I titoli italiani di alcuni film fanno passare la voglia di vederli. Peccato, perché A Venezia un dicembre rosso... shocking (Don't Look Now) che, lì per lì, farebbe pensare ad uno scadentissimo giallo/thriller, è in realtà uno splendido e raffinato horror diretto nel 1973 dal regista Nicolas Roeg e tratto da un racconto di Daphne Du Maurier, scrittrice inglese già autrice anche di Rebecca e Gli uccelli.
Trama: Laura e John si trovano a Venezia per motivi di lavoro e anche per superare lo shock della morte della figlioletta, annegata davanti agli occhi del padre. Nella città lagunare Laura fa amicizia con due sorelle inglesi, di cui una cieca e dotata di poteri medianici, che apparentemente riesce a vedere lo spirito della piccola. E mentre la moglie si lega sempre più alle due strane vecchie, John diventa sospettoso e paranoico, proprio mentre Venezia è sconvolta da una serie di omicidi...
Don't look now non è un horror comune, colmo di scene splatter, né una storia di fantasmi sui generis. E' piuttosto un thriller che si sofferma molto sui sentimenti, sui legami tra le persone, sul potere del passato e sull'incognita del futuro. E' un film che va seguito con attenzione e rivisto più di una volta perché sicuramente ad una seconda o terza visione si riusciranno a trovare dei particolari, degli indizi che la prima volta sono sfuggiti. Nicolas Roeg infatti ci fa affondare, è proprio il caso di dirlo, in una storia dove nessun'immagine è fine a sé stessa o priva di significato, dove il passato, il presente e il futuro si mescolano senza soluzione di continuità grazie ad un montaggio che definire splendido è davvero riduttivo: basti solo pensare all'inizio, dove la morte della piccola mescola il colore rosso del suo impermeabile alla macchia di colore che viene sparsa da una mano incauta sulla foto della chiesa, o alla famosissima scena d'amore tra Laura e John, dove l'amplesso del presente si unisce ad un futuro nel quale marito e moglie si rivestono ed escono dalla stanza il mattino dopo.
E uno dei fil rouge, è proprio il caso di dirlo, che unisce tutti gli elementi del film e ci offre un percorso da seguire è proprio il colore rosso, che fin dal triste inizio si può ritrovare in mille piccoli particolari più o meno inquietanti, unica illusione di ordine in grado di contrapporsi alla caotica Venezia. Sia chiaro, la Venezia del film non è caotica perché affollata, ma perché viene utilizzata come luogo labirintico, sinistro, misterioso, colmo di suoni, echi, passi che non si riescono ad identificare, costellato di strade che non portano praticamente da nessuna parte, buie e tutte uguali. E' il protagonista maschile che, in particolare, si perde in questi due elementi: risucchiato dalle stradine di Venezia, colpito da visioni che non riesce a comprendere né a distinguere dalla realtà, richiamato dal colore rosso che tanto gli ricorda l'impermeabile della figlia, vagherà inquieto per tutto il film senza seguire il monito di "non guardare" del titolo originale e, soprattutto, senza riuscire a fare nulla per evitare il proprio destino. Altro non aggiungo, perché nessuna mia parola potrebbe rendere giustizia al film e ai bravissimi interpreti. Segnalo solo la malinconica bellezza delle musiche di Pino Donaggio, che riescono a rendere la pellicola ancora più bella e particolare.
Di Donald Sutherland, che interpreta John, ho già parlato qui.
Nicolas Roeg è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come L'uomo che cadde sulla terra e Chi ha paura delle streghe?. Ha 82 anni e un film in uscita.
Julie Christie interpreta Laura. Originaria dell'India, l'attrice ha partecipato a film come Fahreneit 451, Dragonheart, Hamlet, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e Neverland - Un sogno per la vita. Ha 69 anni e tre film in uscita, tra cui il gotico Red Riding Hood con Amanda Seyfried.
Del film pare sia in produzione l'ennesimo terribile remake, ma per fortuna il progetto pare ancora così campato in aria che non sono stati nemmeno pensati gli interpreti. Quindi godetevi il trailer originale e, se vi piacciono i thriller "ispirati" e un pò contorti come questo guardatevi Strade perdute di Lynch, Two sisters oppure lo storico Psyco. ENJOY!
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lunedì 27 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
5ive girls (2006)
E’ triste rendersi conto, per l’ennesima volta, che non esistono più gli horror di un tempo. Le produzioni americane sono sempre più terra terra, non tanto per la realizzazione, ma per la trama e il film in sé. E’ questo il caso del mediocre 5ive Girls, diretto da un certo Warren P. Sonoda nel 2006.
Trama: Alex è una ragazza “problematica”, dotata di poteri telecinetici. Il padre, esasperato, la fa rinchiudere in un istituto correzionale dove parecchi anni prima una ragazza era scomparsa, rapita da un demone. Demone che non ha mai lasciato l’edificio, e che ora punta ad avere le anime di Alex e delle sue altre quattro compagne di sventura…
5ive Girls è un bel minestrone. Molto probabilmente chi lo ha sceneggiato era un fan del film Giovani streghe, perché l’atmosfera (e solo quella!!) è assai simile. Ci sono cinque ragazze dotate di poteri particolari che, in pratica, li sviluppano stando assieme; c’è chi è solita nasconderli e, nel gruppo, li tira fuori, chi li ha deboli e assieme alle amichette riesce a potenziarli. Peccato che i poteri in questione sono davvero inutili e con la trama c’entrano poco o nulla. Infatti 5ive Girls mescola spudoratamente due cose che hanno poco a che fare l’una con l’altra: la Wicca e il Cattolicesimo. Ora, io non sono un’esperta né dell’una né dell’altro, ma mi pare di rammentare che, ai tempi, le streghe venissero bruciate dalle pie anime cattoliche. Nel film in questione, invece, il prete interpretato da Ron Perlman (mai così sottotono, poveraccio…) fa mettere le ragazzette in piedi sulle cattedre messe a pentacolo per recitare l’Ave Maria, pur lamentandosi, poi, se gli vanno a dire che c’è una presenza che le importuna (ma allora sei scemo!). E mica finisce lì.
Il film, lo ammetto, comincia benissimo, ed i dieci minuti prima dei titoli di testa incuriosiscono e catturano lo spettatore. Poi la cosa si fa imbarazzante e decisamente fiacca. Innanzitutto il demone che perseguita i protagonisti non è mica un diavoletto a caso: stiamo parlando nientemeno del Legione citato nel Vangelo. Ignorate la prima domanda che verrà sicuramente alla mente (ovvero perché diamine Legione dovrebbe starsene rinchiuso nel terzo piano di una scuola…) e fatevene altre: tralasciando la direttrice vacca che ha i suoi motivi per rimanere lì dentro, ma perché mai le altre cinque protagoniste dovrebbero rimanere rinchiuse visto che, di notte, vengono sistematicamente possedute da una melma nera che le decompone a poco a poco (!!) e visto che una è scassinatrice provetta mentre l’altra può diventare intangibile? E uscite di lì dentro, imbecilli! Tra l’altro, non scherzavo quando dicevo che i poteri delle fanciulle sono perlopiù inutili e scarsamente sfruttati dagli sceneggiatori. Delle cinque ragazze una è cieca MA sa leggere i tarocchi (Prevedo che verremo tutte uccise da un Demone. Ah beh, grazie!!), una è talmente esperta di Wicca da riuscire a contrastare il potere di Legione incanalando energia positiva attraverso un cristallo (ma senza cristallo è fottuta. Comodo, che razza di potere è?), un’altra può rendersi intangibile MA non può passare attraverso le porte (comodo pure quello, eh. In pratica l’unico momento in cui si rende intangibile nel film è per non sbattere contro uno spigolo. Babba bia!!), Alex può spostare gli oggetti quando ha paura e, in più, ha fede (… vabbé), e l’unico potere utile è quello della tizia guaritrice (MA solo una mano ha quel potere, se gliela rompono è fottuta tanto quanto la padrona del cristallo). In pratica lo spettatore può solo scuotere il capo sconsolato mentre il famoso demone imperversa tra profluvi di rezzo nero, pentacoli segnati da sangue e pipì (sigh…), esorcismi consistenti nell’urlare il nome del posseduto come faceva un tempo Sandra Milo con il suo Ciro, scritte in aramaico (e quale teenager americana non lo conosce?!) e pochissimo gore. Il tutto prima di un “finalone” a sorpresa che, dopo un film simile, non smuoverebbe un capello nemmeno agli horror fan più accaniti. Passate oltre, gente.
Di Ron Perlman, che interpreta l’ambiguo Padre Drake, ho già parlato qui. Parecchi progetti in vista per quest’attore: la sua presenza è data per certa nel cast del nuovo Conan e nell’ennesimo spin-off legato alla serie La Mummia, ovvero Scorpion King: Raise of the Dead, ma le cose che mi ispirano di più sono una probabile partecipazione all’adattamento de Lo Hobbit e al sequel di Bubba-Ho-Thep, il cui titolo è già una trashata incommensurabile: Bubba Nosferatu – Curse of the She – Vampires, dove lui dovrebbe prendere il posto di Bruce Campbell nei panni di Elvis Presley.
Warren P. Sonoda è il regista del film. Si è fatto le ossa sui videoclip e si vede, visto che lo stile registico di 5ive Girls è tipicamente “cool”, dal montaggio rapido ma pulito, inoltre ha girato un altro paio di film che non conosco e che forse non voglio neppure conoscere. Canadese ma di origine giapponese, ha 41 anni.
Poco da dire sulle varie interpreti femminili, la cui carriera è stata (almeno finora) talmente poco rilevante da non meritare nemmeno il mio solito trafiletto. Jennifer Miller e Jordan Madley (rispettivamente Alex e Mara) hanno entrambe partecipato al quinto film della serie American Pie, distribuito solo in video, mentre Amy Lalonde, che interpreta la stronzissima direttrice, ha recitato nel film Le cronache dei morti viventi. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!
Trama: Alex è una ragazza “problematica”, dotata di poteri telecinetici. Il padre, esasperato, la fa rinchiudere in un istituto correzionale dove parecchi anni prima una ragazza era scomparsa, rapita da un demone. Demone che non ha mai lasciato l’edificio, e che ora punta ad avere le anime di Alex e delle sue altre quattro compagne di sventura…
5ive Girls è un bel minestrone. Molto probabilmente chi lo ha sceneggiato era un fan del film Giovani streghe, perché l’atmosfera (e solo quella!!) è assai simile. Ci sono cinque ragazze dotate di poteri particolari che, in pratica, li sviluppano stando assieme; c’è chi è solita nasconderli e, nel gruppo, li tira fuori, chi li ha deboli e assieme alle amichette riesce a potenziarli. Peccato che i poteri in questione sono davvero inutili e con la trama c’entrano poco o nulla. Infatti 5ive Girls mescola spudoratamente due cose che hanno poco a che fare l’una con l’altra: la Wicca e il Cattolicesimo. Ora, io non sono un’esperta né dell’una né dell’altro, ma mi pare di rammentare che, ai tempi, le streghe venissero bruciate dalle pie anime cattoliche. Nel film in questione, invece, il prete interpretato da Ron Perlman (mai così sottotono, poveraccio…) fa mettere le ragazzette in piedi sulle cattedre messe a pentacolo per recitare l’Ave Maria, pur lamentandosi, poi, se gli vanno a dire che c’è una presenza che le importuna (ma allora sei scemo!). E mica finisce lì.
