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mercoledì 31 dicembre 2014

Bolla's Top 5 - Best of 2014

Siete pronti a festeggiare la fine del 2014 con il MMMeraviglioso concerto di Gigi D'Alessio? Ussegnur, che camurrìa. Se, per qualsivoglia motivo, vi toccasse far Capodanno a casa, non prendete a calci la TV: prendete invece un qualsiasi dispositivo e aspettate il 2015 con i film più belli dell'anno according to my humble opinion. Come sempre, prima di inveire ed esclamare "Manca questo titolo, manca quell'altro, Bolla sei una Capra!!" rammentate che a Casa Bolla mancano potenti mezzi di recupero, rammentate che vivo a Savona, dove non arriva un film interessante che sia uno e rammentate altresì che sono una delle poche fortunate ad avere un lavoro fisso in Italia, cosa che mi priva di 8 ore giornaliere di tempo, aggiungete quello ben più piacevole da dedicare alla vita sociale, alla famiglia e agli altri mille interessi e insomma nun me rompete er ca' e godetevi la mia personalissima top 5. ENJOY!

5. Smetto quando voglio
La verità? Avrebbero dovuto esserci Lei Boyhood qui. Solo che poi è arrivato Fincher e io non me la sono sentita di privare di un posto in classifica l'unica commedia italiana ad avermi fatto ridere e ad avermi colpita col suo piglio frizzante ed innovativo. Quindi, tante scuse a Jonze Linklater e benvenuto Sidney Sibilia.


4. Gone Girl - L'amore bugiardo
L'ultimo arrivato, praticamente in extremis prima che finisse il 2014, il film di Fincher entra di diritto nella top 5 per mille motivi, in primis per la sua lucida spietatezza e poi per la performance incredibile di Rosamund Pike.


3. The Grand Budapest Hotel
Comincia la tripletta scelta col cuore, con l'amore dovuto verso tre Autori tra i miei preferiti. Al terzo posto va Wes Anderson perché è sempre elegante, divertente ed originale e la sua ultima creazione è stuzzicante come un pasticcino di Mendl's.


2. Si alza il vento
L'addio del Sensei mi ha straziata, ha ripulito il mio animo impuro con un soffio di vento e mi ha resa orgogliosa, almeno per due ore, del mio essere italiana. Se lui ci ama, forse non siamo così male come popolo.


1. The Wolf of Wall Street
Scorsese ha sbragato, confezionando un film larger than life, con un Leonardo Di Caprio e un Jonah Hill da antologia. Ci hanno provato in tanti a superare questo trionfo di sesso, parolacce, droga, follia e grasse, grottesche risate, ma avrebbe potuto riuscirci solo Quentin, quindi il mio amato Martino si becca di diritto il primo posto.


Poteva mancare poi la top 5 dei cinque migliori horror in un blog di un'appassionata del genere? Di nuovo, valgono le avvertenze di cui sopra, altrimenti che Gigi D'Alessio vi colga!! ENJOY!

5. All Cheerleaders Die
Divertentissimo e concitato, tanto che alla fine ne avrei voluto ancora. Il guilty pleasure dell'anno!


4. Cheap Thrills
Riuscitissimo e grottesco mix tra thriller e commedia. Non è proprio un horror ma l'ho amato un sacco e mi dispiaceva non infilarlo da nessuna parte!


3. Oculus - Il riflesso del male
Tra tutti gli horror che quest'anno hanno parlato di Male in tutte le salse, questo è senza dubbio il migliore. Poco innovativo ma molto affascinante e cattivo!


2. Honeymoon
Uno degli ultimi arrivati in casa Bolla e uno dei più folgoranti: due personaggi, una casa isolata, mille misteri e tantissima inquietudine. Un gioiello.


1. The Babadook
L'horror dell'anno, un misto di ghost story e horror psicologico con attori bravissimi e una regia ispirata. E un pop-up di cui parlerò l'anno prossimo, appena sarà tra le mie avide manine!


martedì 30 dicembre 2014

Bolla's Top 5 - Worst of 2014

Tra pochi giorni arriverà il 2015. Cosa c'è da buttare, cinematograficamente parlando, dell'anno in corso? Tanta roba, eh. Il 2014 a mio avviso è stato l'anno della mediocrità, non solo in campo horror, ed è stato difficile stilare una lista dei peggiori 5 visto il generale piattume che ha pervaso un po' tutte le produzioni. Ma qualcosa ho trovato...

5. Maleficent
Se l'anno scorso Silvano, il mago di Milano interpretato da James Franco ne Il grande e potente Oz, era riuscito per un pelo a non inaugurare la classifica dei peggiori 5 dell'anno, la stessa fortuna non tocca alla "malefica" Jolie, rea di avere rovinato per sempre una delle villainess migliori della storia del cinema. Fatine sceme, un re stronzo, saccarina ed inespressività sono solo la punta dell'iceberg di un disastro annunciato.


4. Horns
Uno dei film che attendevo di più s'è rivelato una bella sòla per colpa del mainaggioia di Aja. Il frizzante, divertente e commovente romanzo di Joe Hill è stato appiattito e banalizzato sia nella storia che nelle immagini e non è bastata Juno Temple a risollevare le sorti di questa robetta.


3. Sin City 2 - Una donna per cui uccidere
Altro film da me attesissimo e per questo ancora più terribile per quel che riguarda la delusione: attori senza arte né parte, pessimi effetti speciali e trame risibili al limite del ridicolo fanno insorgere la speranza che Frank Miller possa venire diffidato per sempre dall'utilizzare una macchina da presa.   



2. Nurse 3D
La patata di Paz De La Huerta sigla la fine dell'horror come lo conosciamo e lo fa pure in treddì. L'inutilità e l'incapacità attoriale fatte a film.


1. Lo sguardo di Satana - Carrie
Primo in virtù del "come osi". Come osi proporti come remake di uno degli horror più belli del mondo? Come osi basare la recitazione di Chloe Moretz sul metodo "invisible penis"? Come osi sostituire all'atmosfera l'effetto speciale di bassa lega? Soprattutto: come osi esistere? Vergogna.


