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mercoledì 30 settembre 2015

Shutter (2004)

Tra serie TV e altri recuperi stavo lasciando un po’ languire la mia collezione di DVD che, guarda un po’, era arrivata a Shutter, diretto e co-sceneggiato nel 2004 dai registi Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom.


Trama: Di ritorno da una festa, il fotografo Tun e la fidanzata Jane investono una ragazza e se ne vanno senza soccorrerla. Nei giorni seguenti i due non trovano nessuna notizia dell’incidente ma l’immagine della ragazza comincia a comparire nelle foto di Tun ed entrambi avvertono la presenza di uno spirito pericoloso ed inquieto…



Uno dei primi film recensiti sul Bollalmanacco era stato Shutter – Ombre dal passato, il remake americano dell’originale thailandese. Dopo aver visto Ring, Ju-On e compagnia cantante, la pellicola che vedeva protagonista il Pacey di Dawson’s Creek non mi era sembrata niente di che e mi aveva fatto anche poca paura ma chi aveva visto Shutter mi assicurava invece che la versione Thai era devastante in termini di ansia e terrore. Appena si è presentata l’occasione ho quindi acquistato il DVD, che è rimasto a prendere polvere sullo scaffale fino alla settimana scorsa, ma devo dire che il tempo passato non ha giovato alla pellicola di Banjong Pisanthanakun e Parkpoom Wongpoom; sarà che ricordavo molto bene Ombre dal passato, sarà che ormai questi horror asiatici mi sembrano un po’ tutti uguali, sta di fatto che a parte un paio di salti dalla sedia dovuti più ad un riflesso condizionato che ad altro, Shutter non mi ha entusiasmata quanto avrei voluto, anche perché la trama è sostanzialmente identica a quella del remake salvo un paio di cambiamenti minimi (agli americani viene fatto capire SUBITO che il protagonista ha qualcosa da nascondere, nella versione thailandese ci vuole una mezz’oretta in più). In buona sostanza, Shutter è una storia di tremendo amore e ancor più tremenda vendetta contro un uomo fondamentalmente stronzo ed impedito che, per liberarsi dell’importuna fidanzata del liceo, non trova soluzione migliore che lasciar fare a due amici che a definirli merde, oltre che brutti come il peccato, si farebbe offesa sia al peccato che alle merde. In mezzo ci finisce ovviamente la fidanzata di questo fotografo d’accatto, che per tutto il film è costretta a subire la persecuzione di una mostrA sanguinante e dai capelli lunghi e, quel che è peggio, a sorbirsi le crisi d’ansia, i segretucci, le velleità artistiche e i racconti ammorbanti di lui. La caratteristica peculiare di Shutter non è quindi tanto quella di veicolare l’orrore attraverso le foto “spiritiche”, quanto invece quella di avere un protagonista talmente odioso (lo stesso valeva per il remake ma perlomeno lì la fidanzata era più presente) che il vendicativo fantasma diventa oggetto di tutto il tifo dello spettatore.


Tornando un attimino seri e mettendomi nei panni di chi ha visto questo film 10 anni fa e non dopo 700 altri film tutti uguali, devo ammettere che i due registi hanno scelto di affrontare l’argomento in maniera molto furba ed elegante. Il fantasma si vede pochissimo e perlopiù in maniera sfuggente, cosa che innanzitutto mette ansia allo spettatore e, non meno importante, impedisce allo stesso di assuefarsi alla figura tumefatta e sanguinante dello spettro fino a darla quasi per scontata; tra l’altro, il trucco dell’entità è semplice ma molto ben fatto e i rari primi piani mettono davvero paura. Geniali, anche se purtroppo l’effetto sorpresa con me era andato già perso, le inquadrature che svelano ad un occhio attento il terribile segreto con cui è costretto a convivere Tun, inquadrature che si soffermano su sguardi, espressioni e gesti apparentemente inutili, costringendo così il pubblico a guardare la pellicola con più attenzione del normale per capire cosa sia quella sensazione di “sbagliato” palese fin dall’inizio di Shutter. Anche i due protagonisti sono molto bravi, con pochi gesti e sguardi riescono a comunicare molto sulla psicologia dei loro personaggi (per esempio, Tun lo vediamo spesso “farsi scudo” inconsciamente della fidanzata nei momenti di pericolo mentre Jane affronta a testa alta e con sguardo risoluto ogni evento inspiegabile) e, soprattutto, hanno il pregio di prendere la pellicola dannatamente sul serio e di non cercare mai, neppure per un minuto, di alleggerire la tensione. Tra tutti gli esponenti dell’horror orientale Shutter si distingue quindi per l’incredibile cura posta nella messa in scena e nella recitazione e anche solo per questo meriterebbe di venire visto nonostante il poco entusiasmo da me dimostrato nella prima parte del post: d’altronde, si sa che l’apprezzamento di un horror è molto soggettivo e a maggior ragione chi non avesse mai guardato Ombre dal passato potrebbe gradire molto l’originale thailandese!

Banjong Pisanthanakun è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Thailandese, ha diretto film come Alone e l'episodio N is for Nuptials di The ABCs of Death. E' anche attore.


Parkpoom Wongpoom è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Thailandese, ha diretto film come Alone, Phobia e Phobia 2. Ha 37 anni.