Il film, lo ammetto, comincia benissimo, ed i dieci minuti prima dei titoli di testa incuriosiscono e catturano lo spettatore. Poi la cosa si fa imbarazzante e decisamente fiacca. Innanzitutto il demone che perseguita i protagonisti non è mica un diavoletto a caso: stiamo parlando nientemeno del Legione citato nel Vangelo. Ignorate la prima domanda che verrà sicuramente alla mente (ovvero perché diamine Legione dovrebbe starsene rinchiuso nel terzo piano di una scuola…) e fatevene altre: tralasciando la direttrice vacca che ha i suoi motivi per rimanere lì dentro, ma perché mai le altre cinque protagoniste dovrebbero rimanere rinchiuse visto che, di notte, vengono sistematicamente possedute da una melma nera che le decompone a poco a poco (!!) e visto che una è scassinatrice provetta mentre l’altra può diventare intangibile? E uscite di lì dentro, imbecilli! Tra l’altro, non scherzavo quando dicevo che i poteri delle fanciulle sono perlopiù inutili e scarsamente sfruttati dagli sceneggiatori. Delle cinque ragazze una è cieca MA sa leggere i tarocchi (Prevedo che verremo tutte uccise da un Demone. Ah beh, grazie!!), una è talmente esperta di Wicca da riuscire a contrastare il potere di Legione incanalando energia positiva attraverso un cristallo (ma senza cristallo è fottuta. Comodo, che razza di potere è?), un’altra può rendersi intangibile MA non può passare attraverso le porte (comodo pure quello, eh. In pratica l’unico momento in cui si rende intangibile nel film è per non sbattere contro uno spigolo. Babba bia!!), Alex può spostare gli oggetti quando ha paura e, in più, ha fede (… vabbé), e l’unico potere utile è quello della tizia guaritrice (MA solo una mano ha quel potere, se gliela rompono è fottuta tanto quanto la padrona del cristallo). In pratica lo spettatore può solo scuotere il capo sconsolato mentre il famoso demone imperversa tra profluvi di rezzo nero, pentacoli segnati da sangue e pipì (sigh…), esorcismi consistenti nell’urlare il nome del posseduto come faceva un tempo Sandra Milo con il suo Ciro, scritte in aramaico (e quale teenager americana non lo conosce?!) e pochissimo gore. Il tutto prima di un “finalone” a sorpresa che, dopo un film simile, non smuoverebbe un capello nemmeno agli horror fan più accaniti. Passate oltre, gente.
Warren P. Sonoda è il regista del film. Si è fatto le ossa sui videoclip e si vede, visto che lo stile registico di 5ive Girls è tipicamente “cool”, dal montaggio rapido ma pulito, inoltre ha girato un altro paio di film che non conosco e che forse non voglio neppure conoscere. Canadese ma di origine giapponese, ha 41 anni.
Poco da dire sulle varie interpreti femminili, la cui carriera è stata (almeno finora) talmente poco rilevante da non meritare nemmeno il mio solito trafiletto. Jennifer Miller e Jordan Madley (rispettivamente Alex e Mara) hanno entrambe partecipato al quinto film della serie American Pie, distribuito solo in video, mentre Amy Lalonde, che interpreta la stronzissima direttrice, ha recitato nel film Le cronache dei morti viventi. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!
lunedì 13 dicembre 2010
Giù al nord (2008)
Dopo aver guardato Benvenuti al Sud, campione d’incassi del mese scorso, mi è venuta una voglia irresistibile di dare un’occhiata al film da cui è stato tratto, Giù al Nord (Bienvenue Chez les Ch’tis), diretto nel 2008 dal regista Dany Boon. Peccato che, una volta conclusa la visione, mi sia passato ogni entusiasmo per il film con Claudio Bisio.
Trama: Philippe è un impiegato delle poste che spera di fare il salto di qualità e trasferirsi con la famiglia sulla costa meridionale. Per arrivare ad ottenere il trasferimento si finge paralitico, ma viene scoperto e spedito a Nord Passo di Calais, in una sperduta cittadina dove dimorano i cosiddetti Ch’tis, che le leggende vogliono rozzi, ubriaconi ed ignoranti. Ma a poco a poco Philippe scoprirà che a nord non si sta così male…
Se volessi fare una recensione onesta, andrei a prendere il post relativo a Benvenuti al Sud, lo copierei e lo incollerei cambiando qualche nome e luogo perché, effettivamente, è identico a questo Giù al Nord. Ora, è normale che un film basato su un’altra pellicola riprenda almeno il cinquanta per cento delle scene, magari l’ambientazione, talvolta qualche dialogo, però in generale si cerca un po’ di rinnovare: gli autori italiani invece hanno preso l’intero film e si sono limitati a tradurlo invertendo il Nord e il Sud, cambiando i nomi ed aggiungendo la componente legata al pregiudizio della criminalità meridionale che invece i francesi non hanno, lasciando inquadrature, dialoghi, immagini e gag pressoché identiche all’originale. E quindi devo ovviamente ribadire che Giù al Nord è un bel film, ben diretto, ben recitato (l’anziana mamma del co-protagonista è bravissima ed esilarante quanto la sua versione italiana), dalla trama semplice ma simpatica e anche un po’ ruffiana.
Non parlerò dunque della realizzazione in sé, ma mi concentrerò sull’adattamento italiano e sulla difficoltà di apprezzare appieno un film simile, così legato alla cultura francese. Purtroppo, infatti, per un italiano Giù al Nord non è poi così divertente. Personalmente ho fatto spallucce sia davanti al terrore di Philippe di recarsi a Nord, visto che le cose “terribili” che gli paventano sono il freddo, la lingua diversa e il fatto che gli Ch’tis bevano (e quindi…?), sia davanti al crescente senso di meraviglia che prova vivendo lì: ora, capisco che gli si apra il cuore davanti allo splendido suono delle campane, ma fare passare per alta cucina una friggitoria beh… parliamone. Avrei capito avessero magnificato la gastronomia e i paeselli Alsaziani, ma l’intera cittadina dove va ad abitare il protagonista è di uno squallore spaventoso. E ci vuole un po’ di tempo anche ad apprezzare il doppiaggio, che inizialmente risulta parecchio ridicolo. Come già era successo, se non sbaglio, per il dialetto “pikey” parlato da Brad Pitt in Snatch, gli adattatori si sono inventati un linguaggio radicato in qualche dialetto regionale italiano ma sostanzialmente diverso. Quello parlato dagli Ch’tis parrebbe un incrocio tra il romagnolo e il pugliese, dove “cosa” diventa “coscia” e “scemo” diventa “schiemo”, con l’aggiunta di abbondanti neologismi quali “pisciotto”, “scrotaiolo”, “vaccapuzza” ecc. ecc; sarebbe forse meglio, quindi, trovarlo in originale con qualche sottotitolo, giusto per farsi un’idea di cosa sia il vero dialetto Ch’tis. Un paio di cose che, comunque, elevano questa pellicola rispetto al remake sono la scomparsa di quell’assurda “confraternita del formaggio” di cui fa parte Bisio (qui è il bastardissimo suocero, invece, a parlare a Philippe della vita del Nord) e, soprattutto, un più corretto utilizzo della pioggia torrenziale che si abbatte sul protagonista appena giunto a Nord: ha più senso che si abbatta su Philippe, dopo che il nord gli è stato descritto come una sorta di Antartide, piuttosto che su Bisio, diretto verso un caldo infernale. Detto questo, consiglio ai cinefili pignoli come la sottoscritta di guardarlo, se non altro per confrontare le due versioni e aprire la mente ad una cultura vicinissima alla nostra.
Dany Boon è il regista della pellicola, nonché interprete nei panni di Antoine. Originario proprio del nord della Francia, come regista ha già girato due film e ne ha un terzo in uscita, mentre come attore ha partecipato a Benvenuti al sud e ad altri film a me sconosciuti. Ha 44 anni e un film in uscita.
Kad Merad interpreta Philippe. Di origine algerina, l’attore ha partecipato al film Les Choristes – I ragazzi del coro e ad un paio di episodi del Camera Café francese. Ha 46 anni e due film in uscita.
A dimostrazione del comunque grande successo del film e dell’universalità della storia (che potrebbe essere davvero applicata a qualunque nazione del mondo, con le opportune modifiche), si vocifera che sia in progetto un remake USA dal titolo Welcome to the Sticks e, tra i papabili interpreti, gira il nome di Will Smith. Attendiamo e vediamo. Nel frattempo beccatevi il trailer originale di Giù al Nord. ENJOY!
Trama: Philippe è un impiegato delle poste che spera di fare il salto di qualità e trasferirsi con la famiglia sulla costa meridionale. Per arrivare ad ottenere il trasferimento si finge paralitico, ma viene scoperto e spedito a Nord Passo di Calais, in una sperduta cittadina dove dimorano i cosiddetti Ch’tis, che le leggende vogliono rozzi, ubriaconi ed ignoranti. Ma a poco a poco Philippe scoprirà che a nord non si sta così male…
Se volessi fare una recensione onesta, andrei a prendere il post relativo a Benvenuti al Sud, lo copierei e lo incollerei cambiando qualche nome e luogo perché, effettivamente, è identico a questo Giù al Nord. Ora, è normale che un film basato su un’altra pellicola riprenda almeno il cinquanta per cento delle scene, magari l’ambientazione, talvolta qualche dialogo, però in generale si cerca un po’ di rinnovare: gli autori italiani invece hanno preso l’intero film e si sono limitati a tradurlo invertendo il Nord e il Sud, cambiando i nomi ed aggiungendo la componente legata al pregiudizio della criminalità meridionale che invece i francesi non hanno, lasciando inquadrature, dialoghi, immagini e gag pressoché identiche all’originale. E quindi devo ovviamente ribadire che Giù al Nord è un bel film, ben diretto, ben recitato (l’anziana mamma del co-protagonista è bravissima ed esilarante quanto la sua versione italiana), dalla trama semplice ma simpatica e anche un po’ ruffiana.
