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lunedì 24 maggio 2010

Cannes 2010

Aah, la stampa e i telegiornali italiani, che meraviglia! Mai ho sentito così poco parlare del festival di Cannes come quest’anno. Sarà che il buon Clooney ha disertato la Croisette, sarà che Tim Burton non “tira” tanto quanto Tarantino, sarà che, davvero, è molto ma molto più importante, ora che viene l’estate, riempire le teste degli italiani con fuffa del tipo “La dieta estiva, come perdere 14 kg in due ore” oppure “Venite a vedere Fluffy, il meraviglioso panda che mangia le canne di bambù col naso!” ecc. ecc. E pensare che quest’anno l’Italia ha portato a casa anche uno dei premi principali, quindi mi perplimo. Certo, considerato che la Guzzanti portava al festival un documentario “antiregime” come Draquila, ogni riferimento alla manifestazione avrebbe potuto ricordare l’oltraggio, quindi meglio non nominare Cannes nemmeno per sbaglio, oppure farlo con parsimonia.


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La Palma d’Oro per il miglior film quest’anno è finita in Tailandia, nella fattispecie tra le mani del regista (dal nome impronunciabile!) Apichatpong Weerasethakul, per la commedia dai risvolti spiritici Loong Boonmee Raleuk Chat, ovvero Zio Boonmee, che può ricordarsi le sue vite passate. Lungi da me anche solo sperare che questo film possa uscire dalle mie parti, la trama mi sembra carina: lo zio Boonmee del titolo sta morendo, e ha deciso di passare i suoi ultimi giorni di vita in campagna, con la famiglia. Con sua grande sorpresa, ad un certo punto compaiono al suo capezzale sia il fantasma della moglie morta, sia il figlio da tempo perduto; ed è così che lo zio decide di andare con tutta la famiglia a visitare una grotta, il luogo di nascita della sua prima vita. Siccome in giuria c’era Tim Burton a fare da presidente, dubito che il film in questione sia meno che originale e anche toccante, quindi mi piacerebbe davvero vederlo, sebbene il cinema Tailandese mi abbia già dato più di una delusione. Il regista, seppur giovane ancora, ha già diretto parecchi film e chino il capo per la mia ignoranza, visto che fino ad oggi non lo avevo mai sentito neppure nominare.


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Torniamo in paesi più “vicini”, e parliamo del regista che è risultato essere il migliore, ovvero Mathieu Amalric, francese, con il film Tournée. Altro personaggio a me completamente sconosciuto, giusto per ribadire la mia ignoranza crassa, costui oltre ad essere regista è anche attore, e ha recitato in film abbastanza famosi, come 007: Quantum of Solace, Marie Antoinette e Munich. Come regista ha girato parecchie pellicole, ma ammetto di non conoscerne nemmeno una. Tournée, che lo ha portato alla vittoria, sembra una commedia interessante e carina; parla di un produttore (interpretato dallo stesso Almaric) che decide di portare in tournée appunto uno spettacolo americano ispirato al burlesque in Francia. Tanto non lo passeranno mai nelle mie zone…


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Per fortuna, per quanto riguarda i premi agli attori sono più ferrata. Il premio come miglior attore se lo sono equamente spartito Javier Bardem, di cui ho già parlato qui, e il nostrano Elio Germano. L’attore spagnolo è stato premiato per la partecipazione al film Biutiful di Iñárritu (regista messicano autore di Amores Perros e 21 grammi, tra gli altri), che parla di un uomo coinvolto in attività illecite, costretto a confrontarsi con un amico d’infanzia che invece è diventato un poliziotto. Elio Germano è un giovane attore italiano, originario di Roma, che ha partecipato a film come Nine, Melissa P., Romanzo criminale, Ti piace Hitchcok e anche a qualche episodio di Un medico in famiglia. A Cannes ha vinto grazie a La nostra vita di Daniele Lucchetti (regista con cui l’attore aveva già lavorato per Mio fratello è figlio unico), nel quale recitano anche Raoul Bova e Luca Zingaretti, un drammone incentrato sulla vita di un uomo rimasto vedovo con tre figli, che finisce per impelagarsi in affari poco puliti. Vedremo, vedremo, lì per lì mi ispirano poco.


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Juliette Binoche ha invece vinto la palma come migliore attrice, per il film Copie Conforme dell’iraniano Abbas Kiarostami. L’attrice francese la ricorderò sempre per il ruolo della cioccolataia nel bellissimo Chocolat, ma ha partecipato anche ad altri film ben conosciuti come Il paziente inglese e la Trilogia dei colori di Kieslowski . Anche Copie Conforme mi ispira poco, la storia è quella di una gallerista francese che si mette in viaggio con un uomo appena incontrato, fingendo di essere sposati da parecchio tempo. Nonostante l’ambientazione toscana e quindi sicuramente bellissima, sento odore di noiosissimo mattone.


35a_04_binoche_243x325E ora vi lascio con il trailer del film che, vergognosamente, da noi è stato passato solo per 4 giorni in un cinema di nicchia. Draquila - L'Italia che trema. Che dire, aspettiamo il DVD.... ENJOY!


sabato 22 maggio 2010

Labyrinth - Dove tutto è possibile (1986)

Anche il mio cervello ha bisogno, di tanto in tanto, di prendersi una pausa dal trash e dall’orripilio. E cosa c’è di meglio di un’immersione nei ricordi d’infanzia? Ultimamente mi è capitato di rivedere, dopo molto tempo, il bellissimo Labyrinth – Dove tutto è possibile (Labyrinth), diretto nel 1986 dal papà dei Muppet, Jim Henson.


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La trama: Sarah è un’adolescente che, per scappare da una vita che detesta, si rifugia nel teatro e nelle sue fantasie. Quando una sera la matrigna la costringe a badare al piccolo fratellastro Toby, la ragazza, esasperata dai capricci del bambino, desidera ad alta voce che il re dei Goblin lo porti nel suo regno e lo faccia diventare uno dei suoi schiavi. Il desiderio così incautamente espresso si avvera sul serio però, e Sarah è costretta ad entrare in un pericoloso labirinto, per cercare di liberare Toby prima che sia troppo tardi…