Shutter non ha solo il remake americano Ombre dal passato ma anche Sivi e Click, entrambi girati in India ma con dialetti diversi. Non vi dico di recuperarli ma, se Shutter vi fosse piaciuto, guardate Ju-On, Two Sisters, Dark Water, Ringu e The Call - Non rispondere. ENJOY!

martedì 29 settembre 2015

Il Bollodromo #15: Lupin III - L'avventura italiana - La fine di Lupin

Da domenica la fiacca Avventura italiana di Lupin si riduce a venire trasmessa un episodio alla volta, a un orario improbabile. Il Bollodromo diventerà quindi un appuntamento molto breve anche se stavolta, e per fortuna, c'è parecchio da dire.



La fine di Lupin, episodio 14 di Lupin III - L'avventura italiana è il remake aggiornato della quarta puntata de Le avventure di Lupin III, prima serie dedicata al ladro gentiluomo. In L'evasione di Lupin - Prigioniero! (storia basata peraltro su un episodio della prima serie a fumetti disegnata e scritta da Monkey Punch) Lupin veniva catturato da Zenigata e tenuto per un anno in prigione, nell'attesa che venisse eseguita la pena capitale; in quel frangente, Lupin non tentava di evadere neppure una volta e, anzi, gli sforzi di Fujiko in tal senso venivano scoraggiati da Jigen, che le metteva i bastoni tra le ruote in tutti i modi. Nonostante conoscessi la puntata a menadito, avendola vista un sacco di volte da bambina prima e da ragazza poi, ho deciso di riguardarla per fare un confronto tra le due versioni. Innanzitutto, bisogna dire che il Lupin odierno e quello degli anni '70 non sono neppure parenti, basta vedere come Lupin, nella vecchia versione dell'episodio, uccida senza troppe remore tre guardie impiccandole. Ben lontano dal buffone tutto tic e risate dei tempi moderni, il vecchio Lupin era riflessivo, minaccioso e di poche parole. La decisione di rimanere per un anno intero in prigione nasceva dall'irrispettoso sgarro di Zenigata (molto ma molto più stronzo e scorretto rispetto alle sue versioni seguenti) che, per catturarlo, si serviva di proiettili soporiferi abbattendo il ladro come un animale, senza la minima eleganza; Lupin decideva dunque di ripagarlo con la stessa moneta, costringendo l'ispettore a tormentarsi per un anno, incapace di capire perché mai Lupin non accennasse al minimo tentativo di fuga. La risoluzione dell'episodio era semplice ma intelligente, soprattutto non calava di tensione neppure per un istante e, sfruttando alcuni dettagli sparsi qui e là, raccontava tante cose dei personaggi coinvolti (Fujiko e Jigen compresi) senza essere troppo didascalico.


La fine di Lupin (che omaggia l'originale fin dalla barba e dai capelli lunghi del personaggio) si basa sullo stesso assunto e segue le stesse dinamiche, con la differenza che in Italia non esiste la pena di morte quindi l'attesa di Zenigata diventa potenzialmente infinita. Ecco perché Lupin, come già accadeva negli anni '70, decide di "corteggiare la morte" e giocare d'azzardo mettendo in palio la sua stessa vita onde mettere nel sacco l'Ispettore. Il risultato è forse la puntata migliore della serie, un episodio che, pur non reggendo il confronto impari con l'originale, mostra un Lupin diverso, calcolatore ed intelligente, accanto ad un Zenigata costretto a riflettere sul proprio ruolo e su come la sua esistenza sia basata interamente sulla presenza della nemesi Lupin, senza il quale il povero Zazà non avrebbe uno scopo. Anzi, ammetto che sul finale ho avuto un mezzo groppo alla gola, proprio per il confronto tra i due nemici di sempre. Purtroppo, mentre L'evasione di Lupin si concludeva con la splendida immagine di una Fujiko in lacrime e la beffarda risata di Lupin e Jigen, La fine di Lupin termina con quella che ormai credo essere una quota minima di belinate necessaria alla realizzazione degli episodi di questa scandalosa serie, ovvero con i personaggi "secondari" che si ritrovano a conversare dopo l'evasione come se nulla fosse (Jigen nell'originale aveva un motivo per attendere senza fare nulla, qui semplicemente i soci di Lupin aspettano Godot senza un perché) e con l'MI-6 che si perde un misterioso personaggio, nudo e con la barba lunga. Sarà mica Gandalf? Mah. Il prossimo episodio, Non spostate la Gioconda!, vedrà Lupin impegnato nel più classico dei furti... ma considerato che in L'avventura italiana il ladro gentiluomo non ruba né uccide, permettetemi di dubitarne!

Ecco le altre puntate di Lupin III - L'avventura italiana:

Episodi 1- 4
Episodi 5 - 7
Episodi 8-10
Episodi 11-13

domenica 27 settembre 2015

Duri si diventa (2015)

L’altra sera ero in uno dei miei soliti momenti ansia e per scaricare la tensione ho deciso di guardare Duri si diventa (Get Hard), diretto e co-sceneggiato dal regista Etan Cohen.


