Sotto le feste passa spesso in TV un caposaldo della commedia nostrana, Fantozzi, diretto nel 1975 dal regista Luciano Salce e tratto dai libri Fantozzi e Il secondo, tragico libro di Fantozzi, scritti da Paolo Villaggio. Siccome mi sono resa conto di non averne mai parlato, colgo l'occasione per rimediare!
Trama: Il ragioniere Ugo Fantozzi conduce la sua triste vita da impiegato vessato, tra moglie e figlia orribili, colleghi sfigati quanto lui e crudelissimi padroni...
Fantozzi è una maschera che mi ha accompagnata fin dall'infanzia, come credo sia successo al 90% delle persone che leggeranno questo post. Il povero, sfortunato ragioniere mi ha sempre fatto tanto ridere eppure, come per tutte le migliori maschere comiche, riusciva anche a mettermi una tristezza che allora non capivo ma che persino una bimba come me poteva percepire chiara e semplice. Oggi capisco che Fantozzi è insito nel nostro DNA, che in ognuno di noi c'è un po' del Ragioniere fin dalla nascita, che in Italia siamo tutti un po' sfigati, un po' codardi, un po' servili, un po' capaci di rialzare la testa quando serve (per poi magari essere costretti a riabbassarla di corsa. Possibilmente a calci.), spinti da tragici moti d'orgoglio, un po' pigri, un po' svogliati, un po' tradizionalisti, un po' timorosi dell'ignoto, un po' facili alle mode del momento, un po' disperatamente consapevoli che il mondo potrà sicuramente essere un posto migliore ma, diamine, non certo per noi. E noi, poveri impiegatucoli con la nuvoletta a spandere pioggia nei momenti meno opportuni, saremo sempre costretti ad invidiare, chi più chi meno, un maledetto Geometra Calboni, lecchino, falso e profittatore, a sbavare senza speranza dietro ad una grebana (un grebano, per le signorine) come la Silvani, a sottostare alle follie di un amico fastidiosamente intraprendente come il Rag. Filini, a venire vessati da qualche Megadirettore Generale che passa le giornate a non fare una cippa, scambiandosi panettoni d'oro con gli altri ricconi, a svegliarci accanto ad una Pina e una Mariangela che ci vogliono tanto bene ma sono tutto fuorché perfette, anzi. Paolo Villaggio si è caricato sulla schiena il gigantesco dolmen delle frustrazioni dell'italiano medio e le ha esorcizzate tutte, trasformandole in surreali spauracchi senza tempo e, soprattutto, in potentissime armi in grado di adattarsi a qualsiasi situazione di vita (lavorativa e non) anche a quarant'anni dalla prima uscita di Fantozzi, permettendo a noi miseri esseri umani di ridere a crepapelle e prenderci in giro anche nelle situazioni più buie.
Fin dalla prima disavventura di Fantozzi possiamo testimoniare la genialità di un'Azienda Italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica (per non saper né leggere né scrivere facciamo tutto!!) trasformata in un girone infernale, dove gli impiegati si perdono per giorni senza dare più notizie ai familiari e ogni giorno è una sfida a chi riesce a cazzeggiare più degli altri dipendenti senza farsi sgamare dagli implacabili megadirettori, uno più stronzo e megalomane dell'altro; figure ormai mitiche come la madre del Conte Catellami, la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare che vuole a tutti i costi sapere come finisce il giallo che stava leggendo, il mitologico Megadirettore Galattico e la sua poltrona in pelle umana estremizzano (ma neanche troppo, lo sapete meglio di me) i veri difetti di tutti coloro che godono nell'avere potere sui poveracci. Non che i "proletari" si comportino meglio l'uno con l'altro, eh. Figure di rara crudeltà come il cameriere del veglione o il Maestro Mario Canello sono l'emblema di come i poveri si vendichino quando possono su chi sta peggio di loro, sfruttando la temporanea posizione di vantaggio, mentre al povero Fantozzi non resta che subire umilmente ogni volta, anche quando la situazione parrebbe stranamente volgersi a suo favore perché, diciamocelo, sono soprattutto le piccole, grandi vittorie a costare molto care (ha capito, coglionazzo?). L'universo Fantozziano non sarebbe lo stesso senza i grandissimi attori e caratteristi che, ahiloro, si sono giocati la carriera proprio con questo film, condannandosi a indossare per tutta la vita i panni dei personaggi che li hanno resi famosi: assieme a Villaggio ci sono Gigi Reder, Anna Mazzamauro, Plinio Fernando e Liù Bosisio (la quale ci ha visto lungo e ha poi deciso di dedicarsi al teatro e al doppiaggio ma rimane, a mio avviso, la migliore Pina di sempre), figure indimenticabili che si muovono all'interno di scenette talvolta squallidamente reali e molto spesso fantastiche e grottesche, zeppe di riferimenti all'iconografia cristiana, agli orrori della dittatura, a una mitologia proletaria tutta italiana. Mi fermo qui che è meglio, mi sono fatta prendere da visioni mistiche e voi siete stati anche troppo umani a seguirmi fin qui senza crocifiggermi in sala mensa. Fantozzi, d'altronde, è un mito senza tempo che non va visto né letto, va vissuto!
Di Paolo Villaggio, che interpreta Fantozzi ed è anche co-sceneggiatore, ho già parlato QUI.
Luciano Salce è il regista della pellicola. Nato a Roma, ha diretto film come Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della Clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, Il secondo tragico Fantozzi e Vieni avanti cretino. Anche attore e sceneggiatore, è morto nel 1989, all'età di 67 anni.
Anna Mazzamauro interpreta la Signorina Silvani. Nata a Roma, la ricordo per film come Il secondo tragico Fantozzi, Fracchia la belva umana, Fantozzi subisce ancora, Fantozzi va in pensione, Fantozzi alla riscossa, Fantozzi in paradiso, Fantozzi - Il ritorno e Fantozzi 2000 - La clonazione; come doppiatrice, ha inoltre lavorato per i film Senti chi parla e Senti chi parla 2. Ha 70 anni.
Gigi Reder (vero nome Luigi Schroeder) interpreta il Rag. Filini. Nato a Napoli, lo ricordo per film come Pane, amore e fantasia, Pane, amore e gelosia, L'oro di Napoli, Il vedovo, Il secondo tragico Fantozzi, Lo chiamavano Bulldozer, Fantozzi contro tutti, Fracchia la belva umana, Vieni avanti cretino, Fantozzi subisce ancora, Fracchia contro Dracula, Grandi magazzini, Fantozzi va in pensione, Fantozzi alla riscossa, Fantozzi in paradiso e Fantozzi - Il ritorno; inoltre, ha partecipato a serie come La piovra 3. E' morto nel 1998, all'età di 70 anni.
Liù Bosisio (vero nome Luigia Bosisio) interpreta Pina, la moglie di Fantozzi. Nata a Milano, storica doppiatrice di Marge Simpson, la ricordo per film come Il mostro è in tavola... Barone Frankenstein, Il secondo tragico Fantozzi, Novecento, Il tassinaro e Superfantozzi. Ha 76 anni.
Paolo Paoloni interpreta il Mega Direttore Galattico, Duca Conte G.M.Balabam. Svizzero, ha partecipato a film come Il Prof. Dott. Guido Tersilli primario della Clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, Il secondo tragico Fantozzi, Inferno, Cannibal Holocaust, Vieni avanti cretino, La casa nel tempo, L'avaro, Fantozzi in paradiso, Chicken Park, Fantozzi - Il ritorno, Fantozzi 2000 - La clonazione, Il gioco di Ripley e a serie come Don Matteo. Ha 86 anni.
Fantozzi è stato seguito da Il secondo tragico Fantozzi, Fantozzi contro tutti, Fantozzi subisce ancora (dove Milena Vukotic comincia a sostituire Liù Bosisio nel ruolo di Pina), Superfantozzi, Fantozzi va in pensione, Fantozzi alla riscossa, Fantozzi in paradiso, Fantozzi - Il ritorno e Fantozzi 2000 - La clonazione; ovviamente, se il film vi fosse piaciuto recuperate tutta la serie, anche se da Fantozzi contro tutti in poi la qualità cala sensibilmente. ENJOY!
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venerdì 30 gennaio 2015
giovedì 29 gennaio 2015
(Gio)WE, Bolla! del 29/1/2015
Buon giovedì a tutti e benvenuti alla settimana dell'ignoranza, dove saremo TUTTI italiani medi, io soprattutto! Ma c'è anche il modo per recuperare un po' di cultura, non temete... ENJOY!
Unbroken
Reazione a caldo: amechemenefregamme!
Bolla, rifletti!: Film che andrei a vedere solo per Finn "Dandy" Wittrock di American Horror Story ma visto che la sua presenza sullo schermo si ridurrà a 20 minuti scarsi contro due ore e fischia di ennesimo biopic, peraltro diretto da Angelina Jolie, salto a pié pari anche nonostante la sceneggiatura dei Coen.
Italiano medio
Reazione a caldo: dritto pe' dritto!
Bolla, rifletti!: Eccolo, IL film della settimana. Amo Maccio e la sua ghenga dai tempi dei geniali trailer di L'uomo che usciva la gente, Il terzo scemo e La febbra, mi ha conquistata ulteriormente con Mariottide e Padre maronno per poi annientarmi definitivamente con La villa di lato e Mario. Non posso esimermi dall'amarlo anche sul grande schermo!
Una notte al museo 3 - Il segreto del faraone
Reazione a caldo: amechemenefregamme!
Bolla, rifletti!: Con tutto il rispetto per il compianto Robin Williams ma non ho visto nemmeno i primi due, non amo molto la franchise. Lascio tranquillamente andare i fan.
Al cinema d'élite contrastano l'ignoranza Macciana con l'unico biopic che guarderei volentieri...
Turner
Reazione a caldo: amechemenef... dritto pe' dritto!!!
Bolla, rifletti!: Amo l'arte, amo Turner, amo Timothy Spall, chi ha visto questo film ne è rimasto folgorato e io non vedo l'ora di fare altrettanto!!
Unbroken
Reazione a caldo: amechemenefregamme!
Bolla, rifletti!: Film che andrei a vedere solo per Finn "Dandy" Wittrock di American Horror Story ma visto che la sua presenza sullo schermo si ridurrà a 20 minuti scarsi contro due ore e fischia di ennesimo biopic, peraltro diretto da Angelina Jolie, salto a pié pari anche nonostante la sceneggiatura dei Coen.
