I titoli italiani di alcuni film fanno passare la voglia di vederli. Peccato, perché A Venezia un dicembre rosso... shocking (Don't Look Now) che, lì per lì, farebbe pensare ad uno scadentissimo giallo/thriller, è in realtà uno splendido e raffinato horror diretto nel 1973 dal regista Nicolas Roeg e tratto da un racconto di Daphne Du Maurier, scrittrice inglese già autrice anche di Rebecca e Gli uccelli.
Trama: Laura e John si trovano a Venezia per motivi di lavoro e anche per superare lo shock della morte della figlioletta, annegata davanti agli occhi del padre. Nella città lagunare Laura fa amicizia con due sorelle inglesi, di cui una cieca e dotata di poteri medianici, che apparentemente riesce a vedere lo spirito della piccola. E mentre la moglie si lega sempre più alle due strane vecchie, John diventa sospettoso e paranoico, proprio mentre Venezia è sconvolta da una serie di omicidi...
Don't look now non è un horror comune, colmo di scene splatter, né una storia di fantasmi sui generis. E' piuttosto un thriller che si sofferma molto sui sentimenti, sui legami tra le persone, sul potere del passato e sull'incognita del futuro. E' un film che va seguito con attenzione e rivisto più di una volta perché sicuramente ad una seconda o terza visione si riusciranno a trovare dei particolari, degli indizi che la prima volta sono sfuggiti. Nicolas Roeg infatti ci fa affondare, è proprio il caso di dirlo, in una storia dove nessun'immagine è fine a sé stessa o priva di significato, dove il passato, il presente e il futuro si mescolano senza soluzione di continuità grazie ad un montaggio che definire splendido è davvero riduttivo: basti solo pensare all'inizio, dove la morte della piccola mescola il colore rosso del suo impermeabile alla macchia di colore che viene sparsa da una mano incauta sulla foto della chiesa, o alla famosissima scena d'amore tra Laura e John, dove l'amplesso del presente si unisce ad un futuro nel quale marito e moglie si rivestono ed escono dalla stanza il mattino dopo.
E uno dei fil rouge, è proprio il caso di dirlo, che unisce tutti gli elementi del film e ci offre un percorso da seguire è proprio il colore rosso, che fin dal triste inizio si può ritrovare in mille piccoli particolari più o meno inquietanti, unica illusione di ordine in grado di contrapporsi alla caotica Venezia. Sia chiaro, la Venezia del film non è caotica perché affollata, ma perché viene utilizzata come luogo labirintico, sinistro, misterioso, colmo di suoni, echi, passi che non si riescono ad identificare, costellato di strade che non portano praticamente da nessuna parte, buie e tutte uguali. E' il protagonista maschile che, in particolare, si perde in questi due elementi: risucchiato dalle stradine di Venezia, colpito da visioni che non riesce a comprendere né a distinguere dalla realtà, richiamato dal colore rosso che tanto gli ricorda l'impermeabile della figlia, vagherà inquieto per tutto il film senza seguire il monito di "non guardare" del titolo originale e, soprattutto, senza riuscire a fare nulla per evitare il proprio destino. Altro non aggiungo, perché nessuna mia parola potrebbe rendere giustizia al film e ai bravissimi interpreti. Segnalo solo la malinconica bellezza delle musiche di Pino Donaggio, che riescono a rendere la pellicola ancora più bella e particolare.
Di Donald Sutherland, che interpreta John, ho già parlato qui.
Nicolas Roeg è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come L'uomo che cadde sulla terra e Chi ha paura delle streghe?. Ha 82 anni e un film in uscita.
Julie Christie interpreta Laura. Originaria dell'India, l'attrice ha partecipato a film come Fahreneit 451, Dragonheart, Hamlet, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e Neverland - Un sogno per la vita. Ha 69 anni e tre film in uscita, tra cui il gotico Red Riding Hood con Amanda Seyfried.
Del film pare sia in produzione l'ennesimo terribile remake, ma per fortuna il progetto pare ancora così campato in aria che non sono stati nemmeno pensati gli interpreti. Quindi godetevi il trailer originale e, se vi piacciono i thriller "ispirati" e un pò contorti come questo guardatevi Strade perdute di Lynch, Two sisters oppure lo storico Psyco. ENJOY!
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lunedì 27 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
5ive girls (2006)
E’ triste rendersi conto, per l’ennesima volta, che non esistono più gli horror di un tempo. Le produzioni americane sono sempre più terra terra, non tanto per la realizzazione, ma per la trama e il film in sé. E’ questo il caso del mediocre 5ive Girls, diretto da un certo Warren P. Sonoda nel 2006.