Trama: James King è un broker milionario che, un giorno, viene accusato di truffa e condannato a trascorrere dieci anni nel carcere di San Quintino. Spaventato da quello che potrebbe accadergli dietro le sbarre, King si convince che Darnell, un lavamacchine di colore, sia stato in prigione e gli chiede così di “allenarlo” per sopravvivere…



Onestamente, quando si tratta di scrivere un post su una commedia mi trovo in seria difficoltà. Non so mai cosa dire. Cioè, una commedia a rigor di logica deve fare ridere quindi o ci sono quei film assurdamente demenziali che quasi non si riescono a vedere per le troppe lacrime agli occhi oppure quelli in cui non si ride mai e allora vanno stroncati. Ai due estremi, scrivere qualcosa è facile. Ma quando ci si trova davanti a film come Duri si diventa, commedia carina e abbastanza divertente, senza infamia né lode, raggiungere i due paragrafi è un delirio. E allora, tanto vale scriverne solo uno, via. Duri si diventa è il classico buddy movie con quelle sfumature demenzialsurreali tipiche delle pellicole che hanno per protagonista Will Ferrell. La seconda caratteristica è quella che fa funzionare il film, soprattutto nella prima parte, che vede il povero Will alle prese con un personaggio ricchissimo e allo stesso tempo pauroso, ingenuo e tanto, tanto imbecille. Vederlo interagire con i domestici extracomunitari e in generale con tutto quello che è “diverso” da lui è uno spasso, soprattutto durante le scene ambientate nella megavilla trasformata in carcere o durante la terribile, trivialissima sequenza del bar gay. Ovviamente, delle singole gag senza una trama non fanno un film e così gli sceneggiatori hanno dovuto giocare l’abusata carta del protagonista innocente incastrato da persone senza scrupoli, costretto a ricorrere all’aiuto di altri per scagionarsi. Qui scatta per l’appunto il buddy movie che, se all’inizio è particolare e divertente perché Ferrell deve farsi aiutare a sopravvivere in un carcere, nella seconda metà del film si sfoga in un banale confronto tra “culture” (white collars vs thug life, musica classica vs hip hop) e nell’ovvio confronto con il cattivo seguito da una risoluzione a tarallucci e vino, con l’aggiunta di una piccola punizione per l’innaturale stupidità di James King. Ferrell e Kevin Hart insieme funzionano, anche se secondo me la simpatia del secondo e tante gag legate all’ambiente “thug” rischiano di andare perse con l’adattamento e il doppiaggio italiani (compiango chi è stato costretto ad adattare la pellicola, con tutte quelle assurde swearword pronunciate da Ferrell), quindi se vi venisse mai voglia di guardare Duri si diventa recuperatelo in lingua originale. E preparatevi ad un finale tra i più maffi e deludenti mai girati, con una battuta finale che, sinceramente, non ho proprio capito. Se foste così gentili da spiegarmela nei commenti dopo aver visto il film… grazie!


Di Will Ferrell (James) e Craig T. Nelson (Martin) ho già parlato ai rispettivi link.

Etan Cohen è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Nato in Israele, anche produttore, ha 41 anni e film in uscita.


Kevin Hart interpreta Darnell. Americano, ha partecipato a film come Scary Movie 3 - Una risata vi seppellirà, ... E alla fine arriva Polly, 40 anni vergine, Scary Movie 4, Superhero - Il più dotato fra i supereroi e Facciamola finita. Anche produttore, sceneggiatore e compositore, ha 36 anni e quattro film in uscita.


Nei panni dell'avvocato Peter Penny compare ovviamente Greg Germann, già tale nella fortunata serie Ally McBeal. Detto questo, se Duri si diventa vi fosse piaciuto recuperate Ted, Ted 2, Come ammazzare il capo... e vivere felici, Come ammazzare il capo 2 e Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy. ENJOY!


venerdì 25 settembre 2015

Punto di non ritorno (1997)

Durante le ferie estive mi sono imbattuta in alcuni memorabilia di un film che non conoscevo, Punto di non ritorno (Event Horizon), diretto nel 1997 dal regista Paul W.S. Anderson, quindi mi è venuta la curiosità di vederlo.


Trama: un gruppo di astronauti viene inviato su Nettuno dopo che la nave Event Horizon, scomparsa da anni, ha ricominciato ad emettere segnali. Gli astronauti tuttavia si accorgono presto che sulla Event Horizon è successo qualcosa di terribile…



Nelle ferie di agosto ho convinto quel santo del mio ragazzo, fortunatamente allergico alla spiaggia, a portarmi a Settimo Torinese per vedere il museo dedicato a Ritorno al futuro. In mezzo alla vasta collezione di oggetti di scena presi dalla trilogia di Zemekis c’erano props di Terminator 3: Le macchine ribelli, Blade Runner e anche una giacca indossata da uno dei personaggi in Punto di non ritorno; la  cosa interessante è che non si faceva il nome del film di Anderson, però alcune immagini passavano su uno schermo e quando ho visto che tra gli interpreti figuravano Laurence Fishburne, Sam Neill e soprattutto quel gran figo di Jason Isaacs ho preso in mano lo smartphone e, fatta una rapida ricerca su Wikipedia, ho capito cosa avrei dovuto guardare appena tornata a casa. Punto di non ritorno, sempre per la gioia del mio ragazzo che non sopporta il genere e credeva di trovarsi davanti un film innocuo, è un interessante ibrido tra horror e fantascienza dove la claustrofobica ambientazione spaziale offre spesso il fianco, come già succedeva in Alien, a soluzioni di sceneggiatura un po’ più sanguinose ed “infernali”. Event Horizon non è solo il nome della nave protagonista del film ma è anche la parola inglese per definire sia il “punto di non ritorno” (ovvero quando la forza gravitazionale diventa così forte che non è più possibile sottrarvisi) sia il limite oltre il quale, se non ho capito male, le leggi della fisica cessano di esistere (e se ho capito male abbiate pazienza ché io sono letteraria, non matematica o fisica); effettivamente, agli sfortunati personaggi succede di venire letteralmente inglobati e fatti prigionieri da una forza misteriosa alla quale non riusciranno a sottrarsi tanto facilmente e questo perché la nave che sono andati a salvare ha superato i limiti dello spaziotempo conosciuto diventando qualcosa di senziente, malvagio e molto pericoloso, un’entità che se ne infischia sia della fisica sia della realtà comunemente conosciuta. Il viaggio verso la Event Horizon diventa così per i protagonisti una discesa allucinata nei meandri della mente umana, dell’ambizione sfrenata che diventa follia, della realtà oscura e distorta che esiste dietro le fragili pareti della dimensione che conosciamo e delle paure più o meno irrazionali che tutti quanti ci portiamo dentro, con l’aggravante di essere ambientato in quello Spazio profondo dove “nessuno può sentirti urlare” e che quindi mette ancora più ansia, almeno a me.