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Un film come Labyrinth è davvero un piccolo miracolo. Un fantasy costellato di numeri musicali che riesce ad unire persone in carne ed ossa a quelli che, alla fine, sono dei Muppet, senza risultare ridicolo e trash, ai giorni nostri sembrerebbe impossibile. Eppure in questo caso l’alchimia è praticamente perfetta, ed è bello vedere che un film simile non risente affatto del peso degli anni. Anche perché alla fine la storia è davvero semplice ed universale, un classico percorso di crescita che porta Sarah a liberarsi dalle sue fantasie infantili per vivere finalmente nel mondo reale (senza dimenticare mai la fantasia, ovvio!). Certo, non è facile arrivare al risultato finale, visto che il Labyrinth in cui si trova confinata è davvero il regno delle assurdità. Scavando un po’ nelle insensatezze dei divertentissimi personaggi che costellano il mondo del film, il fulcro della maturazione di Sarah sta proprio nell’impossibilità di controllare un labirinto che esula dal senso comune; la protagonista infatti ci viene presentata sin dall’inizio come una ragazzina viziata (anche se non possiamo fare a meno di immedesimarci con lei: chi non è mai stato costretto ad avere a che fare con un fratellino rompipalle??) e abituata, in un certo senso, ad avere tutto ciò che desidera, fosse anche solo rimanere chiusa in camera con tutta la sua “roba”, in senso Mazzarico. Fateci caso: ogni personaggio che Sarah incontrerà ha il suo corrispettivo in un pupazzo, una bambola, un libro presente in quel paradiso per amanti del fantasy che è camera sua, dove lei è il burattinaio. Una volta che Jareth la trascina nel Labirinto, la protagonista si ritrova sperduta in un mondo che non può controllare e continua a ripetere ossessivamente “It’s not fair!!”, ovvero “non vale!”, e ce ne vuole prima che capisca le due regole principali per uscirne viva, che alla fine sono due buone regole di vita: teniamoci stretti gli amici e la famiglia, perché sono molto più importanti di tutte le cose materiali che potremmo ottenere nel corso di un’intera vita e anche perché è solo grazie a loro che possiamo trovare la pazienza di sopportare ed affrontare senza problemi una realtà difficile ed incomprensibile. In questo senso, il finale è molto commovente, e non nego che mi ha strappato una lacrimuccia.


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Passando all’aspetto più “cinematografico”, come dicevo il film è realizzato in un modo assai particolare. Jennifer Connelly e David Bowie recitano circondati da pupazzi che spesso e volentieri rubano loro la scena, e che nonostante siano passati più di vent’anni non risultano innaturali o antiquati, neanche quando, in alcuni momenti, lo spettatore più attento può riuscire tranquillamente a vedere i fili che li muovono (l’unico effetto speciale “moderno” è paradossalmente il peggiore, infatti la civetta che svolazza all’inizio del film, che di naturale non ha proprio nulla, è stata interamente realizzata con la CG). Il mostro buono Ludo, il nano codardo Hoggle, il geniale Sir Didymus, sono azzeccati e geniali oggi come allora, e lo sono anche trovate assurde come la Palude dell’eterno fetore, che lascia puzzolenti a vita con un solo tocco, oppure i disgustosi uccelli dagli arti scomponibili che si chiedono come mai a Sarah non si stacchi la testa. Assieme ai momenti divertenti non mancano quelli emozionanti, come il confronto finale tra Sarah e Jareth, ambientato in uno splendido luogo ispirato ai quadri di Escher, oppure il tradimento di Hoggle ai danni della protagonista, che la catapulta in una scena di ballo meravigliosa e molto onirica, con degli splendidi costumi. Anche i numeri musicali sono carinissimi, così come tutta la colonna sonora; non a caso la maggior parte delle canzoni sono cantate da David Bowie, che in questo film compare relativamente poco nei panni di Jareth il re dei Goblin, ma fa la sua porca figura, soprattutto nella già citata scena del ballo all’interno della sfera. Mi dispiace ma, al posto di Sarah, avrei lasciato il bambino al suo destino infausto e sarei rimasta col re dei Goblin in eterno! Ok, mi riprendo da questa crisi ormonale dicendovi che se amate il fantasy e volete vedere un film davvero bello, scevro da effetti speciali e ragazzetti gnegni, che vi faccia anche fare due risate, Labyrinth è quello che fa per voi. 


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Di Jennifer Connelly, che interpreta Sarah, ho già parlato qui.


Jim Henson è il regista della pellicola. Costui è la mente che sta dietro ai personaggi più assurdi che siano mai apparsi in TV, ovvero gli storici Muppet, che lui ha curato come regista, produttore, sceneggiatore e animatore per tanti e tanti anni. Come regista, ricordo i film Giallo in casa Muppet e il “cugino” di Labirynth, The Dark Crystal, che in Italia non ha avuto tanto successo come in patria. Purtroppo questo genio è morto nel 1990, all’ assurda età di 54 anni, a causa di una polmonite virale. La sua eredità comunque continua a fare proseliti, visto che per il 2011 è previsto il seguito di The Dark Crystal e un altro film basato su personaggi da lui creati.


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David Bowie interpreta Jareth, il re dei Goblin. Alzi la mano e si vergogni chi non conosce “Il duca bianco”, fondatore del glam pop ed icona di un’Inghilterra che non tornerà più purtroppo. Cantante tra i miei preferiti, e prima o poi riuscirò a vederlo in concerto, non disdegna le parti da attore: lo ricordo infatti in Miriam si sveglia a mezzanotte, L’ultima tentazione di Cristo, Fuoco cammina con me, Il mio West (ahimè….) e The Prestige. Ha anche prestato la voce per un episodio di Spongebob, e se non lo mette questo nell’olimpo degli Dei scesi in terra, non so cos’altro possa farlo. Ha 63 anni, portati benissimo!


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E ora, un paio di curiosità. La prima versione della sceneggiatura venne scritta nientemeno che da Terry Gilliam, il visionario dei Monty Python, e prevedeva che, nel finale, Sarah prendesse a calci Jareth (!) fino a farlo diventare un piccolo e deforme Goblin. Sarà anche meno “d’effetto”, ma preferisco il finale che hanno mantenuto. Non esiste un seguito cinematografico del film; tuttavia, nel 2006, è cominciata la serializzazione di un manga in lingua inglese chiamato Return To Labyrinth, scritto da Jake T. Forbes e disegnato da Chris Lie, che è il seguito ufficiale della pellicola. Il manga, progettato per durare solo quattro volumi, si concluderà proprio quest’anno, ad agosto, e in esso si narrano le vicissitudini di un Toby adolescente, richiamato dallo stesso Jareth nel regno dei Goblin, tredici anni dopo gli eventi raccontati nel film. Ovviamente, su play.com ce l’hanno, ergo sarà il mio prossimo acquisto. Ricordo poi che all’epoca ne erano usciti parecchi di questi film fantasy, quindi se siete interessati al genere alcuni titoli che non mi erano dispiaciuti sono Willow e ovviamente La storia infinita. Non li vedo da moltissimo tempo, quindi prendete con le pinze questo mio consiglio! E ora... perché mettervi il banale trailer quando posso mettervi la carinissima Magic Dance? ENJOY!!!


mercoledì 19 maggio 2010

Vampire Girl vs Frankenstein Girl (2009)

SPQG, come avrebbe detto Obelix. Sono pazzi questi giapponesi, ed è per questo che li amo. Ed è per questo che amo anche internet, che mi permette di trovare piccole perle trash come Vampire Girl vs Frankenstein Girl (Kyuketsu Shojo tai Shojo Furanken), diretto nel 2009 da Yoshihiro Nishimura e Naoyuki Tomomatsu. Già il titolo dovrebbe dire tutto!


