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martedì 30 novembre 2010

Harry Potter e i Doni della Morte - parte 1 (2010)

E’ cominciata qualche giorno fa, almeno per me, la lunga attesa che si protrarrà fino a giugno/luglio 2011, periodo in cui uscirà la seconda e ultima parte di Harry Potter e i Doni della Morte (Harry Potter and the Deathly Hallows), diretto da David Yates. Se il buongiorno si vede dal mattino posso ben sperare, visto che finora questo è il film della saga che mi è piaciuto di più, anche se ovviamente il libro è molto superiore.

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Trama: dopo la morte di Silente il mondo della magia è nel caos. Mentre Voldemort prende il potere, sia in Inghilterra che a Hogwarts, Harry, Ron ed Hermione partono alla ricerca degli Horcrux, oggetti incantati nei quali Colui che non deve essere nominato ha nascosto pezzi della sua anima. Il compito, ovviamente, è molto meno facile di quanto si aspettassero…

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Dopo anni passati a vedere gli splendidi libri della Rowling sacrificati in due ore e passa di film, penalizzati da tagli, approssimazioni, buchi e quant’altro, finalmente all’ultimo romanzo viene dato il trattamento che merita e si è deciso di dividerlo in due film parecchio lunghetti e pregni di indizi, rimandi ai precedenti, momenti di approfondimento e quant’altro. Per chi, come me, rasenta il fascismo quando si tratta di adattamenti cinematografici, una cosa simile è una manna dal cielo, ma nonostante questo, credetemi, avrò qualcosa per cui lamentarmi, più o meno verso la fine del post. Per ora, parliamo delle (molte) cose positive: innanzitutto, complimenti agli sceneggiatori, al regista, agli scenografi e ai costumisti perché questo Harry Potter e i Doni della Morte è curatissimo soprattutto nei dettagli. Nonostante manchino gli ambienti grandiosi e fantastici tipici dei film precedenti, come la Gringott o Hogwarts, il senso di meraviglia viene mantenuto vivo innanzitutto dagli spettacolari paesaggi che vengono utilizzati come sfondo per i vari spostamenti del trio durante la ricerca degli Horcrux, dai pochi ma degnissimi inseguimenti e scontri a base di incantesimi, dalle stilosissime mise che indossano i protagonisti e, soprattutto, dai piccoli gesti che, più di qualsiasi dialogo, mostrano allo spettatore i legami di amicizia o amore che legano i vari personaggi: commovente l’inizio con Hermione che cancella sé stessa dalla mente dei genitori, da vera wakka wakka il gesto di Ginny che, a schiena nuda, chiede a Harry di tirarle su la zip dell’abito, stupendo il faccione rapito di Ron che contempla Hermione impegnata ad insegnargli a suonare Fur Elise al pianoforte, molto carina la scena in cui Harry cerca di tirare su il morale ad Hermione facendola ballare (anche se il tutto risulta un barbatrucco per trarre in inganno gli sprovveduti che, non avendo letto i libri, potevano pensare ad una liaison tra i due…); ma quello che ho amato di più, oltre al bellissimo cartone animato che racconta la storia dei Doni della Morte (esemplare, quasi più bello dello stesso film e con un impatto grafico che mi ricordava tantissimo le Totentanzen e, per estensione, Il settimo sigillo), è come il regime di Voldemort influenzi il ministero, che si trasforma in una fabbrica di pamphlet anti-babbani in perfetto stile stalinista pattugliata da camicie nere e decorata da statue che rappresentano Babbani schiacciati dalla potenza dei maghi.

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Nonostante questa quasi perfezione, però, ho provato uno strano senso di “fretta”, di mancanza di sentimento (il che è paradossale, visto quello che ho scritto prima). Gli sceneggiatori, molto intelligentemente, hanno gettato qualche spiegazione che rammentasse gli eventi passati, hanno snellito qualche punto che nel libro era troppo lungo e ripetitivo e hanno ovviamente eliminato parecchi utilizzi della Pozione Polisucco, che ci avrebbero fatto assistere ad un film praticamente privo degli attori principali, però a tratti mi è sembrato di trovarmi davanti un film a microepisodi il cui unico scopo è esaurirsi puntando al finale necessariamente sospeso. Un’altra cosa che mi ha fatta storcere il naso è l’assoluta assenza di un elemento fondamentale come il Mantello dell’Invisibilità e che, nonostante l’abbondanza di episodi particolarmente significativi dal punto di vista “psicologico”, ci si sia dimenticati di far recuperare ad Harry l’occhio di Moody, incastonato nella porta dell’ufficio della Umbridge, e soprattutto che non si sia fatta menzione della foto strappata nella camera di Sirius; questo mi fa temere che nel secondo episodio si sorvolerà parecchio sulla vita di Piton, il che mi fa notevolmente irritare. Cerchiamo di non pensarci, e di apprezzare quello che abbiamo. Per fortuna gli attori sono tutti in gran forma (tutti tranne il solito Daniel Radcliffe che, nei panni di Harry, ormai è proprio arrivato alla frutta: l’unico momento in cui è realmente credibile, paradossalmente, è quando interpreta qualcun altro!!) nonostante debba lamentarmi del fatto che Piton e, soprattutto, Lucius, si vedano poco e che Helena Bonham Carter sia leggermente sottotono rispetto ai film precedenti. Tra l’altro ho adorato l’attore che, per una decina di minuti, sostituisce Radcliffe nelle scene ambientate al ministero: duro come un bacco ma con un’espressività esilarante! Molto bella anche la vena horror che, fin dall’inizio, percorre il film (pare che per evitare ulteriori divieti la scena della tortura di Hermione sia stata pesantemente tagliata), ma perdonate se alla fine, di fronte alla morte del pupazzo CG più mollo che la storia ricordi, non è riuscita a scendermi nemmeno una lacrima. Insomma, alla fine, do al film la sufficienza piena con un paio di virgole confidando che facciano ancora meglio nell’ultimo capitolo.