Italiano medio
Reazione a caldo: dritto pe' dritto!
Bolla, rifletti!: Eccolo, IL film della settimana. Amo Maccio e la sua ghenga dai tempi dei geniali trailer di L'uomo che usciva la gente, Il terzo scemo e La febbra, mi ha conquistata ulteriormente con Mariottide e Padre maronno per poi annientarmi definitivamente con La villa di lato e Mario. Non posso esimermi dall'amarlo anche sul grande schermo!
Una notte al museo 3 - Il segreto del faraone
Reazione a caldo: amechemenefregamme!
Bolla, rifletti!: Con tutto il rispetto per il compianto Robin Williams ma non ho visto nemmeno i primi due, non amo molto la franchise. Lascio tranquillamente andare i fan.
Al cinema d'élite contrastano l'ignoranza Macciana con l'unico biopic che guarderei volentieri...
Turner
Reazione a caldo: amechemenef... dritto pe' dritto!!!
Bolla, rifletti!: Amo l'arte, amo Turner, amo Timothy Spall, chi ha visto questo film ne è rimasto folgorato e io non vedo l'ora di fare altrettanto!!
mercoledì 28 gennaio 2015
Still Alice (2014)
Dopo la tamarreide torniamo in territorio Oscar con Still Alice, diretto e co-sceneggiato nel 2014 dai registi Richard Glatzer e Wash Westmoreland, tratto dal romanzo Perdersi di Lisa Genova e candidato a un premio Oscar per Julianne Moore come miglior attrice protagonista.
Trama: Alice Howland è una stimata linguista a cui un giorno viene diagnosticata una forma di Alzheimer precoce. Nonostante i ricordi e la percezione di sé stessa e della propria famiglia comincino a scivolare via a poco a poco, la donna cerca in qualche modo di affrontare la malattia...
L'Academy, si sa, adora i malati. Adora le storie strappalacrime, le storie vere di americani che "ce l'hanno fatta" o che possano fungere da esempio per le masse, raccontando vicende edificanti o strazianti, dove il pedale della lacrima facile e del dramma patinato è talmente tanto pigiato che spesso la macchina si sfonda prima di arrivare a fine corsa. Non deve stupire, dunque, che Julianne Moore abbia praticamente in mano la statuetta di miglior attrice protagonista e purtroppo, nonostante il mio tifo continui ad andare spudoratamente verso Rosamund Pike, non troverei motivo alcuno per dare torto all'Academy. Still Alice, infatti, E' Julianne Moore. L'intera pellicola ruota attorno alla figura di Alice, donna di mezza età, intelligente e bella, ammalatasi di Alzheimer precoce; il percorso inevitabile che porterà la protagonista da signora sicura di sé ed ammirata a vegetale privo di ricordi ed incapace di focalizzare ciò che la circonda è graduale, filtrato attraverso i gesti, gli sguardi e le parole di un'attrice che, per fortuna, non cerca né la pietà del pubblico né i fiumi di lacrime che mi sarei aspettata di versare (cosa che non è avvenuta) ma tenta piuttosto di trasmettere l'angoscia di una condizione terribile, di un "inferno sulla terra", di un lento deterioramento che la protagonista avverte come qualcosa di tangibile, che la viola nel profondo. La battaglia contro l'Alzheimer mostrata nel film non diventa un inno alla ricerca di cure alternative o una campagna sui diritti delle persone malate ma mantiene una dimensione interamente personale e non contempla né eroi né scienziati in grado di salvare Alice; il destino della protagonista è segnato fin dall'inizio e a noi non resta che testimoniare, impotenti, al cambiamento fisico e psicologico incarnato alla perfezione da Julianne Moore, mentre il montaggio della pellicola si fa sempre più frammentato e le immagini sempre più evanescenti. Questi sono i lati positivi di Still Alice... eppure, attrice protagonista a parte, il film non mi ha né emozionata né particolarmente soddisfatta.
L'incredibile, ingenuo difetto di Still Alice, infatti, è la mancanza di personaggi secondari e attori capaci di "smussare" l'indubbio carisma della protagonista e fornire un'amalgama di sensazioni e punti di vista in grado di stordire emotivamente lo spettatore. Fin dalla prima inquadratura della famiglia riunita a un tavolo, fin dalle prime parole dei convenuti, si avverte già una terribile sensazione di dejà vu e pare di vedere spuntare sulla fronte degli attori delle etichette indelebili: marito comprensivo fino a un certo punto ma comunque assente, figlio buono ma inutile, figlia approfittatrice che sarà simpatica e disponibile finché le cose andranno bene ma quando la merda colpirà il ventilatore scapperà finché le andranno le gambe, figlia scapestrata che per amore di mammà si rivelerà la persona migliore di tutte. Non c'è un minuto di incertezza in Still Alice, né c'è la possibilità di empatizzare con personaggi che incarnano ogni cliché del genere e che sono di conseguenza interpretati da attori mediocri ma perfetti per la parte, come per esempio Kristen Stewart che, nei panni della scazzatona ribelle con velleità attoriali, calza i panni di Lydia come se avesse addosso un guanto e risulta così molto meno irritante del solito. Altro punto dolente, l'irreale momento "thriller" con tanto di messaggio dal passato che, se da un lato vuole testimoniare l'eccezionale intelligenza di Alice, dall'altro risulta anche troppo stiracchiato e non porta ad alcuna riflessione costruttiva sul disagio che una malattia come l'Alzheimer provoca non solo a chi ne è affetto ma anche a chi ha la sfortuna di essere sano e vedere la persona amata diventare un'estranea priva di ricordi, una tabula rasa che si "limita" a respirare e vivere l'attimo senza fare tesoro di alcuna esperienza. Sono convinta che un argomento simile meritasse un approccio più coraggioso e più lontano dal melodramma, qualcosa che portasse lo spettatore a porsi domande difficili e a mettere in discussione sé stesso e il suo rapporto con la famiglia e la società; realizzato così, mi spiace dire che Still Alice rischia di essere per molti spettatori (me compresa) soltanto un freddo esercizio di bravura attoriale.
Di Julianne Moore (Alice Howland), Alec Baldwin (John Howland) e Kristen Stewart (Lydia Howland) ho già parlato ai rispettivi link.
Richard Glatzer è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, affetto da SLA, ha diretto film che non avevo mai sentito nominare, come Fluffer e Quinceañera. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 63 anni.
Wash Westmoreland è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Fluffer e Quinceañera. Anche aiuto regista, sceneggiatore, produttore e attore, ha 48 anni.
Kate Bosworth (vero nome Catherine Anne Bosworth) interpreta Anna Howland-Jones. Americana, ha partecipato a film come Le regole dell'attrazione, Superman Returns e Comic Movie. Anche produttrice, ha 31 anni e cinque film in uscita.
Nonostante la Moore sia candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista pare che il ruolo di Alice fosse stato offerto prima a Michelle Pfeiffer, Julia Roberts e Nicole Kidman, che hanno tutte rifiutato. Detto questo, se Still Alice vi fosse piaciuto recuperate La teoria del tutto. ENJOY!
Trama: Alice Howland è una stimata linguista a cui un giorno viene diagnosticata una forma di Alzheimer precoce. Nonostante i ricordi e la percezione di sé stessa e della propria famiglia comincino a scivolare via a poco a poco, la donna cerca in qualche modo di affrontare la malattia...
L'Academy, si sa, adora i malati. Adora le storie strappalacrime, le storie vere di americani che "ce l'hanno fatta" o che possano fungere da esempio per le masse, raccontando vicende edificanti o strazianti, dove il pedale della lacrima facile e del dramma patinato è talmente tanto pigiato che spesso la macchina si sfonda prima di arrivare a fine corsa. Non deve stupire, dunque, che Julianne Moore abbia praticamente in mano la statuetta di miglior attrice protagonista e purtroppo, nonostante il mio tifo continui ad andare spudoratamente verso Rosamund Pike, non troverei motivo alcuno per dare torto all'Academy. Still Alice, infatti, E' Julianne Moore. L'intera pellicola ruota attorno alla figura di Alice, donna di mezza età, intelligente e bella, ammalatasi di Alzheimer precoce; il percorso inevitabile che porterà la protagonista da signora sicura di sé ed ammirata a vegetale privo di ricordi ed incapace di focalizzare ciò che la circonda è graduale, filtrato attraverso i gesti, gli sguardi e le parole di un'attrice che, per fortuna, non cerca né la pietà del pubblico né i fiumi di lacrime che mi sarei aspettata di versare (cosa che non è avvenuta) ma tenta piuttosto di trasmettere l'angoscia di una condizione terribile, di un "inferno sulla terra", di un lento deterioramento che la protagonista avverte come qualcosa di tangibile, che la viola nel profondo. La battaglia contro l'Alzheimer mostrata nel film non diventa un inno alla ricerca di cure alternative o una campagna sui diritti delle persone malate ma mantiene una dimensione interamente personale e non contempla né eroi né scienziati in grado di salvare Alice; il destino della protagonista è segnato fin dall'inizio e a noi non resta che testimoniare, impotenti, al cambiamento fisico e psicologico incarnato alla perfezione da Julianne Moore, mentre il montaggio della pellicola si fa sempre più frammentato e le immagini sempre più evanescenti. Questi sono i lati positivi di Still Alice... eppure, attrice protagonista a parte, il film non mi ha né emozionata né particolarmente soddisfatta.