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La trama: (ma quale trama, per cortesia…) Jyugon, per quanto sia mollo, è il figo della scuola. Ryoko, la figlia del vicepreside, lo ha praticamente costretto ad uscire con lei, ma la relazione viene ostacolata dall’imprevisto arrivo di una nuova studentessa, Monami, che il giorno di San Valentino regala del cioccolato proprio a Jyugon. Peccato che il cioccolato sia ripieno del sangue di Monami, in realtà una vampira quasi millenaria, intenzionata a fare diventare il ragazzo come lei, con sommo scorno della povera Ryoko. Una volta che quest’ultima muore, la resurrezione e la battaglia contro la vampira sono inevitabili..


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Per una volta ci troviamo davanti ad un film il cui titolo dice tutto, e dove tutto è finalizzato all’inizio della battaglia in questione, che alla fine porta via giusto 10 minuti di film. Ma è tutto il contorno che è incredibile, e mi fa meravigliare una volta di più innanzitutto della pazzia e del cattivo gusto puramente trash dei giapponesi, e poi della loro distribuzione, nonché di quella internazionale: ma vedete un po’ se dopo nemmeno un anno dall’uscita nelle sale nipponiche questo film non è già sul mercato DVD inglese e americano!! Roba che da noi nemmeno in 300 anni una pellicola simile verrebbe anche solo mostrata. Così, per fortuna dicevo, esiste internet. Ma torniamo alla recensione di Vampire Girl vs Frankenstein Girl anche se davvero non saprei da dove cominciare.


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Innanzitutto, sarà anche banale dirlo, ma quello che colpisce lo spettatore occidentale che ha la (s)fortuna di trovarsi davanti un film simile è lo shock culturale. Vampire Girl è ambientato nella tipica scuola superiore giapponese quindi stiamo parlando delle ovvie divise, delle regole severissime che gestiscono i rapporti tra insegnanti e studenti (ma anche tra studenti e “nuovi arrivi”) ma anche delle nuove mode che hanno invaso quello che una volta era un paese tradizionalista e che difficilmente capirete o riconoscerete se non avete mai letto manga tipo Gals! di Mihona Fujii. La cosa più bella di questo film infatti è il modo in cui il regista prende in giro quelli che ormai sono diventati i clichè degli adolescenti giapponesi, e lo fa mostrandoci una carrellata di estremizzazioni: Ryoko e le sue amichette sono delle cosiddette Gothic Lolita, tutte pizzi, trine e sguardi assassini; nella classe ci sono delle ragazze talmente Ganguro (ragazzette giapponesi che vivono di lampade abbronzanti, trucco sgargiante e capelli color platino) da avere i labbroni come le donne di colore, addirittura bucati e con dei piatti infilati dentro; altre ragazze sono talmente abili nell’arte del “ristokatto” (wrist cutting, ovvero l’autolesionismo mediante taglio dei polsi) da avere organizzato un torneo nazionale; e ovviamente non dobbiamo dimenticare l’usanza di regalare “valentine chocolate” al ragazzo che si concupisce, come viene spiegato all’inizio del film. Cose simili, pesantemente parodiate nella pellicola, non possono fare ridere se non si conoscono. Io sinceramente, a vedere Ganguro Rika e le sue amichette inneggiare ad Obama e rifiutare di bere il caffè macchiato perché troppo poco “nero” o vedere l’autolesionista commuoversi davanti alle amiche che le regalano degli spinaci contro l’anemia ho trattenuto a stento le lacrime per le risate.


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Passando invece all’aspetto horror, è deboluccio e molto cartoonesco: innanzitutto non ho mai visto un simile laCo di sangue (palesemente finto) in nessun film, fin dall’inizio, tra piogge di sangue, docce di sangue, arterie che si aprono, polsi che si squarciano ecc. ecc. Nulla di impressionante, assolutamente, soprattutto se simili immagini sono accompagnate da canzonette in stile Cristina D’Avena o da omaggi a La piccola bottega degli orrori (il motivetto che accompagna le uccisioni perpetrate per creare la “nuova” Ryoko). Però ci vuole fantasia a vestire uno scienziato pazzo come una maschera del teatro Kabuki, dargli come assistente una pornoinfermiera e fargli dire cose come “E’ il sogno di ogni padre poter vivisezionare la propria figlia!”, senza contare il modo in cui viene concesso a Ryoko di volare, oppure l’apparizione di un vecchissimo servo di nome Igor che in realtà al posto della gobba ha un incrocio tra uno stegosauro e un artiglio allungabile, con cui strappa letteralmente le facce; vogliamo poi anche parlare del fatto che ad un certo punto spunta San Francesco Saverio (ma perché con tutti i santi proprio lui???) che fa una carneficina aiutato da un cosiddetto Sumotori dall’inferno?


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Tra l’altro non riesco a decidere se gli effetti speciali sono validi oppure no, premesso che il resto del film sembra raffazzonato da morire. Le fontane di sangue sono meravigliose ed è anche interessante il modo in cui viene reso come i vampiri vedono gli esseri umani, un sistema circolatorio deambulante in poche parole, senza contare che creare mostri così elaborati come la FrankenRyoko della fine non dev’essere facile ma altre scene, come quando Monami cade dalla torre di Tokyo, o la gocciolina di sangue semovente sono terribili. Terribile è anche la parola adatta per descrivere la recitazione degli attori. Il ragazzo che interpreta Jyugon sarebbe un perfetto Edward data l’assoluta mancanza di espressività e il controllo dei muscoli facciali non pervenuto (fate voi che ride quando deve piangere e viceversa… mah…), gli altri interpreti sono delle macchiette degne di uno spettacolo parrocchiale. E nonostante tutto questo, o proprio a causa di ciò, potrei anche arrivare, col tempo, ad adorare questo film, un perfetto antiTwilight!! Dategli un’occhiata se riuscite.


Yoshihiro Nishimura è uno dei due registi del film. Sebbene il nome sia praticamente sconosciuto in Italia, ha realizzato un altro film molto famoso e apprezzato dagli amanti del genere, Tokyo Gore Police. Ovviamente giapponese, ha 43 anni e un film in uscita.


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Naoyuki Tomomatsu è il secondo regista e anche sceneggiatore. Altrettanto sconosciuto, almeno da parte mia, è impegnato come il compare in film tutti più o meno del genere trash-gore giapponese, come Zombie Self – Defence Force – Armata mortale, distribuito anche in Italia. Giapponese, ha 43 anni.


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Yukie Kawamura interpreta Monami. Idol e fotomodella giapponese (soprattutto indossatrice per capi di biancheria intima), ha lavorato anche per altri film e serie televisive, a me sconosciuti. Ha 24 anni e un film in uscita.


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Takumi Saito interpreta Jyugon. Attore e modello giapponese (ha lavorato anche per Calvin Klein, ma con quella faccia lì com’è possibile?), ha all’attivo parecchi film e serie televisive, che ovviamente non conosco. Ha 29 anni.


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Eri Otoguro interpreta Keiko. Tailandese, ha recitato in Shutter – Ombre dal passato. Ha 28 anni.