Non parlerò dunque della realizzazione in sé, ma mi concentrerò sull’adattamento italiano e sulla difficoltà di apprezzare appieno un film simile, così legato alla cultura francese. Purtroppo, infatti, per un italiano Giù al Nord non è poi così divertente. Personalmente ho fatto spallucce sia davanti al terrore di Philippe di recarsi a Nord, visto che le cose “terribili” che gli paventano sono il freddo, la lingua diversa e il fatto che gli Ch’tis bevano (e quindi…?), sia davanti al crescente senso di meraviglia che prova vivendo lì: ora, capisco che gli si apra il cuore davanti allo splendido suono delle campane, ma fare passare per alta cucina una friggitoria beh… parliamone. Avrei capito avessero magnificato la gastronomia e i paeselli Alsaziani, ma l’intera cittadina dove va ad abitare il protagonista è di uno squallore spaventoso. E ci vuole un po’ di tempo anche ad apprezzare il doppiaggio, che inizialmente risulta parecchio ridicolo. Come già era successo, se non sbaglio, per il dialetto “pikey” parlato da Brad Pitt in Snatch, gli adattatori si sono inventati un linguaggio radicato in qualche dialetto regionale italiano ma sostanzialmente diverso. Quello parlato dagli Ch’tis parrebbe un incrocio tra il romagnolo e il pugliese, dove “cosa” diventa “coscia” e “scemo” diventa “schiemo”, con l’aggiunta di abbondanti neologismi quali “pisciotto”, “scrotaiolo”, “vaccapuzza” ecc. ecc; sarebbe forse meglio, quindi, trovarlo in originale con qualche sottotitolo, giusto per farsi un’idea di cosa sia il vero dialetto Ch’tis. Un paio di cose che, comunque, elevano questa pellicola rispetto al remake sono la scomparsa di quell’assurda “confraternita del formaggio” di cui fa parte Bisio (qui è il bastardissimo suocero, invece, a parlare a Philippe della vita del Nord) e, soprattutto, un più corretto utilizzo della pioggia torrenziale che si abbatte sul protagonista appena giunto a Nord: ha più senso che si abbatta su Philippe, dopo che il nord gli è stato descritto come una sorta di Antartide, piuttosto che su Bisio, diretto verso un caldo infernale. Detto questo, consiglio ai cinefili pignoli come la sottoscritta di guardarlo, se non altro per confrontare le due versioni e aprire la mente ad una cultura vicinissima alla nostra.
Dany Boon è il regista della pellicola, nonché interprete nei panni di Antoine. Originario proprio del nord della Francia, come regista ha già girato due film e ne ha un terzo in uscita, mentre come attore ha partecipato a Benvenuti al sud e ad altri film a me sconosciuti. Ha 44 anni e un film in uscita.
Kad Merad interpreta Philippe. Di origine algerina, l’attore ha partecipato al film Les Choristes – I ragazzi del coro e ad un paio di episodi del Camera Café francese. Ha 46 anni e due film in uscita.
A dimostrazione del comunque grande successo del film e dell’universalità della storia (che potrebbe essere davvero applicata a qualunque nazione del mondo, con le opportune modifiche), si vocifera che sia in progetto un remake USA dal titolo Welcome to the Sticks e, tra i papabili interpreti, gira il nome di Will Smith. Attendiamo e vediamo. Nel frattempo beccatevi il trailer originale di Giù al Nord. ENJOY!
martedì 7 dicembre 2010
Abominable (2006)
Navigando sulla rete si riescono a trovare film che sono praticamente considerati già dei cult in America, mentre qui molto probabilmente nessuno li ha mai sentiti nominare. E’ il caso di Abominable, diretto nel 2006 dal regista Ryan Schifrin, che nonostante le premesse non è poi così brutto.
Trama: Preston è un paralitico costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente di montagna, dove la moglie ha perso la vita. A scopo terapeutico, anche se con estrema riluttanza, torna sul luogo della tragedia con un infermiere, solo per scoprire che i boschi della zona sono diventati il territorio di caccia di una sorta di Bigfoot.
Diciamo che raccontato così fa venire poca voglia di vederlo, per questo ero assai scettica all’inizio. Al pari degli slasher, non è che i film “di mostri” mi entusiasmino tantissimo, e l’idea stessa del bigfoot assassino mi è sempre parsa un po’ una scemenza. Proseguendo con la visione, però, ho scoperto che Abominable, pur con ovvi limiti, non è male come pensavo. Il merito va ad una trama e ad una realizzazione che uniscono clichè del genere (i boschi, la presenza che c’è, si sente, si percepisce ma non si vede) ad un’idea legata interamente al genio di Hitchcock, ovvero quella dell’uomo costretto all’immobilità che si ritrova, impotente, a fare il “guardone” armato di binocolo e a testimoniare eventi inquietanti col rischio di non essere creduto da chi dovrebbe assisterlo. In La finestra sul cortile il bel James Stewart aveva solo una gamba ingessata e sicuramente non aveva a che fare né col Bigfoot né con l’infermiere più bastardo che la storia del cinema ricordi (dopo Annie in Misery non deve morire, ma lì la questione era un po’ diversa…), ma i tempi sono cambiati, il genere anche, quindi gli sceneggiatori hanno dovuto inserire un bel po’ di limiti, esagerazioni e gore (che pure in questo caso è limitato a qualche morso ben dato) in più.
Ovvio che un film simile non è esente comunque da tocchi trash e scemenze assortite. La cosa che salta all’occhio è l’improponibile makeup del mostro, che ha la stessa identica faccia di Gimli ne Il Signore degli anelli ma in più è corredato di zanne e di un’altezza che supera i due metri. L’altra cosa che perplime è la sostanziale idiozia e bastardaggine di tutti i personaggi secondari coinvolti o quasi: oltre al già citato infermiere, che prende a schiaffi ubriaco fradicio il paraplegico solo per farlo smettere di parlare del bigfoot, ci sono uno sceriffo superficiale e menefreghista, un cretino con problemi respiratori che piuttosto che starsene a casa va a caccia nella foresta con la bombola d’ossigeno appresso e dulcis in fundus un gruppo di sgallettate in ritiro per un addio al nubilato messe lì apposta per fungere da carne da macello (e deliziare l’occhio dello spettatore guardone…). Corredano il tutto un paio di nomi “storici” del cinema horror e di genere, guest star come la Dee Wallace de L’Ululato, Lance Henriksen e Jeffrey Combs (protagonista della cultissima serie dei Re – Animator), a completare un cast di attori che nel complesso non sono malvagi. Insomma, Abominable è un filmetto senza pretese ma godibile e divertente, ho visto davvero di molto peggio.
Di Dee Wallace, che compare in un brevissimo cameo all’inizio, ho parlato qui.
Ryan Schifrin è il regista e sceneggiatore del film. Argentino, figlio di Lalo Schifrin (compositore assai famoso, responsabile di pezzi storici come Mission Impossible, giusto per fare un esempio), è al suo primo lungometraggio visto che gli altri tre film che ha realizzato sono dei corti. Ha 37 anni.
Matt McCoy interpreta Preston. Attore americano non troppo famoso in effetti, lo ricordo per film come Scuola di polizia V: destinazione Miami, Scuola di polizia VI: la città è assediata, La mano sulla culla e L.A. Confidential, mentre per la tv ha partecipato a episodi de La signora in giallo, Star Trek: Next Generation, Avvocati a Los Angeles, La tata, Melrose Place, N.Y.P.D., Sabrina – Vita da strega, Six Feet Under, CSI: NY e Senza traccia. Ha 52 anni.
Lance Henriksen compare nei panni del cacciatore Ziegler. Se siete cresciuti nell’epoca in cui X-Files era un must, sicuramente vi ricorderete anche di una serie assai simile ma molto meno duratura e “quotata”, ovvero Millenium, di cui lui era il protagonista. L’attore ha anche un interessante curriculum cinematografico; tra i suoi film ricordo Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, Incontri ravvicinati del terzo tipo, La maledizione di Damien, Pirahna paura, Terminator, Aliens – Scontro finale, La casa 7, Alien3, Super Mario Bros, Pronti a morire, Scream 3 e Il corpo di Jennifer. Ha lavorato anche come doppiatore nel Tarzan della Disney e ha partecipato a telefilm come A – Team, Racconti di mezzanotte e X – Files. Ha 70 anni e la bellezza di nove film in uscita.
Jeffrey Combs interpreta il commesso con problemi polmonari. Americano e veterano di innumerevoli produzioni horror, lo ricordo per film come il già citato Re – Animator, Re – Animator 2, Love & una 45, lo splendido Sospesi nel tempo, l’orrido Incubo finale, Il mistero della casa sulla collina, Beyond Re – Animator e All Souls Day: Dia de los muertos, mentre per la tv è comparso in Freddy’s Nightmares, Hunter, Flash, Più forte ragazzi, CSI, Masters of Horror, The 4400 e Cold Case. Ha 56 anni e cinque film in progetto, tra cui un ennesimo probabile seguito di Re – Animator dal titolo House of Re - Animator.
Una curiosità: Christien Tinsley, che interpreta l’infermiere Otis, è stato nominato all’Oscar per il makeup de La Passione, controverso film di Mel Gibson. Vi fosse piaciuto Abominable, consiglio di vedere Cabin Fever (per la paranoia da isolamento, appunto) oppure L’ululato, simile per ambientazioni e genere ma nettamente superiore, anche per la critica sociale che affronta. E ora vi lascio con il trailer del film.... ENJOY!!
Trama: Preston è un paralitico costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente di montagna, dove la moglie ha perso la vita. A scopo terapeutico, anche se con estrema riluttanza, torna sul luogo della tragedia con un infermiere, solo per scoprire che i boschi della zona sono diventati il territorio di caccia di una sorta di Bigfoot.
Diciamo che raccontato così fa venire poca voglia di vederlo, per questo ero assai scettica all’inizio. Al pari degli slasher, non è che i film “di mostri” mi entusiasmino tantissimo, e l’idea stessa del bigfoot assassino mi è sempre parsa un po’ una scemenza. Proseguendo con la visione, però, ho scoperto che Abominable, pur con ovvi limiti, non è male come pensavo. Il merito va ad una trama e ad una realizzazione che uniscono clichè del genere (i boschi, la presenza che c’è, si sente, si percepisce ma non si vede) ad un’idea legata interamente al genio di Hitchcock, ovvero quella dell’uomo costretto all’immobilità che si ritrova, impotente, a fare il “guardone” armato di binocolo e a testimoniare eventi inquietanti col rischio di non essere creduto da chi dovrebbe assisterlo. In La finestra sul cortile il bel James Stewart aveva solo una gamba ingessata e sicuramente non aveva a che fare né col Bigfoot né con l’infermiere più bastardo che la storia del cinema ricordi (dopo Annie in Misery non deve morire, ma lì la questione era un po’ diversa…), ma i tempi sono cambiati, il genere anche, quindi gli sceneggiatori hanno dovuto inserire un bel po’ di limiti, esagerazioni e gore (che pure in questo caso è limitato a qualche morso ben dato) in più.
Ovvio che un film simile non è esente comunque da tocchi trash e scemenze assortite. La cosa che salta all’occhio è l’improponibile makeup del mostro, che ha la stessa identica faccia di Gimli ne Il Signore degli anelli ma in più è corredato di zanne e di un’altezza che supera i due metri. L’altra cosa che perplime è la sostanziale idiozia e bastardaggine di tutti i personaggi secondari coinvolti o quasi: oltre al già citato infermiere, che prende a schiaffi ubriaco fradicio il paraplegico solo per farlo smettere di parlare del bigfoot, ci sono uno sceriffo superficiale e menefreghista, un cretino con problemi respiratori che piuttosto che starsene a casa va a caccia nella foresta con la bombola d’ossigeno appresso e dulcis in fundus un gruppo di sgallettate in ritiro per un addio al nubilato messe lì apposta per fungere da carne da macello (e deliziare l’occhio dello spettatore guardone…). Corredano il tutto un paio di nomi “storici” del cinema horror e di genere, guest star come la Dee Wallace de L’Ululato, Lance Henriksen e Jeffrey Combs (protagonista della cultissima serie dei Re – Animator), a completare un cast di attori che nel complesso non sono malvagi. Insomma, Abominable è un filmetto senza pretese ma godibile e divertente, ho visto davvero di molto peggio.