L'incredibile, ingenuo difetto di Still Alice, infatti, è la mancanza di personaggi secondari e attori capaci di "smussare" l'indubbio carisma della protagonista e fornire un'amalgama di sensazioni e punti di vista in grado di stordire emotivamente lo spettatore. Fin dalla prima inquadratura della famiglia riunita a un tavolo, fin dalle prime parole dei convenuti, si avverte già una terribile sensazione di dejà vu e pare di vedere spuntare sulla fronte degli attori delle etichette indelebili: marito comprensivo fino a un certo punto ma comunque assente, figlio buono ma inutile, figlia approfittatrice che sarà simpatica e disponibile finché le cose andranno bene ma quando la merda colpirà il ventilatore scapperà finché le andranno le gambe, figlia scapestrata che per amore di mammà si rivelerà la persona migliore di tutte. Non c'è un minuto di incertezza in Still Alice, né c'è la possibilità di empatizzare con personaggi che incarnano ogni cliché del genere e che sono di conseguenza interpretati da attori mediocri ma perfetti per la parte, come per esempio Kristen Stewart che, nei panni della scazzatona ribelle con velleità attoriali, calza i panni di Lydia come se avesse addosso un guanto e risulta così molto meno irritante del solito. Altro punto dolente, l'irreale momento "thriller" con tanto di messaggio dal passato che, se da un lato vuole testimoniare l'eccezionale intelligenza di Alice, dall'altro risulta anche troppo stiracchiato e non porta ad alcuna riflessione costruttiva sul disagio che una malattia come l'Alzheimer provoca non solo a chi ne è affetto ma anche a chi ha la sfortuna di essere sano e vedere la persona amata diventare un'estranea priva di ricordi, una tabula rasa che si "limita" a respirare e vivere l'attimo senza fare tesoro di alcuna esperienza. Sono convinta che un argomento simile meritasse un approccio più coraggioso e più lontano dal melodramma, qualcosa che portasse lo spettatore a porsi domande difficili e a mettere in discussione sé stesso e il suo rapporto con la famiglia e la società; realizzato così, mi spiace dire che Still Alice rischia di essere per molti spettatori (me compresa) soltanto un freddo esercizio di bravura attoriale.
Di Julianne Moore (Alice Howland), Alec Baldwin (John Howland) e Kristen Stewart (Lydia Howland) ho già parlato ai rispettivi link.
Richard Glatzer è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, affetto da SLA, ha diretto film che non avevo mai sentito nominare, come Fluffer e Quinceañera. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 63 anni.
Wash Westmoreland è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Fluffer e Quinceañera. Anche aiuto regista, sceneggiatore, produttore e attore, ha 48 anni.
Kate Bosworth (vero nome Catherine Anne Bosworth) interpreta Anna Howland-Jones. Americana, ha partecipato a film come Le regole dell'attrazione, Superman Returns e Comic Movie. Anche produttrice, ha 31 anni e cinque film in uscita.
Nonostante la Moore sia candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista pare che il ruolo di Alice fosse stato offerto prima a Michelle Pfeiffer, Julia Roberts e Nicole Kidman, che hanno tutte rifiutato. Detto questo, se Still Alice vi fosse piaciuto recuperate La teoria del tutto. ENJOY!
martedì 27 gennaio 2015
John Wick (2014)
Sì, lo sappiamo ormai tutti che gennaio è il periodo in cui si fanno i compiti pre-Oscar. Ma vorremmo dimenticarci della tamarreide? Giammai! In soccorso ai miei occhi ormai sopraffatti da seriosi biopic ecco arrivare John Wick, diretto nel 2014 dai registi Chad Stahelski e David Leitch.
Trama: John Wick è un superkiller ritiratosi per amore della moglie. Quando la donna muore per una malattia il poveraccio si vede recapitare il suo ultimo regalo, un cagnolino, accompagnato da un biglietto in cui gli viene chiesto di non dimenticare come si ama. John si profonde in cure per l'animaletto ma il figlio di un boss un giorno decide di rubargli la macchina e ammazzargli il cane, scatenando così il killer sopito...
Scendi il cane che lo sparo. Così potrebbe venir sintetizzato John Wick, adrenalinico sparatutto/picchiaduro dove un Keanu Reeves praticamente invincibile ed inarrestabile fa fuori mezzo sottobosco criminale per vendicare un cagnolino, "l'unico essere ad avergli dato la speranza che non avrebbe più vissuto in solitudine. E invece voi me l'avete ammazzato" (cit. a braccio). Il film di Stahelski e Leitch (due stuntman, non a caso) è un sereno, invidiabile ritorno all'ignorantissimo ed esagerato action anni '80 dove non importano tanto le motivazioni che spingono i protagonisti all'azione, quanto piuttosto il body count e i modi più o meno fantasiosi con cui vengono puniti i malvagi, possibilmente stranieri e cattivissimi. John Wick combatte, solitario o quasi, uno stuolo di anonimi sgherri russi per arrivare al figlio del boss Viggo (il non carpatico, ahimé), strisciando silenzioso e sanguinolento nel sottobosco criminale di una New York da videogioco dove, diciamolo, sono molto più interessanti i luoghi nascosti, i riti segreti degli assassini e le loro facce che la storia del protagonista in sé; John è conosciuto da tutti, paga in sesterzi d'oro per avere servizi di lavanderia o medicali a cinque stelle, entra in alberghi dove vigono terribili regole non scritte e viene seguito da angeli dall'aspetto demoniaco e dalla mira infallibile che meriterebbero molto più del poco tempo che viene loro concesso. L'uomo nero, o Baba Yaga se preferite, non batte ciglio e non spreca nemmeno una battutina ironica ma continua, implacabile, il suo regolarissimo cammino di vendetta, scrollandosi di dosso pallottole e tentativi di omicidio come farebbe un'anatra con l'acqua, lasciando lo spettatore preda dell'applauso compulsivo, ad omaggiare cotanto sanguinoso aplomb (e anche a chiedersi perché mai il buon Viggo a inizio film venga rappresentato come un criminale ragionevole mentre alla fine diventa una povera macchietta. Ma non stiamo a sottilizzare.)
Keanu Reeves a cinquant'anni è ancora un figo, c'è poco da fare, e ha trovato la sua dimensione, quella di silenziosa macchina per uccidere che, a differenza dei massicci e ormai artritici Stallone e Schwarzenegger (con tutto il rispetto e l'amore di questo mondo, eh. Vi voglio bene come a due nonni!) può ancora permettersi il lusso di profondersi in fulminee mosse di judo per accompagnare le inevitabili sparatorie ed esplosioni. Il cast di supporto è altrettanto valido, soprattutto i caratteristi che, come accennavo sopra, sono quasi più interessanti del personaggio titolare: Willem Dafoe è ambiguo come giustamente gli si confà e Ian McShane è un elegantissimo e luciferino gentiluomo, entrambi si muovono come se fossero nati per quei ruoli. Nyqvist per un po' sta al gioco e apporta anche una certa dignità al banale personaggio di boss russo in cui è costretto ma poi sbraga e gigioneggia in quel modo esagerato che può venir concesso solo a Christoph Waltz quando è in buona, mentre Leguizamo, poverino, ormai non si può nemmeno più definire comparsa di lusso, visto che compare e scompare quasi senza che lo spettatore se ne accorga. A completare l'operazione tamarreide (nobilitata, va detto, da ironici tocchi di classe quasi britannica che vengono racchiusi quasi interamente all'interno dell'Hotel Continental) ci pensa una colonna sonora "cattivissima" in cui spicca il redivivo Reverendo Manson e che esplode nelle cafonissime sequenze ambientate "in da club", dove i reparti luci, stuntman, armi e montaggio danno decisamente il bianco, annichilendo lo spettatore e lasciandolo basito sulla poltrona, felice come un bambino che fa saltare in aria dei soldatini. Quindi, che diamine aspettate ad andare a vedere questo goduriosissimo John Wick? Che tornino gli anni '80 a tirarvi dei coppini sulla nuca?
Di Keanu Reeves (John Wick), Michael Nyqvist (Viggo Tarasov), Willem Dafoe (Marcus), John Leguizamo (Aureilo) e Ian McShane (Winston) ho già parlato ai rispettivi link.
Chad Stahelski (vero nome Charles F. Stahelski) è il regista della pellicola (aiutato da un David Leitch non accreditato per motivi sindacali e riportato come produttore). Americano, soprattutto stuntman, assistente alla regia, attore e produttore, ha 47 anni ed è al suo primo e finora unico film.
Alfie Allen, che interpreta Iosef Tarasov, ha partecipato coi capelli castani alla serie Il trono di spade nei panni di Theon Greyjoy mentre Lance Reddick, ovvero il receptionist dell'hotel, è stato un favoloso Papa Legba nella terza serie di American Horror Story. Non accreditato, da qualche parte, dovrebbe esserci anche quel figone di Jason Isaacs, riportato su parecchi siti come "David" ma a me non è parso di averlo visto quindi temo che il suo personaggio sia stato in qualche modo tagliato in fase di montaggio. Detto questo, se John Wick vi fosse piaciuto recuperate Payback - La rivincita di Porter, The Equalizer e, salendo di qualità allontanandoci dalla tamarreide, Kill Bill, Oldboy e I Saw the Devil. ENJOY!
Trama: John Wick è un superkiller ritiratosi per amore della moglie. Quando la donna muore per una malattia il poveraccio si vede recapitare il suo ultimo regalo, un cagnolino, accompagnato da un biglietto in cui gli viene chiesto di non dimenticare come si ama. John si profonde in cure per l'animaletto ma il figlio di un boss un giorno decide di rubargli la macchina e ammazzargli il cane, scatenando così il killer sopito...
Scendi il cane che lo sparo. Così potrebbe venir sintetizzato John Wick, adrenalinico sparatutto/picchiaduro dove un Keanu Reeves praticamente invincibile ed inarrestabile fa fuori mezzo sottobosco criminale per vendicare un cagnolino, "l'unico essere ad avergli dato la speranza che non avrebbe più vissuto in solitudine. E invece voi me l'avete ammazzato" (cit. a braccio). Il film di Stahelski e Leitch (due stuntman, non a caso) è un sereno, invidiabile ritorno all'ignorantissimo ed esagerato action anni '80 dove non importano tanto le motivazioni che spingono i protagonisti all'azione, quanto piuttosto il body count e i modi più o meno fantasiosi con cui vengono puniti i malvagi, possibilmente stranieri e cattivissimi. John Wick combatte, solitario o quasi, uno stuolo di anonimi sgherri russi per arrivare al figlio del boss Viggo (il non carpatico, ahimé), strisciando silenzioso e sanguinolento nel sottobosco criminale di una New York da videogioco dove, diciamolo, sono molto più interessanti i luoghi nascosti, i riti segreti degli assassini e le loro facce che la storia del protagonista in sé; John è conosciuto da tutti, paga in sesterzi d'oro per avere servizi di lavanderia o medicali a cinque stelle, entra in alberghi dove vigono terribili regole non scritte e viene seguito da angeli dall'aspetto demoniaco e dalla mira infallibile che meriterebbero molto più del poco tempo che viene loro concesso. L'uomo nero, o Baba Yaga se preferite, non batte ciglio e non spreca nemmeno una battutina ironica ma continua, implacabile, il suo regolarissimo cammino di vendetta, scrollandosi di dosso pallottole e tentativi di omicidio come farebbe un'anatra con l'acqua, lasciando lo spettatore preda dell'applauso compulsivo, ad omaggiare cotanto sanguinoso aplomb (e anche a chiedersi perché mai il buon Viggo a inizio film venga rappresentato come un criminale ragionevole mentre alla fine diventa una povera macchietta. Ma non stiamo a sottilizzare.)