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Kanji Tsuda interpreta vicepreside e padre di Keiko, Kenji Furano. Sicuramente è l’attore col curriculum migliore tra tutti quelli impelagati in Vampire Girl vs Frankenstein Girl; tra i titoli in cui compare ci sono infatti Sonatine, Getting Any? e Hana – Bi di Takeshi Kitano, e inoltre Audition e Ju – On. Ovviamente giapponese, ha 45 anni e un film in uscita.


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Una curiosità. Il film è tratto dall’omonimo manga dell’autrice giapponese Shungiku Uchida, che devo assolutamente recuperare per la cronaca. Takashi Shimizu, ovvero il regista di Ju – On, Ju – On 2 e The Grudge compare nel ruolo dell’insegnante dai polmoni d’acciaio, e cita appunto i film da lui diretti maledicendo tra l’altro una delle sue allieve. Comunque, se volete davvero un film che unisca un gore parecchio realistico ad una trama assurda ed esilarante, dovete assolutamente guardare Splatters – Gli schizzacervelli di Peter Jackson. Cattivo gusto assicurato!! Ovviamente vi lascio con il trailer di Vampire Girl vs Frankenstein Girl, vedere per credere... ENJOY!


lunedì 10 maggio 2010

The Human Centipede (First Sequence) (2009)

Io mi domando e dico: ma perché non mi faccio i fatti miei? Perché tutte le cose più assurde mi incuriosiscono e mi portano a fare come San Tommaso, vedere per credere? Mi era già andata fin troppo bene con One Eyed Monster, ma vogliamo mettere un mostro monocolo con l’idea di vedere un centopiedi umano? Bene, affari miei e anche affari vostri, perché ora vi ciucciate la recensione di The Human Centipede (First Sequence) di Tom Six, “capolavoro” horror del 2009. Siccome sarò brutalmente esplicita e butterò anche qualche SPOILER qua e là, considerate bene l’idea se leggere o meno ciò che segue, e, in caso decidiate di proseguire, perdonatemi lo schifo.

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La storia è quella di due povere turiste americane che forano una gomma di notte e si perdono nella selva tedesca. Nel cercare aiuto finiscono dalla padella alla brace: infatti si ritrovano in casa di uno scienziato pazzo che ha in animo di creare un trigemino, un centopiedi (o sarebbe meglio dire un dodecapiedi) umano, utilizzando le due malcapitate e un giapponese preso dalla strada. Ma la simpatia sta nel fatto che non li attaccherà per le mani o per i piedi…

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Quando un horror porta a porsi delle domande che non sono esistenziali c’è da preoccuparsi. Alla fine dei titoli di coda, le questioni che mi frullavano nella testa erano essenzialmente due: premettendo che stare all’inizio della tripletta è la cosa migliore, si sta meno peggio a stare nel mezzo o a finire in fondo? E soprattutto, chi sta in mezzo e chi sta in fondo, come diamine si nutre? Ecco, perché caspio un film deve farmi porre questi interrogativi???? Ma perché??? Tom Six deve avere qualche rotella mancante per creare un horror “100% chirurgicamente accurato” (che poi accurato my ass…) basato su tre persone che passeranno la vita in ginocchio e con la bocca attaccata all’ano di quello che sta davanti. Ecco, l’ho detto. E sì, perché alla fine gratta gratta il film si basa su questa scioccante immagine, sull’orrenda vita che la gente condurrebbe se a un imbecille venisse in mente di creare un centopiedi umano. Che poi, perché? Ma capisco Frankenstein che voleva dare la vita ai morti, ma se anche tu, scienziato minchione, detesti il genere umano e sei triste per la morte del tuo triplo rottweiler, a che pro dovresti tenerti in casa un abominio simile?

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Dopo la frugna dentata, il preservativo zannuto e il mostro monocolo effettivamente mancava qualcosa che completasse il quadretto del cattivo gusto; all’uscita del primo Resident Evil, che al confronto è un filmetto per educande, una mia amica mi disse: “ecco, ci manca solo che ora mostrino uno che caga”. Amica mia, basta chiedere. Il completamento del Centopiedi avviene esattamente dopo 40 minuti di film. Fino a quel momento, lo ammetto, si ride. Si ride perché le protagoniste hanno la faccia di quelle che sono predestinate, giustamente, alla violenza e alla sevizia: in panne su una strada deserta beccano l’unico vecchio zozzone che le scambia per due pornodive, e poi in casa di uno palesemente folle trangugiano e bevono qualsiasi cosa lui offra loro. Ce le andiamo un po’ a cercare, eh. Ma il picco di risate si ha quando, dopo aver insultato senza motivo e per almeno 15 minuti le due sfigate, il mad doktor illustra alle tre vittime legate (dopo avere fatto fuori un camionista rapito all’inizio del film mentre interpretava il ruolo di Pierin sul Ponte di Baracca…) il suo geniale piano, e quello che sarà il loro destino: ginocchia prive di legamenti, così col cavolo che vi alzate, e poi bocca contro ano, un unico lungo tubo digerente che parte dal primo della fila e arriva all’ultimo, e vai con l’allegro trenino! Ovviamente le facce dei tre sono da antologia, soprattutto per le due che capiscono, mentre il giapponese per tutto il film non intenderà una sola parola di quello che gli verrà detto, il che è anche peggio, visto che l’idiozia del chirurgo prevede che “la testa” del centopiedi sia proprio quella del nipponico ometto. Un lavoro attoriale mica da ridere visto che per tutto il film le due attrici che interpretano le americane devono recitare con la bocca su un sedere, esprimendosi a mugolii e grugniti (sì, il figlio di buona donna ha ovviamente tolto loro i denti, giusto nel caso vi stiate ponendo la domanda. E sì, fanno vedere quando glieli cava con una pinza.).