Rimangono fuori per un pelo The Counselor e Monuments Men, che vincono rispettivamente il premio WTF e il premio MEH del 2014 ed opere fondamentalmente pretenziose, tediose e tronfie nella loro autocompiaciuta autorialità ma comunque troppo belle visivamente per essere inserite nella cinquina, come Nymphomaniac (prima e seconda parte) e Under the Skin. Detto questo, vi do l'appuntamento a domani per i best 5! ENJOY!

domenica 28 dicembre 2014

Bolle di ignoranza - Lo Schiaccianoci 3D (2009)

La rubrica Bolle d'ignoranza (di cui potete trovare le "regole" QUI) torna in perfetto stile natalizio con un film orrendo, visto a spizzichi e bocconi come sottofondo di una serata ben più piacevole a base di auguri: Lo Schiaccianoci 3D (The Nutcracker in 3D), diretto e co-sceneggiato nel 2009 dal regista Andrey Konchalovskiy.


Trama: ho cominciato a vedere il film quando un branco di uomini-ratto conciati come dei nazisti stavano mettendo a ferro e fuoco la città di un bambino trasformato poi in schiaccianoci. Sarà stato tutto un sogno di una bimbetta bionda troppo fantasiosa o la "ratificazione" era reale?

Mainaggioia.
Ma quanto sono contenta di non essere andata al cinema, nel 2009, a vedere Lo Schiaccianoci 3D? Credo di non avere mai visto un film natalizio per bambini più trash e malfatto di questo, un affronto ad uno dei balletti più belli mai realizzati. Ci sta la rappresentazione in chiave nazi dei topi che vogliono conquistare il mondo del Principe Schiaccianoci, anzi, questa mi è sembrata l'idea più geniale del film, con i roghi di giocattoli al posto dei roghi di libri, ma il resto era il disgustorama fatto a pellicola e mi chiedo come abbia potuto John Turturro (che fino alla fine del film ho creduto essere Stanley Tucci) metterci la faccia, conciato come un incrocio tra John Lennon ed Andy Warhol. Delle musiche originali di Tchaikovsky credo di averne sentite giusto due, riadattate in un'orrenda chiave pop e mescolate ad altre melodie talmente brutte che forse nemmeno nel primo Equestria Girls avevano osato tanto, gli effetti speciali feriscono gli occhi da tanto sono malfatti (e non oso immaginare cosa sia stato vederlo in 3D... poveracci quelli che si sono lasciati ingannare!) e gli attori sono svogliatissimi: il principe Schiaccianoci si guarda intorno con l'aria di chi non sa che fare, il povero Nathan Lane è conciato come Einstein (e poi mi spiegherete cosa c'entrasse Einstein con Tchaikovski) e la tizia che interpreta Mamma Ratto è costretta in un personaggio talmente trash e di cattivo gusto che non risulterebbe credibile neppure se ci si impegnasse con tutto il corpo e l'anima. C'è persino un reduce del Pianeta delle Scimmie, un Clown bolso che continuavo a sperare finisse nel rogo dei giocattoli con tutta la sua strabordante panza e una Fatina dei Confetti (almeno, credo fosse lei) che pareva pronta per una serata su qualche bel vialone alberato e poco illuminato. Vade retro, robaccia immonda! A mai più rivederti Schiaccianoci 3D!

mercoledì 24 dicembre 2014

St. Vincent (2014)

Quando vedo scritto Bill Murray sulla locandina di un film mi butto a scatola chiusa ed è quello che è successo per St.Vincent, diretto e sceneggiato dal regista Theodore Melfi. Dopo questa recensione il Bollalmanacco si ferma per un paio di giorni, quindi... BUON NATALE a tutti!!!


Trama: Vincent è un vecchio perditempo, dedito all’alcool, al gioco d’azzardo e ai piccoli furti. Un giorno la nuova vicina di casa è costretta ad affidargli il figlioletto e tra i due nasce, a poco a poco, una strana amicizia...


St.Vincent è uno di quegli edificanti film tipicamente natalizi (pur non essendo ambientato a dicembre) dove il burbero personaggio principale viene ammorbidito da un altro personaggio "a sorpresa", che può essere un bimbo, come in questo caso, una donna, un cane o qualsiasi altra categoria distante dalla realtà in cui si era trincerato fino a quel momento il misantropo di turno. Come tutti i film di questo genere non si regge sull'effetto sorpresa, anzi, segue piuttosto un percorso abbastanza regolare di conoscenza - faticosa amicizia - evento che fa precipitare le cose - riappacificazione e redenzione del protagonista con tanto di inevitabile happy ending ma in questo caso i personaggi sono abbastanza simpatici e peculiari da coinvolgere comunque lo spettatore e interessarlo alle loro vicende umane. Abbiamo Vincent, un vecchio e depresso ubriacone che passa il tempo alle corse e si intrattiene con una prostituta/spogliarellista incinta, un bimbetto nuovo in città e stranamente non irritante come la maggior parte dei suoi coetanei cinematografici e una mamma disadattata che non sa come gestire un divorzio e il nuovo, pesantissimo lavoro; l'interazione tra tutti questi personaggi crea una piccola storia di ordinarie incomprensioni dove ognuno scoprirà qualcosa di inaspettato su di sé e sulle persone che lo circondano e dove ognuno, alla fine, verrà a patti con i propri problemi imparando ad affidarsi un po' di più agli altri. Il finale in particolare mi ha commossa (ho il cuore tenero sotto Natale) anche perché sottolinea come non si debba per forza essere figure "mitiche" per venire considerati santi, bastano dei piccoli, quotidiani ed altruistici sacrifici in grado di dissipare le tante ombre della nostra imperfetta umanità: Vincent si ammorbidisce, è vero, ma rimane coerente con sé stesso anche durante i titoli di coda, un bel cambiamento rispetto all'ultimo trend cinematografico che ci mostra solo personaggi vogliosi di apparire e pronti a plasmarsi secondo i desideri degli altri.