Keanu Reeves a cinquant'anni è ancora un figo, c'è poco da fare, e ha trovato la sua dimensione, quella di silenziosa macchina per uccidere che, a differenza dei massicci e ormai artritici Stallone e Schwarzenegger (con tutto il rispetto e l'amore di questo mondo, eh. Vi voglio bene come a due nonni!) può ancora permettersi il lusso di profondersi in fulminee mosse di judo per accompagnare le inevitabili sparatorie ed esplosioni. Il cast di supporto è altrettanto valido, soprattutto i caratteristi che, come accennavo sopra, sono quasi più interessanti del personaggio titolare: Willem Dafoe è ambiguo come giustamente gli si confà e Ian McShane è un elegantissimo e luciferino gentiluomo, entrambi si muovono come se fossero nati per quei ruoli. Nyqvist per un po' sta al gioco e apporta anche una certa dignità al banale personaggio di boss russo in cui è costretto ma poi sbraga e gigioneggia in quel modo esagerato che può venir concesso solo a Christoph Waltz quando è in buona, mentre Leguizamo, poverino, ormai non si può nemmeno più definire comparsa di lusso, visto che compare e scompare quasi senza che lo spettatore se ne accorga. A completare l'operazione tamarreide (nobilitata, va detto, da ironici tocchi di classe quasi britannica che vengono racchiusi quasi interamente all'interno dell'Hotel Continental) ci pensa una colonna sonora "cattivissima" in cui spicca il redivivo Reverendo Manson e che esplode nelle cafonissime sequenze ambientate "in da club", dove i reparti luci, stuntman, armi e montaggio danno decisamente il bianco, annichilendo lo spettatore e lasciandolo basito sulla poltrona, felice come un bambino che fa saltare in aria dei soldatini. Quindi, che diamine aspettate ad andare a vedere questo goduriosissimo John Wick? Che tornino gli anni '80 a tirarvi dei coppini sulla nuca?
Di Keanu Reeves (John Wick), Michael Nyqvist (Viggo Tarasov), Willem Dafoe (Marcus), John Leguizamo (Aureilo) e Ian McShane (Winston) ho già parlato ai rispettivi link.
Chad Stahelski (vero nome Charles F. Stahelski) è il regista della pellicola (aiutato da un David Leitch non accreditato per motivi sindacali e riportato come produttore). Americano, soprattutto stuntman, assistente alla regia, attore e produttore, ha 47 anni ed è al suo primo e finora unico film.
Stessa espressione mia alla fine di John Wick! :D |
domenica 25 gennaio 2015
Starry Eyes (2014)
Tornando ai recuperi horror del 2014 tocca oggi al particolare Starry Eyes, diretto e sceneggiato proprio l'anno scorso dai registi Kevin Kolsch e Dennis Widmyer.
Trama: un'attricetta di belle speranze viene notata durante un'audizione a cui seguono però prove sempre più degradanti e folli...
Gli occhi, si dice, sono lo specchio dell'anima. E gli occhi di chi vorrebbe a tutti i costi entrare nel mondo glamour del cinema sono colmi di stelle, le stesse che decorano la famosa Hall of Fame, le stesse che abbagliano ingannevoli con la loro luminosa freddezza rispecchiando un'altrettanto fredda ambizione. Lo sa bene la protagonista di Starry Eyes, Sarah, divorata da un desiderio di successo talmente forte e piegata da una frustrazione talmente grande da portarla ad auto-punirsi per ogni audizione andata male. Gli scatti d'ira di Sarah, benché rivolti verso i suoi capelli, rivelano un indescrivibile odio verso tutto quello che la circonda, come il suo lavoro e, soprattutto, i suoi amici. Voglio dire, quelli li odierei anche io: ficcanaso, molli, fighètti, convinti anche loro di poter diventare qualcuno solo perché riescono a scrivere due sceneggiature o a tenere in mano una videocamera e pronti a farti le scarpe o a prenderti in giro per ogni inezia. Ma Sarah non è migliore, è solo che i due sceneggiatori ci presentano la storia dal suo punto di vista e allora siamo costretti ad empatizzare un minimo per lei almeno finché la protagonista, sentendosi tradita dagli amici, dal mondo e dall'universo intero, getta alle ortiche ogni briciolo di dignità seguendo la chimera di un successo facile nonostante tutto all'interno della casa di produzione Asterus urli "PERICOLO!" fin dal primo momento. E' una scelta consapevole quella di Sarah, dettata dalla disperazione e da un senso di vergogna per essere una fallita agli occhi degli altri (in questo mondo d'apparenza che l'horror non sembra mai pago, giustamente, di distruggere) ed è una scelta che la porterà ad esternare tutto il marciume che si porta dentro prima di brillare, ingannevole e perfetta, come le stelle di cui parlavo all'inizio.
Starry Eyes è un film angosciante ed angoscioso (e i liguri capiranno la sottile differenza), talvolta poco originale per i temi che tratta e anche troppo didascalico e telefonato, soprattutto per i cultori dell'horror, ma è anche molto affascinante per quel che riguarda le immagini e la musica. Kolsch e Widmyer se la prendono con calma, costruiscono la tensione e danno corpo al personaggio di Sarah con una prima parte lenta, piena di immagini emblematiche e rimandi al glorioso passato del Cinema glamour, poi affondano la lama nello stomaco dello spettatore sconfinando sereni e spietati nel territorio del body horror zeppo di sangue, sporco e decadenza fisica. Prima ancora della macellata che prelude al finale sono le scene che vedono Sarah come unica protagonista a disturbare, a stridere quasi con una prima parte realizzata sul filo dell'allucinazione, dove l'inquietante musica di un carillon sfuma spesso e volentieri in melodie elettroniche anni '80, dal sapore Fulciano, e con la conclusione pulita e raffinata, il malefico trionfo dell'apparenza. Validissimi tutti gli attori coinvolti, a partire dalla protagonista Alex Essoe che, se dobbiamo dare retta alle leggende metropolitane che girano in rete, ha messo letteralmente corpo ed anima a servizio della sceneggiatura, sopportando anche esigenze di copione parecchio disgustose, e sempre gradita la comparsa di Pat Healy, nume tutelare delle produzioni indipendenti più recenti. E, come mi ritrovo sempre più spesso a dire in questi ultimi tempi, Dio benedica il cinema indipendente, che riesce a reinventare anche il più banale dei cliché. Starry Eyes è dunque un film che consiglio soprattutto agli amanti di un certo tipo di horror nostalgico, più concentrato sull'analisi psicologica dei personaggi che sullo spavento fine a sé stesso... ma non lasciatevi ingannare come Sarah, la pellicola non è affatto adatta ai deboli di stomaco!
Di Pat Healy, che interpreta Carl, ho già parlato QUI.
Kevin Kolsch e Dennis Widmyer sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Entrambi anche produttori, hanno diretto il film Absence.
Due parole due sui giovani attori che compaiono nella pellicola: Amanda Fuller (Tracy) aveva già partecipato a Cheap Thrills, Fabianne Therese (Erin) era nel cast di John Dies at the End mentre Nick Simmons (Ginko) è il figlio di Gene Simmons dei KISS. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto magari recuperate Society di Brian Yuzna. ENJOY!
Trama: un'attricetta di belle speranze viene notata durante un'audizione a cui seguono però prove sempre più degradanti e folli...
Gli occhi, si dice, sono lo specchio dell'anima. E gli occhi di chi vorrebbe a tutti i costi entrare nel mondo glamour del cinema sono colmi di stelle, le stesse che decorano la famosa Hall of Fame, le stesse che abbagliano ingannevoli con la loro luminosa freddezza rispecchiando un'altrettanto fredda ambizione. Lo sa bene la protagonista di Starry Eyes, Sarah, divorata da un desiderio di successo talmente forte e piegata da una frustrazione talmente grande da portarla ad auto-punirsi per ogni audizione andata male. Gli scatti d'ira di Sarah, benché rivolti verso i suoi capelli, rivelano un indescrivibile odio verso tutto quello che la circonda, come il suo lavoro e, soprattutto, i suoi amici. Voglio dire, quelli li odierei anche io: ficcanaso, molli, fighètti, convinti anche loro di poter diventare qualcuno solo perché riescono a scrivere due sceneggiature o a tenere in mano una videocamera e pronti a farti le scarpe o a prenderti in giro per ogni inezia. Ma Sarah non è migliore, è solo che i due sceneggiatori ci presentano la storia dal suo punto di vista e allora siamo costretti ad empatizzare un minimo per lei almeno finché la protagonista, sentendosi tradita dagli amici, dal mondo e dall'universo intero, getta alle ortiche ogni briciolo di dignità seguendo la chimera di un successo facile nonostante tutto all'interno della casa di produzione Asterus urli "PERICOLO!" fin dal primo momento. E' una scelta consapevole quella di Sarah, dettata dalla disperazione e da un senso di vergogna per essere una fallita agli occhi degli altri (in questo mondo d'apparenza che l'horror non sembra mai pago, giustamente, di distruggere) ed è una scelta che la porterà ad esternare tutto il marciume che si porta dentro prima di brillare, ingannevole e perfetta, come le stelle di cui parlavo all'inizio.