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L’ultimo tocco di umorismo, e la fonte della prima domanda, è il momento in cui alla ragazza che tenta di fuggire viene inflitta la punizione suprema: “Tu sarai il pezzo di mezzo, mwahahah!” segue un NUOOOOOOOH alla Jean Claude che mi ha fatta piegare in due sulla sedia. Purtroppo da qui comincia il calvario, il film diventa di una pesantezza superata solo dal fastidiosissimo Salò o le 120 giornate di Sodoma, del defunto Pasolini. Picco del fastidio, che il regista non prova nemmeno a mitigare con il volontario (spero) umorismo trash precedente è quando il giapponese si prostra a terra, ormai chirurgicamente unito alle altre due, e confessa: “I have to shit… I’m sorry”. E questo è nulla!! Ai suoni e ai gemiti della povera crista che deve stare in mezzo e quindi nutrirsi di nipponiche feci (e qui nasce spontanea la seconda domanda: ma quale accuratezza chirurgica?? Ma come può un essere umano non morire dopo due giorni passati ad ingoiare merda??? Passi FORSE la seconda della fila, ma l’ultima che fa? Mangia merda E derivati? Per piacere…) si uniscono i cori di giubilo di quel porco del Dottore, che comincia ad incitarli con un “Yes!! Swallow bitch, swallow!!”. Ma porca miseria, che cattivo gusto. Ora, in Salò aveva un senso, per quanto fosse fastidioso… ma qui, mi vuol solo mostrare che la gente non sa più a cosa attaccarsi per far parlare di sé. Quindi io confido che tale Tom Six venga strafulminato dal buon Dio e interdetto dal praticare ancora la professione di regista e sceneggiatore, anche per l’infame finale. Ah sì, perché il filmastro ha un finale, un bignami sulla costruzione dei personaggi imbecilli. L’arrivo infatti dei due poliziotti più inutili e cretini che la storia del cinema ricordi (d’altronde, siamo in Germania, l’Ispettore Derrik è morto e probabilmente Rex era in ferie quindi al convento non passava altro…) segna il degno e sconfortante completamento di una storia che non doveva neppure essere girata, lasciando uno dei protagonisti, solo (e non vi dico chi sopravviverà nel malaugurato caso in cui vogliate guardare st’immondizia) in balia di un infame destino e lo spettatore preda della tristezza più assoluta. Io ho dormito male tutta la notte, non per la paura, ma per un senso di profondo disagio, come se il mio cervello avesse bisogno di una bella lavata. Se questo era l’intento del regista, i miei complimenti, allora. Ma datemi retta, se non siete dei cultori dello schifo fine a sé stesso evitatelo. Intanto i miei complimenti vanno agli attori, poverini, tutti bravissimi, soprattutto il mad doktor. Cosa non si fa per la pagnotta, signore e signori… mi spiace, avreste meritato di essere ricordati per cose migliori, ma almeno avranno parlato anche di voi.

Tom Six è il regista del film. Originario dei Paesi Bassi, è praticamente sconosciuto in Italia. Sappiate che, non pago, il regista trentasettenne sta già preparando un seguito, The Human Centipede (Full Sequence), che uscirà nel 2011 e dove i malcapitati saranno ben dodici. E io spero davvero che gli arrivino dodici tranvioni a prenderlo alle spalle, a mò di giusta punizione per la continuazione di questi orrori.

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Dieter Laser interpreta il Dottor Heiter. Tedesco, in Italia potranno forse ricordarlo gli appassionati della serie Il Clown, visto che ha recitato in uno degli episodi. Ha 68 anni.

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Ashley C. Williams interpreta Lindsay. Americana e principalmente impegnata in teatro, questo è il secondo film in cui recita, se vogliamo contare anche una comparsata nel fantasy Willow all’età di 4 anni. Ha 26 anni.

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Ashlynn Yennie interpreta Jenny. Americana, ha un film in uscita.

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Akihiro Kitamura interpreta Katsuro. Attore e regista giapponese, ha recitato in un episodio di Heroes. Ha 31 anni e un film in uscita.

Akihiro_KitamuraE ora vi lascio con il trailer del film, se avete voglia di vederlo... decisamente NON ENJOY!! XD




sabato 8 maggio 2010

Grosso Guaio a Chinatown (1986)

Dunque, siccome ho tenuto “ferma” questa recensione per un bel po’ di giorni, spero solo di non scrivere un’illeggibile schifezza e di rendere degnamente omaggio ad uno dei film che preferivo da piccola, ovvero quel piccolo capolavoro che è Grosso Guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China), diretto nel 1986 da John Carpenter. Visto quando ancora passavano in tv e in prima serata dei film con le palle.

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La trama: il camionista Jack Burton si ritrova senza camion ed invischiato in una storia di leggende cinesi ed antica magia quando, arrivato a Chinatown, cerca di aiutare l’amico Wang Chi a liberare la promessa sposa Miao Yin dalle grinfie del demoniaco Lo Pan.

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Svuotate il cervello e mettetevi davanti allo schermo con un sacchetto di pop - corn, perché Grosso Guaio a Chinatown è un film d’avventura nel senso più stretto del termine, intrattenimento allo stato puro. I dialoghi sono serratissimi e necessariamente ironici e “cool”, come tutti i personaggi del resto, ma anche un po’ al limite del trash perché quello che conta è l’azione. E di azione ce n’è a pacchi, visto che Carpenter ci ha infilato dentro di tutto; magie cinesi, antiche leggende, arti marziali, sparatorie, mafia, demoni, mostri, belle ragazze. In pratica un’accozzaglia di ogni clichè dei film di genere, soprattutto quelli infimi, di serie Z.

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Eppure Grosso Guaio a Chinatown non è un film di serie Z, ma un bellissimo omaggio al genere. Tamarro quanto volete, ovvio, ma bello proprio per questo. C’è il tipico eroe canottierato, ironico e piacione che andava tanto di moda negli ’80 (Bruce Willis docet) e che, diciamocela tutta però, in questo film non fa altro che prendere botte salvo il colpo di puro culo finale; ci sono orde di cinesi che combattono, esibendosi in tutte quelle inutili mossette, preparazioni e coreografie che noi occidentali non abbiamo mai capito e mai capiremo probabilmente (di questi tempi un film simile sarebbe alla moda, ma pensate un po’ all’epoca quanto dovrà essere sembrato particolare, soprattutto per noi italiani abituati a Bud Spencer e Terence Hill…); c’è un malvagio dall’aspetto meravigliosamente kitsch, con quelle unghie lunghe tre metri, ma anche inquietante; ci sono mostriciattoli che sbucano, inaspettatamente, da ogni angolo, rendendo questo film ancora più ibrido; e infine c’è il meraviglioso saggio cinese, che nel tempo libero fa l’autista di pulman turistici, con più assi nella manica di un baro e più barbatrucchi di un Barbapapà. Se si è fan dell’horror, dei film di arti marziali, o più semplicemente dei vecchi action movie non si può non amare ciò che Carpenter ha messo in piedi, né perdersi nella sua atmosfera provando un bel po’ di nostalgia per quello che un tempo si poteva fare con effetti speciali dignitosi ma ben lontani dalla CG odierna.

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Certo, non si può dire che Grosso guaio a Chinatown sia perfetto. Al di là della pessima scelta di un’attrice come Suzee Pai che sembrerebbe una nativa americana più che una cinese, anche grazie alle lenti a contatto verdi, ci sono un po’ di buchetti nella trama. Personalmente, mi sono sempre chiesta da dove spuntasse l’avvocatessa Gracie Law e perché ne sapesse così tanto di leggende cinesi sconosciute ai più. Inoltre, all’inizio viene mostrato l’interrogatorio a cui un avvocato sottopone il vecchio Egg Shen, dopo che quest’ultimo è stato indicato, assieme a Jack, come distruttore di mezza Chinatown. Ovvio che chiunque avrà visto esplodere gli edifici, ma come diamine hanno fatto gli sbirri a sapere cosa è successo in sotterranei che erano praticamente l’anticamera dell’inferno cinese? A parte tutto, queste domande non compromettono il fatto che questo film debba essere un caposaldo per ogni figlio degli anni ’80 e una piacevole visione per chi ritiene che il cinema possa ancora essere un mezzo di sano, artigianale e semplice divertimento.