Di Dee Wallace, che compare in un brevissimo cameo all’inizio, ho parlato qui.
Ryan Schifrin è il regista e sceneggiatore del film. Argentino, figlio di Lalo Schifrin (compositore assai famoso, responsabile di pezzi storici come Mission Impossible, giusto per fare un esempio), è al suo primo lungometraggio visto che gli altri tre film che ha realizzato sono dei corti. Ha 37 anni.
Matt McCoy interpreta Preston. Attore americano non troppo famoso in effetti, lo ricordo per film come Scuola di polizia V: destinazione Miami, Scuola di polizia VI: la città è assediata, La mano sulla culla e L.A. Confidential, mentre per la tv ha partecipato a episodi de La signora in giallo, Star Trek: Next Generation, Avvocati a Los Angeles, La tata, Melrose Place, N.Y.P.D., Sabrina – Vita da strega, Six Feet Under, CSI: NY e Senza traccia. Ha 52 anni.
Lance Henriksen compare nei panni del cacciatore Ziegler. Se siete cresciuti nell’epoca in cui X-Files era un must, sicuramente vi ricorderete anche di una serie assai simile ma molto meno duratura e “quotata”, ovvero Millenium, di cui lui era il protagonista. L’attore ha anche un interessante curriculum cinematografico; tra i suoi film ricordo Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere, Incontri ravvicinati del terzo tipo, La maledizione di Damien, Pirahna paura, Terminator, Aliens – Scontro finale, La casa 7, Alien3, Super Mario Bros, Pronti a morire, Scream 3 e Il corpo di Jennifer. Ha lavorato anche come doppiatore nel Tarzan della Disney e ha partecipato a telefilm come A – Team, Racconti di mezzanotte e X – Files. Ha 70 anni e la bellezza di nove film in uscita.
Jeffrey Combs interpreta il commesso con problemi polmonari. Americano e veterano di innumerevoli produzioni horror, lo ricordo per film come il già citato Re – Animator, Re – Animator 2, Love & una 45, lo splendido Sospesi nel tempo, l’orrido Incubo finale, Il mistero della casa sulla collina, Beyond Re – Animator e All Souls Day: Dia de los muertos, mentre per la tv è comparso in Freddy’s Nightmares, Hunter, Flash, Più forte ragazzi, CSI, Masters of Horror, The 4400 e Cold Case. Ha 56 anni e cinque film in progetto, tra cui un ennesimo probabile seguito di Re – Animator dal titolo House of Re - Animator.
Una curiosità: Christien Tinsley, che interpreta l’infermiere Otis, è stato nominato all’Oscar per il makeup de La Passione, controverso film di Mel Gibson. Vi fosse piaciuto Abominable, consiglio di vedere Cabin Fever (per la paranoia da isolamento, appunto) oppure L’ululato, simile per ambientazioni e genere ma nettamente superiore, anche per la critica sociale che affronta. E ora vi lascio con il trailer del film.... ENJOY!!
martedì 30 novembre 2010
Harry Potter e i Doni della Morte - parte 1 (2010)
E’ cominciata qualche giorno fa, almeno per me, la lunga attesa che si protrarrà fino a giugno/luglio 2011, periodo in cui uscirà la seconda e ultima parte di Harry Potter e i Doni della Morte (Harry Potter and the Deathly Hallows), diretto da David Yates. Se il buongiorno si vede dal mattino posso ben sperare, visto che finora questo è il film della saga che mi è piaciuto di più, anche se ovviamente il libro è molto superiore.
Trama: dopo la morte di Silente il mondo della magia è nel caos. Mentre Voldemort prende il potere, sia in Inghilterra che a Hogwarts, Harry, Ron ed Hermione partono alla ricerca degli Horcrux, oggetti incantati nei quali Colui che non deve essere nominato ha nascosto pezzi della sua anima. Il compito, ovviamente, è molto meno facile di quanto si aspettassero…
Dopo anni passati a vedere gli splendidi libri della Rowling sacrificati in due ore e passa di film, penalizzati da tagli, approssimazioni, buchi e quant’altro, finalmente all’ultimo romanzo viene dato il trattamento che merita e si è deciso di dividerlo in due film parecchio lunghetti e pregni di indizi, rimandi ai precedenti, momenti di approfondimento e quant’altro. Per chi, come me, rasenta il fascismo quando si tratta di adattamenti cinematografici, una cosa simile è una manna dal cielo, ma nonostante questo, credetemi, avrò qualcosa per cui lamentarmi, più o meno verso la fine del post. Per ora, parliamo delle (molte) cose positive: innanzitutto, complimenti agli sceneggiatori, al regista, agli scenografi e ai costumisti perché questo Harry Potter e i Doni della Morte è curatissimo soprattutto nei dettagli. Nonostante manchino gli ambienti grandiosi e fantastici tipici dei film precedenti, come la Gringott o Hogwarts, il senso di meraviglia viene mantenuto vivo innanzitutto dagli spettacolari paesaggi che vengono utilizzati come sfondo per i vari spostamenti del trio durante la ricerca degli Horcrux, dai pochi ma degnissimi inseguimenti e scontri a base di incantesimi, dalle stilosissime mise che indossano i protagonisti e, soprattutto, dai piccoli gesti che, più di qualsiasi dialogo, mostrano allo spettatore i legami di amicizia o amore che legano i vari personaggi: commovente l’inizio con Hermione che cancella sé stessa dalla mente dei genitori, da vera wakka wakka il gesto di Ginny che, a schiena nuda, chiede a Harry di tirarle su la zip dell’abito, stupendo il faccione rapito di Ron che contempla Hermione impegnata ad insegnargli a suonare Fur Elise al pianoforte, molto carina la scena in cui Harry cerca di tirare su il morale ad Hermione facendola ballare (anche se il tutto risulta un barbatrucco per trarre in inganno gli sprovveduti che, non avendo letto i libri, potevano pensare ad una liaison tra i due…); ma quello che ho amato di più, oltre al bellissimo cartone animato che racconta la storia dei Doni della Morte (esemplare, quasi più bello dello stesso film e con un impatto grafico che mi ricordava tantissimo le Totentanzen e, per estensione, Il settimo sigillo), è come il regime di Voldemort influenzi il ministero, che si trasforma in una fabbrica di pamphlet anti-babbani in perfetto stile stalinista pattugliata da camicie nere e decorata da statue che rappresentano Babbani schiacciati dalla potenza dei maghi.
Nonostante questa quasi perfezione, però, ho provato uno strano senso di “fretta”, di mancanza di sentimento (il che è paradossale, visto quello che ho scritto prima). Gli sceneggiatori, molto intelligentemente, hanno gettato qualche spiegazione che rammentasse gli eventi passati, hanno snellito qualche punto che nel libro era troppo lungo e ripetitivo e hanno ovviamente eliminato parecchi utilizzi della Pozione Polisucco, che ci avrebbero fatto assistere ad un film praticamente privo degli attori principali, però a tratti mi è sembrato di trovarmi davanti un film a microepisodi il cui unico scopo è esaurirsi puntando al finale necessariamente sospeso. Un’altra cosa che mi ha fatta storcere il naso è l’assoluta assenza di un elemento fondamentale come il Mantello dell’Invisibilità e che, nonostante l’abbondanza di episodi particolarmente significativi dal punto di vista “psicologico”, ci si sia dimenticati di far recuperare ad Harry l’occhio di Moody, incastonato nella porta dell’ufficio della Umbridge, e soprattutto che non si sia fatta menzione della foto strappata nella camera di Sirius; questo mi fa temere che nel secondo episodio si sorvolerà parecchio sulla vita di Piton, il che mi fa notevolmente irritare. Cerchiamo di non pensarci, e di apprezzare quello che abbiamo. Per fortuna gli attori sono tutti in gran forma (tutti tranne il solito Daniel Radcliffe che, nei panni di Harry, ormai è proprio arrivato alla frutta: l’unico momento in cui è realmente credibile, paradossalmente, è quando interpreta qualcun altro!!) nonostante debba lamentarmi del fatto che Piton e, soprattutto, Lucius, si vedano poco e che Helena Bonham Carter sia leggermente sottotono rispetto ai film precedenti. Tra l’altro ho adorato l’attore che, per una decina di minuti, sostituisce Radcliffe nelle scene ambientate al ministero: duro come un bacco ma con un’espressività esilarante! Molto bella anche la vena horror che, fin dall’inizio, percorre il film (pare che per evitare ulteriori divieti la scena della tortura di Hermione sia stata pesantemente tagliata), ma perdonate se alla fine, di fronte alla morte del pupazzo CG più mollo che la storia ricordi, non è riuscita a scendermi nemmeno una lacrima. Insomma, alla fine, do al film la sufficienza piena con un paio di virgole confidando che facciano ancora meglio nell’ultimo capitolo.
Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Bill Nighy (Il ministro della magia Rufus Scrimgeour), Julie Walters (Molly Weasley), Timothy Spall (Codaliscia), Brendan Gleeson (Malocchio Moody) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).
Jason Isaacs interpreta *sbava copiosamente* Lucius Malfoy. Attore inglese che la Bolla apprezza particolarmente per la beltade che lo caratterizza, lo ricordo in film come Dragonheart, Armageddon, Resident Evil, Lo Smoking, Harry Potter e la camera dei segreti, Peter Pan, Harry Potter e il Calice di fuoco, Grindhouse e Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Ha 47 anni e quattro film in uscita tra cui, ovviamente, la seconda parte de I doni della Morte.
Ralph Fiennes interpreta nientemeno che Voldemort. Attore inglese tra i più bravi, più volte nominato per l’Oscar, fratello del meno famoso Joseph Fiennes (quello che ha fatto Shakespeare in Love, per intenderci…), lo ricordo per film come Schindler’s List, Strange Days, Il paziente inglese, The Avengers – Agenti speciali, Spider, Red Dragon, Harry Potter e il Calice di fuoco e Harry Potter e l’Ordine della Fenice, e per aver prestato la voce ne Il principe d’Egitto e Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Ha 48 anni e tre film in uscita, tra cui la seconda parte de I doni della Morte.
Robbie Coltrane interpreta Hagrid. L’attore scozzese ha partecipato a tutti i film della serie Harry Potter, e tra le sue altre pellicole ricordo Flash Gordon, la versione tv di Alice nel paese delle meraviglie, From Hell – La vera storia di Jack lo squartatore, Van Helsing e Ocean’s Twelve. Ha 60 anni e due film in uscita.