Fermo restando che la pellicola poteva e doveva essere molto più visionaria (travagliate vicissitudini produttive hanno letteralmente mutilato Punto di non ritorno che, a quanto ho letto, doveva essere un’orgia di sangue di quasi tre ore, uno Shining in space ma ovviamente ben più zamarro; non a caso, Clive Barker era stato chiamato come consulente in pre-produzione!), è indubbio che Anderson in Punto di non ritorno abbia limitato un po’ la tamarreide che avrebbe caratterizzato i suoi lavori seguenti ma è anche riuscito nonostante tutte le difficoltà produttive a ricreare ambienti stranianti e mozzafiato; le prime sequenze ambientate nello spazio aperto, il lunghissimo corridoio zeppo di luci che collega i due vani principali della Event Horizon e il cuore della stessa nave, un inquietante giroscopio che all’occasione si apre su una liquida dimensione infernale, sono elementi che si fissano nella memoria dello spettatore nonostante l’ambientazione claustrofobica rischi alla lunga di risultare un po’ monotona. La componente horror o, almeno, quello che ne è rimasto, non è affatto male, anche perché gli effetti speciali del film sono in generale invecchiati benissimo; per volontà della Paramount il film è stato costretto a giocare di privazione e a centellinare il sangue per buona parte della sua durata, preferendogli visioni perlopiù spettrali e sottilmente inquietanti, ma verso la fine il regista sbraga comunque e colpisce allo stomaco lo spettatore con un “fantasioso” esperimento chirurgico, un folle video dal contenuto devastante e il trucco da pelle d’oca di un Sam Neill in formissima. Non sono da meno gli altri attori, ovviamente. Il cast all-star per una volta paga, forse anche perché nel 1997 la maggior parte dei coinvolti erano o all’apice delle loro carriere, come il già citato Sam Neill e l’imponente Laurence Fishburne, oppure dei carismatici giovani di belle speranze, come la delicata Joely Richardson o uno stempiato ma sempre figo Jason Isaacs, ancora lontano dai lunghi capelli biondi di Lucius Malfoy. In sostanza, Punto di non ritorno è un film imperfetto che non è riuscito a diventare cult ma che sicuramente ha tutti i mezzi per conquistare parecchi spettatori: a me è rimasta sicuramente l’insana curiosità di sapere COSA avrebbe potuto ancora rivelare il ventre oscuro della Event Orizon se non si fossero messi in mezzo i produttori ma anche la gioia di avere scoperto grazie alla passione per Ritorno al futuro una pellicola che forse da sola non avrei mai avuto occasione di guardare, quindi spero che il mio post invogli al recupero quelli tra voi che ancora ne ignoravano l’esistenza (e se potete andate a vedere il Museo di Ritorno al futuro, è zeppo di cose meravigliose)!


Del regista Paul W.S. Anderson ho già parlato QUI mentre Laurence Fishburne (Capitano Miller), Sam Neill (Dottor WilliamWeir), Kathleen Quinlan (Peters), Joely Richardson (Starck), Jason Isaacs (D.J.) e Noah Huntley (Edward Corrick) li trovate ai rispettivi link.

Richard T. Jones (vero nome Richard Timothy Jones) interpreta Cooper. Nato in Giappone, ha partecipato a film come Mezzo professore tra i marines, Il collezionista, Super 8, Godzilla e a serie come L'ispettore Tibbs, Ally McBeal, CSI: Miami, Numb3rs, Bones, Grey's Anatomy e American Horror Story. Anche produttore, ha 43 anni e quattro film in uscita.


Jack Noseworthy (vero nome John E. Noseworthy Jr.) interpreta Justin. Americano, ha partecipato a film come Alive - Sopravvissuti, Giovani diavoli e a serie come Oltre i limiti e CSI - Scena del crimine. Ha 46 anni e due film in uscita.