Trama: Alex è una ragazza “problematica”, dotata di poteri telecinetici. Il padre, esasperato, la fa rinchiudere in un istituto correzionale dove parecchi anni prima una ragazza era scomparsa, rapita da un demone. Demone che non ha mai lasciato l’edificio, e che ora punta ad avere le anime di Alex e delle sue altre quattro compagne di sventura…
5ive Girls è un bel minestrone. Molto probabilmente chi lo ha sceneggiato era un fan del film Giovani streghe, perché l’atmosfera (e solo quella!!) è assai simile. Ci sono cinque ragazze dotate di poteri particolari che, in pratica, li sviluppano stando assieme; c’è chi è solita nasconderli e, nel gruppo, li tira fuori, chi li ha deboli e assieme alle amichette riesce a potenziarli. Peccato che i poteri in questione sono davvero inutili e con la trama c’entrano poco o nulla. Infatti 5ive Girls mescola spudoratamente due cose che hanno poco a che fare l’una con l’altra: la Wicca e il Cattolicesimo. Ora, io non sono un’esperta né dell’una né dell’altro, ma mi pare di rammentare che, ai tempi, le streghe venissero bruciate dalle pie anime cattoliche. Nel film in questione, invece, il prete interpretato da Ron Perlman (mai così sottotono, poveraccio…) fa mettere le ragazzette in piedi sulle cattedre messe a pentacolo per recitare l’Ave Maria, pur lamentandosi, poi, se gli vanno a dire che c’è una presenza che le importuna (ma allora sei scemo!). E mica finisce lì.
Il film, lo ammetto, comincia benissimo, ed i dieci minuti prima dei titoli di testa incuriosiscono e catturano lo spettatore. Poi la cosa si fa imbarazzante e decisamente fiacca. Innanzitutto il demone che perseguita i protagonisti non è mica un diavoletto a caso: stiamo parlando nientemeno del Legione citato nel Vangelo. Ignorate la prima domanda che verrà sicuramente alla mente (ovvero perché diamine Legione dovrebbe starsene rinchiuso nel terzo piano di una scuola…) e fatevene altre: tralasciando la direttrice vacca che ha i suoi motivi per rimanere lì dentro, ma perché mai le altre cinque protagoniste dovrebbero rimanere rinchiuse visto che, di notte, vengono sistematicamente possedute da una melma nera che le decompone a poco a poco (!!) e visto che una è scassinatrice provetta mentre l’altra può diventare intangibile? E uscite di lì dentro, imbecilli! Tra l’altro, non scherzavo quando dicevo che i poteri delle fanciulle sono perlopiù inutili e scarsamente sfruttati dagli sceneggiatori. Delle cinque ragazze una è cieca MA sa leggere i tarocchi (Prevedo che verremo tutte uccise da un Demone. Ah beh, grazie!!), una è talmente esperta di Wicca da riuscire a contrastare il potere di Legione incanalando energia positiva attraverso un cristallo (ma senza cristallo è fottuta. Comodo, che razza di potere è?), un’altra può rendersi intangibile MA non può passare attraverso le porte (comodo pure quello, eh. In pratica l’unico momento in cui si rende intangibile nel film è per non sbattere contro uno spigolo. Babba bia!!), Alex può spostare gli oggetti quando ha paura e, in più, ha fede (… vabbé), e l’unico potere utile è quello della tizia guaritrice (MA solo una mano ha quel potere, se gliela rompono è fottuta tanto quanto la padrona del cristallo). In pratica lo spettatore può solo scuotere il capo sconsolato mentre il famoso demone imperversa tra profluvi di rezzo nero, pentacoli segnati da sangue e pipì (sigh…), esorcismi consistenti nell’urlare il nome del posseduto come faceva un tempo Sandra Milo con il suo Ciro, scritte in aramaico (e quale teenager americana non lo conosce?!) e pochissimo gore. Il tutto prima di un “finalone” a sorpresa che, dopo un film simile, non smuoverebbe un capello nemmeno agli horror fan più accaniti. Passate oltre, gente.
Di Ron Perlman, che interpreta l’ambiguo Padre Drake, ho già parlato qui. Parecchi progetti in vista per quest’attore: la sua presenza è data per certa nel cast del nuovo Conan e nell’ennesimo spin-off legato alla serie La Mummia, ovvero Scorpion King: Raise of the Dead, ma le cose che mi ispirano di più sono una probabile partecipazione all’adattamento de Lo Hobbit e al sequel di Bubba-Ho-Thep, il cui titolo è già una trashata incommensurabile: Bubba Nosferatu – Curse of the She – Vampires, dove lui dovrebbe prendere il posto di Bruce Campbell nei panni di Elvis Presley.