A proposito di Vincent, c'è da dire che il film si regge interamente sull'interpretazione di Bill Murray e che senza questo grandissimo attore la pellicola non varrebbe quasi i soldi spesi per realizzarla né meriterebbe un post che superi le cinque righe. E' sempre un piacere vedere il vecchio Bill svettare sugli altri interpreti con l'aria di chi si trova lì per caso eppure riesce ad essere "il migliore in quello che fa", come direbbe Wolverine: la sua faccia scoglionata scatena sempre e comunque un moto di innata tenerezza e in un paio di occasioni mi sono ritrovata a ridere di cuore davanti ai confronti tra questo mostro sacro e il piccolo co-protagonista, che come ho detto sopra ho trovato molto simpatico. Per quel che riguarda il resto del cast, Melissa McCarthy offre un'interpretazione misurata e assai diversa dalle poche performance comiche in cui mi è capitato di vederla impegnata, mentre la povera Naomi Watts ormai è ridotta a piccole parti da caratterista e nei panni della spogliarellista russa incinta risulta parecchio forzata e anche un po' ridicola, l'unico neo di una pellicola banalotta ma carina. Ultima particolarità di St.Vincent è la bella colonna sonora, quasi interamente incentrata su classiconi anni '60 - '70 come Somebody to Love dei Jefferson Airplane, l'immancabile Bob Dylan o un paio di altri pezzi che consentono a Bill Murray di "scatenarsi" anche come improbabile ballerino. Insomma, se siete alla ricerca di una commedia dal sapore agrodolce da godervi in famiglia sotto Natale St.Vincent è il film che fa per voi: purtroppo non ha le carte in regola per diventare un cult anzi, ne è ben lontano, ma è comunque molto gradevole.


Di Bill Murray (Vincent), Melissa McCarthy (Maggie), Naomi Watts (Daka) e Terrence Howard (Zucko) ho già parlato ai rispettivi link.

Theodore Melfi è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, è anche produttore e attore.


Chris O'Dowd interpreta Padre Geraghty. Irlandese, ha partecipato a film come I Love Radio Rock, I fantastici viaggi di Gulliver, Le amiche della sposa, Thor: The Dark World e ha doppiato un episodio de I Griffin. Anche sceneggiatore e produttore, ha 35 anni e due film in uscita.


Se St. Vincent vi fosse piaciuto potete recuperare Rushmore. ENJOY!



martedì 23 dicembre 2014

L'amore bugiardo - Gone Girl (2014)

L'ultimo film che volevo vedere a tutti i costi in questo 2014 era L'amore bugiardo - Gone Girl (Gone Girl), diretto da David Fincher e tratto dal romanzo L'amore bugiardo di Gillian Flynn. Segue post SENZA SPOILER.


Trama: nel giorno del quinto anniversario di matrimonio Amy Dunne scompare misteriosamente, lasciando il marito Nick preda dei dubbi e delle accuse dei mass media...


Gone Girl (non chiamiamolo L'amore bugiardo, ché è un titolo ben stupido e superficiale) è la storia di una donna che "sparisce". Per estensione, avrebbe potuto anche intitolarsi Gone Boy o Gone People perché il fulcro dell'ultima pellicola di Fincher non è tanto la scomparsa di Amy quanto l'annullamento, la spersonalizzazione dell'individuo nei confronti degli altri, il suo "divenire" agli occhi di chi guarda, di chi nutre aspettative nei suoi confronti, di chi pretende qualcosa di perfetto. Lo aveva già raccontato Spike Jonze con il suo Her, c'era già arrivato Pirandello ancor prima di loro: questa è l'epoca in cui è impossibile essere UNA persona sola e, ancor peggio, è impossibile essere una persona "giusta" perché viviamo nell'era dell'apparenza, della perfezione a tutti i costi, dell'insoddisfazione e della noia precoce che ci rende affamati di scandali, più perversi e sanguinosi sono meglio è. Amy Dunne è la moglie perfetta, bambina prodigio costruita a tavolino (quindi già spersonalizzata a dovere) da genitori "colti", donna bellissima, elegante, raffinata e ricca. Ben è un manzo belloccio che, finché era impegnato in un lavoro gratificante, era l'uomo ideale agli occhi di tutti ma ha fatto presto a diventare una zecca disoccupata, un mantenuto e ovviamente un fedifrago che piuttosto che sfasciare l'apparenza di un matrimonio da sogno ha pensato bene di trincerarsi dietro un mare di bugie. La moglie ad un certo punto scompare e il matrimonio da sogno comincia a mostrare i contorni di un incubo, richiamando orde di affamati avvoltoi mediatici e falsi "amici" che non vedono l'ora di ottenere i famigerati 5 minuti di gloria sulle spalle della gente e che scagliano accuse pesanti fomentando l'opinione pubblica, incuranti di dolore, paura, sentimenti, presunzioni d'innocenza e rischi concreti di carcere o pena di morte. Come in un'orribile programma di Barbara D'Urso c'è la presentatrice che letteralmente sguazza nel letame godendo di ogni succoso pettegolezzo, ci sono "amici" ed amanti che spuntano a raccontare le loro versioni dell'accaduto e, soprattutto e purtroppo, c'è laGGente che, come si diceva in una sigla di Mai dire gol "La trovi ovunque vai" e si fa condizionare da qualsiasi rumenta venga vomitata dal tubo catodico, creando demoni o santi senza sapere nulla.