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"Lucius... mi NECESSITA la bacchetta...." GENIALE XD



Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Bill Nighy (Il ministro della magia Rufus Scrimgeour), Julie Walters (Molly Weasley), Timothy Spall (Codaliscia), Brendan Gleeson (Malocchio Moody) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).

Jason Isaacs interpreta *sbava copiosamente* Lucius Malfoy. Attore inglese che la Bolla apprezza particolarmente per la beltade che lo caratterizza, lo ricordo in film come Dragonheart, Armageddon, Resident Evil, Lo Smoking, Harry Potter e la camera dei segreti, Peter Pan, Harry Potter e il Calice di fuoco, Grindhouse e Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Ha 47 anni e quattro film in uscita tra cui, ovviamente, la seconda parte de I doni della Morte.

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Ralph Fiennes interpreta nientemeno che Voldemort. Attore inglese tra i più bravi, più volte nominato per l’Oscar, fratello del meno famoso Joseph Fiennes (quello che ha fatto Shakespeare in Love, per intenderci…), lo ricordo per film come Schindler’s List, Strange Days, Il paziente inglese, The Avengers – Agenti speciali, Spider, Red Dragon, Harry Potter e il Calice di fuoco e Harry Potter e l’Ordine della Fenice, e per aver prestato la voce ne Il principe d’Egitto e Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Ha 48 anni e tre film in uscita, tra cui la seconda parte de I doni della Morte.

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Robbie Coltrane interpreta Hagrid. L’attore scozzese ha partecipato a tutti i film della serie Harry Potter, e tra le sue altre pellicole ricordo Flash Gordon, la versione tv di Alice nel paese delle meraviglie, From Hell – La vera storia di Jack lo squartatore, Van Helsing e Ocean’s Twelve. Ha 60 anni e due film in uscita.   

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Rhys Ifans è la new entry del film ed interpreta Xenophilius Lovegood, il papà di Luna. Attore gallese, ha recitato in Twin Town, Notting Hill, The Shipping News – Ombre dal passato, Hannibal Lecter – Le origini del male, Elizabeth: The Golden Age e il geniale I Love Radio Rock. Ha 42 anni e cinque film in uscita, tra cui il reboot di Spiderman (GIA?????) dove interpreterà, probabilmente, Lizard, e una versione televisiva di Peter Pan dove vestirà il ruolo di Capitan Uncino.

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E ora, un paio di curiosità. Quasi all’inizio del film vengono introdotti due personaggi che sarebbero dovuti spuntare già nei film precedenti, ed uno di questi è Bill Weasley che, guarda caso, è interpretato da Domnhall Gleeson, figlio di quel Brendan Gleeson che incarna degnamente lo sfortunato Malocchio Moody. Pare, inoltre, che sia Shyamalan che Guillermo del Toro si fossero offerti di dirigere il film. Peccato che il secondo sia stato lasciato fuori, ma se il maledetto Sciabadà avesse anche solo sfiorato la cinepresa credo gli avrei amputato le mani. E ora vi lascio con il trailer che unisce i due film... vi dico la verità, non vedo l'ora che esca l'ultimo!! ENJOY!

domenica 21 novembre 2010

Devil (2010)

Lo scetticismo a cui può portarmi il regista M. Night Shyamalan è incredibile. Pur essendo solo produttore del film Devil, in realtà diretto da John Erick Dowdle, è bastato infatti il suo nome per mettermi sul chi va là e guardarlo con gli occhi di chi si aspetta una bufala. Per fortuna sono stata smentita ma purtroppo ho avuto, in parte, anche ragione.

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Trama: cinque individui si ritrovano chiusi all’interno di un ascensore. Quando cominciano a morire uno ad uno, i soccorritori all’esterno intuiscono che tra essi potrebbe trovarsi nientemeno che il Diavolo.