Warren P. Sonoda è il regista del film. Si è fatto le ossa sui videoclip e si vede, visto che lo stile registico di 5ive Girls è tipicamente “cool”, dal montaggio rapido ma pulito, inoltre ha girato un altro paio di film che non conosco e che forse non voglio neppure conoscere. Canadese ma di origine giapponese, ha 41 anni.
Poco da dire sulle varie interpreti femminili, la cui carriera è stata (almeno finora) talmente poco rilevante da non meritare nemmeno il mio solito trafiletto. Jennifer Miller e Jordan Madley (rispettivamente Alex e Mara) hanno entrambe partecipato al quinto film della serie American Pie, distribuito solo in video, mentre Amy Lalonde, che interpreta la stronzissima direttrice, ha recitato nel film Le cronache dei morti viventi. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!
Trama: Alex è una ragazza “problematica”, dotata di poteri telecinetici. Il padre, esasperato, la fa rinchiudere in un istituto correzionale dove parecchi anni prima una ragazza era scomparsa, rapita da un demone. Demone che non ha mai lasciato l’edificio, e che ora punta ad avere le anime di Alex e delle sue altre quattro compagne di sventura…
5ive Girls è un bel minestrone. Molto probabilmente chi lo ha sceneggiato era un fan del film Giovani streghe, perché l’atmosfera (e solo quella!!) è assai simile. Ci sono cinque ragazze dotate di poteri particolari che, in pratica, li sviluppano stando assieme; c’è chi è solita nasconderli e, nel gruppo, li tira fuori, chi li ha deboli e assieme alle amichette riesce a potenziarli. Peccato che i poteri in questione sono davvero inutili e con la trama c’entrano poco o nulla. Infatti 5ive Girls mescola spudoratamente due cose che hanno poco a che fare l’una con l’altra: la Wicca e il Cattolicesimo. Ora, io non sono un’esperta né dell’una né dell’altro, ma mi pare di rammentare che, ai tempi, le streghe venissero bruciate dalle pie anime cattoliche. Nel film in questione, invece, il prete interpretato da Ron Perlman (mai così sottotono, poveraccio…) fa mettere le ragazzette in piedi sulle cattedre messe a pentacolo per recitare l’Ave Maria, pur lamentandosi, poi, se gli vanno a dire che c’è una presenza che le importuna (ma allora sei scemo!). E mica finisce lì.
Il film, lo ammetto, comincia benissimo, ed i dieci minuti prima dei titoli di testa incuriosiscono e catturano lo spettatore. Poi la cosa si fa imbarazzante e decisamente fiacca. Innanzitutto il demone che perseguita i protagonisti non è mica un diavoletto a caso: stiamo parlando nientemeno del Legione citato nel Vangelo. Ignorate la prima domanda che verrà sicuramente alla mente (ovvero perché diamine Legione dovrebbe starsene rinchiuso nel terzo piano di una scuola…) e fatevene altre: tralasciando la direttrice vacca che ha i suoi motivi per rimanere lì dentro, ma perché mai le altre cinque protagoniste dovrebbero rimanere rinchiuse visto che, di notte, vengono sistematicamente possedute da una melma nera che le decompone a poco a poco (!!) e visto che una è scassinatrice provetta mentre l’altra può diventare intangibile? E uscite di lì dentro, imbecilli! Tra l’altro, non scherzavo quando dicevo che i poteri delle fanciulle sono perlopiù inutili e scarsamente sfruttati dagli sceneggiatori. Delle cinque ragazze una è cieca MA sa leggere i tarocchi (Prevedo che verremo tutte uccise da un Demone. Ah beh, grazie!!), una è talmente esperta di Wicca da riuscire a contrastare il potere di Legione incanalando energia positiva attraverso un cristallo (ma senza cristallo è fottuta. Comodo, che razza di potere è?), un’altra può rendersi intangibile MA non può passare attraverso le porte (comodo pure quello, eh. In pratica l’unico momento in cui si rende intangibile nel film è per non sbattere contro uno spigolo. Babba bia!!), Alex può spostare gli oggetti quando ha paura e, in più, ha fede (… vabbé), e l’unico potere utile è quello della tizia guaritrice (MA solo una mano ha quel potere, se gliela rompono è fottuta tanto quanto la padrona del cristallo). In pratica lo spettatore può solo scuotere il capo sconsolato mentre il famoso demone imperversa tra profluvi di rezzo nero, pentacoli segnati da sangue e pipì (sigh…), esorcismi consistenti nell’urlare il nome del posseduto come faceva un tempo Sandra Milo con il suo Ciro, scritte in aramaico (e quale teenager americana non lo conosce?!) e pochissimo gore. Il tutto prima di un “finalone” a sorpresa che, dopo un film simile, non smuoverebbe un capello nemmeno agli horror fan più accaniti. Passate oltre, gente.