Dopo Mortal Kombat, Anderson voleva girare qualcosa di più adulto e gore, quindi ha rifiutato l'offerta di dirigere X-Men per dedicarsi a Punto di non ritorno che, come ho detto, alla fine è stato comunque tagliato di una buona mezz'ora. A parte questo, se Punto di non ritorno vi fosse piaciuto recuperate Moon, Solaris, Sfera, The Abyss, Leviathan e Il seme della follia. ENJOY!

giovedì 24 settembre 2015

(Gio)WE, Bolla! del 24/9/2015

Oh, giorno di tregenda!!! Come già successo con Clown anche stavolta Eli Roth è stato pesantemente boicottato e il suo The Green Inferno, vietatoaiminorididiciottannisantiddioperchénessunopensaibambini???!!!, non è arrivato a Savona. Non credo sopravviverò alla cosa e se leggerete ancora dei miei post nei prossimi giorni è solo grazie alla programmazione di Blogger e non perché ho rinunciato ad impiccarmi. Del resto delle uscite frega poco ma per dovere di cronaca...

Sicario
Reazione a caldo: Anche se...
Bolla, rifletti!: ... anche se, effettivamente, dal trailer mi sembra un thriller fighissimo, peraltro ambientato tra le bande di narcos messicane, che da sempre mi interessano molto. E poi che po' po' di attori!! Dai, se salterà la spedizione genovese per The Green Inferno ripiegherò su questo

Magic Mike XXL
Reazione a caldo: Mavvaf....
Bolla, rifletti!: Channing Tatum lo detesto da sempre ma da oggi un po' di più. Già avevo evitato il primo film sullo spogliarellista superdotato, non credo mi impegnerò a recuperare il secondo capitolo...

The Transporter Legacy
Reazione a caldo: Idem come sopra
Bolla, rifletti!: Quarto capitolo di una saga alla quale non mi sono mai approcciata, nonostante il coinvolgimento di Luc Besson, mi sa di uno di quei film buoni solo per una serata ad alto tasso di ignoranza e tamarreide, anche se mai quanto Fast and Furious.

Everest
Reazione a caldo: NuoooH!
Bolla, rifletti!: Sarà sicuramente bellissimo, non discuto. Ma io mi sento mancare persino quando vedo Spider-Man che spenzola dai grattacieli di Manhattan, figuriamoci se vado al cinema a vedere un film ambientato sull'Everest. Morirei dopo sei fotogrammi, già il trailer mi uccide...

E siccome al cinema d'élite proiettano ancora Per amor vostro, vi do l'appuntamento alla settimana prossima... forse.

mercoledì 23 settembre 2015

Dragon Ball Z: La resurrezione di "F" (2015)

Dal 12 al 14 settembre alcuni cinema italiani hanno proiettato Dragon Ball Z: La resurrezione di "F" ドラゴンボールZ 復活の"F" - Doragon Bōru Zetto: Fukkatsu no Efu), diretto dal regista Tadayoshi Yamamuro. Nonostante la poca lungimiranza del multisala di zona, potevo forse perderlo...? La risposta è NO. Never ever.


Trama: consci di stare perdendo il controllo dello spazio, gli sgherri del malvagio Freezer decidono di resuscitarlo col potere delle sfere del drago. Freezer torna in vita ma il suo unico scopo è la vendetta contro Son Goku e Trunks, rei di averlo spedito in un orrido inferno: al suo arrivo sulla Terra troverà però  ad attenderlo i Guerrieri Z e Jaco the Galactic Patrolman...


Dopo il mezzo diludendo di Dragon Ball Z: La battaglia degli dei, fiaccato da idiozie assortite e personaggi spinti a fare cose turpi al solo scopo di far ridere il pubblico (qualcuno ha detto Piccolo che canta al karaoke? Nego di avere visto una scena simile...), mai mi sarei aspettata di divertirmi così tanto con La resurrezione di "F", dove finalmente ironia e battaglie serie riescono a bilanciarsi come non accadeva dai tempi del Dragon Ball Z pre-Majinbu. Ci voleva il ritorno del cattivo più iconico dell'anime, quel Freezer che tanti grattacapi aveva dato ai nostri sul pianeta Namecc, per ridare smalto ad un franchise che aveva perso vigore già negli anni '90 e che veniva tenuto in vita principalmente grazie all'amore dei fan, capaci di creare fanfiction e doujinshi ben più interessanti delle opere originali; o, forse, ci voleva un migliore utilizzo della marea di personaggi creati da Toriyama, separando il grano dalla pula ed eliminando tutti quei fastidiosi comprimari di cui non frega una benemerita cippa a nessuno. Via dunque i camurriosissimi pargoletti Goten e Trunks, veli di ignominia su Yamcha, Yajirobei e Jaozi (i quali non vengono neppure nominati per sbaglio, vivaddio!), apparizioni ridottissime per un Satan in guisa di statua dorata, Videl, Pan neonata, C-18 e Marron, i riflettori si concentrano fortunatamente su un pugno di eroi, quelli che, a rigor di logica, potrebbero davvero riuscire a fare qualcosa contro Freezer se solo non avessero deciso di imborghesirsi e metter su pancia come Gohan. Ecco quindi tornare i gloriosissimi accessori da 750 tonnellate di Piccolo, finalmente impegnato in uno scontro, per quanto breve, coronato dal godurioso Makankosappo, e campo libero a Krilin, a un Genio delle tartarughe in formissima, a un Gohan nerd e particolarmente inutile, a Tenshinhan e alla new entry Jaco the Galactic Patrolman, preso di peso dall'ultimo manga realizzato da Toriyama, un personaggino simpatico e scazzato che rischia di dare dei punti alle creature più conosciute del mangaka. Ci sono, ovviamente, Son Goku e Vegeta, impegnati a raggiungere ulteriori evoluzioni di Super Sayan (il prossimo sarà verde? Mi sembra sia uno dei pochi colori di capelli che ancora mancano all'appello...) e ci sono, per fortuna, i personaggi più geniali di La battaglia degli dei, ovvero il Dio gatto della distruzione Bills e il suo ambiguo maestro Whis, portatori sani di gag esilaranti in quanto capaci di mantenere comunque il loro status di dei temuti ed invincibili.