John Carpenter è il regista del film. Quest’uomo è uno dei maestri del cinema horror, assieme a Romero, Craven e Cronenberg, forse il mio preferito tra i quattro, per essere una “via di mezzo” tra la critica sociale di Romero, il cinema più “mainstream” di Craven e gli inquietanti deliri di Cronenberg. Tra i suoi film ricordo Halloween: la notte delle streghe, 1997: fuga da New York (e il suo seguito, Fuga da Los Angeles), La Cosa, Christine la macchina infernale, lo splendido Il signore del male, Essi vivono, Il seme della follia (forse il mio horror preferito dopo Shining), Il villaggio dei dannati, il meraviglioso Vampires e per la TV due episodi dei Masters of Horror, tra cui il migliore della prima serie, Cigarette Burns. Ha 62 anni e tre film di prossima uscita.

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Kurt Russell interpreta il mitico Jack Burton. Attore che ritengo ancora oggi affascinantissimo, assai attivo negli anni della mia infanzia, lo ricordo per film come 1997: fuga da New York (e il suo seguito, Fuga da Los Angeles), La Cosa; Tango & Cash, Stargate, Vanilla Sky e Grindhouse: A prova di morte (dove avevo già parlato di lui, ma siccome è uno dei vecchi post ed è fatto coi piedi, meglio riscrivere tutto!); inoltre ha partecipato ad un episodio del telefilm Charlie’s Angels. Come doppiatore, ha prestato la voce alla volpina di Red & Toby: Nemici amici e all’Elvis di Forrest Gump. Ha 58 anni e un film in uscita.

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Kim Catrall interpreta Gracie Law. L’attrice inglese, dopo una gavetta come gnoccolona nei film di genere, ha ottenuto il successo e la consacrazione internazionale grazie al telefilm Sex & The City e ai due film nati dalla serie, dove intrerpretava la più vajassa delle 4 sgallettate protagoniste. Tra gli altri film che contano la sua presenza segnalo Porky’s questi pazzi pazzi porcelloni (ossignur!), Scuola di Polizia, Il falò delle vanità e 15 minuti – follia omicida a Manhattan; per la tv ha partecipato a telefilm come Colombo, Starsky & Hutch, L’incredibile Hulk, Charlie’s Angels e Oltre i limiti, mentre ha doppiato serie come Rugrats e I Simpson. Ha 54 anni e due film in uscita.

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Tra l’insieme di attori di origine asiatica che affollano il film, segnalo Victor Wong, alias Egg Shen, che assieme a Pat Norita di Karate Kid detiene la palma di orientale più utilizzato nei ruoli di maestro di arti marziali per ragazzetti americani, e che ha recitato assieme a Dennis Dun (il co - protagonista Wang Chi) in un altro film di Carpenter, Il Signore del male. Invece James Hong, alias David Lo Pan, ha dato e darà la voce a Ping, il padre del panda Po in Kung Fu Panda e nel suo imminente seguito, Kung Fu Panda: The Kaboom of Doom. Ovviamente, a chi fosse piaciuto il genere, non posso non consigliare il mio film preferito della serie dedicata a Indiana Jones, ovvero Indiana Jones e il tempio maledetto, che fa il paio con Grosso Guaio a Chinatown per essere stato un mio mito d’infanzia; assai affine allo spirito un po’ “tamarro” dei due film, anche se più recente e più fantasy, è anche il carinissimo Stardust. E ora vi lascio con il trailer originale del film.... ENJOY!!






mercoledì 5 maggio 2010

BollAnteprima: Shadow (2009)

Per un’appassionata di cinema e soprattutto horror come me, l’idea di presenziare a una prima dove potersi anche confrontare con attori e regista è una specie di sogno. Grazie ad una bella iniziativa del sito horror.it il sogno si è avverato e ho avuto occasione anche di vedere quello che sicuramente è il migliore film horror italiano degli ultimi anni, ovvero Shadow, diretto nel 2009 da Federico Zampaglione, proprio il cantante dei Tiromancino. Data questa piccola premessa, con in mente le belle e dolci canzoni del gruppo, ovviamente ero scettica, anche se ne avevo sentito parlare benissimo. Ah, l’ignoranza e i pregiudizi, che brutta cosa!


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Trama: David è un ex soldato, reduce dalla guerra in Iraq. Per liberarsi dagli orrori passati, decide di andare a fare biking sui monti e lì incontra un’appassionata ciclista come lui, Angeline. Quella che si preannuncia come una rilassante gita viene però trasformata in un incubo dapprima da due cacciatori decidi a vendicarsi dopo che i due ragazzi fanno fuggire una potenziale preda, quindi da un terribile essere che si aggira nei boschi, e che non fa distinzione tra buoni e cattivi…


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Siccome sono sicura di non essere diventata ipersensibile ma, anzi, ormai gli horror, per quanto beceri, non mi fanno più né caldo né freddo (a parte A' l’interieur…), posso dire con certezza che Shadow fa davvero paura. Nonostante il film racchiuda in sé più di un archetipo horror, come il bosco, la nebbia, il maniaco torturatore, ecc., Zampaglione riesce a metterli insieme raccontando qualcosa di nuovo e tornando ai bei tempi in cui per saltare sulla poltrona non servivano litri di sangue e perversioni al limite dell’incomprensibilità umana. Anzi, Shadow in questo è relativamente semplice, ma giuro cheEli Roth con il suo Hostel o tutti i registi dei vari Saw ne dovranno fare di strada prima di farmi tappare le orecchie per non sentire il crescendo di urli di uno dei cacciatori mescolati al suono della corrente elettrica durante la prima, semplice e terribile tortura perpetrata dall’inquietante Mortis. E questo è solo l’aspetto più superficiale di un film che, complice anche il particolare e triste finale, penetra in profondità.


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Dopo la lunga ed interessante chiacchierata con il regista, il ricordo di Shadow si arricchisce di interpretazioni particolari. Non un horror fatto tanto per fare, ma il frutto di una passione che Zampaglione coltiva da sempre, appoggiato dal padre (altro appassionato e coautore della sceneggiatura), e dei “banali” orrori di cui la nostra civiltà è piena. David ha un retaggio di soldato da cui cerca di fuggire, evadendo in una realtà da sogno. Ma come dice Angeline all’inizio, “gli orrori della guerra sono arrivati anche qui”; a poco a poco David si ritrova in un incubo, preda di qualcuno che è rimasto segnato dalla guerra tanto quanto lui, e che col senno di poi è l’incarnazione stessa del senso di colpa dei carnefici e dell’odio delle vittime. In una delle scene più raccapriccianti del film il protagonista è costretto a vedere, impossibilitato a chiudere gli occhi, sprofondato in un posto pieno di testimonianze degli orrori della guerra: ritratti di dittatori e guerrafondai (tra i quali spicca anche Bush, non a caso), filmati che riportano ogni singolo conflitto degli ultimi cent’anni, foto di deportati, che ricordano tanto l’emaciato Mortis. Con tutti questi “indizi” sarebbe facile capire l’origine di Mortis, ma Zampaglione nel finale ribalta ogni prospettiva e conferisce al film un significato completamente diverso.