Gone Girl quindi scava nella società odierna e gioca con le nostre convinzioni, trattandoci alla stregua dei poveri boccaloni che passano le sere a martirizzare Ben e a santificare Amy, mostrandoci pochissimi sprazzi di dolorosa intelligenza (la streppona che vive nel Motel, la detective o la sorella di Ben) soffocati da tanta, troppa voglia di lasciare che sia qualcun altro a pensare per noi; in un mondo dove tutto verte sull'apparenza, vince chi sa manipolarla e chi conosce i meccanismi che regolano il gioco, come lo strapagatissimo avvocato di Ben che si fa vanto di difendere persone indifendibili, mentre gli altri sono condannati o a diventare dei poveri burattini privi d'identità, o dei disadattati incapaci di accettare ciò che non rispecchia i propri desideri oppure, peggio ancora, dei perfetti ingranaggi di un sistema che sacrifica la felicità individuale per un supposto "bene superiore" spesso illusorio quanto le menzogne che si usano per giustificarlo. David Fincher e Gillian Flynn ci spiazzano, ci terrorizzano, ci conquistano fin dal primo fotogramma con una storia terribile e crudele, un pugno nello stomaco che può essere paragonato solo allo stupro della povera Lisbeth in Uomini che odiano le donne, talmente folle nella sua lucidità da farci quasi urlare di frustrazione, come succede a Margo. Il ritmo lento della vicenda, scandito dai giorni di assenza di Amy e dai colori grigi di una fotografia perfetta, poggia interamente sulle spalle dei bravissimi interpreti: Rosamund Pike meriterebbe l'Oscar, Ben Affleck, con la sua proverbiale inespressività, è perfetto per incarnare un marito a dir poco clueless, Neil Patrick Harris e Carrie Coon sono infine due comprimari d'eccezione, ognuno favoloso a modo suo. Ancora non ho idea di quanto sia stato rispettato il romanzo di Gillian Flynn (ma l'autrice della sceneggiatura è lei, quindi non dovrebbero esserci problemi) ma dopo questa meraviglia, questo fantastico modo di concludere il 2014 cinematografico, non vedo l'ora di leggerlo per trovare altri dettagli che potrebbero essermi sfuggiti ad una prima visione. Intanto, vi consiglio di mandare al diavolo il buonismo natalizio e di correre in sala a vedere Gone Girl!


Del regista David Fincher ho già parlato qui. Ben Affleck (Nick Dunne), Rosamund Pike (Amy Dunne), Neil Patrick Harris (Desi Collings) e Missi Pyle (Ellen Abbot) li trovate invece ai rispettivi link.

Kim Dickens (vero nome Kimberly Jan Dickens) interpreta la detective Rhonda Boney. Americana, ha partecipato a film come Codice Mercury, L'uomo senza volto, The Gift - Il dono e a serie come Numb3rs, Lost e Sons of Anarchy. Ha 49 anni.


Tyler Perry, che interpreta l'avvocato Tanner Bolt, negli USA è un famoso regista prima ancora che attore (io, nella mia aulica ignoranza, non ho mai visto nemmeno un suo film) mentre Carrie Coon, che interpreta Margo Dunne, ha partecipato alla serie The Leftovers. Detto questo, se L'amore bugiardo vi fosse piaciuto recuperate Il fuggitivo o The Vanishing - Scomparsa. ENJOY!

domenica 21 dicembre 2014

Stage Fright (2014)

Il 2014 sta quasi per finire e Stage Fright, diretto e sceneggiato dal regista Jerome Sable, è l'ultimo horror che Lucia mi ha consigliato di recuperare assolutamente per poterlo concludere in bellezza.


 Trama: gli ospiti di un campo estivo dedicato agli appassionati di musical vengono perseguitati e uccisi da un misterioso assassino mascherato...


 Se c'è un genere che adoro è l'horror, come ben sapete, ma qualcuno sa anche che il secondo genere che mi fa impazzire di gioia è il musical... e potevo perdermi una delle poche pellicole che uniscono queste due passioni? La risposta è no e Stage Fright si è confermato un prodotto godibile e assai divertente, l'ideale per passare un paio d'ore di allegre e sanguinolente mattanze canterine, tra citazioni del Fantasma dell'opera (la fonte d'ispirazione principale, tanto che tra gli interpreti figura anche Minnie Driver, che nella versione cinematografica del Phantom interpretava Carlotta) e per estensione anche de Il fantasma del palcoscenico,Venerdì 13, Carrie - Lo sguardo di Satana, un omaggio graditissimo al Rocky Horror Picture Show e un'ancor più gradita incursione nel teatro Kabuki, fonte di splendidi costumi ed azzeccatissimi make-up. La storia, con tutto questo pout-pourri di derivazioni, è abbastanza banale ed è un mero canovaccio per intrattenere lo spettatore con canzoni e momenti gore: una famosissima cantante, durante la prima dello spettacolo The Haunting of the Opera, viene brutalmente uccisa in camerino da una figura mascherata e parecchi anni dopo il compagno ripropone l'opera agli studenti del suo campo musicale, con la figlia che smania per riprendere il ruolo della madre e una simile figura mascherata che cerca invece di sabotare lo spettacolo nei modi più sanguinolenti possibile. Tutto qui, non ci sono particolari significati all'interno di Stage Fright, tolta forse una blanda critica a ciò che sta dietro i meccanismi del mondo dello spettacolo, solo la volontà di mettere in scena un divertissement in grado di svecchiare un po' la scena horror odierna, ormai affossata dai soliti prodotti fatti per soldi e senza passione.


 I numeri musicali di Stage Fright sono molto belli e si alternano tra ariette esilaranti come quella iniziale (Where We Belong, che recita testualmente "We're Gay, We're Gay but not in That Way), la "sensualissima" Alfonso, dove la protagonista brama le grazie maschili del suddetto o il pezzo in cui tutti impazziscono sulle note della Rapsodia Ungherese di Liszt, pezzi più seri come il brano di punta di cui non riesco a trovare il titolo dove Camilla gorgheggia "This is All I Ever Wanted, Now I'm Forever Haunted", e le particolarissime, stridenti melodie del maniaco Metal Killer che, a tratti, sembra il cantante dei The Darkness ancor più fatto di acido. Gli attori chiamati a cimentarsi nell'impresa sono tutti molto bravi e quelli che non sono granché come cantanti compensano con entusiasmo e faccette simpatiche; nulla e nessuno, ovviamente, può eclissare il grandioso Meat Loaf, talmente ben truccato che per un attimo ho avuto l'impressione che lo zio Vernon di Harry Potter fosse ancora vivo e sono dovuta andare a controllare l'anno di produzione di Stage Fright. Come ho detto, inoltre, ho trovato molto bello anche il trucco assieme ai costumi, in particolare ho apprezzato la mise finale di Allie MacDonald, con quelle stupende "ali di farfalla" rosse dipinte sul viso che, a poco a poco, lasciano lo spazio al nero del mascara che si scioglie per il terrore, davvero un tocco di classe. Mi fa strano che Jerome Sable abbia diretto uno degli ABCs of Death che meno mi sono piaciuti, dallo stile completamente diverso rispetto a Stage Fright, ma ciò è anche un buon auspicio: sicuramente abbiamo davanti un autore che non si limita a battere strade sconosciute e che ama sperimentare, quindi da tenere d'occhio!


