che è assurdo perché è come se al giorno d’oggi, nel bel mezzo di un horror, si vedesse per 10 minuti Sarah Michelle Gellar ballare i successi del momento. Rimarrebbe solo il tritolo sotto le poltrone, ne sono certa. Vorrei far notare che nel cast c’è anche Leslie Nielsen, non ancora consacrato come idolo della comicità made in USA, e che ahimé qui ci fa davvero una pessima figura, chiuso in un personaggio, quello del padre/preside, che decisamente non rientra nelle sue performance migliori.


 


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Inutile dire che sia la messa in scena, un’insieme di triti stereotipi horror, sia gli interpreti, sono al di sotto della media. Inoltre, come in ogni horror di serie z che si rispetti, anche questo non manca di plagi camuffati da citazioni. Lo spirito vendicativo ed il trauma infantile del killer, nonché la presenza dell’allora reginetta dell’horror Jamie Lee Curtis richiamano parecchio la serie Halloween, mentre lo scherzo ai danni del re e della regina del Prom sa molto di Carrie. Incredibile ma vero, una simile ciofeca ha generato tre sequel (Prom Night II: il ritorno, Prom Night III: l’ultimo bacio (!), Discesa all’inferno) e persino un remake datato 2008, dallo stupidissimo titolo italiano Che la fine abbia inizio. Ecco, speriamo che almeno per una volta la stupidità sia profetica e che possa davvero cominciare la fine per questa ammorbante serie di film.




Paul Lynch è il regista della pellicola. Inglese, ha all’attivo innanzitutto parecchi episodi di serie anche abbastanza famose (infatti Prom Night ha un taglio molto televisivo..) come La signora in giallo, Moonlighting, Ai confini della realtà, L’ispettore Tibbs, Star Trek: The Next Generation, Star Trek: Deep Space Nine, Robocop, Oltre i limiti, Baywatch Nights, Xena principessa guerriera, nonché qualche altro film per la TV. Ha 63 anni e un film di prossima uscita.


Non ho trovato imago del buon regista... Somebody HEELPP mee!!! >.<


Jamie Lee Curtis interpreta la retta e proba Kim. La buona Jamie Lee è stata la scream queen per eccellenza degli anni ’70-’80, consacrata dal film Halloween – La notte delle streghe, ed è inoltre figlia d’arte di due icone cinematografiche di tutto rispetto: quella Janet Leigh che, in Psycho, si beccò parecchie coltellate nella doccia del Bates Motel e quel Tony Curtis che, pur vestito da donna, è riuscito a conquistare l’amore di Marilyn Monroe in A qualcuno piace caldo. Tra i film interpretati dall’attrice ricordo The Fog, Terror Train, Halloween II – Il signore della morte, Una poltrona per due, Un pesce di nome Wanda, il commovente Papà ho trovato un amico (ed il suo seguito, Il mio primo bacio), True Lies, Arresti familiari, Creature selvagge, Halloween 20 anni dopo, Halloween: la resurrezione, Quel pazzo venerdì. Ha inoltre partecipato alle serie televisive Colombo, Charlie’s Angels, Love Boat. Ha 51 anni e un film in uscita.


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Leslie Nielsen interpreta il preside Hammond, padre di Kim. Ritengo impossibile che la gente non conosca quello che è forse il più grande interprete vivente delle demenziali parodie americane che periodicamente arrivano sui nostri schermi fin dai tempi de L’aereo più pazzo del mondo. Ma la carriera dell’inossidabile Leslie ha spaziato in ogni genere cinematografico e televisivo, con titoli come Il pianeta proibito, Creepshow, Una pallottola spuntata, Riposseduta, Una pallottola spuntata 2 e ½: l’odore della paura, S.P.Q.R.: 2000 e ½ anni fa, Una pallottola spuntata 33 1/3: l’insulto finale, Dracula morto e contento, Spia e lascia spiare, Mr. Magoo, Il fuggitivo della missione impossibile, Scary Movie 3, Scary Movie 4, Superhero Movie. Per la TV ha lavorato in Alfred Hitchcock Presenta, Bonanza, MASH., Le strade di San Francisco, Kojak, Kung Fu, Colombo, La famiglia Robinson, Loveboat, Fantasilandia, La signora in giallo. Ha 73 anni e due film in uscita.


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Vi lascio con il trailer originale di Non entrate in quella casa, e vorrei farvi notare come la colonna sonora sia ammorbata da una sorta di "plagio" di I Will Survive. Gli accordi sono quelli ma la canzone si blocca prima di entrare nel vivo!!! ENJOY!