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Passando ad aspetti più “tecnici”, Shadow è pieno di cinefili omaggi, come una delle ultime immagini di Mortis, che lo mostrano identico alla Morte deIl settimo sigillo di Bergman; l’inizio ricorda molto Blood Trails, mentre l’utilizzo, durante le scene più crude, di una canzone rilassante come La strada del bosco di Claudio Villa (canzone scelta dal padre del regista, che gentilmente ha risposto alla mia domanda in merito – sì, lo so, era una domanda idiota, ma fondamentalmente io faccio caso solo a questi particolari frivoli…), crea un effetto straniante pari a quello che ha creato Aja in Alta tensione con Sarà perché ti amo dei Ricchi e poveri. A questo proposito, la colonna sonora, creata dal fratello del regista, Francesco, e dai The Alvarius, è semplicemente meravigliosa e molto azzeccata, sicuramente apprezzabile anche fuori dal film (anche se l’urlo del protagonista che si confonde con un assolo di chitarra elettrica è geniale). Gli attori sono stati selezionati per fortuna al di fuori del mondo dello spettacolo nostrano, e sono tutti professionisti ahimé poco conosciuti: avendoli visti dal vivo, confrontandoli con i rispettivi personaggi, ho apprezzato soprattutto Nuot Arquint, terrificante d’aspetto come il mostro che interpreta eppure timido e cauto nell’esprimersi e i due bastardissimi cacciatori, ovvero Ottaviano Blitch e Chris Coppola. Il primo è un autore completo, il tipico attore professionista in grado di cimentarsi alla perfezione in qualsiasi ruolo, il secondo è una persona simpaticissima, specializzato in ruoli comici, che per la prima volta si ritrovava a dover interpretare uno stronzo maniaco, riuscendoci perfettamente.


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Questa l'ho scattata io alla prima.. non è granché così rimpicciolita ma ne vado molto orgogliosa, quindi se volete utilizzarla chiedete please ^__^


Detto questo, speriamo davvero che il pubblico italiano, e gli autori soprattutto, aprano un po’ gli occhi. Il nostro cinema non è morto, ucciso dalla tv commerciale, ma è di sicuro stato pesantemente narcotizzato. Per quanto coraggio abbiano giovani registi come Zampaglione è praticamente impossibile trovare produttori disposti a rischiare e sostenere progetti che non saranno visti e apprezzati dal 90% delle persone, quindi acquistati dalle tv; è molto meglio acquistare la pappa pronta USA, che attira sempre un pubblico maggiore. Per questo, il mio consiglio stavolta diventa un appello: andate a vedere Shadow e sostenete il cinema italiano, se c’è la possibilità che lo mettano in un cinema vicino a voi fate la cortesia per una volta di spendere sette euro per qualcosa che valga la pena venga visto e conosciuto, magari togliendoli a ciofeche infami come questi continui e noiosi remake di horror USA. Fidatevi, se amate l’horror non li rimpiangerete.


Federico Zampaglione è il regista della pellicola. Conosciuto soprattutto come cantante del gruppo Tiromancino, in realtà non è al suo primo film, in quanto ha già girato Nero bifamiliare, una commedia nerissima. Romano, ha 42 anni.


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Nuot Arquint interpreta Mortis (battezzato in realtà così solo nei titoli di coda, in quanto il personaggio non viene mai nominato). Svizzero, ha partecipato a film come La passione di Cristo e Il divo.


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Ottaviano Blitch interpreta uno dei due cacciatori, Fred. Regista e attore di un corto molto gore dal titolo Liver, lo ritroviamo anche in Italians e nell’horror italiano In the Market. Ha un film in uscita.


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Chris Coppola interpreta il secondo cacciatore, Buck. Americano, ha già recitato (spesso con piccole parti) in parecchi film come Spawn, Spider – Man, Sim0ne, Lo smoking, La leggenda di Beowulf, Venerdì 13 e in telefilm come ER, Jarod il camaleonte,. Giudice Amy, CSI, Cory alla Casa Bianca. Ha due film in uscita.


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Jake Muxworthy interpreta David. Americano, ha partecipato a serie tv come 24, Senza traccia e CSI: NY. Ha 32 anni.


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Karina Testa interpreta Angeline. L’attrice francese ha recitato in un altro horror assai famoso, Frontiers – le frontiere dell’inferno. Ha 29 anni e un film in uscita.


karina-testaE ora vi lascerei con il trailer del film, se non lo avete ancora visto da qualche parte... Sentite che bella la colonna sonora e ENJOY!! (P.S. Vi ricordo che il film in questione esce il 14 maggio!!)


martedì 4 maggio 2010

Iron Man 2 (2010)

Capita a volte, ma solo a volte, che il secondo capitolo di un film sia meglio del primo. Ora, verrò tacciata di eresia ma questo per me vale innanzitutto per quel capolavoro che è Indiana Jones e il tempio maledetto, una spanna sopra I predatori dell’arca perduta, almeno nel mio cuoricino di nerd. E vale anche, vuoi perché l’ho visto al cinema mentre il primo me lo sono guardato in DVD, per Iron Man 2.


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La trama: sei mesi dopo aver “confessato” al mondo di essere Iron Man, Tony Stark si ritrova un bel po’ di problemi tra capo e collo. Innanzitutto sta per morire avvelenato dallo stesso elemento che gli consente di sopravvivere ed essere Iron Man, il che non è poco. Il governo USA vuole a tutti i costi la sua armatura. Un paio di dubbi personaggi vogliono fargli perdere ogni residuo di credibilità e, se possibile, farlo fuori. Come sovrappiù, anche lo S.H.I.E.L.D. lo perseguita.


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Molto probabilmente Jon Favreau ha avuto carta bianca visto il successo del primo film, perché altrimenti non si spiegherebbe come mai questo Iron Man 2 sia un ponderoso fumettone di ben due ore e passa, dove Robert Downey Jr. gigioneggia a più non posso e c’è spazio per abbondanti dosi di ironia più che di effetti speciali. Il regista riesce ad infilarci dentro tanti di quegli spunti e di idee che al fumetto servirebbero come minimo ventisette albi diversi più un numero imprecisato di speciali per sviscerarle tutte. E lo fa anche troppo bene, considerata tutta la carne che mette sul fuoco. Se il film precedente mostrava un Tony Stark che imparava ad essere più “responsabile” e meno egocentrico, il secondo capitolo ci mette davanti un uomo che sa di stare per morire e che è sopraffatto dalla fretta di portare a termine tutto quello che ha lasciato in sospeso, facendosi prendere dallo sconforto ed abbruttendosi nelle peggiori maniere possibili (la scena in cui, completamente ubriaco, fa pipì nell’armatura è semplicemente geniale..). Dalle stelle alle stalle si potrebbe dire; e infatti lo scopo del nuovo villain, il russo Ivan Vanko, è quello di screditare agli occhi della gente comune un uomo che in fin dei conti è un egocentrico con manie di grandezza. Il dilemma etico sul fatto se sia più giusto lasciare un’arma devastante nelle mani di un privato o metterla a disposizione di uno stato potente come gli USA viene gettato come il proverbiale sasso, ma poi Favreau ritira la mano, lasciando le riflessioni dello spettatore a perdersi in un casino di intrecci spionistici e battaglie tra armature e droni, ma pensandoci bene tutto si conclude a tarallucci e vino: entrambe le opzioni sono sbagliate, pubblico e privato devono unire le forze con l’unico intento di fare del bene agli altri, non a sé stessi. Utopistico, non c’è che dire.