Warren P. Sonoda è il regista del film. Si è fatto le ossa sui videoclip e si vede, visto che lo stile registico di 5ive Girls è tipicamente “cool”, dal montaggio rapido ma pulito, inoltre ha girato un altro paio di film che non conosco e che forse non voglio neppure conoscere. Canadese ma di origine giapponese, ha 41 anni.
Poco da dire sulle varie interpreti femminili, la cui carriera è stata (almeno finora) talmente poco rilevante da non meritare nemmeno il mio solito trafiletto. Jennifer Miller e Jordan Madley (rispettivamente Alex e Mara) hanno entrambe partecipato al quinto film della serie American Pie, distribuito solo in video, mentre Amy Lalonde, che interpreta la stronzissima direttrice, ha recitato nel film Le cronache dei morti viventi. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!
lunedì 13 dicembre 2010
Giù al nord (2008)
Dopo aver guardato Benvenuti al Sud, campione d’incassi del mese scorso, mi è venuta una voglia irresistibile di dare un’occhiata al film da cui è stato tratto, Giù al Nord (Bienvenue Chez les Ch’tis), diretto nel 2008 dal regista Dany Boon. Peccato che, una volta conclusa la visione, mi sia passato ogni entusiasmo per il film con Claudio Bisio.
Trama: Philippe è un impiegato delle poste che spera di fare il salto di qualità e trasferirsi con la famiglia sulla costa meridionale. Per arrivare ad ottenere il trasferimento si finge paralitico, ma viene scoperto e spedito a Nord Passo di Calais, in una sperduta cittadina dove dimorano i cosiddetti Ch’tis, che le leggende vogliono rozzi, ubriaconi ed ignoranti. Ma a poco a poco Philippe scoprirà che a nord non si sta così male…
Se volessi fare una recensione onesta, andrei a prendere il post relativo a Benvenuti al Sud, lo copierei e lo incollerei cambiando qualche nome e luogo perché, effettivamente, è identico a questo Giù al Nord. Ora, è normale che un film basato su un’altra pellicola riprenda almeno il cinquanta per cento delle scene, magari l’ambientazione, talvolta qualche dialogo, però in generale si cerca un po’ di rinnovare: gli autori italiani invece hanno preso l’intero film e si sono limitati a tradurlo invertendo il Nord e il Sud, cambiando i nomi ed aggiungendo la componente legata al pregiudizio della criminalità meridionale che invece i francesi non hanno, lasciando inquadrature, dialoghi, immagini e gag pressoché identiche all’originale. E quindi devo ovviamente ribadire che Giù al Nord è un bel film, ben diretto, ben recitato (l’anziana mamma del co-protagonista è bravissima ed esilarante quanto la sua versione italiana), dalla trama semplice ma simpatica e anche un po’ ruffiana.
Non parlerò dunque della realizzazione in sé, ma mi concentrerò sull’adattamento italiano e sulla difficoltà di apprezzare appieno un film simile, così legato alla cultura francese. Purtroppo, infatti, per un italiano Giù al Nord non è poi così divertente. Personalmente ho fatto spallucce sia davanti al terrore di Philippe di recarsi a Nord, visto che le cose “terribili” che gli paventano sono il freddo, la lingua diversa e il fatto che gli Ch’tis bevano (e quindi…?), sia davanti al crescente senso di meraviglia che prova vivendo lì: ora, capisco che gli si apra il cuore davanti allo splendido suono delle campane, ma fare passare per alta cucina una friggitoria beh… parliamone. Avrei capito avessero magnificato la gastronomia e i paeselli Alsaziani, ma l’intera cittadina dove va ad abitare il protagonista è di uno squallore spaventoso. E ci vuole un po’ di tempo anche ad apprezzare il doppiaggio, che inizialmente risulta parecchio ridicolo. Come già era successo, se non sbaglio, per il dialetto “pikey” parlato da Brad Pitt in Snatch, gli adattatori si sono inventati un linguaggio radicato in qualche dialetto regionale italiano ma sostanzialmente diverso. Quello parlato dagli Ch’tis parrebbe un incrocio tra il romagnolo e il pugliese, dove “cosa” diventa “coscia” e “scemo” diventa “schiemo”, con l’aggiunta di abbondanti neologismi quali “pisciotto”, “scrotaiolo”, “vaccapuzza” ecc. ecc; sarebbe forse meglio, quindi, trovarlo in originale con qualche sottotitolo, giusto per farsi un’idea di cosa sia il vero dialetto Ch’tis. Un paio di cose che, comunque, elevano questa pellicola rispetto al remake sono la scomparsa di quell’assurda “confraternita del formaggio” di cui fa parte Bisio (qui è il bastardissimo suocero, invece, a parlare a Philippe della vita del Nord) e, soprattutto, un più corretto utilizzo della pioggia torrenziale che si abbatte sul protagonista appena giunto a Nord: ha più senso che si abbatta su Philippe, dopo che il nord gli è stato descritto come una sorta di Antartide, piuttosto che su Bisio, diretto verso un caldo infernale. Detto questo, consiglio ai cinefili pignoli come la sottoscritta di guardarlo, se non altro per confrontare le due versioni e aprire la mente ad una cultura vicinissima alla nostra.