La resurrezione di F mette in scena dunque tutti questi personaggi (con l'aggiunta dei tre sfigatissimi Pilaf, Mai e Shu, ancora ridotti a pargoli) e regala un'ora e mezza di battaglie sempre più sborone e momenti fintamente "ansiogeni", durante i quali lo spettatore è tenuto a far finta di non sapere che, alla fine, si concluderà tutto a tarallucci, vino e gelati per Bills. Al di là del sempre ottimo character design e alla bellezza delle animazioni, è la realizzazione tecnica in generale ad essere molto migliore rispetto a quella de La battaglia degli dei, che di tanto in tanto cadeva nell'errore di utilizzare una pessima CGI per gli sfondi dei momenti più concitati, inoltre parecchie sequenze omaggiano alcune storiche sequenze di Dragon Ball Z riaggiornandole al gusto odierno e strizzando allo stesso tempo l'occhio ai vecchi fan. La resurrezione di F si distingue anche per una colonna sonora parecchio cafona, che dà il bianco in alcune scene di battaglia accompagnate dall'ignorantissima F del gruppo giapponese Maximum the Hormone, quattro pazzoidi già votati alla causa in quanto la canzone è del 2008 ed era stata dedicata appunto a Freezer prima ancora che uscisse il film. A proposito di Freezer, l'unica pecca dell'anime è la scellerata follia dei coloristi, che hanno deciso di appioppare al malvagio una kitschissima tinta dorata in grado di farlo assomigliare più ad un cattivissimo Academy Award che a un malvagio dittatore cosmico, mentre come ho già detto in precedenza Goku e Vegeta sono stati agghindati come due fate turchine, una trasformazione che sinceramente lascia un po' il tempo che trova (mi rendo conto che qui la colpa è interamente di Toriyama, che non è mai stato uomo dai gusti sobri, anzi) e non solo per quel che riguarda l'aspetto ma anche e soprattutto per i poteri, poco entusiasmanti. A parte questo, La resurrezione di Freezer è un film che consiglio a tutti gli appassionati di Dragon Ball, soprattutto a quelli che hanno amato la storica saga di Namecc!

Tadayoshi Yamamuro è il regista della pellicola, al suo primo film in questo ruolo. Come animatore aveva già partecipato alla realizzazione di Dragon Ball Z: La battaglia degli dei e in generale di tutte le serie dedicate a Dragon Ball. Giapponese, ha 55 anni.


Quando il cellulare di Krilin suona si sente la canzone We Are!, sigla di apertura giapponese della serie One Piece, questo perché l'attrice Mayumi Tanaka doppia sia Krilin che Rufy.  A proposito di canzoni, aspettate fino alla fine dei titoli di coda perché Freezer viene accolto nell'inferno da angioletti praticamente identici alle Gacchan di Arale e doppiati in originale dalle componenti del gruppo Momoiro Clover Z, autrici della canzone Z no chikai (tema portante del film) nonché della meravigliosa sigla d'apertura di Sailor Moon Crystal. La resurrezione di "F" si colloca cronologicamente DOPO La battaglia degli dei ma prima della fine del manga e sicuramente prima dell'orrido Dragon Ball GT, mentre la nuova serie Dragon Ball Super se non ho capito male dovrebbe comprendere una rielaborazione sia de La battaglia degli dei sia di La resurrezione di F; se il film vi fosse piaciuto recuperate quindi tutto questo materiale! ENJOY!

martedì 22 settembre 2015

Il Bollodromo #14: Lupin III - L'avventura italiana (episodi 11-13)

Ormai il martedì è diventato giorno di camurrìa, in cui si commentano gli ultimi episodi della serie che ha trionfato agli Emmy tenuti nella mia testa come Miglior Sòla del 2015, ovvero Lupin III - L'avventura italiana. Cosa NON avrà rubato Lupin oggi? Quante trame inutili avranno "inventato" gli sceneggiatori? Vediamo...


Episodio 11 - Nettare d'amore

Simpatico divertissement in cui Fujiko e Rebecca si contendono non tanto l'amore di Lupin, mero mezzo per raggiungere lo scopo, quanto una botte di un vino che, si dice, farebbe innamorare le persone. Che non ci sia confronto tra le due donne (Fujiko riesce ad arrivare alla botte sfoderando il suo fascino, Rebecca prima si profonde nell'imitazione di Yuri Chechi poi, non sapendo come fare per battere la Signora Mine, compra direttamente la villa dov'è nascosto il "tesoro", ottenendo così anche i codici d'accesso al caveau -???-) è palese fin dalla prima inquadratura e Rebecca ci fa la figura della ragazzina viziata ed ignorante, se ancora ci fosse stato bisogno di sottolineare la cosa. Inutile dire anche che la bagarre si conclude a tarallucci e vino oltre che con il solito momento WTF che gli sceneggiatori amano infilare alla traditora in ogni puntata, anche se molto probabilmente stavolta è colpa di un adattamento sibillino, in combutta con la censura Mediasettara. E Lupin? Niente, il vecchio ladro gentiluomo avrebbe approfittato subito delle grazie delle due donzelle, quello nuovo prima rischia di venire sodomizzato poi accetta il threesome di malavoglia, solo per venire preso a calci nei marroni. Nulla di fatto come sempre, insomma.