Jerome Sable è il regista, sceneggiatore e compositore della pellicola. Canadese, anche produttore e attore, ha diretto anche il segmento V for Vacations di The ABCs of Death 2.


Minnie Driver (vero nome Amelia Fiona J. Driver) interpreta Kylie Swanson. Inglese, la ricordo per film come GoldenEye, Sleepers, Will Hunting - Genio ribelle e Il fantasma dell'Opera, inoltre ha partecipato a serie come X-Files e Will & Grace; come doppiatrice invece ha lavorato alla versione inglese di Princess Mononoke, Tarzan e South Park - Il film: più lungo, più grosso & tutto intero. Anche produttrice, ha 44 anni e un film in uscita.


MeatLoaf (vero nome Marvin Lee Aday) interpreta Roger McCall. Indimenticabile Eddie di The Rocky Horror Picture Show nonché musicista riconosciuto ed affermato, lo ricordo in film come Fusi di testa, Fight Club e Tenacious D e il destino del rock; inoltre, ha partecipato a serie come Nash Bridges, Masters of Horror, Dr. House e Monk. Anche produttore e sceneggiatore, ha 67 anni e un film in uscita.


Allie MacDonald (vero nome Alexandra MacDonald) interpreta Camilla Swan. Americana, ha partecipato a film come Hates - House at the End of the Street e The Barrens. Ha 26 anni e un film in uscita.


Se Stage Fright vi fosse piaciuto non perdetevi Il fantasma del palcoscenico, Opera, Repo! The Genetic Opera e Deliria. ENJOY!

venerdì 19 dicembre 2014

Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou (2014)

Oggi avrei dovuto parlare di Lupin III: Spada Zantetsu, infuocati! ma siccome mi è capitato tra le mani un film bramato da tempo, Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou (LUPIN THE ⅢRD 次元大介の墓標 letteralmente La lapide di Jigen Daisuke), diretto dal regista Takeshi Koike, non ho potuto fare altro che dargli la precedenza!


Trama: Lupin e Jigen cercano di rubare la "Piccola Cometa" ma il colpo va male e, peggio ancora, i due si ritrovano alle calcagna l'infallibile killer Jael Okuzaki, un assassino che prepara la lapide ai suoi bersagli ancora prima di ucciderli...



C'è stato un tempo in cui ogni iniziativa legata a Lupin & co. mi faceva fare i salti di gioia, un tempo in cui una notizia simile  mi avrebbe portata a ringraziare la Madonna dell'Incoronéta e non a bestemmiare come uno scaricatore di porto. Purtroppo, quel tempo è finito e la colpa è interamente di Takeshi Koike e della meravigliosa quarta serie dedicata al Ladro Gentiluomo, Fujiko Mine to iu onna (in Italia, Una donna chiamata Fujiko Mine); quell'azzardatissimo mix di vintage, kitsch, surreale ed animazione per adulti mi ha folgorata e ha riportato in auge quello che, a mio avviso, dev'essere il VERO Lupin, quello che aveva creato Monkey Punch negli anni '70 e il cui spirito era rimasto inalterato nella prima, storica e censuratissima serie. Da quel momento il mio cuore ha mandato al diavolo i crossover con il Detective Conan, I'm a Superhero, le bischerate di Zenigata, il character design per otaku bimbiminkia e, più in generale, ogni tentativo di rendere il personaggio appetibile per il pubblico giovane: dopo Fujiko Mine to iu onna potevo apprezzare solo qualcosa di altrettanto sfacciato ed epico (d'altronde ho anche 33 anni, che cavolo!!) e la perfezione mi è stata servita su un piatto d'argento con Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou. La ciliegina sulla torta di questo piccolo capolavoro dell'animazione nipponica è ovviamente il fatto che Jigen sia il protagonista quasi assoluto e che gli altri personaggi fungano da degni comprimari senza rubargli la scena ma se anche il mediometraggio si fosse concentrato solo su Lupin sarebbe stato comunque un gioiello. A differenza di altri film dedicati a Lupin, infatti, Jigen Daisuke no bohyou riesce a rendere tridimensionali i personaggi grazie a pochi dettagli e a concentrarsi su una trama ben precisa e coerente senza deviazioni né riempitivi e soprattutto senza scendere a compromessi. Pensate un po', per tutto il film non si vedono né Goemon né Zenigata (che compare per pochissimo sul finale) perché, obiettivamente, non avrebbero avuto alcuna funzione e anche perché il samurai all'epoca dei fatti narrati non aveva nessun contatto con Jigen e Lupin; inoltre, sul finale, i due protagonisti giustificano le loro azioni dichiarandosi rispettivamente ladro e pistolero, "non eroi", prendendo così le distanze dalle rivisitazioni più recenti del dinamico duo e preferendo fumarsi una sigaretta piuttosto che godere della riconoscenza altrui.