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Sinceramente, mi dispiace quando un bel film viene rovinato da un finale del cavolo. Devil, posso dirlo senza ripensamenti, fino agli ultimi cinque minuti si segue benissimo: innanzitutto è ben girato, nonostante la trama ridotta all’osso non si ha mai un momento di noia e la commistione tra horror e poliziesco è praticamente perfetta. Lo spettatore viene inserito nella storia grazie ad una voce narrante fuori campo (che poi si scopre appartenere ad uno dei soccorritori) che ci narra un racconto popolare tramandatogli da sua madre: di tanto in tanto il diavolo sceglie cinque peccatori da torturare prima di prendergli le anime, ed il suo arrivo viene sempre preannunciato da un suicidio. Questo è ciò che accade, in effetti, nel film, dove ogni evento viene introdotto dalla continuazione di questo racconto. Lo spettatore, che sa quindi cosa aspettarsi, si diverte innanzitutto a capire, molto banalmente, chi dei cinque potrebbe essere Satana e a seguire le indagini dell’ispettore che, invece, cerca di scoprire chi dei cinque potrebbe essere il potenziale assassino e perché, trovandosi decisamente spiazzato davanti all’evidenza che tutti gli occupanti dell’ascensore hanno qualcosa da nascondere. Gli occupanti in questione, per una volta, non vengono introdotti con dei flashback o simili ma vengono lasciati privi di nome per la maggior parte del film e caratterizzati con pochi, intelligenti particolari: capiamo che la guardia è un violento dal modo in cui si muove come una bestia in gabbia e scatta alla minima provocazione, che la ragazza è una stronzetta dal modo in cui si atteggia nei confronti degli “altri”, che il venditore di materassi è un poco di buono dallo sguardo che lancia al culo della ragazza appena lei fa l’elegantissimo gesto di sistemarsi le mutande (ma… in ascensore…? Ohibò…!), ecc. ecc.

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La realizzazione visiva del film è molto bella. La carrellata iniziale che ci mostra anche il trailer, quella di una Philadelphia sottosopra, non è un vezzo messo a caso, ma la rappresentazione di una giornata storta, governata dalle leggi del Diavolo, come viene detto più avanti da uno dei due guardiani; le riprese all’interno dell’ascensore alternano quello che viene visto dalle telecamere interne al punto di vista soggettivo dei personaggi, mescolando immagini reali a visioni terrificanti di figure spettrali (poche, per fortuna) e cadaveri insanguinati, specchio perfetto della crescente incredulità del detective che vede ogni traguardo della sua rapida e razionale indagine andare in pezzi di fronte alla potenza del sovrannaturale (non a caso questo è il primo capitolo delle Night Chronicles, una trilogia che parlerà del sovrannaturale all’interno della società moderna); gli attori, per quanto quasi sconosciuti, sono bravi e abbastanza credibili, con l’unica pecca del personaggio del detective, un po’ piatto nella resa e seppellito dai clichè (ex alcolizzato, reduce da una tragedia che lo ha segnato, ecc. ecc.). Insomma, Devil è un bel film…

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… ma poi il Diavolo ci mette lo zampino. O meglio, NON ce lo mette. Sì perché il finale del film è uno dei peggiori che io abbia mai visto. Innanzitutto ci mette davanti agli occhi l’immagine di un diavolo fondamentalmente giusto e buono, una sorta di Angelo della Vendetta che punisce i peccatori (e al massimo fa fuori quelli che cercano di salvarli, ma poca roba: prima avverte, poi se tu sei recidivo, allora ti uccide, ma quasi controvoglia…) e poi lo priva di quella logica machiavellica che solo Satana potrebbe avere. Insomma, quello di Devil è un demonio che innanzitutto si fa sconfiggere con un pentimento degno di un bambino delle elementari e che poi accetta la sconfitta senza neppure cercare di vendicarsi, lasciando gli spettatori con una moraletta da Orsoline ed il comportamento umano più inverosimile che si possa immaginare: quale persona perdonerebbe chi, anni prima, gli ha sterminato tutta la famiglia e poi è scappato lasciando solo un biglietto di scuse? Ma per piacere, non lo accetto. Non è certo un film così che può insegnare il perdono o fare catechismo, non dopo che mi sono state mostrate gole tagliate, colli ritorti, grandi ustionati e quant’altro. Peccato, perché un finale così bigotto e moralista lascia davvero l’amaro in bocca ed un ricordo pessimo di un film altrimenti pregevole. Temo gli altri due capitoli delle Night Chronicles, il cui nome mi porta a dire, tra l’altro, “fanculo Shyamalan, maledetto egocentrico”. E con questa botta di finezza chiudo la recensione: si vede che Shyamalan mi sta sulle balle, vero? Haha!

John Erick Dowdle è il regista del film. Americano, ha girato il remake di Rec, quel Quarantine che devo ancora vedere ma che tutti mi hanno sconsigliato. Ha 37 anni.