Episodio 12 - Il sogno italiano (prima parte)

Oooh il Sogno Italiano!! Il Mistero Misterioso inserito a forza un paio di episodi fa e interamente basato sui trascorsi di Rebecca, il personaggio nuovo di cui non interessa una bella cippa a nessuno!! In questa puntata si scopre infatti che la moglie di Lupin non è nata stronza, anzi: una volta era una ragazzina innamorata ma il suo bello, un ipermegascienziato giapponotto, è morto suicida lasciandole un incomprensibile libro da decifrare. Rebecca, palesemente un'aquila, ci mette circa 20 anni per riuscirci e, scoperte un paio di coordinate sanmarinesi, vi si reca vestita come un'azzoccolatissima Stella della Senna, solo per venire catturata dal Mi-6 e rinchiusa nel loro impenetrabile rifugio, talmente segreto che pare essere meta di villeggiatura per donne delle pulizie e fattorini. Mah. Comunque, il maggiordomo tuttofare di Rebecca non ha altra soluzione che rivolgersi a Lupin per liberare la sua capa. Evviva!! Bentornati piani machiavellici per infiltrarsi in fortezze inespugnabili! Bentornati arditi giochi di sceneggiatura per lasciare ai personaggi la possibilità di sfoderare le loro abilità! Bentornati travestimenti banfoni! Bent.... ah no, scusate. Dimenticavo che L'avventura italiana si basa sul non visto, quindi a Lupin basta dire di essersi infiltrato nel sistema di comunicazioni interno al rifugio per convincere Nix a prendere Rebecca e portarla fuori. Che due palle. Per colpa del maggiordomo, lo stesso Nix si trasforma in Supersayan di terzo livello, facendo tantissimissima paura ai suoi colleghi che cercano così di abbatterlo, prima di venire brutalmente sconfitti. E voi direte: e che è!!!! Li uccide tutti malissimo?! Macché, li malmena come farebbe un qualsiasi Bud Spencer, non c'è alcun motivo per cui l'MI-6 dovrebbe entrare in paranoia e cercare di ucciderlo. Manco stessimo parlando di Deadpool...


Episodio 13 - Il sogno italiano (seconda parte)

Sfuggito "per miracolo" al cattivissimo Nix, Lupin entra in possesso del libro lasciato dallo scienziato a Rebecca. Un fiducioso Jigen scommette con Fujiko un pacchetto di sigarette (ecco l'utilità del pistolero in questa serie, manco una bottarella scommette!) che Lupin riuscirà a decifrarlo, e infatti: laddove Rebecca in 20 anni non ha capito una ceppa, pur essendo stata fidanzata col povero defunto, il ladro gentiluomo in 10 minuti scarsi penetra i segreti più reconditi di questo Sogno Italiano. Che, effettivamente, sogno è. Lupin, che dorme ma non sogna MAI (sic) precipita in un incubo causato dal subconscio dello scienziato che, trasferitosi dal libro alla mente del ladro, gli fa un incredibile, lunghissimo spiegone che tocca argomenti quali Libertas (che non è libertà. Guai a voi!!!), amore, morte, scoperte sensazionali che non devono cadere in mani sbagliate, uomini ombra che una volta seguivano Mulder ma ora è finito X-Files quindi hanno dovuto riciclarsi in altro modo. Insomma, un delirio che neanche Cronenberg, un tristissimo e patetico tentativo di revocare le splendide immagini oniriche di Una donna chiamata Fujiko Mine che, ovviamente, non porta a nulla. Lupin e Rebecca trovano il rifugio dello scienziato e gli danno fuoco per evitare che il MI-6 si impadronisca delle sue scoperte: da qui in poi, causa matrimoni, sbornie ecc. ho dormicchiato, lo ammetto, ma il succo del discorso è che l'ancora Super Sayan Nix e Lupin vengono abbattuti dal MI-6, che li prende in consegna finché Zenigata non chiede che gli venga restituito almeno Arsenico e vecchi merletti, così da portarlo in prigione. E qui la puntata finisce, con buona pace del sogno italiano.

Ha un'aura potentiss...ah no, ho sbagliato anime!
Come sempre, tre episodi altalenanti per qualità e diludendo che, pur essendo meno peggio degli altri, non riescono a far decollare la serie e a superare il fatale difetto della stessa, quello di concentrarsi sui personaggi di contorno ignorando completamente o quasi quelli titolari. La ben poco interessante sottotrama del sogno italiano, di Rebecca e del MI-6 a quanto pare continuerà anche nelle prossime puntate che, se non ho visto male il promo, obnubilata dal sonno com'ero, saranno un omaggio (o si dice plagio?) allo storico episodio della prima serie L'evasione di Lupin. Mi aspetto altissimi picchi di diludendo, è quasi un peccato che domenica sarò ancora a Londra e non potrò guardare la puntata prima di lunedì sera. Il problema però è che, molto probabilmente, non potrete guardarla neppure voi visto che, stando a QUESTO inquietante link, la tanto pubblicizzata Avventura italiana finirà recantata al lunedì, in orario da galera 00.55-1.25, al ritmo di un episodio a notte. Complimenti, Mer*aset. Davvero, complimentoni.