Starry Eyes è un film angosciante ed angoscioso (e i liguri capiranno la sottile differenza), talvolta poco originale per i temi che tratta e anche troppo didascalico e telefonato, soprattutto per i cultori dell'horror, ma è anche molto affascinante per quel che riguarda le immagini e la musica. Kolsch e Widmyer se la prendono con calma, costruiscono la tensione e danno corpo al personaggio di Sarah con una prima parte lenta, piena di immagini emblematiche e rimandi al glorioso passato del Cinema glamour, poi affondano la lama nello stomaco dello spettatore sconfinando sereni e spietati nel territorio del body horror zeppo di sangue, sporco e decadenza fisica. Prima ancora della macellata che prelude al finale sono le scene che vedono Sarah come unica protagonista a disturbare, a stridere quasi con una prima parte realizzata sul filo dell'allucinazione, dove l'inquietante musica di un carillon sfuma spesso e volentieri in melodie elettroniche anni '80, dal sapore Fulciano, e con la conclusione pulita e raffinata, il malefico trionfo dell'apparenza. Validissimi tutti gli attori coinvolti, a partire dalla protagonista Alex Essoe che, se dobbiamo dare retta alle leggende metropolitane che girano in rete, ha messo letteralmente corpo ed anima a servizio della sceneggiatura, sopportando anche esigenze di copione parecchio disgustose, e sempre gradita la comparsa di Pat Healy, nume tutelare delle produzioni indipendenti più recenti. E, come mi ritrovo sempre più spesso a dire in questi ultimi tempi, Dio benedica il cinema indipendente, che riesce a reinventare anche il più banale dei cliché. Starry Eyes è dunque un film che consiglio soprattutto agli amanti di un certo tipo di horror nostalgico, più concentrato sull'analisi psicologica dei personaggi che sullo spavento fine a sé stesso... ma non lasciatevi ingannare come Sarah, la pellicola non è affatto adatta ai deboli di stomaco!
Di Pat Healy, che interpreta Carl, ho già parlato QUI.
Kevin Kolsch e Dennis Widmyer sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Entrambi anche produttori, hanno diretto il film Absence.
Due parole due sui giovani attori che compaiono nella pellicola: Amanda Fuller (Tracy) aveva già partecipato a Cheap Thrills, Fabianne Therese (Erin) era nel cast di John Dies at the End mentre Nick Simmons (Ginko) è il figlio di Gene Simmons dei KISS. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto magari recuperate Society di Brian Yuzna. ENJOY!
venerdì 23 gennaio 2015
American Sniper (2014)
Prosegue il recupero dei film candidati all'Oscar per qualsivoglia motivo e oggi tocca ad American Sniper, ancora nelle sale italiane, diretto nel 2014 da Clint Eastwood partendo dall'omonima autobiografia di Chris Kyle e candidato a sei premi Oscar: Miglior Film, Bradley Cooper miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior montaggio, Miglior montaggio sonoro e Miglior sonoro.
Trama: Chris Kyle, nativo del Texas e abile col fucile, decide di arruolarsi nei Navy Seals per proteggere la patria. Mandato quattro volte in Iraq, ucciderà più di 160 persone e verrà riconosciuto come "La leggenda".
Quello che mi ha frenata a lungo dal vedere American Sniper è il mio fondamentale disinteresse per i film a sfondo militare, soprattutto se biografici, che, per quanto ben diretti e ben recitati, finiscono quasi sempre per diventare nel mio cervello un'accozzaglia di nomi e facce tutti uguali. Le uniche eccezioni finora sono state Full Metal Jacket e La sottile linea rossa ma qui si sta parlando di capolavori; American Sniper, visto dopo essermi lasciata convincere dalla bella (non) recensione di Lucia, film solidissimo, che tiene il ritmo per più di due ore senza mai annoiare lo spettatore, a tratti emozionante, non è un capolavoro ma è comunque abbastanza "universale" da farsi apprezzare anche da chi schifa il genere come la sottoscritta. E, cosa ancora più importante, non è l'apologia guerrafondaia che mi aspettavo, anzi. Il vecchio Clint colpisce allo stomaco e alle gonadi chiunque abbia una vaga velleità di partire verso luoghi lontani ed immolarsi per la patria, mostrando la guerra in tutta la sua orribile, sanguinaria e crudele inutilità con poche sequenze che mi hanno annientata e filtrandola attraverso lo sguardo di un uomo che a definirlo ottuso gli si farebbe un complimento. Chris Kyle è L'Eroe americano, l'incarnazione stessa della Mamma e della Torta di Mele, il Cane da Pastore che difende le povere pecorelle d'oltreoceano dai lupi selvaggi, va bene. Tutti lo venerano, tutti lo elevano ad esempio, in suo nome sono stati costruiti stadi e sventolate bandiere, va benissimo. Clint Eastwood e Bradley Cooper però preferiscono porre l'accento sul fatto che dietro l'Eroe c'è in realtà un cowboy ignorantissimo cresciuto a rodei, birra e luoghi comuni, dalle ristrettissime vedute, un uomo incapace di vivere una vita normale (nonostante voglia la moglie fedele, in perenne attesa del suo ritorno, da ingravidare ad ogni ritorno in patria per poi mollarla assieme ai pargoli con la scusa "combatto per difenderti") che si sente vivo e utile solo in mezzo a conflitti armati lontani e mostra un briciolo di umanità solamente in presenza dei suoi "simili", disadattati e condizionati quanto lui.
Il punto di vista di Eastwood è quello di Taya, che cerca per tutto il film di far capire a Chris che oltre alla guerra "universale" c'è anche una realtà più "personale" da proteggere, è quello del fratello di Chris che dice "si fotta questo posto", intendendo l'Iraq e più in generale ogni luogo del pianeta dove infuriano guerre assurde mentre ci sarebbe modo di rendersi utili anche a casa. Non è un punto di vista che manca di rispetto a chi combatte e muore in battaglia, intendiamoci, ma è sicuramente un punto di vista che condanna chi, all'urlo di "boia chi molla", non riesce a guardare oltre la guerra, che la usa come scusa per non vivere e che non è più in grado di scindere i bisogni personali dal servizio alla Nazione, diventando così un povero alienato non tanto diverso dai "selvaggi" che è andato a combattere. Bradley Cooper in questo caso è perfetto nel dipingere un uomo saldo nei suoi principi ma vuoto, privo di emozioni che non siano la paura e la rabbia, che perde un pezzo della sua umanità ad ogni viaggio in Iraq; la sequenza in cui viene ringraziato da un soldato davanti al figlio è da antologia in questo senso, perché Cooper non spiccica altro che un paio di versi inarticolati e carichi di tensione nervosa, concretizzata in un tiratissimo sorriso verso il bambino mentre gli occhi evitano di guardare direttamente l'interlocutore, ma questo è solo uno dei tanti momenti in cui l'attore diventa tutt'uno con un personaggio per certi versi scomodo. Quanto a Clint, beh, Clint è un signore. L'unico vero scivolone è riscontrabile nello scontro tra cecchini, simile ad un videogioco, per il resto il vecchio Eastwood confeziona un film che non concede nulla alle mode attuali, lento nell'esecuzione ma serrato nel ritmo, con immagini nitide anche nelle scene d'azione, tocchi di leggerezza che lasciano il posto a sequenze difficili da sopportare, una fotografia che rimane splendida in ogni condizione, persino al buio o durante una tempesta di sabbia. E chissenefrega se le immagini di repertorio finali mi hanno strappato un incredulo sbuffo; superato l'inevitabile rigetto anche la conclusione di American Sniper diventa un altro tassello di una pellicola apparentemente ambigua ma, a mio avviso, fin troppo chiara in quelle che sono le sue intenzioni. Basta solo guardare il film con occhi scevri da pregiudizi e, magicamente, i pensieri di un Clint Eastwood in formissima diventeranno lapalissiani, quindi... non perdetevelo!
Del regista Clint Eastwood (che si può vedere brevemente nella scena iniziale in cui un giovanissimo Chris ruba la Bibbia in chiesa) ho già parlato QUI, Bradley Cooper (Chris Kyle) lo trovate invece QUA.
Sienna Miller (vero nome Sienna Rose Miller) interpreta Taya. Americana, ha partecipato a film come Casanova, Stardust e Foxcatcher. Ha 33 anni e sette film in uscita.
Bradley Cooper inizialmente intendeva solo produrre il film e lasciare a Chris Pratt il ruolo di Chris Kyle, poi ha cambiato idea; per quel che riguarda i registi, gli interessati a dirigere il progetto erano David O. Russel e Steven Spielberg, che hanno poi deciso di dedicarsi ad altro, mentre per la parte di Taya erano in lizza Jaimie Alexander, Kate Mara (che ha deciso di partecipare alla nuova versione de I fantastici quattro) ed Evangeline Lilly, che invece ha optato per Ant-Man. Detto questo, se American Sniper vi fosse piaciuto recuperate Zero Dark Thirty o Full Metal Jacket. ENJOY!
Trama: Chris Kyle, nativo del Texas e abile col fucile, decide di arruolarsi nei Navy Seals per proteggere la patria. Mandato quattro volte in Iraq, ucciderà più di 160 persone e verrà riconosciuto come "La leggenda".
Quello che mi ha frenata a lungo dal vedere American Sniper è il mio fondamentale disinteresse per i film a sfondo militare, soprattutto se biografici, che, per quanto ben diretti e ben recitati, finiscono quasi sempre per diventare nel mio cervello un'accozzaglia di nomi e facce tutti uguali. Le uniche eccezioni finora sono state Full Metal Jacket e La sottile linea rossa ma qui si sta parlando di capolavori; American Sniper, visto dopo essermi lasciata convincere dalla bella (non) recensione di Lucia, film solidissimo, che tiene il ritmo per più di due ore senza mai annoiare lo spettatore, a tratti emozionante, non è un capolavoro ma è comunque abbastanza "universale" da farsi apprezzare anche da chi schifa il genere come la sottoscritta. E, cosa ancora più importante, non è l'apologia guerrafondaia che mi aspettavo, anzi. Il vecchio Clint colpisce allo stomaco e alle gonadi chiunque abbia una vaga velleità di partire verso luoghi lontani ed immolarsi per la patria, mostrando la guerra in tutta la sua orribile, sanguinaria e crudele inutilità con poche sequenze che mi hanno annientata e filtrandola attraverso lo sguardo di un uomo che a definirlo ottuso gli si farebbe un complimento. Chris Kyle è L'Eroe americano, l'incarnazione stessa della Mamma e della Torta di Mele, il Cane da Pastore che difende le povere pecorelle d'oltreoceano dai lupi selvaggi, va bene. Tutti lo venerano, tutti lo elevano ad esempio, in suo nome sono stati costruiti stadi e sventolate bandiere, va benissimo. Clint Eastwood e Bradley Cooper però preferiscono porre l'accento sul fatto che dietro l'Eroe c'è in realtà un cowboy ignorantissimo cresciuto a rodei, birra e luoghi comuni, dalle ristrettissime vedute, un uomo incapace di vivere una vita normale (nonostante voglia la moglie fedele, in perenne attesa del suo ritorno, da ingravidare ad ogni ritorno in patria per poi mollarla assieme ai pargoli con la scusa "combatto per difenderti") che si sente vivo e utile solo in mezzo a conflitti armati lontani e mostra un briciolo di umanità solamente in presenza dei suoi "simili", disadattati e condizionati quanto lui.