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Chris Messina interpreta il detective Bowden. Attore americano, come gli altri protagonisti del film poco conosciuto, ha già partecipato a Attacco al potere, C’è post@ per te e Vicky Cristina Barcellona, nonché ad episodi di telefilm come Law & Order, Six Feet Under e Medium. Ha 36 anni e due film in uscita.

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Come ho detto, gli attori che partecipano al film sono più o meno sconosciuti, ma guardando bene si possono scovare delle chicche. Per esempio, l’irritante venditore di materassi è interpretato da Geoffrey Arend, che in originale doppiava l’odioso e leppego Upchuck che tutti i fan di Daria dovrebbero ricordare. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!

mercoledì 17 novembre 2010

A volte ritornano (1991)

Gli adattamenti dei libri e racconti di Stephen King hanno avuto fortuna tanto in tv quanto al cinema. Assieme a capolavori cinematografici come Shining, Il miglio verde, Le ali della libertà o Carrie – Lo sguardo di Satana, infatti, le trasposizioni migliori sono quelle televisive come It, Tommyknockers – Le creature del buio e questo A volte ritornano (Sometimes They Come Back), girato nel 1991 dal regista Tom McLoughlin e tratto dal racconto omonimo di Stephen King, pubblicato all’interno della raccolta A volte ritornano del 1978.

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Trama: Jim Norman è un insegnante, che torna al suo paese natale insieme a moglie e figlio, nonostante l’orribile trauma infantile che ha vissuto. Il fratello Wayne, infatti, era stato ucciso proprio in quel paese da un gruppetto di teppisti che erano morti un istante dopo, uccisi da un treno in transito all’interno di una galleria. Assieme agli inevitabili ricordi Jim comincia così ad essere perseguitato anche dal branco di teppisti, che sembrerebbero tornati dal regno dei morti…

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A volte ritornano non è un film particolarmente memorabile in effetti, ma è “onesto” e ben realizzato, un horror d’atmosfera quasi per nulla gore, basato solo sul paranoico senso di tensione che ci viene trasmesso dal protagonista. Gli sceneggiatori hanno preso il racconto di King e l’hanno leggermente ripulito dagli aspetti più inquietanti e pessimisti, preferendo un finale più positivo che riabilita la figura del professore, reo di avere un passato di turbe psichiche che ci vengono appena accennate ma che pesano come un macigno sul rapporto tra lui e la moglie. Il film elimina così anche il fil rouge della raccolta A volte ritornano, dove ogni racconto è un monito a non giocare con la nostra parte oscura, a non scendere a patti col diavolo, a non indagare troppo su cose che farebbero meglio a rimanere nascoste. Il film tv mette invece in risalto, in maniera molto classica ma non superficiale, il potere dei legami familiari, in grado aiutarci a superare, col tempo, qualsiasi tragedia e a consentirci di ricostruire il presente e il futuro, senza farci affondare nel passato, per quanto buio.

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Essendo un film tv sia il budget che il tasso di violenza o gore devono essere per forza contenuti. In questo caso la pellicola non ne risente visto che gli effetti speciali sono pochi ma buoni, come si suol dire, e non distolgono l’attenzione dalla storia principale, soprattutto perché è molto più inquietante qualcosa che viene suggerito piuttosto che mostrato. Per carità, l’effetto “salto sulla sedia” è garantito, soprattutto perché ad un certo punto i tre teppisti decidono di fare il “gioco della faccia” e mostrare a vari malcapitati la loro vera identità, e inoltre in una scena il destino di uno dei protagonisti viene reso con molta chiarezza quando i non morti gettano dalla macchina il suo corpo a pezzi, palleggiandosi persino la testa, ma per il resto il film si regge sull’interpretazione dei protagonisti e sulla storia in sé. Gli attori sono tutti molto bravi, a partire da Tim Matheson per arrivare ai tre redivivi teppisti, uno più irritante e fastidioso dell’altro. Effettivamente, l’unica pecca del film è quella di aver leggermente edulcorato la storia da cui è tratto, ma per chi non la conosce potrebbe essere uno stimolo a cercarla e leggerla.

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Di Tim Matheson, che interpreta Jim, ho già parlato qui.

Tom McLoughlin è il regista della pellicola. Americano e attivo soprattutto in campo televisivo, tra i suoi altri film ricordo solo Venerdì 13: Jason vive, mentre tra gli episodi di serie tv segnalo quelli girati per Freddy’s Nightmares, The Others e Senza traccia

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Brooke Adams interpreta la moglie di Jim, Sally. Tra i film dell’attrice americana ricordo Terrore dallo spazio profondo, La zona morta e il kitchissimo The Stuff – Il gelato che uccide; ha inoltre recitato in alcuni episodi delle serie Il tenente Kojak, Moonlighting, Frasier e Monk. Ha 61 anni e un film in uscita.