Rhys Ifans è la new entry del film ed interpreta Xenophilius Lovegood, il papà di Luna. Attore gallese, ha recitato in Twin Town, Notting Hill, The Shipping News – Ombre dal passato, Hannibal Lecter – Le origini del male, Elizabeth: The Golden Age e il geniale I Love Radio Rock. Ha 42 anni e cinque film in uscita, tra cui il reboot di Spiderman (GIA?????) dove interpreterà, probabilmente, Lizard, e una versione televisiva di Peter Pan dove vestirà il ruolo di Capitan Uncino.
E ora, un paio di curiosità. Quasi all’inizio del film vengono introdotti due personaggi che sarebbero dovuti spuntare già nei film precedenti, ed uno di questi è Bill Weasley che, guarda caso, è interpretato da Domnhall Gleeson, figlio di quel Brendan Gleeson che incarna degnamente lo sfortunato Malocchio Moody. Pare, inoltre, che sia Shyamalan che Guillermo del Toro si fossero offerti di dirigere il film. Peccato che il secondo sia stato lasciato fuori, ma se il maledetto Sciabadà avesse anche solo sfiorato la cinepresa credo gli avrei amputato le mani. E ora vi lascio con il trailer che unisce i due film... vi dico la verità, non vedo l'ora che esca l'ultimo!! ENJOY!
Trama: dopo la morte di Silente il mondo della magia è nel caos. Mentre Voldemort prende il potere, sia in Inghilterra che a Hogwarts, Harry, Ron ed Hermione partono alla ricerca degli Horcrux, oggetti incantati nei quali Colui che non deve essere nominato ha nascosto pezzi della sua anima. Il compito, ovviamente, è molto meno facile di quanto si aspettassero…
Dopo anni passati a vedere gli splendidi libri della Rowling sacrificati in due ore e passa di film, penalizzati da tagli, approssimazioni, buchi e quant’altro, finalmente all’ultimo romanzo viene dato il trattamento che merita e si è deciso di dividerlo in due film parecchio lunghetti e pregni di indizi, rimandi ai precedenti, momenti di approfondimento e quant’altro. Per chi, come me, rasenta il fascismo quando si tratta di adattamenti cinematografici, una cosa simile è una manna dal cielo, ma nonostante questo, credetemi, avrò qualcosa per cui lamentarmi, più o meno verso la fine del post. Per ora, parliamo delle (molte) cose positive: innanzitutto, complimenti agli sceneggiatori, al regista, agli scenografi e ai costumisti perché questo Harry Potter e i Doni della Morte è curatissimo soprattutto nei dettagli. Nonostante manchino gli ambienti grandiosi e fantastici tipici dei film precedenti, come la Gringott o Hogwarts, il senso di meraviglia viene mantenuto vivo innanzitutto dagli spettacolari paesaggi che vengono utilizzati come sfondo per i vari spostamenti del trio durante la ricerca degli Horcrux, dai pochi ma degnissimi inseguimenti e scontri a base di incantesimi, dalle stilosissime mise che indossano i protagonisti e, soprattutto, dai piccoli gesti che, più di qualsiasi dialogo, mostrano allo spettatore i legami di amicizia o amore che legano i vari personaggi: commovente l’inizio con Hermione che cancella sé stessa dalla mente dei genitori, da vera wakka wakka il gesto di Ginny che, a schiena nuda, chiede a Harry di tirarle su la zip dell’abito, stupendo il faccione rapito di Ron che contempla Hermione impegnata ad insegnargli a suonare Fur Elise al pianoforte, molto carina la scena in cui Harry cerca di tirare su il morale ad Hermione facendola ballare (anche se il tutto risulta un barbatrucco per trarre in inganno gli sprovveduti che, non avendo letto i libri, potevano pensare ad una liaison tra i due…); ma quello che ho amato di più, oltre al bellissimo cartone animato che racconta la storia dei Doni della Morte (esemplare, quasi più bello dello stesso film e con un impatto grafico che mi ricordava tantissimo le Totentanzen e, per estensione, Il settimo sigillo), è come il regime di Voldemort influenzi il ministero, che si trasforma in una fabbrica di pamphlet anti-babbani in perfetto stile stalinista pattugliata da camicie nere e decorata da statue che rappresentano Babbani schiacciati dalla potenza dei maghi.
Nonostante questa quasi perfezione, però, ho provato uno strano senso di “fretta”, di mancanza di sentimento (il che è paradossale, visto quello che ho scritto prima). Gli sceneggiatori, molto intelligentemente, hanno gettato qualche spiegazione che rammentasse gli eventi passati, hanno snellito qualche punto che nel libro era troppo lungo e ripetitivo e hanno ovviamente eliminato parecchi utilizzi della Pozione Polisucco, che ci avrebbero fatto assistere ad un film praticamente privo degli attori principali, però a tratti mi è sembrato di trovarmi davanti un film a microepisodi il cui unico scopo è esaurirsi puntando al finale necessariamente sospeso. Un’altra cosa che mi ha fatta storcere il naso è l’assoluta assenza di un elemento fondamentale come il Mantello dell’Invisibilità e che, nonostante l’abbondanza di episodi particolarmente significativi dal punto di vista “psicologico”, ci si sia dimenticati di far recuperare ad Harry l’occhio di Moody, incastonato nella porta dell’ufficio della Umbridge, e soprattutto che non si sia fatta menzione della foto strappata nella camera di Sirius; questo mi fa temere che nel secondo episodio si sorvolerà parecchio sulla vita di Piton, il che mi fa notevolmente irritare. Cerchiamo di non pensarci, e di apprezzare quello che abbiamo. Per fortuna gli attori sono tutti in gran forma (tutti tranne il solito Daniel Radcliffe che, nei panni di Harry, ormai è proprio arrivato alla frutta: l’unico momento in cui è realmente credibile, paradossalmente, è quando interpreta qualcun altro!!) nonostante debba lamentarmi del fatto che Piton e, soprattutto, Lucius, si vedano poco e che Helena Bonham Carter sia leggermente sottotono rispetto ai film precedenti. Tra l’altro ho adorato l’attore che, per una decina di minuti, sostituisce Radcliffe nelle scene ambientate al ministero: duro come un bacco ma con un’espressività esilarante! Molto bella anche la vena horror che, fin dall’inizio, percorre il film (pare che per evitare ulteriori divieti la scena della tortura di Hermione sia stata pesantemente tagliata), ma perdonate se alla fine, di fronte alla morte del pupazzo CG più mollo che la storia ricordi, non è riuscita a scendermi nemmeno una lacrima. Insomma, alla fine, do al film la sufficienza piena con un paio di virgole confidando che facciano ancora meglio nell’ultimo capitolo.
"Lucius... mi NECESSITA la bacchetta...." GENIALE XD
Ho già parlato, e più volte, sia del regista David Yates che di quasi tutti gli attori che recitano in questo film, quindi metterò il loro nome linkabile, in caso voleste saperne di più: Daniel Radcliffe (Harry Potter), Rupert Grint (Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger), Alan Rickman (Severus Piton), Helena Bonham Carter (Bellatrix Lestrange), Bill Nighy (Il ministro della magia Rufus Scrimgeour), Julie Walters (Molly Weasley), Timothy Spall (Codaliscia), Brendan Gleeson (Malocchio Moody) e per finire John Hurt (il fabbricante di bacchette, Olivander).
Jason Isaacs interpreta *sbava copiosamente* Lucius Malfoy. Attore inglese che la Bolla apprezza particolarmente per la beltade che lo caratterizza, lo ricordo in film come Dragonheart, Armageddon, Resident Evil, Lo Smoking, Harry Potter e la camera dei segreti, Peter Pan, Harry Potter e il Calice di fuoco, Grindhouse e Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Ha 47 anni e quattro film in uscita tra cui, ovviamente, la seconda parte de I doni della Morte.
Ralph Fiennes interpreta nientemeno che Voldemort. Attore inglese tra i più bravi, più volte nominato per l’Oscar, fratello del meno famoso Joseph Fiennes (quello che ha fatto Shakespeare in Love, per intenderci…), lo ricordo per film come Schindler’s List, Strange Days, Il paziente inglese, The Avengers – Agenti speciali, Spider, Red Dragon, Harry Potter e il Calice di fuoco e Harry Potter e l’Ordine della Fenice, e per aver prestato la voce ne Il principe d’Egitto e Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro. Ha 48 anni e tre film in uscita, tra cui la seconda parte de I doni della Morte.
Robbie Coltrane interpreta Hagrid. L’attore scozzese ha partecipato a tutti i film della serie Harry Potter, e tra le sue altre pellicole ricordo Flash Gordon, la versione tv di Alice nel paese delle meraviglie, From Hell – La vera storia di Jack lo squartatore, Van Helsing e Ocean’s Twelve. Ha 60 anni e due film in uscita.
Rhys Ifans è la new entry del film ed interpreta Xenophilius Lovegood, il papà di Luna. Attore gallese, ha recitato in Twin Town, Notting Hill, The Shipping News – Ombre dal passato, Hannibal Lecter – Le origini del male, Elizabeth: The Golden Age e il geniale I Love Radio Rock. Ha 42 anni e cinque film in uscita, tra cui il reboot di Spiderman (GIA?????) dove interpreterà, probabilmente, Lizard, e una versione televisiva di Peter Pan dove vestirà il ruolo di Capitan Uncino.
E ora, un paio di curiosità. Quasi all’inizio del film vengono introdotti due personaggi che sarebbero dovuti spuntare già nei film precedenti, ed uno di questi è Bill Weasley che, guarda caso, è interpretato da Domnhall Gleeson, figlio di quel Brendan Gleeson che incarna degnamente lo sfortunato Malocchio Moody. Pare, inoltre, che sia Shyamalan che Guillermo del Toro si fossero offerti di dirigere il film. Peccato che il secondo sia stato lasciato fuori, ma se il maledetto Sciabadà avesse anche solo sfiorato la cinepresa credo gli avrei amputato le mani. E ora vi lascio con il trailer che unisce i due film... vi dico la verità, non vedo l'ora che esca l'ultimo!! ENJOY!
domenica 21 novembre 2010
Devil (2010)
Lo scetticismo a cui può portarmi il regista M. Night Shyamalan è incredibile. Pur essendo solo produttore del film Devil, in realtà diretto da John Erick Dowdle, è bastato infatti il suo nome per mettermi sul chi va là e guardarlo con gli occhi di chi si aspetta una bufala. Per fortuna sono stata smentita ma purtroppo ho avuto, in parte, anche ragione.
Trama: cinque individui si ritrovano chiusi all’interno di un ascensore. Quando cominciano a morire uno ad uno, i soccorritori all’esterno intuiscono che tra essi potrebbe trovarsi nientemeno che il Diavolo.