Dany Boon è il regista della pellicola, nonché interprete nei panni di Antoine. Originario proprio del nord della Francia, come regista ha già girato due film e ne ha un terzo in uscita, mentre come attore ha partecipato a Benvenuti al sud e ad altri film a me sconosciuti. Ha 44 anni e un film in uscita.
Kad Merad interpreta Philippe. Di origine algerina, l’attore ha partecipato al film Les Choristes – I ragazzi del coro e ad un paio di episodi del Camera Café francese. Ha 46 anni e due film in uscita.
A dimostrazione del comunque grande successo del film e dell’universalità della storia (che potrebbe essere davvero applicata a qualunque nazione del mondo, con le opportune modifiche), si vocifera che sia in progetto un remake USA dal titolo Welcome to the Sticks e, tra i papabili interpreti, gira il nome di Will Smith. Attendiamo e vediamo. Nel frattempo beccatevi il trailer originale di Giù al Nord. ENJOY!
Trama: Philippe è un impiegato delle poste che spera di fare il salto di qualità e trasferirsi con la famiglia sulla costa meridionale. Per arrivare ad ottenere il trasferimento si finge paralitico, ma viene scoperto e spedito a Nord Passo di Calais, in una sperduta cittadina dove dimorano i cosiddetti Ch’tis, che le leggende vogliono rozzi, ubriaconi ed ignoranti. Ma a poco a poco Philippe scoprirà che a nord non si sta così male…
Se volessi fare una recensione onesta, andrei a prendere il post relativo a Benvenuti al Sud, lo copierei e lo incollerei cambiando qualche nome e luogo perché, effettivamente, è identico a questo Giù al Nord. Ora, è normale che un film basato su un’altra pellicola riprenda almeno il cinquanta per cento delle scene, magari l’ambientazione, talvolta qualche dialogo, però in generale si cerca un po’ di rinnovare: gli autori italiani invece hanno preso l’intero film e si sono limitati a tradurlo invertendo il Nord e il Sud, cambiando i nomi ed aggiungendo la componente legata al pregiudizio della criminalità meridionale che invece i francesi non hanno, lasciando inquadrature, dialoghi, immagini e gag pressoché identiche all’originale. E quindi devo ovviamente ribadire che Giù al Nord è un bel film, ben diretto, ben recitato (l’anziana mamma del co-protagonista è bravissima ed esilarante quanto la sua versione italiana), dalla trama semplice ma simpatica e anche un po’ ruffiana.
Non parlerò dunque della realizzazione in sé, ma mi concentrerò sull’adattamento italiano e sulla difficoltà di apprezzare appieno un film simile, così legato alla cultura francese. Purtroppo, infatti, per un italiano Giù al Nord non è poi così divertente. Personalmente ho fatto spallucce sia davanti al terrore di Philippe di recarsi a Nord, visto che le cose “terribili” che gli paventano sono il freddo, la lingua diversa e il fatto che gli Ch’tis bevano (e quindi…?), sia davanti al crescente senso di meraviglia che prova vivendo lì: ora, capisco che gli si apra il cuore davanti allo splendido suono delle campane, ma fare passare per alta cucina una friggitoria beh… parliamone. Avrei capito avessero magnificato la gastronomia e i paeselli Alsaziani, ma l’intera cittadina dove va ad abitare il protagonista è di uno squallore spaventoso. E ci vuole un po’ di tempo anche ad apprezzare il doppiaggio, che inizialmente risulta parecchio ridicolo. Come già era successo, se non sbaglio, per il dialetto “pikey” parlato da Brad Pitt in Snatch, gli adattatori si sono inventati un linguaggio radicato in qualche dialetto regionale italiano ma sostanzialmente diverso. Quello parlato dagli Ch’tis parrebbe un incrocio tra il romagnolo e il pugliese, dove “cosa” diventa “coscia” e “scemo” diventa “schiemo”, con l’aggiunta di abbondanti neologismi quali “pisciotto”, “scrotaiolo”, “vaccapuzza” ecc. ecc; sarebbe forse meglio, quindi, trovarlo in originale con qualche sottotitolo, giusto per farsi un’idea di cosa sia il vero dialetto Ch’tis. Un paio di cose che, comunque, elevano questa pellicola rispetto al remake sono la scomparsa di quell’assurda “confraternita del formaggio” di cui fa parte Bisio (qui è il bastardissimo suocero, invece, a parlare a Philippe della vita del Nord) e, soprattutto, un più corretto utilizzo della pioggia torrenziale che si abbatte sul protagonista appena giunto a Nord: ha più senso che si abbatta su Philippe, dopo che il nord gli è stato descritto come una sorta di Antartide, piuttosto che su Bisio, diretto verso un caldo infernale. Detto questo, consiglio ai cinefili pignoli come la sottoscritta di guardarlo, se non altro per confrontare le due versioni e aprire la mente ad una cultura vicinissima alla nostra.