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Del film sono stati girati due seguiti, A volte ritornano ancora (Sometimes They Come Back… Again) del 1996 e Stazione Erebus (Sometimes They Come Back… For More) del 1998, entrambi usciti direttamente per il mercato dell’home video. Se vi piacciono i film tratti da libri di Stephen King o quegli horror dal sapore un po’ antiquato, vi consiglio di vedere It, Creepshow 2 oppure La zona morta. E ora, siccome ho parlato di un film tv e il trailer nun se trova, vi lascio con quello del secondo capitolo... ENJOY!!

venerdì 12 novembre 2010

Benvenuti al Sud (2010)

Nonostante detesti fare queste cose, sabato scorso mi sono “concessa” al gusto popolare per il semplice piacere di andare al cinema con i miei, per la prima volta dopo più di 10 anni. Quasi quasi me ne pentivo, data la ressa di pecore che, dopo più di due settimane e fischia di programmazione, ancora si sono radunate in massa all’ultimo spettacolo per vedere l’ormai famosissimo Benvenuti al sud di Luca Miniero, remake del francese Giù al Nord (Bienvenue chez les Ch’tis) girato nel 2008 da Dany Boon. Però per una volta il gusto popolare ha vinto, il film mi è piaciuto, nonostante non sia privo di difetti.

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La trama: Alberto è un impiegato delle poste che abita in uno squallido paesino della Brianza con l’ipocondriaca e apprensiva moglie Silvia ed il figlioletto. Dopo avere cercato, con un inganno, di farsi trasferire alla sede di Milano, per punizione viene mandato nel paesino di Castellabate, vicino a Napoli. Psicologicamente pronto per entrare praticamente in una zona di guerra, compianto da amici e parenti, Alberto scoprirà invece una grande verità: il forestiero che va a Sud piange due volte. Una volta quando arriva, e una volta quando se ne va.

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C’è voluto Bisio per risollevare le sorti della commedia italiana, affossata da anni e anni di cinepanettoni o filmetti “corali” costellati di comici televisivi e stelline della televisione. Ovvio che una cosa così non poteva essere farina del nostro sacco, e chissà quanti italiani si sono ingollati come degli ignari bibini un prodotto al 70% francese senza nemmeno saperlo, ma tant’è: Benvenuti al sud è un film simpatico, ben confezionato e talmente furbo da riuscire a nascondere i suoi difetti. Furbo perché affonda i denti in clichè e stereotipi esistenti praticamente dai tempi dell’unità d’Italia se non prima, e sicuramente lo spettatore del nord potrà riconoscersi negli esagerati (ma nemmeno poi tanto…) comportamenti di Alberto e consorte. Il primo è un povero impiegatucolo che vede Milano come un regno di meravigliose promesse economiche e illusioni di successo e che, quando viene mandato a sud, per ricordarsi la “bella” Brianza si porta dietro delle forme di puzzolentissimo gorgonzola e un immancabile giubbotto antiproiettile; la seconda è la tipica “bauscia” che appena sente nominare Napoli in tv si fa il segno della croce, e che predice al marito un futuro decisamente mortifero, vuoi per estemporanee epidemie di tifo, vuoi per mafia o rapine. Un’immagine che potrebbe forse offendere i leghisti, ma della quale essenzialmente il “nordico” con un po’ di cervello ride, quindi politically correct, anche perché alla fine i nostri si mostrano di larghissime vedute. Pubblico del nord accontentato. Per accontentare quello del sud invece ci viene presentato un paesino della provincia di Napoli che è praticamente un paradiso terrestre: tutti (o quasi) sono amici, tutti sono felici, non esistono criminalità né mafia, la gente vive libera e garrula, c’è un panorama della madonna e chi più ne ha più ne metta. In pratica immaginatevi il paesello dei tempi di Don Camillo ma più a sud, però con personaggi simili, pieni di difetti “umani” e per questo simpaticissimi. L’ovvio finale ci fa capire che la verità, così come la virtù, sta sempre nel mezzo, e che la soluzione ideale ai problemi che affliggono l’Italia sarebbe quella di venirsi incontro e aprire la mente al “diverso”, cercando sempre il meglio di ogni cultura. Un’utopia, diciamo.

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Ovviamente la trama, semplicissima e un po’ “caricata”, è un pretesto per mostrarci situazioni comiche interpretate con la solita garbata leggerezza dal buon Bisio, che si riconferma un ottimo attore, e da un affiatatissimo cast di supporto dove spiccano la grandiosa Angela Finocchiaro (la adoro, con quegli occhioni, la vocetta ansiosa, il piglio da milanesotta) e Nunzia Schiano, che interpreta la madre di Mattia, espressivissima come attrice e in grado di rendere il suo personaggio simpatico e verosimile da morire. Le gag saranno un po’ banalotte e parecchio vecchio stile, ma a me hanno fatto ridere, e sicuramente preferisco una comicità che prende in giro in maniera allegra gli stereotipi che dobbiamo affrontare tutti i giorni piuttosto che una “comicità” basata sul numero di “arivaffanculooooo!!” in cui si profonderanno De Sica, Boldi e allegra compagnia prima di riuscire a portarsi a letto il bagascione di turno. Fermo restando, e non posso evitare di dirlo, che di questi tempi un film simile non vale gli 8 euro spesi, non quando è possibile scaricarselo o guardarlo in streaming. Non desidero la morte del cinema, soprattutto di quello italiano, ma se penso che nella mia famiglia già abbiamo dovuto pagare 24 euro totali per un’ora e mezza di film mi viene da chiedere se non siano quelli che gestiscono sale e distribuzione a doversi mettere un po’ mano sulla coscienza e ritoccare i prezzi per tornare ad invogliare la gente ad andare al cinema. Sorvolando su questa mia postilla (ovviamente da buona ligure...), vi consiglio di mettere mano al portafoglio e andare a vedere Benvenuti a sud, perché è una commedia carina e ben fatta.