Il punto di vista di Eastwood è quello di Taya, che cerca per tutto il film di far capire a Chris che oltre alla guerra "universale" c'è anche una realtà più "personale" da proteggere, è quello del fratello di Chris che dice "si fotta questo posto", intendendo l'Iraq e più in generale ogni luogo del pianeta dove infuriano guerre assurde mentre ci sarebbe modo di rendersi utili anche a casa. Non è un punto di vista che manca di rispetto a chi combatte e muore in battaglia, intendiamoci, ma è sicuramente un punto di vista che condanna chi, all'urlo di "boia chi molla", non riesce a guardare oltre la guerra, che la usa come scusa per non vivere e che non è più in grado di scindere i bisogni personali dal servizio alla Nazione, diventando così un povero alienato non tanto diverso dai "selvaggi" che è andato a combattere. Bradley Cooper in questo caso è perfetto nel dipingere un uomo saldo nei suoi principi ma vuoto, privo di emozioni che non siano la paura e la rabbia, che perde un pezzo della sua umanità ad ogni viaggio in Iraq; la sequenza in cui viene ringraziato da un soldato davanti al figlio è da antologia in questo senso, perché Cooper non spiccica altro che un paio di versi inarticolati e carichi di tensione nervosa, concretizzata in un tiratissimo sorriso verso il bambino mentre gli occhi evitano di guardare direttamente l'interlocutore, ma questo è solo uno dei tanti momenti in cui l'attore diventa tutt'uno con un personaggio per certi versi scomodo. Quanto a Clint, beh, Clint è un signore. L'unico vero scivolone è riscontrabile nello scontro tra cecchini, simile ad un videogioco, per il resto il vecchio Eastwood confeziona un film che non concede nulla alle mode attuali, lento nell'esecuzione ma serrato nel ritmo, con immagini nitide anche nelle scene d'azione, tocchi di leggerezza che lasciano il posto a sequenze difficili da sopportare, una fotografia che rimane splendida in ogni condizione, persino al buio o durante una tempesta di sabbia. E chissenefrega se le immagini di repertorio finali mi hanno strappato un incredulo sbuffo; superato l'inevitabile rigetto anche la conclusione di American Sniper diventa un altro tassello di una pellicola apparentemente ambigua ma, a mio avviso, fin troppo chiara in quelle che sono le sue intenzioni. Basta solo guardare il film con occhi scevri da pregiudizi e, magicamente, i pensieri di un Clint Eastwood in formissima diventeranno lapalissiani, quindi... non perdetevelo!
Del regista Clint Eastwood (che si può vedere brevemente nella scena iniziale in cui un giovanissimo Chris ruba la Bibbia in chiesa) ho già parlato QUI, Bradley Cooper (Chris Kyle) lo trovate invece QUA.
Sienna Miller (vero nome Sienna Rose Miller) interpreta Taya. Americana, ha partecipato a film come Casanova, Stardust e Foxcatcher. Ha 33 anni e sette film in uscita.
Bradley Cooper inizialmente intendeva solo produrre il film e lasciare a Chris Pratt il ruolo di Chris Kyle, poi ha cambiato idea; per quel che riguarda i registi, gli interessati a dirigere il progetto erano David O. Russel e Steven Spielberg, che hanno poi deciso di dedicarsi ad altro, mentre per la parte di Taya erano in lizza Jaimie Alexander, Kate Mara (che ha deciso di partecipare alla nuova versione de I fantastici quattro) ed Evangeline Lilly, che invece ha optato per Ant-Man. Detto questo, se American Sniper vi fosse piaciuto recuperate Zero Dark Thirty o Full Metal Jacket. ENJOY!
giovedì 22 gennaio 2015
(GIO) We, Bolla! del 22/1/2015
Buon giovedì a tutti! Neppure l'avvicinarsi della notte degli Oscar riesce a spingere al ravvedimento l'odiato multisala savonese che, ovviamente, ha scelto di non proiettare Still Alice, in uscita oggi. Poco danno, se è bel tempo questo weekend andrò a pesca e magari mi dedicherò ad un altro filmetto interessante... ENJOY!
John Wick
Reazione a caldo: Poffarre!
Bolla, rifletti!: Le critiche dicono che Keanu Reeves sia tornato in formissima nei panni di uno spietato assassino scatenato dalla morte di un cuccioletto. Devo crederci? Mi sa che c'è solo un modo per scoprirlo: fiondarmi a vedere il film!
Il nome del figlio
Reazione a caldo: Mah...
Bolla, rifletti!: Alla poca simpatia per i coinvolti, Papaleo in primis, si aggiunge quel vago sentore di commediola nascosta dietro sfoggio di ostentata arguzia. Attendo lumi da altri blogger prima di avventurarmi, eventualmente, in un futuro recupero.
Sei mai stata sulla luna?
Reazione a caldo: Ma anche no!
Bolla, rifletti!: E ti pareva se anche questa settimana non usciva la solita commedia italiana con Raoul Bova, un "la vita, l'amore e le vacche" al femminile che puzza di sterco lontano un miglio. Vade retro!
Il cinema d'élite invece apparentemente si sdoppia: da una parte continua la proiezione di The Imitation Game, dall'altra arriva un documentario...
Il sale della terra
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Questo film, tra i candidati all'Oscar di quest'anno come miglior documentario, con me parte già svantaggiato perché non amo il genere ma per gli appassionati di viaggi e fotografia (il nuovo film di Wim Wenders racconta la vita del fotografo Sebastiao Salgado) potrebbe davvero essere un must!
John Wick
Reazione a caldo: Poffarre!
Bolla, rifletti!: Le critiche dicono che Keanu Reeves sia tornato in formissima nei panni di uno spietato assassino scatenato dalla morte di un cuccioletto. Devo crederci? Mi sa che c'è solo un modo per scoprirlo: fiondarmi a vedere il film!
Il nome del figlio
Reazione a caldo: Mah...
Bolla, rifletti!: Alla poca simpatia per i coinvolti, Papaleo in primis, si aggiunge quel vago sentore di commediola nascosta dietro sfoggio di ostentata arguzia. Attendo lumi da altri blogger prima di avventurarmi, eventualmente, in un futuro recupero.
Sei mai stata sulla luna?
Reazione a caldo: Ma anche no!
Bolla, rifletti!: E ti pareva se anche questa settimana non usciva la solita commedia italiana con Raoul Bova, un "la vita, l'amore e le vacche" al femminile che puzza di sterco lontano un miglio. Vade retro!
Il cinema d'élite invece apparentemente si sdoppia: da una parte continua la proiezione di The Imitation Game, dall'altra arriva un documentario...
Il sale della terra
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Questo film, tra i candidati all'Oscar di quest'anno come miglior documentario, con me parte già svantaggiato perché non amo il genere ma per gli appassionati di viaggi e fotografia (il nuovo film di Wim Wenders racconta la vita del fotografo Sebastiao Salgado) potrebbe davvero essere un must!
mercoledì 21 gennaio 2015
Tammy (2014)
Seguendo i miei svariati ed assurdi metodi di scelta per i film, sono incappata nello sconosciuto Tammy, diretto nel 2014 dal regista Ben Falcone.
Trama: dopo essere stata licenziata e aver scoperto che il marito la tradisce con la vicina di casa, la cicciona e volgarotta Tammy decide di imbarcarsi in un viaggio in macchina assieme alla nonna alcolista...
Il post dedicato a Tammy probabilmente non raggiungerà la solita lunghezza standard e non perché il film non mi sia piaciuto ma perché, effettivamente, c'è poco da dire. Ne ho letto le peggio cose, Melissa McCarthy e Susan Sarandon sono state nominate per i Razzie Award 2015 proprio grazie a questo film ma la verità è che Tammy è un innocuo, banalissimo road movie al femminile che sicuramente non merita tutto l'astio che gli è stato scagliato contro (per dire, se l'avessi guardato l'anno scorso non sarebbe entrato in un'eventuale Top 10 dei film più brutti del 2014 perché, onestamente, ho visto di moolto peggio!). La McCarthy, qui anche sceneggiatrice e produttrice oltre che moglie del regista (tutto in famiglia!), si limita giustamente a costruirsi un personaggio adatto al suo aspetto e alla sua mole, quello di un'ignorantissima e volgarotta fallita dotata di una spiccata ironia che le serve solo per incappare in devastanti figure di tolla mentre Susan Sarandon, per carità, bisogna ricordarla per film molto migliori ma alla sua età può anche permettersi un divertissement che la vede nei panni di una nonna ubriacona ma ancora molto attaccata alla vita (De Niro è sceso molto più in basso nella sua carriera, eh). Questi due personaggi intraprendono un viaggio che si rivelerà pieno di ostacoli, di momenti sciocchi, surreali e divertenti e anche, ovviamente, di occasioni per conoscersi meglio e cercare di dare un senso alle loro vite sbandate, arrivando al finale liberatorio ed ironico tipico di questo genere di film. La particolarità di Tammy, che poi è anche l'unica cosa che mi ha fatto storcere il naso, è invece l'abbondanza di guest star mal utilizzate che compaiono nei ruoli più disparati per pochissimo tempo come Kathy Bates, Toni Collette, Dan Aykroyd e Sandra Oh, buttati lì giusto per attirare i fan; Aykroyd ormai è bollito da anni e la presenza della Oh può giusto fare piacere agli aficionados di Grey's Anatomy ma sinceramente vedere la Bates e soprattutto la Collette messe lì giusto per fare numero mi spezza un po' il cuore. In conclusione, Tammy è una commedia scacciapensieri da guardare quando si ha voglia di un po' di relax, più adatta ad un pubblico femminile (possibilmente dotato di un minimo di autoironia) che maschile... ma non statevi a disperare se, come credo, non verrà mai distribuita in Italia, neppure sul mercato dell'home video. Tanto esistono mille altri validi sostituti!