Dany Boon è il regista della pellicola, nonché interprete nei panni di Antoine. Originario proprio del nord della Francia, come regista ha già girato due film e ne ha un terzo in uscita, mentre come attore ha partecipato a Benvenuti al sud e ad altri film a me sconosciuti. Ha 44 anni e un film in uscita.
Kad Merad interpreta Philippe. Di origine algerina, l’attore ha partecipato al film Les Choristes – I ragazzi del coro e ad un paio di episodi del Camera Café francese. Ha 46 anni e due film in uscita.
A dimostrazione del comunque grande successo del film e dell’universalità della storia (che potrebbe essere davvero applicata a qualunque nazione del mondo, con le opportune modifiche), si vocifera che sia in progetto un remake USA dal titolo Welcome to the Sticks e, tra i papabili interpreti, gira il nome di Will Smith. Attendiamo e vediamo. Nel frattempo beccatevi il trailer originale di Giù al Nord. ENJOY!
martedì 7 dicembre 2010
Abominable (2006)
Navigando sulla rete si riescono a trovare film che sono praticamente considerati già dei cult in America, mentre qui molto probabilmente nessuno li ha mai sentiti nominare. E’ il caso di Abominable, diretto nel 2006 dal regista Ryan Schifrin, che nonostante le premesse non è poi così brutto.
Trama: Preston è un paralitico costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente di montagna, dove la moglie ha perso la vita. A scopo terapeutico, anche se con estrema riluttanza, torna sul luogo della tragedia con un infermiere, solo per scoprire che i boschi della zona sono diventati il territorio di caccia di una sorta di Bigfoot.
Diciamo che raccontato così fa venire poca voglia di vederlo, per questo ero assai scettica all’inizio. Al pari degli slasher, non è che i film “di mostri” mi entusiasmino tantissimo, e l’idea stessa del bigfoot assassino mi è sempre parsa un po’ una scemenza. Proseguendo con la visione, però, ho scoperto che Abominable, pur con ovvi limiti, non è male come pensavo. Il merito va ad una trama e ad una realizzazione che uniscono clichè del genere (i boschi, la presenza che c’è, si sente, si percepisce ma non si vede) ad un’idea legata interamente al genio di Hitchcock, ovvero quella dell’uomo costretto all’immobilità che si ritrova, impotente, a fare il “guardone” armato di binocolo e a testimoniare eventi inquietanti col rischio di non essere creduto da chi dovrebbe assisterlo. In La finestra sul cortile il bel James Stewart aveva solo una gamba ingessata e sicuramente non aveva a che fare né col Bigfoot né con l’infermiere più bastardo che la storia del cinema ricordi (dopo Annie in Misery non deve morire, ma lì la questione era un po’ diversa…), ma i tempi sono cambiati, il genere anche, quindi gli sceneggiatori hanno dovuto inserire un bel po’ di limiti, esagerazioni e gore (che pure in questo caso è limitato a qualche morso ben dato) in più.
Ovvio che un film simile non è esente comunque da tocchi trash e scemenze assortite. La cosa che salta all’occhio è l’improponibile makeup del mostro, che ha la stessa identica faccia di Gimli ne Il Signore degli anelli ma in più è corredato di zanne e di un’altezza che supera i due metri. L’altra cosa che perplime è la sostanziale idiozia e bastardaggine di tutti i personaggi secondari coinvolti o quasi: oltre al già citato infermiere, che prende a schiaffi ubriaco fradicio il paraplegico solo per farlo smettere di parlare del bigfoot, ci sono uno sceriffo superficiale e menefreghista, un cretino con problemi respiratori che piuttosto che starsene a casa va a caccia nella foresta con la bombola d’ossigeno appresso e dulcis in fundus un gruppo di sgallettate in ritiro per un addio al nubilato messe lì apposta per fungere da carne da macello (e deliziare l’occhio dello spettatore guardone…). Corredano il tutto un paio di nomi “storici” del cinema horror e di genere, guest star come la Dee Wallace de L’Ululato, Lance Henriksen e Jeffrey Combs (protagonista della cultissima serie dei Re – Animator), a completare un cast di attori che nel complesso non sono malvagi. Insomma, Abominable è un filmetto senza pretese ma godibile e divertente, ho visto davvero di molto peggio.