Luca Miniero è il regista della pellicola. Napoletano, ha girato il seguito del “caso” Notte prima degli esami, Questa notte è ancora nostra, e alcuni episodi di Ho sposato uno sbirro. Ha 44 anni.

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Claudio Bisio interpreta Alberto. Famosissimo comico piemontese, attualmente al timone della trasmissione Zelig, lo ricordo volentieri per film come il bellissimo Mediterraneo, Puerto Escondido e il particolare Nirvana, tutti di Salvatores peraltro. Ha 53 anni e due film in uscita; al momento, inoltre, potete trovarlo nelle sale con un'altra pellicola che, sicuramente, non andrò a vedere, ovvero Maschi contro femmine.

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Angela Finocchiaro interpreta Silvia. Bravissima comica milanese, ha cominciato a lavorare nei film di Maurizio Nichetti, come Ratataplan, Ho fatto splash, Volere volare, per poi continuare con Il portaborse, La bestia nel cuore, Mio fratello è figlio unico e, di recente, Il cosmo sul comò. Per la tv ha lavorato, oltre che come comica nella trasmissione Zelig, anche nelle serie Dio vede provvede e Dio vede e provvede 2. Ha 55 anni e due film in uscita, tra cui Bar Sport, dove tornerà a recitare proprio con Bisio.

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Tra le guest appearence del film segnalo quella del regista di Giù al Nord, Dany Boon, nei panni del francese che va in posta per spedire un pacco, e quella di Naike Rivelli, figlia di Ornella Muti, nei panni della poliziotta che ferma Bisio in autostrada. Della fortunata pellicola è già in preparazione un seguito con gli stessi interpreti, Benvenuti al nord, dove immagino i ruoli saranno invertiti. Ovvio il consiglio, che seguirò anche io, di guardare l’originale francese, anche se sicuramente a noi italiani farà molto meno ridere. A questo proposito, vi metto il trailer di Giù al nord: è incredibile come ogni scena che viene mostrata sia identica a quello del film di Miniero, nelle battute e persino nelle inquadrature e nei movimenti dei personaggi! ENJOY!

domenica 7 novembre 2010

Paranormal Activity 2 (2010)

Dalle mie parti, appena esce un horror ci si butta a capofitto, a prescindere o quasi. Non deve stupire, dunque, che io sia andata a vedere Paranormal Activity 2, del regista Tod Williams, seguito diretto (e sicuramente girato in fretta e furia, prima che il successo del capostipite si raffreddasse) del campione d’incassi Paranormal Activity, nonostante quest’ultimo mi fosse piaciuto ma non mi avesse entusiasmato troppo. Per la serie “squadra che vince non si cambia”, questo secondo episodio è una fotocopia del primo con pochissime varianti.

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Trama: un paio di mesi prima rispetto agli eventi accorsi nel primo film, un sistema di telecamere ci mostra la serie di inquietanti episodi, mano a mano sempre più invasivi e pericolosi, che si manifestano in casa della sorella di Katie, Kristi, da poco mamma di un pargoletto e con marito e figlia adolescente a carico.

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Paranormal Activity 2 aggiunge veramente poco a quanto già mostrato nel primo film. Sicuramente gli sceneggiatori ed il regista hanno avuto a disposizione più fondi e più mezzi per realizzarlo, inoltre molto probabilmente hanno fatto propria l’esperienza derivante dalle reazioni suscitate dal primo episodio, quindi sono riusciti a confezionare una pellicola leggermente più dinamica, un po’ più “elaborata” e anche a creare collegamenti più o meno sensati con il primo film. Il risultato, nonostante tutto, non è eccelso. Il punto di forza di Paranormal Activity era la (non)novità: una storia ridottissima, un mero canovaccio che fungeva da scheletro per una serie ininterrotta di episodi paranormali che diventavano sempre più evidenti ed inquietanti, fino a giungere ad un finale da salto sulla sedia. Ovvio quindi che lo spettatore scafato sappia già cosa aspettarsi dal secondo episodio e più o meno immagini quando e dove arriveranno gli spaventi e che il tutto risulti così meno efficace. Gli sceneggiatori quindi hanno deciso di sopperire alla mancanza di “suspence” stupendoci con effetti speciali (se prima dovevamo solo immaginare la gente presa per le gambe dal demone adesso la vediamo proprio volare via trascinata per tutta la casa) e telecamere ad infrarossi alla Rec, ed aggiungendo un paio dei più classici clichè horror: animali e bambini. Effettivamente è inquietante vedere il pastore tedesco abbaiare al nulla, uggiolare impaurito, oppure il piccoletto di un anno guardare fisso qualcosa che può vedere solo lui o mettersi a piangere terrorizzato mentre le porte sbattono però alla lunga anche questo diventa noioso ed alcune riprese, soprattutto quelle con la telecamera a mano, risultano palesemente forzate ed inverosimili.