Trama a parte, che è un compendio di tutti i cliché Jigeniani che tanto amo (avversario infallibile e crudele, amore sfortunato per una donna bellissima, intelligente e misteriosa, assoluto carisma da lupo solitario) con l'aggiunta di qualche particolare weird per rendere il tutto più disturbante e misterioso, che erano poi le caratteristiche della prima serie, quello che adoro di Jigen Daisuke no bohyou è il character design di Takeshi Koike, che rende i personaggi bellissimi, affascinanti e quanto più vicini possibile al concept originale di Monkey Punch. Jigen è superlativo e ad ogni comparsa la mia manina scattava in automatico sul pulsante "pausa" per contemplare almeno un paio di minuti l'incredibile perfezione del personaggio, ma persino Lupin e Zenigata sono due figaccioni ben lontani dai mostri deformi a cui siamo abituati, per non parlare poi della pettorutissima Fujiko. La signorina Mine, tra l'altro, è protagonista di una sequenza weirdissima che mescola suggestioni da Eyes Wide Shut, Tetsuo e nazisploitation senza vergogna alcuna, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se il MOIGE in Giappone fosse (giustamente!!) un'entità astratta da prendere a sputi ed insulti. Non sono le uniche citazioni che vengono amorevolmente portate su schermo da una regia fluida, attenta ai particolari, ai giochi di luce ed ombra e ai colori (tra i quali prevalgono le tonalità scure, come testimoniano le inedite mise di Lupin, in camicia nera e giacca blu, e Jigen, in camicia bordeaux e giacca color ottanio) ma sicuramente sono quelle che saltano più all'occhio assieme all'omaggio post-credits allo storico Lupin III: La pietra della saggezza. Ad impreziosire ancor più quello che per me è ormai il terzo film di Lupin più bello di sempre ci sono dei titoli di testa e di coda meravigliosi, accompagnati da una colonna sonora fatta di pochi brani d'atmosfera che starebbero benissimo in un noir e un paio di finezze sparse qui e là (sulla lapide di Jigen si vede che è nato ad Aprile, shigatsu in giapponese, laddove shi sta anche ad indicare la morte). Avrete capito che sono rimasta folgorata e ora mi scuserete se concludo qui il post e vado a riguardare Jigen Daisuke no bohyou nell'attesa che una divinità buona renda al più presto disponibili non dico in Italia ma almeno in Europa i blu-ray o i DVD del film e di Una donna chiamata Fujiko Mine per poterli degnamente inserire nella mia collezione di preziosi cimeli.

Takeshi Koike è il regista della pellicola, oltre che character designer e direttore dell'animazione sia di questo film che della serie Una donna chiamata Fujiko Mine. Come regista, ha diretto anche un segmento di Animatrix e un episodio della serie Iron Man. Ha 46 anni.


Se Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou vi fosse piaciuto cercate assolutamente di recuperare la serie Una donna chiamata Fujiko Mine e Lupin III: La pietra della saggezza (possibilmente il tutto in lingua originale e senza censure, chevvelodicoaffare). ENJOY!

giovedì 18 dicembre 2014

(Gio)WE, Bolla! del 18/12/2014

Buon giovedì a tutti!! Dopo settimane di nulla cosmico, tra ieri ed oggi sono usciti almeno tre film che voglio/devo andare a vedere, cosa praticamente impossibile visto l'inizio delle incombenze Natalizie e delle varie Festività. Da qui a Gennaio, comunque, spero di riuscirci. Nel frattempo, segnalo anche l'uscita di St.Vincent con Bill Murray, che vorrei vedere ma dalle mie parti non è arrivato, è OVVIAMENTE la possibilità di prenotare sul sito del Multisala le PREVENDITE per i biglietti del capolavoro cinematografico in uscita a Febbraio: Cinquanta Sfumature di Grigio. Mavaff...ehm... buon Natale!! ENJOY!

Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate
Reazione a caldo: Me tocca.
Bolla, rifletti!: Uh, quanto entusiasmo!, direte. Il fatto è che andrò a vedere La battaglia delle cinque armate solo per dovere di completezza, ché ormai non ricordo più né il primo il secondo capitolo della saga, tanta era la "fuffa" aggiunta da Jackson alla trama de Lo Hobbit cartaceo. Siamo ben lontani dai tempi delle spasmodiche attese per Il signore degli anelli.

Big Hero 6
Reazione a caldo: Yay!
Bolla, rifletti!: A Natale il film Disney/Pixar ci vuole. Questo mi incuriosisce e mi entusiasma per il morbidosissimo protagonista ma, come sempre, ho deciso di mantenere la sorpresa e non documentarmi né sulla trama né su altro.

Gone Girl - L'amore bugiardo
Reazione a caldo: Evviva!!!
Bolla, rifletti!: ECCO il film che voglio assolutamente vedere questa settimana! Fincher è più o meno sempre una garanzia, chi ha letto il libro dice sia molto bello e in generale anche la pellicola è stata molto apprezzata da chi ha già avuto modo di vederla. E poi il trailer è intrigante da morire!

Un Natale stupefacente
Reazione a caldo: Bah.
Bolla, rifletti!: Cambiano gli attori, cambiano i registi, ma la fuffa natalizia italiana resta sempre tale. Non sarà Cinepanettone, sarà Cinetorrone, ma come si dice dalle mie parti "Dau lampu au trun, gh'è pocu de bun".

Il ragazzo invisibile
Reazione a caldo: Ahahahaahhaahhahaha!!!
Bolla, rifletti!: Al principio, c'era la Speranza. Ché a me Salvatores non è mai dispiaciuto e speravo in un racconto di supereroi italiano interamente basato sull'"intimismo". Poi, è arrivato il trailer e la speranza intimista s'è trasformata nella versione nostrana degli X-Men, con tanto di TUTINE. Poi, è arrivata QUESTA recensione e la Speranza si è trasformata in Rifiuto. Neanche. Se. Mi. Regalassero. Il. Biglietto.

E al cinema d'élite come si festeggia?

Jimmy's Hall - Una storia d'amore e libertà
Reazione a caldo: Mh!
Bolla, rifletti!: Come si fa a voler male a Ken Loach e all'Irlanda? Come dice il titolo, Jimmy's Hall è una storia d'amore e libertà, di condivisione e progresso sociale e culturale, scandita dai ritmi jazz degli anni '20. Urge un recupero, ovviamente!

mercoledì 17 dicembre 2014

[REC] 4: Apocalypse (2014)

Come si dice, tutte le cose belle devono finire. La saga di [REC] non è stata sempre bellissima, ma si è comunque conclusa degnamente qualche mese fa con [REC] 4: Apocalypse ([REC] 4: Apocalipsis), diretto e co-sceneggiato da Jaume Balagueró.


Trama: la reporter Angela viene salvata dall'edificio barcellonese ormai assediato dagli infetti e trasferita, assieme ad altri sopravvissuti, su una nave dove alcuni medici stanno cercando un vaccino per l'orribile virus demoniaco...