Di Dee Wallace, che compare in un brevissimo cameo all’inizio, ho parlato qui.
Ryan Schifrin è il regista e sceneggiatore del film. Argentino, figlio di Lalo Schifrin (compositore assai famoso, responsabile di pezzi storici come Mission Impossible, giusto per fare un esempio), è al suo primo lungometraggio visto che gli altri tre film che ha realizzato sono dei corti. Ha 37 anni.
Matt McCoy interpreta Preston. Attore americano non troppo famoso in effetti, lo ricordo per film come Scuola di polizia V: destinazione Miami, Scuola di polizia VI: la città è assediata, La mano sulla culla e L.A. Confidential, mentre per la tv ha partecipato a episodi de La signora in giallo, Star Trek: Next Generation, Avvocati a Los Angeles, La tata, Melrose Place, N.Y.P.D., Sabrina – Vita da strega, Six Feet Under, CSI: NY e Senza traccia. Ha 52 anni.
Lance Henriksen compare nei panni del cacciatore Ziegler. Se siete cresciuti nell’epoca in cui X-Files era un must, sicuramente vi ricorderete anche di una serie assai simile ma molto meno duratura e “quotata”, ovvero Millenium, di cui lui era il protagonista. L’attore ha anche un interessante curriculum cinematografico; tra i suoi film ricordo Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, Incontri ravvicinati del terzo tipo, La maledizione di Damien, Pirahna paura, Terminator, Aliens – Scontro finale, La casa 7, Alien3, Super Mario Bros, Pronti a morire, Scream 3 e Il corpo di Jennifer. Ha lavorato anche come doppiatore nel Tarzan della Disney e ha partecipato a telefilm come A – Team, Racconti di mezzanotte e X – Files. Ha 70 anni e la bellezza di nove film in uscita.
Jeffrey Combs interpreta il commesso con problemi polmonari. Americano e veterano di innumerevoli produzioni horror, lo ricordo per film come il già citato Re – Animator, Re – Animator 2, Love & una 45, lo splendido Sospesi nel tempo, l’orrido Incubo finale, Il mistero della casa sulla collina, Beyond Re – Animator e All Souls Day: Dia de los muertos, mentre per la tv è comparso in Freddy’s Nightmares, Hunter, Flash, Più forte ragazzi, CSI, Masters of Horror, The 4400 e Cold Case. Ha 56 anni e cinque film in progetto, tra cui un ennesimo probabile seguito di Re – Animator dal titolo House of Re - Animator.
Una curiosità: Christien Tinsley, che interpreta l’infermiere Otis, è stato nominato all’Oscar per il makeup de La Passione, controverso film di Mel Gibson. Vi fosse piaciuto Abominable, consiglio di vedere Cabin Fever (per la paranoia da isolamento, appunto) oppure L’ululato, simile per ambientazioni e genere ma nettamente superiore, anche per la critica sociale che affronta. E ora vi lascio con il trailer del film.... ENJOY!!
Trama: Preston è un paralitico costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente di montagna, dove la moglie ha perso la vita. A scopo terapeutico, anche se con estrema riluttanza, torna sul luogo della tragedia con un infermiere, solo per scoprire che i boschi della zona sono diventati il territorio di caccia di una sorta di Bigfoot.
Diciamo che raccontato così fa venire poca voglia di vederlo, per questo ero assai scettica all’inizio. Al pari degli slasher, non è che i film “di mostri” mi entusiasmino tantissimo, e l’idea stessa del bigfoot assassino mi è sempre parsa un po’ una scemenza. Proseguendo con la visione, però, ho scoperto che Abominable, pur con ovvi limiti, non è male come pensavo. Il merito va ad una trama e ad una realizzazione che uniscono clichè del genere (i boschi, la presenza che c’è, si sente, si percepisce ma non si vede) ad un’idea legata interamente al genio di Hitchcock, ovvero quella dell’uomo costretto all’immobilità che si ritrova, impotente, a fare il “guardone” armato di binocolo e a testimoniare eventi inquietanti col rischio di non essere creduto da chi dovrebbe assisterlo. In La finestra sul cortile il bel James Stewart aveva solo una gamba ingessata e sicuramente non aveva a che fare né col Bigfoot né con l’infermiere più bastardo che la storia del cinema ricordi (dopo Annie in Misery non deve morire, ma lì la questione era un po’ diversa…), ma i tempi sono cambiati, il genere anche, quindi gli sceneggiatori hanno dovuto inserire un bel po’ di limiti, esagerazioni e gore (che pure in questo caso è limitato a qualche morso ben dato) in più.