Sinceramente, mi dispiace quando un bel film viene rovinato da un finale del cavolo. Devil, posso dirlo senza ripensamenti, fino agli ultimi cinque minuti si segue benissimo: innanzitutto è ben girato, nonostante la trama ridotta all’osso non si ha mai un momento di noia e la commistione tra horror e poliziesco è praticamente perfetta. Lo spettatore viene inserito nella storia grazie ad una voce narrante fuori campo (che poi si scopre appartenere ad uno dei soccorritori) che ci narra un racconto popolare tramandatogli da sua madre: di tanto in tanto il diavolo sceglie cinque peccatori da torturare prima di prendergli le anime, ed il suo arrivo viene sempre preannunciato da un suicidio. Questo è ciò che accade, in effetti, nel film, dove ogni evento viene introdotto dalla continuazione di questo racconto. Lo spettatore, che sa quindi cosa aspettarsi, si diverte innanzitutto a capire, molto banalmente, chi dei cinque potrebbe essere Satana e a seguire le indagini dell’ispettore che, invece, cerca di scoprire chi dei cinque potrebbe essere il potenziale assassino e perché, trovandosi decisamente spiazzato davanti all’evidenza che tutti gli occupanti dell’ascensore hanno qualcosa da nascondere. Gli occupanti in questione, per una volta, non vengono introdotti con dei flashback o simili ma vengono lasciati privi di nome per la maggior parte del film e caratterizzati con pochi, intelligenti particolari: capiamo che la guardia è un violento dal modo in cui si muove come una bestia in gabbia e scatta alla minima provocazione, che la ragazza è una stronzetta dal modo in cui si atteggia nei confronti degli “altri”, che il venditore di materassi è un poco di buono dallo sguardo che lancia al culo della ragazza appena lei fa l’elegantissimo gesto di sistemarsi le mutande (ma… in ascensore…? Ohibò…!), ecc. ecc.
La realizzazione visiva del film è molto bella. La carrellata iniziale che ci mostra anche il trailer, quella di una Philadelphia sottosopra, non è un vezzo messo a caso, ma la rappresentazione di una giornata storta, governata dalle leggi del Diavolo, come viene detto più avanti da uno dei due guardiani; le riprese all’interno dell’ascensore alternano quello che viene visto dalle telecamere interne al punto di vista soggettivo dei personaggi, mescolando immagini reali a visioni terrificanti di figure spettrali (poche, per fortuna) e cadaveri insanguinati, specchio perfetto della crescente incredulità del detective che vede ogni traguardo della sua rapida e razionale indagine andare in pezzi di fronte alla potenza del sovrannaturale (non a caso questo è il primo capitolo delle Night Chronicles, una trilogia che parlerà del sovrannaturale all’interno della società moderna); gli attori, per quanto quasi sconosciuti, sono bravi e abbastanza credibili, con l’unica pecca del personaggio del detective, un po’ piatto nella resa e seppellito dai clichè (ex alcolizzato, reduce da una tragedia che lo ha segnato, ecc. ecc.). Insomma, Devil è un bel film…
… ma poi il Diavolo ci mette lo zampino. O meglio, NON ce lo mette. Sì perché il finale del film è uno dei peggiori che io abbia mai visto. Innanzitutto ci mette davanti agli occhi l’immagine di un diavolo fondamentalmente giusto e buono, una sorta di Angelo della Vendetta che punisce i peccatori (e al massimo fa fuori quelli che cercano di salvarli, ma poca roba: prima avverte, poi se tu sei recidivo, allora ti uccide, ma quasi controvoglia…) e poi lo priva di quella logica machiavellica che solo Satana potrebbe avere. Insomma, quello di Devil è un demonio che innanzitutto si fa sconfiggere con un pentimento degno di un bambino delle elementari e che poi accetta la sconfitta senza neppure cercare di vendicarsi, lasciando gli spettatori con una moraletta da Orsoline ed il comportamento umano più inverosimile che si possa immaginare: quale persona perdonerebbe chi, anni prima, gli ha sterminato tutta la famiglia e poi è scappato lasciando solo un biglietto di scuse? Ma per piacere, non lo accetto. Non è certo un film così che può insegnare il perdono o fare catechismo, non dopo che mi sono state mostrate gole tagliate, colli ritorti, grandi ustionati e quant’altro. Peccato, perché un finale così bigotto e moralista lascia davvero l’amaro in bocca ed un ricordo pessimo di un film altrimenti pregevole. Temo gli altri due capitoli delle Night Chronicles, il cui nome mi porta a dire, tra l’altro, “fanculo Shyamalan, maledetto egocentrico”. E con questa botta di finezza chiudo la recensione: si vede che Shyamalan mi sta sulle balle, vero? Haha!
John Erick Dowdle è il regista del film. Americano, ha girato il remake di Rec, quel Quarantine che devo ancora vedere ma che tutti mi hanno sconsigliato. Ha 37 anni.
Chris Messina interpreta il detective Bowden. Attore americano, come gli altri protagonisti del film poco conosciuto, ha già partecipato a Attacco al potere, C’è post@ per te e Vicky Cristina Barcellona, nonché ad episodi di telefilm come Law & Order, Six Feet Under e Medium. Ha 36 anni e due film in uscita.
Come ho detto, gli attori che partecipano al film sono più o meno sconosciuti, ma guardando bene si possono scovare delle chicche. Per esempio, l’irritante venditore di materassi è interpretato da Geoffrey Arend, che in originale doppiava l’odioso e leppego Upchuck che tutti i fan di Daria dovrebbero ricordare. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!
Trama: cinque individui si ritrovano chiusi all’interno di un ascensore. Quando cominciano a morire uno ad uno, i soccorritori all’esterno intuiscono che tra essi potrebbe trovarsi nientemeno che il Diavolo.
Sinceramente, mi dispiace quando un bel film viene rovinato da un finale del cavolo. Devil, posso dirlo senza ripensamenti, fino agli ultimi cinque minuti si segue benissimo: innanzitutto è ben girato, nonostante la trama ridotta all’osso non si ha mai un momento di noia e la commistione tra horror e poliziesco è praticamente perfetta. Lo spettatore viene inserito nella storia grazie ad una voce narrante fuori campo (che poi si scopre appartenere ad uno dei soccorritori) che ci narra un racconto popolare tramandatogli da sua madre: di tanto in tanto il diavolo sceglie cinque peccatori da torturare prima di prendergli le anime, ed il suo arrivo viene sempre preannunciato da un suicidio. Questo è ciò che accade, in effetti, nel film, dove ogni evento viene introdotto dalla continuazione di questo racconto. Lo spettatore, che sa quindi cosa aspettarsi, si diverte innanzitutto a capire, molto banalmente, chi dei cinque potrebbe essere Satana e a seguire le indagini dell’ispettore che, invece, cerca di scoprire chi dei cinque potrebbe essere il potenziale assassino e perché, trovandosi decisamente spiazzato davanti all’evidenza che tutti gli occupanti dell’ascensore hanno qualcosa da nascondere. Gli occupanti in questione, per una volta, non vengono introdotti con dei flashback o simili ma vengono lasciati privi di nome per la maggior parte del film e caratterizzati con pochi, intelligenti particolari: capiamo che la guardia è un violento dal modo in cui si muove come una bestia in gabbia e scatta alla minima provocazione, che la ragazza è una stronzetta dal modo in cui si atteggia nei confronti degli “altri”, che il venditore di materassi è un poco di buono dallo sguardo che lancia al culo della ragazza appena lei fa l’elegantissimo gesto di sistemarsi le mutande (ma… in ascensore…? Ohibò…!), ecc. ecc.
La realizzazione visiva del film è molto bella. La carrellata iniziale che ci mostra anche il trailer, quella di una Philadelphia sottosopra, non è un vezzo messo a caso, ma la rappresentazione di una giornata storta, governata dalle leggi del Diavolo, come viene detto più avanti da uno dei due guardiani; le riprese all’interno dell’ascensore alternano quello che viene visto dalle telecamere interne al punto di vista soggettivo dei personaggi, mescolando immagini reali a visioni terrificanti di figure spettrali (poche, per fortuna) e cadaveri insanguinati, specchio perfetto della crescente incredulità del detective che vede ogni traguardo della sua rapida e razionale indagine andare in pezzi di fronte alla potenza del sovrannaturale (non a caso questo è il primo capitolo delle Night Chronicles, una trilogia che parlerà del sovrannaturale all’interno della società moderna); gli attori, per quanto quasi sconosciuti, sono bravi e abbastanza credibili, con l’unica pecca del personaggio del detective, un po’ piatto nella resa e seppellito dai clichè (ex alcolizzato, reduce da una tragedia che lo ha segnato, ecc. ecc.). Insomma, Devil è un bel film…
… ma poi il Diavolo ci mette lo zampino. O meglio, NON ce lo mette. Sì perché il finale del film è uno dei peggiori che io abbia mai visto. Innanzitutto ci mette davanti agli occhi l’immagine di un diavolo fondamentalmente giusto e buono, una sorta di Angelo della Vendetta che punisce i peccatori (e al massimo fa fuori quelli che cercano di salvarli, ma poca roba: prima avverte, poi se tu sei recidivo, allora ti uccide, ma quasi controvoglia…) e poi lo priva di quella logica machiavellica che solo Satana potrebbe avere. Insomma, quello di Devil è un demonio che innanzitutto si fa sconfiggere con un pentimento degno di un bambino delle elementari e che poi accetta la sconfitta senza neppure cercare di vendicarsi, lasciando gli spettatori con una moraletta da Orsoline ed il comportamento umano più inverosimile che si possa immaginare: quale persona perdonerebbe chi, anni prima, gli ha sterminato tutta la famiglia e poi è scappato lasciando solo un biglietto di scuse? Ma per piacere, non lo accetto. Non è certo un film così che può insegnare il perdono o fare catechismo, non dopo che mi sono state mostrate gole tagliate, colli ritorti, grandi ustionati e quant’altro. Peccato, perché un finale così bigotto e moralista lascia davvero l’amaro in bocca ed un ricordo pessimo di un film altrimenti pregevole. Temo gli altri due capitoli delle Night Chronicles, il cui nome mi porta a dire, tra l’altro, “fanculo Shyamalan, maledetto egocentrico”. E con questa botta di finezza chiudo la recensione: si vede che Shyamalan mi sta sulle balle, vero? Haha!
John Erick Dowdle è il regista del film. Americano, ha girato il remake di Rec, quel Quarantine che devo ancora vedere ma che tutti mi hanno sconsigliato. Ha 37 anni.
Chris Messina interpreta il detective Bowden. Attore americano, come gli altri protagonisti del film poco conosciuto, ha già partecipato a Attacco al potere, C’è post@ per te e Vicky Cristina Barcellona, nonché ad episodi di telefilm come Law & Order, Six Feet Under e Medium. Ha 36 anni e due film in uscita.
Come ho detto, gli attori che partecipano al film sono più o meno sconosciuti, ma guardando bene si possono scovare delle chicche. Per esempio, l’irritante venditore di materassi è interpretato da Geoffrey Arend, che in originale doppiava l’odioso e leppego Upchuck che tutti i fan di Daria dovrebbero ricordare. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!
mercoledì 17 novembre 2010
A volte ritornano (1991)
Gli adattamenti dei libri e racconti di Stephen King hanno avuto fortuna tanto in tv quanto al cinema. Assieme a capolavori cinematografici come Shining, Il miglio verde, Le ali della libertà o Carrie – Lo sguardo di Satana, infatti, le trasposizioni migliori sono quelle televisive come It, Tommyknockers – Le creature del buio e questo A volte ritornano (Sometimes They Come Back), girato nel 1991 dal regista Tom McLoughlin e tratto dal racconto omonimo di Stephen King, pubblicato all’interno della raccolta A volte ritornano del 1978.