Dopo aver lasciato il timone al solo Paco Plaza per il terzo capitolo, Balagueró torna alla saga che lo aveva consacrato alla memoria dei posteri horroromani e lo fa tirando tutte le fila del discorso, mettendo in scena un'apocalisse ancor più claustrofobica delle precedenti, un'apocalisse che, tra l'altro, volendo potrebbe dare il La a prossime incursioni nel mondo malato della Niña Medeiros. Il regista catalano decide, per l'occasione, di rinunciare quasi completamente alle riprese dal vero che hanno fatto la fortuna della saga (sempre sia lodato Balagueró, ché ormai i mockumentary hanno rotto!) e ci catapulta in un nostalgico omaggio agli anni '80, dove le catastrofi contenute all'interno di navi o sottomarini erano all'ordine del giorno e dove assai poco simpatici animaletti si avventavano sui "poveri" esseri umani proprio a causa dei loro esperimenti insensati. Se pensate infatti che una nave in mezzo all'oceano e con mille protocolli terminali possa dispensare l'umanità dall'estinzione state freschi visto che è nell'animo umano sperimentare, tirare la corda fino a farla strappare e, soprattutto, venire coglionati da un demonio infido che, come ben ricorderete, alla fine di REC si era nascosto in un punto ben preciso. Questo è ovviamente il particolare più importante da ricordare per poter godere al meglio di [REC] 4: Apocalypse ma non mancano i rimandi simpatici anche agli altri due film della saga, in particolare al terzo, con una povera abuelita che è stata prelevata dritta dalla boda de sangre messa in scena da Plaza e che, ovviamente, non capisce nulla della situazione che è venuta a crearsi.


Per il resto, [REC] 4: Apocalypse è un film tranquillamente fruibile anche da chi non ha mai guardato le altre pellicole della saga, dalle quali fondamentalmente differisce assai poco. C'è una buona dose di tensione in grado di mettere alla prova gli spettatori più scafati, gli infetti velocissimi, violenti ed urlanti sono sempre da infarto, il gore non manca e neppure le armi improvvisate che consentono di fare carneficine ancor peggiori (la scena cult dell'anno ha solo una parola: "Monoooooooooos!!!!"), i twist non sono sempre prevedibilissimi, nemmeno quando lo spettatore è ben consapevole della regola "tutto quello che potrebbe andare male ci andrà", e in tutto questo mal di vivere viene anche inserita una componente ironica in grado di alleggerire il tutto. Gli effetti speciali sono ottimi e alcune riprese grandiose, anche perché non dev'essere stato facile per Balagueró trasportare l'apocalisse dalla "limitatezza" di un edificio alla vastità del mare aperto, in più, per finire, gli attori sono sempre molto bravi; i caratteristi e i protagonisti creano una varietà di volti e stili difficilmente ravvisabili in un horror canonico e la bellissima Manuela Velasco si conferma una delle migliori scream queen ed eroine moderne, è un piacere sentirla recitare in spagnolo! Per quel che mi riguarda, dunque, la saga di [REC] non poteva finire in modo migliore, soprattutto ho assai apprezzato il carattere "definitivo" del progetto di Balagueró e Plaza. Certo, come ho detto all'inizio il finale di [REC] 4 è una sorta di testimone lasciato cadere e messo alla mercé di chiunque vorrà impadronirsene ma personalmente spero che nessuno sia tanto scriteriato da mettersi alla prova con un franchise che non ha più nulla da dire e che rischia, se reiterato, di perdere ogni valore. Beware!


Del regista e co-sceneggiatore Jaume Balagueró ho già parlato QUI. Manuela Velasco, che interpreta Angela Vidal, la trovate invece QUI.

[REC] 4: Apocalypse è, come ho già detto, il seguito di [REC], [REC] 2, e [REC]3 - La genesi; quindi, se il film vi fosse piaciuto recuperateli tutti! ENJOY!


Ah, oggi pare che abbiamo pubblicato in 3D con Il giorno degli zombi e Le maratone di un bradipo cinefilo. Le grandi menti agiscono all'unisono senza volerlo.

martedì 16 dicembre 2014

Il Bollospite: Rosetta (1999)

Bentornati all'appuntamento con le "sfide" cinefile tra me ed Arwen Lynch! Questa volta toccava a lei scegliere il film e la mia collega ha tirato fuori dal cilindro Rosetta, diretto nel 1999 dai fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.
Il post viene pubblicato in contemporanea anche su La fabbrica dei sogni. ENJOY!


Trama: Rosetta è una ragazza che vive in povertà all'interno di una roulotte e fatica a trovare un lavoro fisso. Costretta a badare ad una madre alcoolizzata e prostituta, la poverina vorrebbe soltanto una vita normale ed onesta ma ogni volta trova ad ostacolarla dei muri insormontabili.


Il punto di vista di Arwen...