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Quello che ho apprezzato, invece, è stato il rendere Paranormal Activity 2 così coerentemente legato al primo. La storia di Kristi all’inizio sembrerebbe successiva a quella della sorella Katie, invece a poco a poco scopriamo come gli eventi del nuovo film siano precedenti, anche se di poco, a quelli del primo. Una punta di nostalgia ci coglie nel rivedere un redivivo Micah, imbecille come lo ricordavamo, segnato per sempre da un’impietosa didascalia che ci indica come, nel giro di 60 giorni, il poveraccio verrà ucciso. E qui lo spettatore si chiede se le due “infestazioni” avvengano in parallelo oppure se c’è dell’altro sotto: effettivamente quello che si viene a scoprire la fine mi è piaciuto parecchio, peccato per il modo idiota in cui il film arriva a collegarsi direttamente alle primissime immagini di Paranormal Activity. Infatti agli appassionati di horror tocca sorbirsi non solo una giustificazione a dir poco banale sulla presenza del demonio (ovviamente trovata su internet…) ma anche l’esorcismo più ridicolo dai tempi dell’Esorciccio: un bel crocefisso pucciato nell’olio extravergine d’oliva e passa la paura!! Ma scherziamo?! Ne L’esorcista ci vogliono DUE preti professionisti che riescono a malapena a liberare la ragazzina e qui basta il proprietario di un Burger King? Inconcepibile, per fortuna che il crudelissimo finale si vendica di tutto questo scempio e ci lascia, nuovamente, a bocca aperta come dei tacchini a chiederci se ci sarà un Paranormal Activity 3 e su cosa verterà, visto che carne al fuoco ne è stata messa molta.

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Per farla breve, nonostante qualche calo di credibilità e nonostante sia inferiore al primo, Paranormal Activity 2 merita la sufficienza sia per il raggiungimento dello scopo, che alla fine è quello di tenere gli spettatori in tensione fino alla fine, sia perché gli attori, anche questa volta, sono molto bravi e danno vita a personaggi meno stupidi rispetto a quelli del primo episodio (anche se gli uomini, bontà loro, sono sempre mostrati come dei dementi…). Personalmente ho una passione per la spessissima (in senso fisico) e scazzata Katie Featherston, che torna appunto nei panni di Katie, ma anche le attrici che interpretano Kristi e l’adolescente Ali non sono male. In definitiva, però, questo è un film che può piacere solo agli appassionati di horror o a chi è rimasto folgorato dall’incipit della serie. Gli altri, si astengano.

Tod Williams è il regista della pellicola. Newyorchese, è al suo quarto lavoro. Ha 42 anni e un film in uscita, il remake di un film islandese del 2006.

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Katie Featherston interpreta Katie. Attrice texana al suo quarto film, già protagonista di Paranormal Activity, ha 28 anni.

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Sprague Grayden interpreta Kristi. Giovane veterana della tv USA ha partecipato a parecchi episodi di film come Six Feet Under, CSI: NY, Weeds, Senza traccia, CSI Miami, 24, Criminal Minds, Law & Order e Dr. House.

Cosmopolitan+Bebe+Celebrate+Eva+Longoria+New+peGI8zRh9nMl

Vi lascio con una curiosità e un paio di consigli. Come avranno capito gli spettatori più attenti, la casa utilizzata per le riprese è la stessa che compariva nel film precedente, ovvero quella del regista Oren Peli, che ovviamente dopo il successo del primo film ha modificato qualcosa. A quelli che, come me, rimangono a sorbirsi tutti i titoli di coda sperando che ci sia qualcosa dopo, dico di alzarsi pure tranquilli, non c’è niente dopo, solo un’ininterrotta di rumori e lamenti inquietanti. Se vi piace il genere, infine, non potete non guardare Paranormal Activity oppure gli assai più inquietanti Rec e Rec2. E ora vi lascio al trailer del film... ENJOY!!


mercoledì 3 novembre 2010

999 9999 (2002)

Esordisco in maniera poco fine, confermando l’idea che molti miei amici si sono fatti: devo smetterla di guardare minchiate. E per minchiate intendo horror fuffa come il tailandese 999 9999 (pronunciato kawkawkaw kawkawkawkaw, almeno una cosa ho imparato con questo film, ovvero come si dice nove in tailandese), diretto nel 2002 dall’americano Peter Manus.