Trama: Jim Norman è un insegnante, che torna al suo paese natale insieme a moglie e figlio, nonostante l’orribile trauma infantile che ha vissuto. Il fratello Wayne, infatti, era stato ucciso proprio in quel paese da un gruppetto di teppisti che erano morti un istante dopo, uccisi da un treno in transito all’interno di una galleria. Assieme agli inevitabili ricordi Jim comincia così ad essere perseguitato anche dal branco di teppisti, che sembrerebbero tornati dal regno dei morti…
A volte ritornano non è un film particolarmente memorabile in effetti, ma è “onesto” e ben realizzato, un horror d’atmosfera quasi per nulla gore, basato solo sul paranoico senso di tensione che ci viene trasmesso dal protagonista. Gli sceneggiatori hanno preso il racconto di King e l’hanno leggermente ripulito dagli aspetti più inquietanti e pessimisti, preferendo un finale più positivo che riabilita la figura del professore, reo di avere un passato di turbe psichiche che ci vengono appena accennate ma che pesano come un macigno sul rapporto tra lui e la moglie. Il film elimina così anche il fil rouge della raccolta A volte ritornano, dove ogni racconto è un monito a non giocare con la nostra parte oscura, a non scendere a patti col diavolo, a non indagare troppo su cose che farebbero meglio a rimanere nascoste. Il film tv mette invece in risalto, in maniera molto classica ma non superficiale, il potere dei legami familiari, in grado aiutarci a superare, col tempo, qualsiasi tragedia e a consentirci di ricostruire il presente e il futuro, senza farci affondare nel passato, per quanto buio.
Essendo un film tv sia il budget che il tasso di violenza o gore devono essere per forza contenuti. In questo caso la pellicola non ne risente visto che gli effetti speciali sono pochi ma buoni, come si suol dire, e non distolgono l’attenzione dalla storia principale, soprattutto perché è molto più inquietante qualcosa che viene suggerito piuttosto che mostrato. Per carità, l’effetto “salto sulla sedia” è garantito, soprattutto perché ad un certo punto i tre teppisti decidono di fare il “gioco della faccia” e mostrare a vari malcapitati la loro vera identità, e inoltre in una scena il destino di uno dei protagonisti viene reso con molta chiarezza quando i non morti gettano dalla macchina il suo corpo a pezzi, palleggiandosi persino la testa, ma per il resto il film si regge sull’interpretazione dei protagonisti e sulla storia in sé. Gli attori sono tutti molto bravi, a partire da Tim Matheson per arrivare ai tre redivivi teppisti, uno più irritante e fastidioso dell’altro. Effettivamente, l’unica pecca del film è quella di aver leggermente edulcorato la storia da cui è tratto, ma per chi non la conosce potrebbe essere uno stimolo a cercarla e leggerla.
Di Tim Matheson, che interpreta Jim, ho già parlato qui.
Tom McLoughlin è il regista della pellicola. Americano e attivo soprattutto in campo televisivo, tra i suoi altri film ricordo solo Venerdì 13: Jason vive, mentre tra gli episodi di serie tv segnalo quelli girati per Freddy’s Nightmares, The Others e Senza traccia.
Brooke Adams interpreta la moglie di Jim, Sally. Tra i film dell’attrice americana ricordo Terrore dallo spazio profondo, La zona morta e il kitchissimo The Stuff – Il gelato che uccide; ha inoltre recitato in alcuni episodi delle serie Il tenente Kojak, Moonlighting, Frasier e Monk. Ha 61 anni e un film in uscita.
Del film sono stati girati due seguiti, A volte ritornano ancora (Sometimes They Come Back… Again) del 1996 e Stazione Erebus (Sometimes They Come Back… For More) del 1998, entrambi usciti direttamente per il mercato dell’home video. Se vi piacciono i film tratti da libri di Stephen King o quegli horror dal sapore un po’ antiquato, vi consiglio di vedere It, Creepshow 2 oppure La zona morta. E ora, siccome ho parlato di un film tv e il trailer nun se trova, vi lascio con quello del secondo capitolo... ENJOY!!
Trama: Jim Norman è un insegnante, che torna al suo paese natale insieme a moglie e figlio, nonostante l’orribile trauma infantile che ha vissuto. Il fratello Wayne, infatti, era stato ucciso proprio in quel paese da un gruppetto di teppisti che erano morti un istante dopo, uccisi da un treno in transito all’interno di una galleria. Assieme agli inevitabili ricordi Jim comincia così ad essere perseguitato anche dal branco di teppisti, che sembrerebbero tornati dal regno dei morti…
A volte ritornano non è un film particolarmente memorabile in effetti, ma è “onesto” e ben realizzato, un horror d’atmosfera quasi per nulla gore, basato solo sul paranoico senso di tensione che ci viene trasmesso dal protagonista. Gli sceneggiatori hanno preso il racconto di King e l’hanno leggermente ripulito dagli aspetti più inquietanti e pessimisti, preferendo un finale più positivo che riabilita la figura del professore, reo di avere un passato di turbe psichiche che ci vengono appena accennate ma che pesano come un macigno sul rapporto tra lui e la moglie. Il film elimina così anche il fil rouge della raccolta A volte ritornano, dove ogni racconto è un monito a non giocare con la nostra parte oscura, a non scendere a patti col diavolo, a non indagare troppo su cose che farebbero meglio a rimanere nascoste. Il film tv mette invece in risalto, in maniera molto classica ma non superficiale, il potere dei legami familiari, in grado aiutarci a superare, col tempo, qualsiasi tragedia e a consentirci di ricostruire il presente e il futuro, senza farci affondare nel passato, per quanto buio.
Essendo un film tv sia il budget che il tasso di violenza o gore devono essere per forza contenuti. In questo caso la pellicola non ne risente visto che gli effetti speciali sono pochi ma buoni, come si suol dire, e non distolgono l’attenzione dalla storia principale, soprattutto perché è molto più inquietante qualcosa che viene suggerito piuttosto che mostrato. Per carità, l’effetto “salto sulla sedia” è garantito, soprattutto perché ad un certo punto i tre teppisti decidono di fare il “gioco della faccia” e mostrare a vari malcapitati la loro vera identità, e inoltre in una scena il destino di uno dei protagonisti viene reso con molta chiarezza quando i non morti gettano dalla macchina il suo corpo a pezzi, palleggiandosi persino la testa, ma per il resto il film si regge sull’interpretazione dei protagonisti e sulla storia in sé. Gli attori sono tutti molto bravi, a partire da Tim Matheson per arrivare ai tre redivivi teppisti, uno più irritante e fastidioso dell’altro. Effettivamente, l’unica pecca del film è quella di aver leggermente edulcorato la storia da cui è tratto, ma per chi non la conosce potrebbe essere uno stimolo a cercarla e leggerla.
Di Tim Matheson, che interpreta Jim, ho già parlato qui.
Tom McLoughlin è il regista della pellicola. Americano e attivo soprattutto in campo televisivo, tra i suoi altri film ricordo solo Venerdì 13: Jason vive, mentre tra gli episodi di serie tv segnalo quelli girati per Freddy’s Nightmares, The Others e Senza traccia.
Brooke Adams interpreta la moglie di Jim, Sally. Tra i film dell’attrice americana ricordo Terrore dallo spazio profondo, La zona morta e il kitchissimo The Stuff – Il gelato che uccide; ha inoltre recitato in alcuni episodi delle serie Il tenente Kojak, Moonlighting, Frasier e Monk. Ha 61 anni e un film in uscita.
Del film sono stati girati due seguiti, A volte ritornano ancora (Sometimes They Come Back… Again) del 1996 e Stazione Erebus (Sometimes They Come Back… For More) del 1998, entrambi usciti direttamente per il mercato dell’home video. Se vi piacciono i film tratti da libri di Stephen King o quegli horror dal sapore un po’ antiquato, vi consiglio di vedere It, Creepshow 2 oppure La zona morta. E ora, siccome ho parlato di un film tv e il trailer nun se trova, vi lascio con quello del secondo capitolo... ENJOY!!
venerdì 12 novembre 2010
Benvenuti al Sud (2010)
Nonostante detesti fare queste cose, sabato scorso mi sono “concessa” al gusto popolare per il semplice piacere di andare al cinema con i miei, per la prima volta dopo più di 10 anni. Quasi quasi me ne pentivo, data la ressa di pecore che, dopo più di due settimane e fischia di programmazione, ancora si sono radunate in massa all’ultimo spettacolo per vedere l’ormai famosissimo Benvenuti al sud di Luca Miniero, remake del francese Giù al Nord (Bienvenue chez les Ch’tis) girato nel 2008 da Dany Boon. Però per una volta il gusto popolare ha vinto, il film mi è piaciuto, nonostante non sia privo di difetti.
La trama: Alberto è un impiegato delle poste che abita in uno squallido paesino della Brianza con l’ipocondriaca e apprensiva moglie Silvia ed il figlioletto. Dopo avere cercato, con un inganno, di farsi trasferire alla sede di Milano, per punizione viene mandato nel paesino di Castellabate, vicino a Napoli. Psicologicamente pronto per entrare praticamente in una zona di guerra, compianto da amici e parenti, Alberto scoprirà invece una grande verità: il forestiero che va a Sud piange due volte. Una volta quando arriva, e una volta quando se ne va.
C’è voluto Bisio per risollevare le sorti della commedia italiana, affossata da anni e anni di cinepanettoni o filmetti “corali” costellati di comici televisivi e stelline della televisione. Ovvio che una cosa così non poteva essere farina del nostro sacco, e chissà quanti italiani si sono ingollati come degli ignari bibini un prodotto al 70% francese senza nemmeno saperlo, ma tant’è: Benvenuti al sud è un film simpatico, ben confezionato e talmente furbo da riuscire a nascondere i suoi difetti. Furbo perché affonda i denti in clichè e stereotipi esistenti praticamente dai tempi dell’unità d’Italia se non prima, e sicuramente lo spettatore del nord potrà riconoscersi negli esagerati (ma nemmeno poi tanto…) comportamenti di Alberto e consorte. Il primo è un povero impiegatucolo che vede Milano come un regno di meravigliose promesse economiche e illusioni di successo e che, quando viene mandato a sud, per ricordarsi la “bella” Brianza si porta dietro delle forme di puzzolentissimo gorgonzola e un immancabile giubbotto antiproiettile; la seconda è la tipica “bauscia” che appena sente nominare Napoli in tv si fa il segno della croce, e che predice al marito un futuro decisamente mortifero, vuoi per estemporanee epidemie di tifo, vuoi per mafia o rapine. Un’immagine che potrebbe forse offendere i leghisti, ma della quale essenzialmente il “nordico” con un po’ di cervello ride, quindi politically correct, anche perché alla fine i nostri si mostrano di larghissime vedute. Pubblico del nord accontentato. Per accontentare quello del sud invece ci viene presentato un paesino della provincia di Napoli che è praticamente un paradiso terrestre: tutti (o quasi) sono amici, tutti sono felici, non esistono criminalità né mafia, la gente vive libera e garrula, c’è un panorama della madonna e chi più ne ha più ne metta. In pratica immaginatevi il paesello dei tempi di Don Camillo ma più a sud, però con personaggi simili, pieni di difetti “umani” e per questo simpaticissimi. L’ovvio finale ci fa capire che la verità, così come la virtù, sta sempre nel mezzo, e che la soluzione ideale ai problemi che affliggono l’Italia sarebbe quella di venirsi incontro e aprire la mente al “diverso”, cercando sempre il meglio di ogni cultura. Un’utopia, diciamo.