Cosa penso di Rosetta?
Innanzitutto è un film dalla forza umana disarmante, un opera che mette in scena due lati dell'umanità, quella altruistica, e quella egoistica.
Allo stesso tempo però i Dardenne - questo è il secondo film che vedo diretto da loro - non giudicano i personaggi, ma fanno si che noi spettatori ci mettessimo sotto esame, tanto per dire, e tu come faresti se fossi al posto suo?
Rosetta è tutti noi, chi non si riconosce in lei? Rosetta è tutti quei ragazzi disoccupati, senza un futuro e una via d'uscita, logico che si fa la prima cosa buona per noi per uscire da tutta quella miseria, quella disperazione, anche se vuol  dire tradire una persona che ci ha aiutati, cosa che in altri contesti non sarebbe accaduta.
Eppure Rosetta è un film che rispecchia la realtà, esattamente come viene filmata dai due fratelli belgi, senza sotterfugi senza nessun contentino di fondo.
La complessità del film sta nel voler sottolineare che si fa qualsiasi cosa pur di non badare a una madre ubriacona, che invece di occuparsi di te, sei tu adolescente che devi fare questo con lei, poi c'è la negazione dei rapporti umani, non per una precisa scelta, ma per la difesa della propria dignità di persona.
Poi ovviamente c'è la società, i fratelli fotografano una realtà di gente povera, senza prospettive per il futuro, e senza possibilità di un cambiamento, in cui vige la legge del più forte, e del più furbo, mors tua vita mea, non importa se un altra persona perde il posto.
Questo è  umanamente sbagliato, ma è giusto dire cose del genere a una ragazzina?
Rosetta mi ha ricordato molto i vecchi film italiani del neorealismo, soprattutto Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica, il motivo è lo scenario, privo di certezze e futuro dei protagonisti.
La cosa che più sconcerta di un film come Rosetta è l'assoluta integrità della protagonista, ma non sconcerta in negativo, ma in positivo.
Non si tratta certo di tornaconto personale, quello si ha per fare uno sgambetto agli altri quando tu non ne hai bisogno, anche se in apparenza può sembrare così; si tratta per lo più di fare una scelta, anche se può far del male agli altri, noi scegliamo sempre la cosa migliore per noi, inteso come persone, anche se questo dovesse tradire la fiducia di un amico.
L'aspetto sociologico al positivo e al negativo del film è quello che più tocca in fondo al cuore degli spettatori, la classica guerra tra poveri, vince sempre chi è più forte, negando gli aspetti umani che in fondo in fondo sono dentro di noi.
Possiamo condannare Rosetta per le sue scelte? E chi ne avrebbe il coraggio? Se c'è un colpevole è la società meschina che ha negato il valore fondamentale dell'altruismo, potreste dire ma è la vita...bisogna andare avanti...ma così facendo il mondo non cambia, resta sempre uguale a se stesso, giorno dopo giorno, non ci vuole la bacchetta magica per capire che il cambiamento deve cominciare dalla società.
In conclusione, un grandissimo film, che rasenta il capolavoro se già non lo è.


...e quello della Bolla!

Rosetta è il mio primo film dei Dardenne e non potevo cominciare meglio sebbene, causa periodo un po' stressante, abbia dovuto fare una pausa verso metà film perché la situazione in cui si trova la protagonista è incredibilmente angosciante. Senza fare della falsa retorica i Dardenne mostrano un periodo limitato della vita di una ragazza cresciuta in povertà ed impossibilitata ad uscire dalla sua condizione perché circondata da un ambiente che non lascia scampo, dove è in corso una costante guerra tra poveri. Di Rosetta conosciamo poco (non ci viene detto, per esempio, dove sia il padre) ma sappiamo quanto basta per empatizzare con lei. Sappiamo che non è particolarmente brillante né particolarmente bella, sappiamo anche che non è neppure particolarmente fortunata ma sicuramente ha una grande forza d'animo, un carattere orgoglioso e un'incredibile dignità: nel corso del film arriviamo a capire che questa combine devastante le porterà solo sofferenza in una cittadina dove prosperano lo squallore, i piccoli espedienti e soprattutto la disoccupazione. Rosetta ci tocca il cuore quando elenca una serie di "dati di fatto" che nascondono altrettanti, ardenti desideri: io sono Rosetta, non sono su una strada, ho un lavoro, ho trovato un amico (il collega Riquet). Quattro cose banalissime all'apparenza, forse la prima è la più banale di tutte, ma non è sempre possibile definirci come individui. Se è vero, infatti, che "il denaro non fa la felicità", è altrettanto vero che una persona, per mantenere la stima di sé stessa, ha bisogno dei soldi guadagnati per garantirsi un'indipendenza economica e sociale, per non "rimanere su una strada"; Rosetta ha sicuramente vergogna di sé e della madre ubriacona e prostituta, ha vergogna della propria impossibilità di trovare un lavoro e, di conseguenza, molto probabilmente Riquet è la prima persona che possa definire amica. Terribilmente ironico che la guerra tra poveri di cui parlavo prima arrivi a causare l'inevitabile rottura di quest'amicizia nuova, fragile e preziosa, che in un altro luogo avrebbe forse potuto trasformarsi in amore.
I Dardenne, dal canto loro, non danno giudizi né cercano di "manipolare" lo spettatore ma si limitano a raccontare una storia di vita quotidiana, attraverso una messa in scena se vogliamo un po' squallida (lungi da me utilizzare questo aggettivo con accezione negativa, semplicemente i Dardenne portano su pellicola l'atmosfera della società che desiderano ritrarre) ma sicuramente efficace. Il loro occhio spia Rosetta, soffermandosi su dettagli all'apparenza trascurabili ma sicuramente utili per capire la protagonista e l'ambiente in cui è costretta a vivere: l'ossessiva ripetizione di determinati luoghi o di determinate sequenze, come quella in cui Rosetta recupera l'attrezzatura da pesca, cerca lavoro oppure sistema il furgoncino delle goffres, testimoniano la natura ciclica e soffocante della vita della protagonista, un circolo vizioso dal quale è molto difficile uscire e dove la "tentazione" è sempre dietro l'angolo (quante volte vengono inquadrati cibo e denaro, sempre a portata di mano dell'orgogliosa protagonista che, se volesse, potrebbe rubarli e scappare per non venire mai più ritrovata). E Rosetta, interpretata magnificamente dalla giovane Émilie Dequenne, essendo molto umana non è insensibile alle tentazioni, abbracciate di malavoglia e sempre per cercare di raggiungere i suoi semplici desideri, tanto più dolorose perché ricercate con consapevolezza, tanto più dannose perché il mondo non fa sconti a chi ha un animo puro ed è costretto a cambiare per non soccombere. Questo era vero nel 1999 ed è vero soprattutto oggi, nel 2014, in Italia. Se Rosetta venisse proiettato nelle scuole chissà se il grido "Siamo tutti Rosetta" servirebbe a svegliare il nostro governo com'è servito a svegliare almeno un po' quello Belga nell'anno dell'uscita del film?

Jean-Pierre e Luc Dardenne sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Entrambi belgi, hanno diretto insieme film come Il figlio, L'enfant, Il ragazzo con la bicicletta e il recente Due giorni, una notte. Anche produttori, Jean-Pierre ha 63 anni mentre Luc ne ha 60.


Émilie Dequenne interpreta Rosetta. Belga, ha partecipato a film come Il patto dei lupi e La meute. Ha 33 anni e un film in uscita.


Se Rosetta vi fosse piaciuto provate a recuperare Bread and Roses o Due giorni, una notte. ENJOY!