Ovvio che un film simile non è esente comunque da tocchi trash e scemenze assortite. La cosa che salta all’occhio è l’improponibile makeup del mostro, che ha la stessa identica faccia di Gimli ne Il Signore degli anelli ma in più è corredato di zanne e di un’altezza che supera i due metri. L’altra cosa che perplime è la sostanziale idiozia e bastardaggine di tutti i personaggi secondari coinvolti o quasi: oltre al già citato infermiere, che prende a schiaffi ubriaco fradicio il paraplegico solo per farlo smettere di parlare del bigfoot, ci sono uno sceriffo superficiale e menefreghista, un cretino con problemi respiratori che piuttosto che starsene a casa va a caccia nella foresta con la bombola d’ossigeno appresso e dulcis in fundus un gruppo di sgallettate in ritiro per un addio al nubilato messe lì apposta per fungere da carne da macello (e deliziare l’occhio dello spettatore guardone…). Corredano il tutto un paio di nomi “storici” del cinema horror e di genere, guest star come la Dee Wallace de L’Ululato, Lance Henriksen e Jeffrey Combs (protagonista della cultissima serie dei Re – Animator), a completare un cast di attori che nel complesso non sono malvagi. Insomma, Abominable è un filmetto senza pretese ma godibile e divertente, ho visto davvero di molto peggio.
Di Dee Wallace, che compare in un brevissimo cameo all’inizio, ho parlato qui.
Ryan Schifrin è il regista e sceneggiatore del film. Argentino, figlio di Lalo Schifrin (compositore assai famoso, responsabile di pezzi storici come Mission Impossible, giusto per fare un esempio), è al suo primo lungometraggio visto che gli altri tre film che ha realizzato sono dei corti. Ha 37 anni.
Matt McCoy interpreta Preston. Attore americano non troppo famoso in effetti, lo ricordo per film come Scuola di polizia V: destinazione Miami, Scuola di polizia VI: la città è assediata, La mano sulla culla e L.A. Confidential, mentre per la tv ha partecipato a episodi de La signora in giallo, Star Trek: Next Generation, Avvocati a Los Angeles, La tata, Melrose Place, N.Y.P.D., Sabrina – Vita da strega, Six Feet Under, CSI: NY e Senza traccia. Ha 52 anni.
Lance Henriksen compare nei panni del cacciatore Ziegler. Se siete cresciuti nell’epoca in cui X-Files era un must, sicuramente vi ricorderete anche di una serie assai simile ma molto meno duratura e “quotata”, ovvero Millenium, di cui lui era il protagonista. L’attore ha anche un interessante curriculum cinematografico; tra i suoi film ricordo Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, Incontri ravvicinati del terzo tipo, La maledizione di Damien, Pirahna paura, Terminator, Aliens – Scontro finale, La casa 7, Alien3, Super Mario Bros, Pronti a morire, Scream 3 e Il corpo di Jennifer. Ha lavorato anche come doppiatore nel Tarzan della Disney e ha partecipato a telefilm come A – Team, Racconti di mezzanotte e X – Files. Ha 70 anni e la bellezza di nove film in uscita.
Jeffrey Combs interpreta il commesso con problemi polmonari. Americano e veterano di innumerevoli produzioni horror, lo ricordo per film come il già citato Re – Animator, Re – Animator 2, Love & una 45, lo splendido Sospesi nel tempo, l’orrido Incubo finale, Il mistero della casa sulla collina, Beyond Re – Animator e All Souls Day: Dia de los muertos, mentre per la tv è comparso in Freddy’s Nightmares, Hunter, Flash, Più forte ragazzi, CSI, Masters of Horror, The 4400 e Cold Case. Ha 56 anni e cinque film in progetto, tra cui un ennesimo probabile seguito di Re – Animator dal titolo House of Re - Animator.
Una curiosità: Christien Tinsley, che interpreta l’infermiere Otis, è stato nominato all’Oscar per il makeup de La Passione, controverso film di Mel Gibson. Vi fosse piaciuto Abominable, consiglio di vedere Cabin Fever (per la paranoia da isolamento, appunto) oppure L’ululato, simile per ambientazioni e genere ma nettamente superiore, anche per la critica sociale che affronta. E ora vi lascio con il trailer del film.... ENJOY!!