Ovviamente la trama, semplicissima e un po’ “caricata”, è un pretesto per mostrarci situazioni comiche interpretate con la solita garbata leggerezza dal buon Bisio, che si riconferma un ottimo attore, e da un affiatatissimo cast di supporto dove spiccano la grandiosa Angela Finocchiaro (la adoro, con quegli occhioni, la vocetta ansiosa, il piglio da milanesotta) e Nunzia Schiano, che interpreta la madre di Mattia, espressivissima come attrice e in grado di rendere il suo personaggio simpatico e verosimile da morire. Le gag saranno un po’ banalotte e parecchio vecchio stile, ma a me hanno fatto ridere, e sicuramente preferisco una comicità che prende in giro in maniera allegra gli stereotipi che dobbiamo affrontare tutti i giorni piuttosto che una “comicità” basata sul numero di “arivaffanculooooo!!” in cui si profonderanno De Sica, Boldi e allegra compagnia prima di riuscire a portarsi a letto il bagascione di turno. Fermo restando, e non posso evitare di dirlo, che di questi tempi un film simile non vale gli 8 euro spesi, non quando è possibile scaricarselo o guardarlo in streaming. Non desidero la morte del cinema, soprattutto di quello italiano, ma se penso che nella mia famiglia già abbiamo dovuto pagare 24 euro totali per un’ora e mezza di film mi viene da chiedere se non siano quelli che gestiscono sale e distribuzione a doversi mettere un po’ mano sulla coscienza e ritoccare i prezzi per tornare ad invogliare la gente ad andare al cinema. Sorvolando su questa mia postilla (ovviamente da buona ligure...), vi consiglio di mettere mano al portafoglio e andare a vedere Benvenuti a sud, perché è una commedia carina e ben fatta.
Luca Miniero è il regista della pellicola. Napoletano, ha girato il seguito del “caso” Notte prima degli esami, Questa notte è ancora nostra, e alcuni episodi di Ho sposato uno sbirro. Ha 44 anni.
Claudio Bisio interpreta Alberto. Famosissimo comico piemontese, attualmente al timone della trasmissione Zelig, lo ricordo volentieri per film come il bellissimo Mediterraneo, Puerto Escondido e il particolare Nirvana, tutti di Salvatores peraltro. Ha 53 anni e due film in uscita; al momento, inoltre, potete trovarlo nelle sale con un'altra pellicola che, sicuramente, non andrò a vedere, ovvero Maschi contro femmine.
Angela Finocchiaro interpreta Silvia. Bravissima comica milanese, ha cominciato a lavorare nei film di Maurizio Nichetti, come Ratataplan, Ho fatto splash, Volere volare, per poi continuare con Il portaborse, La bestia nel cuore, Mio fratello è figlio unico e, di recente, Il cosmo sul comò. Per la tv ha lavorato, oltre che come comica nella trasmissione Zelig, anche nelle serie Dio vede provvede e Dio vede e provvede 2. Ha 55 anni e due film in uscita, tra cui Bar Sport, dove tornerà a recitare proprio con Bisio.
Tra le guest appearence del film segnalo quella del regista di Giù al Nord, Dany Boon, nei panni del francese che va in posta per spedire un pacco, e quella di Naike Rivelli, figlia di Ornella Muti, nei panni della poliziotta che ferma Bisio in autostrada. Della fortunata pellicola è già in preparazione un seguito con gli stessi interpreti, Benvenuti al nord, dove immagino i ruoli saranno invertiti. Ovvio il consiglio, che seguirò anche io, di guardare l’originale francese, anche se sicuramente a noi italiani farà molto meno ridere. A questo proposito, vi metto il trailer di Giù al nord: è incredibile come ogni scena che viene mostrata sia identica a quello del film di Miniero, nelle battute e persino nelle inquadrature e nei movimenti dei personaggi! ENJOY!
La trama: Alberto è un impiegato delle poste che abita in uno squallido paesino della Brianza con l’ipocondriaca e apprensiva moglie Silvia ed il figlioletto. Dopo avere cercato, con un inganno, di farsi trasferire alla sede di Milano, per punizione viene mandato nel paesino di Castellabate, vicino a Napoli. Psicologicamente pronto per entrare praticamente in una zona di guerra, compianto da amici e parenti, Alberto scoprirà invece una grande verità: il forestiero che va a Sud piange due volte. Una volta quando arriva, e una volta quando se ne va.
C’è voluto Bisio per risollevare le sorti della commedia italiana, affossata da anni e anni di cinepanettoni o filmetti “corali” costellati di comici televisivi e stelline della televisione. Ovvio che una cosa così non poteva essere farina del nostro sacco, e chissà quanti italiani si sono ingollati come degli ignari bibini un prodotto al 70% francese senza nemmeno saperlo, ma tant’è: Benvenuti al sud è un film simpatico, ben confezionato e talmente furbo da riuscire a nascondere i suoi difetti. Furbo perché affonda i denti in clichè e stereotipi esistenti praticamente dai tempi dell’unità d’Italia se non prima, e sicuramente lo spettatore del nord potrà riconoscersi negli esagerati (ma nemmeno poi tanto…) comportamenti di Alberto e consorte. Il primo è un povero impiegatucolo che vede Milano come un regno di meravigliose promesse economiche e illusioni di successo e che, quando viene mandato a sud, per ricordarsi la “bella” Brianza si porta dietro delle forme di puzzolentissimo gorgonzola e un immancabile giubbotto antiproiettile; la seconda è la tipica “bauscia” che appena sente nominare Napoli in tv si fa il segno della croce, e che predice al marito un futuro decisamente mortifero, vuoi per estemporanee epidemie di tifo, vuoi per mafia o rapine. Un’immagine che potrebbe forse offendere i leghisti, ma della quale essenzialmente il “nordico” con un po’ di cervello ride, quindi politically correct, anche perché alla fine i nostri si mostrano di larghissime vedute. Pubblico del nord accontentato. Per accontentare quello del sud invece ci viene presentato un paesino della provincia di Napoli che è praticamente un paradiso terrestre: tutti (o quasi) sono amici, tutti sono felici, non esistono criminalità né mafia, la gente vive libera e garrula, c’è un panorama della madonna e chi più ne ha più ne metta. In pratica immaginatevi il paesello dei tempi di Don Camillo ma più a sud, però con personaggi simili, pieni di difetti “umani” e per questo simpaticissimi. L’ovvio finale ci fa capire che la verità, così come la virtù, sta sempre nel mezzo, e che la soluzione ideale ai problemi che affliggono l’Italia sarebbe quella di venirsi incontro e aprire la mente al “diverso”, cercando sempre il meglio di ogni cultura. Un’utopia, diciamo.
Ovviamente la trama, semplicissima e un po’ “caricata”, è un pretesto per mostrarci situazioni comiche interpretate con la solita garbata leggerezza dal buon Bisio, che si riconferma un ottimo attore, e da un affiatatissimo cast di supporto dove spiccano la grandiosa Angela Finocchiaro (la adoro, con quegli occhioni, la vocetta ansiosa, il piglio da milanesotta) e Nunzia Schiano, che interpreta la madre di Mattia, espressivissima come attrice e in grado di rendere il suo personaggio simpatico e verosimile da morire. Le gag saranno un po’ banalotte e parecchio vecchio stile, ma a me hanno fatto ridere, e sicuramente preferisco una comicità che prende in giro in maniera allegra gli stereotipi che dobbiamo affrontare tutti i giorni piuttosto che una “comicità” basata sul numero di “arivaffanculooooo!!” in cui si profonderanno De Sica, Boldi e allegra compagnia prima di riuscire a portarsi a letto il bagascione di turno. Fermo restando, e non posso evitare di dirlo, che di questi tempi un film simile non vale gli 8 euro spesi, non quando è possibile scaricarselo o guardarlo in streaming. Non desidero la morte del cinema, soprattutto di quello italiano, ma se penso che nella mia famiglia già abbiamo dovuto pagare 24 euro totali per un’ora e mezza di film mi viene da chiedere se non siano quelli che gestiscono sale e distribuzione a doversi mettere un po’ mano sulla coscienza e ritoccare i prezzi per tornare ad invogliare la gente ad andare al cinema. Sorvolando su questa mia postilla (ovviamente da buona ligure...), vi consiglio di mettere mano al portafoglio e andare a vedere Benvenuti a sud, perché è una commedia carina e ben fatta.
Luca Miniero è il regista della pellicola. Napoletano, ha girato il seguito del “caso” Notte prima degli esami, Questa notte è ancora nostra, e alcuni episodi di Ho sposato uno sbirro. Ha 44 anni.
Claudio Bisio interpreta Alberto. Famosissimo comico piemontese, attualmente al timone della trasmissione Zelig, lo ricordo volentieri per film come il bellissimo Mediterraneo, Puerto Escondido e il particolare Nirvana, tutti di Salvatores peraltro. Ha 53 anni e due film in uscita; al momento, inoltre, potete trovarlo nelle sale con un'altra pellicola che, sicuramente, non andrò a vedere, ovvero Maschi contro femmine.
Angela Finocchiaro interpreta Silvia. Bravissima comica milanese, ha cominciato a lavorare nei film di Maurizio Nichetti, come Ratataplan, Ho fatto splash, Volere volare, per poi continuare con Il portaborse, La bestia nel cuore, Mio fratello è figlio unico e, di recente, Il cosmo sul comò. Per la tv ha lavorato, oltre che come comica nella trasmissione Zelig, anche nelle serie Dio vede provvede e Dio vede e provvede 2. Ha 55 anni e due film in uscita, tra cui Bar Sport, dove tornerà a recitare proprio con Bisio.
Tra le guest appearence del film segnalo quella del regista di Giù al Nord, Dany Boon, nei panni del francese che va in posta per spedire un pacco, e quella di Naike Rivelli, figlia di Ornella Muti, nei panni della poliziotta che ferma Bisio in autostrada. Della fortunata pellicola è già in preparazione un seguito con gli stessi interpreti, Benvenuti al nord, dove immagino i ruoli saranno invertiti. Ovvio il consiglio, che seguirò anche io, di guardare l’originale francese, anche se sicuramente a noi italiani farà molto meno ridere. A questo proposito, vi metto il trailer di Giù al nord: è incredibile come ogni scena che viene mostrata sia identica a quello del film di Miniero, nelle battute e persino nelle inquadrature e nei movimenti dei personaggi! ENJOY!