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Tornando ad aspetti più “terra terra”, le novità introdotte nel film sono parecchie, e tutte per i fan. James “Rhodey” Rhodes ottiene un ruolo più importante rispetto al primo film, vestendo anche i panni della seconda armatura Marvel, ovvero War Machine, con tutte le conseguenze del caso: più combattimenti, più armi, una villa completamente devastata, una città praticamente esplosa, ed il costante dilemma amicizia vs dovere. Per i maschietti ecco arrivare la rossa Natasha Romanoff, alias Vedova Nera (anche se il suo nome in codice non viene mai citato), che porta nella relazione tra Stark e miss Pepper lo squilibrio del terzo incomodo e consente allo S.H.I.E.L.D. di assumere un ruolo un po’ più importante, per la gioia di chi, come me, non ne ha mai abbastanza di vedere sullo schermo Samuel L. Jackson nei panni di Nick Fury. Non me ne voglia Jeff Bridges, che nel primo film interpretava Obadiah Stane, ma i villain del secondo episodio sono molto migliori. Innanzitutto sono ironici da morire, soprattutto il magnate Justin Hammer, interpretato da un Sam Rockwell che non è mai stato così peppia e rompipalle, un ragazzino incompetente e viziato che assieme al taciturno e strepponissimo Ivan Vanko di Mickey Rourke crea una coppia assolutamente perfetta, che vive di un costante contrasto culturale e caratteriale (stupenda la scena del pranzo nell’hangar, con il petulante Hammer che parla per mezz’ora mentre Vanko lo guarda con un’espressione disgustata che vale mille parole, prima di rispondergli in russo e farsi prendere per scemo; una gag che verrà ripresa verso la fine, quando i piani di Vanko vengono rivelati nella loro interezza).


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Dopo tutte le cose positive che ho detto, può però mancare la troiata (al di là dell’inverosimiglianza con la quale miss Pepper riesce sistematicamente a resistere alle avances di quel fico di Tony…) che rovina in parte il film? Ovviamente no. Peccato che sia una delle cose risolutive, ovvero il modo in cui Iron Man riesce a trovare una cura per la sua condizione. Non vi anticipo né come arriva a trovarla né come la realizza, ma sappiate che quest’enorme scemenza viene salvata solo dall’utilizzo improprio ed irrispettoso che Tony Stark fa di un cimelio Marvel che definire storico è poco: lo scudo di Capitan America. E a proposito di cimeli storici, NON andate via prima della fine dei titoli di coda, perché per tutti i fan c’è una sorpresa… divina. ‘nuff said. Insomma, questo Iron Man 2 non sarà sicuramente un film memorabile o perfetto, ma nonostante la lunghezza regala un paio d’ore di divertimento “serio” e momenti di grasse risate, soprattutto grazie agli attori in formissima e ad una bella sceneggiatura, due elementi che non vengono soffocati,  come spesso accade, dagli effetti speciali, che in questo film sono curatissimi e molto funzionali alla trama. Consigliato, decisamente.


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Di Jon Favreau, Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow e Samuel L. Jackson ho già parlato qui, Scarlett Johansson la trovate qua, e per finire Sam Rockwell compare in questo post. Segnalo il solito cameo di Stan Lee, che questa volta è uno dei fan che stringe la mano ad Iron Man nelle prime scene del film.


Mickey Rourke interpreta Ivan Vanko. Questo meraviglioso attore Americano ha vissuto momenti di pura gloria negli anni ’80, durante i quali era considerato uno degli attori sex symbol per eccellenza, grazie a pruriginose minchiatelle come 9 settimane e mezzo e Orchidea selvaggia, che all’epoca destarono grande scalpore. Si è poi autodistrutto con filmacci mediocri e una carriera di boxeur che lo ha costretto praticamente a rifarsi la faccia. E’ “risorto” l’anno scorso con il film The Wrestler, e speriamo che continui così. Oltre ai film già citati ricordo 1941: Allarme a Hollywood, I cancelli del cielo, Brivido caldo, Rusty il selvaggio, Angel Heart – Ascensore per l’inferno, Harley Davidson & Marlboro Man, Animal Factory, C’era una volta in Messico, lo splendido Sin City. Ha 58 anni e sette film in uscita, tra cui, forse, il quinto capitolo della serie Rambo.


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Don Cheadle sostituisce l’attore Terrence Howard nei panni di James “Rhodey” Rhodes. L’attore americano, famoso per essere uno dei protagonisti di ogni film seguito a Ocean’s Eleven, ha recitato nel bellissimo e ahimé poco conosciuto (e prima o poi recensito) Cosa fare a Denver quando sei morto, in Vulcano – Los Angeles 1997, Boogie Nights – l’altra Hollywood, Out of Sight, Traffic. In Tv è comparso nei telefilm Saranno famosi, Avvocati a Los Angeles, Willy il principe di Bel Air, The Bernie Mac Show, ER ed ha inoltre prestato la voce per un episodio de I Simpson. Ha 46 anni e un film in uscita.


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Un paio di curiosità: leggenda narra che Sam Rockwell dovesse recitare col ruolo di Iron Man già nel primo film, ma gli è giustamente stato preferito Robert Downey Jr. Quanto a Samuel L. Jackson e al suo Nick Fury, preparatevi perché il nostro ha firmato un contratto che lo porterà ad interpretare il direttore dello S.H.I.E.L.D. per almeno nove film; tra l’altro, e questo è interessante, mi pare che la Marvel stia cercando di creare una sorta di continuity anche nel suo universo cinematografico, visto che nel 2012 dovrebbe uscire il film dei Vendicatori e Thor è già ai nastri di partenza, come dimostrano parecchi indizi in Iron Man 2. In realtà Edward Norton stesso avrebbe dovuto partecipare al film con un breve cameo nei panni di Bruce Banner / Hulk, anche se poi non se n’è fatto nulla. Chi vivrà vedrà, ma nel frattempo se vi è piaciuto il film non avete che l’imbarazzo della scelta: il primo Fantastici 4 (decisamente inferiore ma altrettanto ironico), la trilogia di Spider Man e quella degli X – Men dovrebbero placare per un po’ la vostra sete di supereroi Marvel. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!