Di Melissa McCarthy (Tammy), Susan Sarandon (Pearl), Kathy Bates (Lenore), Allison Janney (Deb), Dan Aykroyd (Don) e Toni Collette (Missi) ho già parlato ai rispettivi link.
Ben Falcone (vero nome Benjamin Scott Falcone) è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Keith Morgan. Americano, marito di Melissa McCarthy, è al suo primo film come regista. Anche produttore e musicista, ha 41 anni e un film in uscita.
Mark Duplass interpreta Bobby. Americano, ha partecipato a film come Safety Not Guaranteed, Darling Companion, Zero Dark Thirty e Parkland. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 38 anni e un film in uscita.
Gary Cole interpreta Earl. Americano, ha partecipato a film come Soldi sporchi, The Gift - Il dono, One Hour Photo, Palle al balzo - Dodgeball, The Ring 2, Talladega Nights - The Ballad of Ricky Bobby, The Town that Dreaded Sunlight e a serie come Ai confini della realtà, Miami Vice, Moonlighting, Oltre i limiti, Monk, Supernatural, Desperate Housewives, Numb3rs e 30 Rock; come doppiatore, ha lavorato invece per le serie Kim Possible, I pinguini di Madagascar e I Griffin. Ha 58 anni e quattro film in uscita.
Sandra Oh (vero nome Sandra Miju Oh) interpreta Susanne. Canadese, diventata famosa grazie alla serie Grey's Anatomy, ha partecipato a film come Mr. Bean - L'ultima catastrofe, Hard Candy e ad altre serie come Six Feet Under; come doppiatrice, ha lavorato invece per le serie Phineas and Ferb, Robot Chicken e American Dad!. Ha 43 anni e un film in uscita.
Per il ruolo di nonna Pearl erano state prese in considerazione, prima ancora di Susan Sarandon, sia Shirley MacLaine (che era già impegnata con le riprese di Downton Abbey) che Debbie Reynolds, già Tammy nel film Tammy fiore selvaggio. Detto questo, occhio alle due scene durante i titoli di coda e, se Tammy vi fosse piaciuto, recuperate Io sono tu e Corpi da reato, entrambi con Melissa McCarthy. ENJOY!
Trama: dopo essere stata licenziata e aver scoperto che il marito la tradisce con la vicina di casa, la cicciona e volgarotta Tammy decide di imbarcarsi in un viaggio in macchina assieme alla nonna alcolista...
Il post dedicato a Tammy probabilmente non raggiungerà la solita lunghezza standard e non perché il film non mi sia piaciuto ma perché, effettivamente, c'è poco da dire. Ne ho letto le peggio cose, Melissa McCarthy e Susan Sarandon sono state nominate per i Razzie Award 2015 proprio grazie a questo film ma la verità è che Tammy è un innocuo, banalissimo road movie al femminile che sicuramente non merita tutto l'astio che gli è stato scagliato contro (per dire, se l'avessi guardato l'anno scorso non sarebbe entrato in un'eventuale Top 10 dei film più brutti del 2014 perché, onestamente, ho visto di moolto peggio!). La McCarthy, qui anche sceneggiatrice e produttrice oltre che moglie del regista (tutto in famiglia!), si limita giustamente a costruirsi un personaggio adatto al suo aspetto e alla sua mole, quello di un'ignorantissima e volgarotta fallita dotata di una spiccata ironia che le serve solo per incappare in devastanti figure di tolla mentre Susan Sarandon, per carità, bisogna ricordarla per film molto migliori ma alla sua età può anche permettersi un divertissement che la vede nei panni di una nonna ubriacona ma ancora molto attaccata alla vita (De Niro è sceso molto più in basso nella sua carriera, eh). Questi due personaggi intraprendono un viaggio che si rivelerà pieno di ostacoli, di momenti sciocchi, surreali e divertenti e anche, ovviamente, di occasioni per conoscersi meglio e cercare di dare un senso alle loro vite sbandate, arrivando al finale liberatorio ed ironico tipico di questo genere di film. La particolarità di Tammy, che poi è anche l'unica cosa che mi ha fatto storcere il naso, è invece l'abbondanza di guest star mal utilizzate che compaiono nei ruoli più disparati per pochissimo tempo come Kathy Bates, Toni Collette, Dan Aykroyd e Sandra Oh, buttati lì giusto per attirare i fan; Aykroyd ormai è bollito da anni e la presenza della Oh può giusto fare piacere agli aficionados di Grey's Anatomy ma sinceramente vedere la Bates e soprattutto la Collette messe lì giusto per fare numero mi spezza un po' il cuore. In conclusione, Tammy è una commedia scacciapensieri da guardare quando si ha voglia di un po' di relax, più adatta ad un pubblico femminile (possibilmente dotato di un minimo di autoironia) che maschile... ma non statevi a disperare se, come credo, non verrà mai distribuita in Italia, neppure sul mercato dell'home video. Tanto esistono mille altri validi sostituti!
Di Melissa McCarthy (Tammy), Susan Sarandon (Pearl), Kathy Bates (Lenore), Allison Janney (Deb), Dan Aykroyd (Don) e Toni Collette (Missi) ho già parlato ai rispettivi link.
Ben Falcone (vero nome Benjamin Scott Falcone) è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Keith Morgan. Americano, marito di Melissa McCarthy, è al suo primo film come regista. Anche produttore e musicista, ha 41 anni e un film in uscita.
Mark Duplass interpreta Bobby. Americano, ha partecipato a film come Safety Not Guaranteed, Darling Companion, Zero Dark Thirty e Parkland. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 38 anni e un film in uscita.
Gary Cole interpreta Earl. Americano, ha partecipato a film come Soldi sporchi, The Gift - Il dono, One Hour Photo, Palle al balzo - Dodgeball, The Ring 2, Talladega Nights - The Ballad of Ricky Bobby, The Town that Dreaded Sunlight e a serie come Ai confini della realtà, Miami Vice, Moonlighting, Oltre i limiti, Monk, Supernatural, Desperate Housewives, Numb3rs e 30 Rock; come doppiatore, ha lavorato invece per le serie Kim Possible, I pinguini di Madagascar e I Griffin. Ha 58 anni e quattro film in uscita.
Sandra Oh (vero nome Sandra Miju Oh) interpreta Susanne. Canadese, diventata famosa grazie alla serie Grey's Anatomy, ha partecipato a film come Mr. Bean - L'ultima catastrofe, Hard Candy e ad altre serie come Six Feet Under; come doppiatrice, ha lavorato invece per le serie Phineas and Ferb, Robot Chicken e American Dad!. Ha 43 anni e un film in uscita.
Per il ruolo di nonna Pearl erano state prese in considerazione, prima ancora di Susan Sarandon, sia Shirley MacLaine (che era già impegnata con le riprese di Downton Abbey) che Debbie Reynolds, già Tammy nel film Tammy fiore selvaggio. Detto questo, occhio alle due scene durante i titoli di coda e, se Tammy vi fosse piaciuto, recuperate Io sono tu e Corpi da reato, entrambi con Melissa McCarthy. ENJOY!
martedì 20 gennaio 2015
La teoria del tutto (2014)
Cominciano i preparativi per la Notte degli Oscar! Eh sì, nonostante il cosmico diludendo per le nominescions quest'anno ho deciso di fare la brava e recuperare quanti più film possibile per non arrivare ignorante alla premiazione come tutte le volte. Oggi tocca a La teoria del tutto (The Theory of Everything), diretto nel 2014 dal regista James Marsh, tratto dal libro Verso l'infinito di Jane Wilde Hawking e candidato a 5 premi Oscar: Miglior Film, Eddie Redmayne Miglior Attore Protagonista, Felicity Jones Miglior Attrice Protagonista, Miglior Sceneggiatura Non Originale e Miglior Colonna Sonora.
Trama: il film racconta la vita di Stephen Hawking e della moglie Jane, a partire dalla terribile scoperta della malattia che ha condannato il fisico all'immobilità fino ad arrivare ai nostri giorni...
Se c'è una materia che ho sempre detestato alle superiori, assieme alla matematica, era la fisica. Proprio non arrivavo a capire quelle assurde regole che governano il nostro universo, quelle formule astruse basate (secondo me, ovviamente) sul nulla e utili al prosieguo della mia esistenza quanto un frigorifero al polo nord. Non mi vergogno quindi a dire che ho sentito nominare per la prima volta Stephen Hawking in una puntata dei Simpson e per un po' di tempo sono stata assolutamente convinta di avere davanti un personaggio inventato, poi mi sono ovviamente documentata, a differenza di alcuni blasonati giornalisti; a tutt'oggi non ho assolutamente idea di quale incredibile rivoluzione lo studioso abbia apportato all'interno della fisica, della matematica, della cosmologia e dell'astrofisica ma non importa essere saputi per poter godere di La teoria del tutto. Il film si basa soprattutto sul rapporto tra Stephen e la moglie Jane, un legame profondo messo alla prova dalla cosiddetta malattia del motoneurone che, a poco a poco, ha condannato l'astrofisico ad una progressiva atrofia muscolare che lo ha costretto prima sulla sedia a rotelle e poi a comunicare tramite un sintetizzatore vocale. La teoria del tutto mostra il giovane e brillante Stephen perdere a poco a poco il controllo del fisico ma non della mente, la bella ed intelligente Jane farsi in quattro per sostenere un uomo a cui erano stati predetti solo due anni di vita e che invece è stato suo compagno per più di venti, il sentimento che unisce i due trasformarsi da amore in grado di vincere ogni avversità in profonda amicizia minata (ma non distrutta) dalla malattia, dalle avversità e dal desiderio di Jane di avere una famiglia normale; la "teoria del tutto" che da il titolo al film, così come altre teorie di Hawking, diventano di conseguenza una sorta di corollario di quella che in definitiva è una raffinata soap-opera per "intellettuali" costellata di figli, amanti e genitori impiccioni e che, di fatto, è tranquillamente fruibile dalla maggioranza del pubblico ignorante mentre rischia di venire tacciata di ignominia dai seguaci "duri e puri" di Hawking.