Trama: in una scuola internazionale a Phuket arriva una studentessa proveniente da un altro istituto, dove una ragazza è morta impalata sull’asta della bandiera (!). L’arrivo di questa nuova fanciulla, Rainbow, suscita l’interesse del gruppo di pettegoli della scuola, che ovviamente vogliono sapere tutto su questa assurda morte. Ed è così che Rainbow comincia a parlare di un misterioso numero di telefono (il 999 9999 del titolo) che esaudirebbe ogni desiderio di chi lo chiama, a costo della vita però…


Ho parlato di minchiata, in verità forse farei meglio a parlare di banalizzazione, di occasione sprecata e di pochezza di mezzi. La storia è vecchia come il mondo, tanto che ad un certo punto uno dei professori presenti nel film scomoda persino un mito come quello del vaso di Pandora, e solo per dire che la curiosità è la fonte di tutti i mali, che è poi il fil rouge del film e la base fondante di ogni horror che si rispetti. Giustamente ognuno di noi si chiede perché diamine un branco di strepponcelli dovrebbe chiamare un numero di telefono che sai ti ucciderà dopo aver esaudito il tuo desiderio, o perché l’idiota di turno dovrebbe scendere in cantina dopo che un’entità non meglio definita gli ha sterminato la famiglia, o perché l’ennesima scream queen dovrebbe uscire per l’ennesima volta dalla tenda dopo aver sentito un rumore. La risposta, nella maggioranza dei casi, è semplice come gli assunti su cui si basa questo 999 9999: per curiosità. E purtroppo l’assunto banale viene accompagnato da una messa in scena altrettanto banale: telefonata, desiderio, morte più o meno truculenta dei vari protagonisti, apertura delle scommesse su chi sarà la prossima vittima e chi, alla fine, sopravviverà o fermerà la catena di morti. Sarà che ormai ho già visto troppi film così ma la cosa comincia a stufarmi, visto che gli unici due “misteri” (ovvero l’identità di chi si nasconde dietro il 999 e quale sia il desiderio di Sun) li avevo già risolti più o meno a metà film.


Per quanto riguarda la pochezza di mezzi, purtroppo non ci si può fare molto. D’accordo, tutto il budget del film è sicuramente stato speso per realizzare la morte di Wawa all’interno di una camera di simulazione spaziale, un trionfo di lame che tagliano e goccioline di sangue create con un orribile effetto CG, però questo non scusa il fatto che il resto del film è realizzato nemmeno fosse la Telenovela del Trio Solenghi Marchesini & Lopez. Manus ha preso gli attori più disgraziati ed incapaci di tutta la Thailandia (la prima vittima vince davvero l’Oscar per il miglior gatto di marmo sullo schermo o la migliore imitazione di un decerebrato) e li ha infilati nelle location più kitch e deprimenti del globo (e pensare che c’è di mezzo anche MTV, ma il party dei dj, la nave affittata, quella specie di silos abbandonato dove si ritrovano i protagonisti e le case degli stessi sono disarmanti, credo che una discarica sia molto meno spoglia e soprattutto più gradevole a vedersi). Il regista nonostante questo s’impegna, cerca la scena ad effetto, cura le musiche, azzarda persino qualche “depistaggio”, ma ciò non toglie che l’unica cosa appena passabile del film sono le morti dei protagonisti, abbastanza fantasiose e sanguinolente; ma se si considera che la scena shock ci viene sbattuta in faccia all’inizio, va da sé che tutto il resto viene un po’ eclissato. Massimo rispetto, comunque, per il nerd ciccione Mo Priew e il suo imbarazzante tentativo di salvarsi dal desiderio espresso al 999 sfondandosi di cibo, solo per poi fallire, sconfitto da un mal di pancia da primato con tanto di scappatina al cesso. E se questa è la scena migliore, fatevi un’idea di che cos’è questo film! Se potete, astenetevi dalla visione di questa roba, sia che amiate l’horror sia che lo odiate… non ne vale la pena, l’unica cosa che si salva sono le bellissime musiche, anche se utilizzare un pezzo del Fantasma dell’Opera per sottolineare la vincita di una Ferrari… vabbé, stendiamo un velo pietoso…

Peter Manus è il regista della pellicola. Californiano, 999 9999 è il primo dei tre film che ha girato, tutti thriller con risvolti paranormali. Sorry, ma su di lui non sono riuscita a trovare altre informazioni.


Gli interpreti sono in gran parte sconosciuti, solitamente al primo e ultimo film; tuttavia, Paula Taylor, che interpreta Meena, sta per arrivare sugli schermi USA con un thriller sovrannaturale ambientato in Thailandia tra i cui attori figurano Cary Elwes e William Hurt, quindi non proprio pizza e fichi! E ora vi lascio con il trailer di siffatto capolavoro... ENJOY!