Come spettatrice ignorante io mi sono ritrovata nel mezzo. Non vado matta per le storie d'amore e malattia ma non nego che La teoria del tutto mi abbia strappato più di una lacrima sul finale, soprattutto per la consapevolezza della grande forza d'animo di Hawking e della sua incredibile tenacia ed ironia, che gli hanno impedito di cadere nella disperazione e lo hanno fatto sopravvivere per lunghi anni in cui la sua attività si è rivelata fondamentale per il mondo accademico. Razionalmente, però, riconosco anche che La teoria del tutto non sia un'opera così grandiosa da meritare una statuetta come miglior film; la trama, zeppa di tutti quei piccoli barbatrucchi per creare un film da Oscar e giocata sul filo pericoloso del melodramma sentimentale, sarebbe ben poca cosa se non fosse sorretta da due interpretazioni della Madonna, da una regia elegante e raffinata e da una bella colonna sonora. Eddie Redmayne merita davvero tutti i premi vinti finora perché si annulla completamente nel personaggio di Hawking, mandando al diavolo la sua bellezza inglese (che io non apprezzo ma è indubbia) ed accentuando un fascino derivante da intelligenza, curiosità e ironia, mentre Felicity Jones è bella, fragile e forte allo stesso tempo, una presenza fondamentale con la quale è impossibile non empatizzare, nel bene e nel male. Il regista James Marsh sfrutta le suggestioni dettate dalle teorie di Hawking per creare sequenze ricercate e molto belle, dove la circolarità delle immagini (il cerchio viene riproposto in più modi, nelle scale, nel latte, nel girotondo dei due protagonisti) e del montaggio la fa da padrone, andando a colpire lo spettatore nelle sue corde più sensibili, tanto che sfido chiunque a non versare una lacrima davanti al finale, che ripercorre al contrario e velocemente l'intera vita di Stephen Hawking fino ad arrivare al primo momento in cui la malattia è arrivata a bussare alla porta, delicata ed impercettibile ma implacabile. In definitiva, per concludere, La teoria del tutto è un film bello, non eccelso, che mi ha sicuramente spinta a volerne sapere di più sull'uomo Hawking (tanto dello scienziato non capirei nulla!) e che merita indubbiamente una visione ma che, molto probabilmente, non rimarrà nelle mie personali memorie del 2015.
Di Eddie Redmayne (Stephen Hawking), David Thewlis (Dennis Sciama) ed Emily Watson (Beryl Wilde) ho già parlato ai rispettivi link.
James Marsh è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Doppio gioco e ha vinto l'Oscar per il documentario Man on Wire. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.
Felicity Jones interpreta Jane Hawking, ruolo per cui è candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista. Inglese, ha partecipato a film come Hysteria, The Amazing Spider Man 2 - Il potere di Electro e serie come Doctor Who. Ha 31 anni e quattro film in uscita tra cui Inferno, tratto dall'omonimo libro di Dan Brown.
Harry Lloyd interpreta Brian. Inglese, ha partecipato a film come Jane Eyre, The Iron Lady e a serie come Doctor Who, Robin Hood e Il trono di spade. Anche produttore, ha 31 anni e due film in uscita.
Charlie Cox interpreta Jonathan Hellyer Jones. Inglese, ha partecipato a film come Stardust e a serie come Downton Abbey e Broadwalk Empire. Ha 32 anni, un film in uscita e dovrebbe interpretare Daredevil/Matt Murdock nelle imminenti serie TV Daredevil e The Defenders.
Il vero Stephen Hawking ha prestato la "voce" per le scene finali del film, la sua Medal of Freedom e anche la sua tesi firmata. La teoria del tutto non è l'unica pellicola che racconta la vita del grande fisico, esiste anche Hawking, film TV del 2004, dove il protagonista viene interpretato nientemeno che da Benedict Cumberbatch, grande amico tra l'altro di Eddie Redmayne; se La teoria del tutto vi fosse piaciuto recuperatelo assieme alla miriade di biopic candidati, per un motivo o per l'altro, all'Oscar di quest'anno come The Imitation Game, Foxcatcher, Big Eyes, American Sniper e Wild. ENJOY!
Trama: il film racconta la vita di Stephen Hawking e della moglie Jane, a partire dalla terribile scoperta della malattia che ha condannato il fisico all'immobilità fino ad arrivare ai nostri giorni...
Se c'è una materia che ho sempre detestato alle superiori, assieme alla matematica, era la fisica. Proprio non arrivavo a capire quelle assurde regole che governano il nostro universo, quelle formule astruse basate (secondo me, ovviamente) sul nulla e utili al prosieguo della mia esistenza quanto un frigorifero al polo nord. Non mi vergogno quindi a dire che ho sentito nominare per la prima volta Stephen Hawking in una puntata dei Simpson e per un po' di tempo sono stata assolutamente convinta di avere davanti un personaggio inventato, poi mi sono ovviamente documentata, a differenza di alcuni blasonati giornalisti; a tutt'oggi non ho assolutamente idea di quale incredibile rivoluzione lo studioso abbia apportato all'interno della fisica, della matematica, della cosmologia e dell'astrofisica ma non importa essere saputi per poter godere di La teoria del tutto. Il film si basa soprattutto sul rapporto tra Stephen e la moglie Jane, un legame profondo messo alla prova dalla cosiddetta malattia del motoneurone che, a poco a poco, ha condannato l'astrofisico ad una progressiva atrofia muscolare che lo ha costretto prima sulla sedia a rotelle e poi a comunicare tramite un sintetizzatore vocale. La teoria del tutto mostra il giovane e brillante Stephen perdere a poco a poco il controllo del fisico ma non della mente, la bella ed intelligente Jane farsi in quattro per sostenere un uomo a cui erano stati predetti solo due anni di vita e che invece è stato suo compagno per più di venti, il sentimento che unisce i due trasformarsi da amore in grado di vincere ogni avversità in profonda amicizia minata (ma non distrutta) dalla malattia, dalle avversità e dal desiderio di Jane di avere una famiglia normale; la "teoria del tutto" che da il titolo al film, così come altre teorie di Hawking, diventano di conseguenza una sorta di corollario di quella che in definitiva è una raffinata soap-opera per "intellettuali" costellata di figli, amanti e genitori impiccioni e che, di fatto, è tranquillamente fruibile dalla maggioranza del pubblico ignorante mentre rischia di venire tacciata di ignominia dai seguaci "duri e puri" di Hawking.
Come spettatrice ignorante io mi sono ritrovata nel mezzo. Non vado matta per le storie d'amore e malattia ma non nego che La teoria del tutto mi abbia strappato più di una lacrima sul finale, soprattutto per la consapevolezza della grande forza d'animo di Hawking e della sua incredibile tenacia ed ironia, che gli hanno impedito di cadere nella disperazione e lo hanno fatto sopravvivere per lunghi anni in cui la sua attività si è rivelata fondamentale per il mondo accademico. Razionalmente, però, riconosco anche che La teoria del tutto non sia un'opera così grandiosa da meritare una statuetta come miglior film; la trama, zeppa di tutti quei piccoli barbatrucchi per creare un film da Oscar e giocata sul filo pericoloso del melodramma sentimentale, sarebbe ben poca cosa se non fosse sorretta da due interpretazioni della Madonna, da una regia elegante e raffinata e da una bella colonna sonora. Eddie Redmayne merita davvero tutti i premi vinti finora perché si annulla completamente nel personaggio di Hawking, mandando al diavolo la sua bellezza inglese (che io non apprezzo ma è indubbia) ed accentuando un fascino derivante da intelligenza, curiosità e ironia, mentre Felicity Jones è bella, fragile e forte allo stesso tempo, una presenza fondamentale con la quale è impossibile non empatizzare, nel bene e nel male. Il regista James Marsh sfrutta le suggestioni dettate dalle teorie di Hawking per creare sequenze ricercate e molto belle, dove la circolarità delle immagini (il cerchio viene riproposto in più modi, nelle scale, nel latte, nel girotondo dei due protagonisti) e del montaggio la fa da padrone, andando a colpire lo spettatore nelle sue corde più sensibili, tanto che sfido chiunque a non versare una lacrima davanti al finale, che ripercorre al contrario e velocemente l'intera vita di Stephen Hawking fino ad arrivare al primo momento in cui la malattia è arrivata a bussare alla porta, delicata ed impercettibile ma implacabile. In definitiva, per concludere, La teoria del tutto è un film bello, non eccelso, che mi ha sicuramente spinta a volerne sapere di più sull'uomo Hawking (tanto dello scienziato non capirei nulla!) e che merita indubbiamente una visione ma che, molto probabilmente, non rimarrà nelle mie personali memorie del 2015.
Di Eddie Redmayne (Stephen Hawking), David Thewlis (Dennis Sciama) ed Emily Watson (Beryl Wilde) ho già parlato ai rispettivi link.
James Marsh è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Doppio gioco e ha vinto l'Oscar per il documentario Man on Wire. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.
Felicity Jones interpreta Jane Hawking, ruolo per cui è candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista. Inglese, ha partecipato a film come Hysteria, The Amazing Spider Man 2 - Il potere di Electro e serie come Doctor Who. Ha 31 anni e quattro film in uscita tra cui Inferno, tratto dall'omonimo libro di Dan Brown.
Harry Lloyd interpreta Brian. Inglese, ha partecipato a film come Jane Eyre, The Iron Lady e a serie come Doctor Who, Robin Hood e Il trono di spade. Anche produttore, ha 31 anni e due film in uscita.
Charlie Cox interpreta Jonathan Hellyer Jones. Inglese, ha partecipato a film come Stardust e a serie come Downton Abbey e Broadwalk Empire. Ha 32 anni, un film in uscita e dovrebbe interpretare Daredevil/Matt Murdock nelle imminenti serie TV Daredevil e The Defenders.
Il vero Stephen Hawking ha prestato la "voce" per le scene finali del film, la sua Medal of Freedom e anche la sua tesi firmata. La teoria del tutto non è l'unica pellicola che racconta la vita del grande fisico, esiste anche Hawking, film TV del 2004, dove il protagonista viene interpretato nientemeno che da Benedict Cumberbatch, grande amico tra l'altro di Eddie Redmayne; se La teoria del tutto vi fosse piaciuto recuperatelo assieme alla miriade di biopic candidati, per un motivo o per l'altro, all'Oscar di quest'anno come The Imitation Game, Foxcatcher, Big Eyes, American Sniper e Wild. ENJOY!