Ecco le altre puntate di Lupin III - L'avventura italiana:

Episodi 1- 4
Episodi 5 - 7
Episodi 8-10

domenica 20 settembre 2015

Inside Out (2015)

Giovedì sono andata a vedere Inside Out, diretto e co-sceneggiato dai registi Pete Docter e Ronaldo Del Carmen. Le aspettative per l'ultimo film della Pixar erano altissime e sono state tutte ripagate.


Trama: fin dalla più tenera età, l'interno della testa dell'undicenne Riley è governato dalle emozioni Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto. Dopo un traumatico trasloco, Tristezza comincia a comportarsi in modo strano e contamina i ricordi base della ragazzina; Gioia cerca di fermarla ma finiscono entrambe fuori dal "centro di controllo" assieme a questi importanti ricordi, perdendosi nella mente di Riley e lasciandola in balia di Paura, Rabbia e Disgusto..


Sono passati parecchi giorni ma ancora non riesco a dimenticare le mille emozioni che ha suscitato in me la visione di Inside Out, ultimo arrivato in casa Pixar e subito entrato di diritto nella top 5 dei capolavori della casa di produzione americana. Non sarà facile scrivere un post sensato perché non riesco a ripensare alla maggior parte delle sequenze presenti nel film senza sentire un groppo in gola, un magone difficile da spiegare. Perché Inside Out, al netto delle gag esilaranti (e ce ne sono tante, soprattutto negli imperdibili titoli di coda), della caratterizzazione splendida delle cinque emozioni che governano la piccola Riley, dell'incredibile bellezza della sua realizzazione, è un'amarissima e per questo molto realistica rappresentazione del passaggio dall'infanzia all'adolescenza, un passaggio che, per dirla negli stessi termini utilizzati nel film, si è probabilmente sedimentato nella mente di molti di noi come un "ricordo base", fondamentale per lo sviluppo della nostra personalità. Senza stare a raccontare la trama del film o a rovinare la sorpresa, Inside Out è una pellicola "tosta", capace di veicolare un messaggio complesso senza ricorrere a spiegoni e senza concedere scappatoie allo spettatore, che viene brutalmente spinto a ricordare e rivivere esperienze che ognuno di noi avrà sperimentato almeno una volta nella vita. La complessità dei ricordi, che da bambini avevano ognuno un "colore" specifico e che crescendo hanno cominciato ad acquisire sempre più sfumature, sensazioni tristi che vanno necessariamente a braccetto con i momenti più felici, inevitabili "sacrifici" richiesti dal tempo che passa e dalla necessità di crescere, emozioni apparentemente negative che servono invece a renderci più sensibili e percettivi; sono tutti argomenti che Inside Out affronta con eleganza e semplicità, deliziandoci con un paesaggio mentale allo stesso tempo favoloso ma anche molto realistico e offrendoci alcune ironiche spiegazioni sui più comuni "scherzi mentali" a cui siamo soggetti quotidianamente, come il deja vu, quelle maledette canzoncine che non riusciamo a toglierci dalla testa o quelle nozioni di trigonometria che sono andate misteriosamente diminuendo fino a venire dimenticate del tutto.


Inside Out, come dice il titolo, è un viaggio all'interno della mente della protagonista ma anche la rappresentazione delle conseguenze di questo viaggio nella vita quotidiana di Riley, che smette di'essere una ragazzina solare e gioiosa diventando all'improvviso cupa, incapace di provare emozioni che non siano di rabbia, disgusto e paura. L'intelligenza del film sta nel rappresentare ciò che dall'esterno può essere percepito (soprattutto da genitori ed insegnanti) come un periodo negativo di transizione in modo che invece, per le emozioni all'interno della testa di Riley, equivalga ad una sorta di armageddon, con intere zone di paesaggio annichilite da forze sconosciute oppure sgomberate da solerti operai mentali; in realtà, tutto quello che succede a Riley è quello che è accaduto (o che prima o poi accadrà) a tutti noi ed è proprio la consapevolezza di stare assistendo ad eventi normali e condivisibili a rendere Inside Out un piccolo gioiello in grado di regalarci ben DUE racconti di formazione, uno più bello ed intrigante dell'altro. Ognuno a suo modo, i due personaggi chiave della pellicola imparano che non è giusto indulgere costantemente in pensieri tristi e sprecare la propria esistenza a lamentarsi ma non è neppure giusto prendere tutto alla leggera, convincendosi che ogni cosa possa essere risolta con una risata o che tutto stia andando per il meglio: questo è l'importantissimo messaggio che Inside Out vuole comunicare. E' un messaggio forse impopolare e di sicuro contro corrente rispetto a quell'"impara a fischiettar" che negli anni '30 cercava di inculcarci la buona Biancaneve, sorridente persino davanti alla morte, ma io mi sento meglio sapendo che un cartone animato si sia preso il mal di pancia di insegnare ai bambini che la vita può essere brutta e che non si può essere vincitori sempre e comunque; se la vita dà dei limoni non bisogna fare per forza buon viso a cattivo gioco e bersi una limonata con gli amici oppure "fischiettare" aspettando che passi ma avere la sensibilità (cosa rarissima a questo mondo) di ascoltare e condividere la tristezza altrui oltre al coraggio di vincere Rabbia, Paura e Disgusto e confidarsi con chi è pronto a consolarci ed aiutarci. Forse, quest'atteggiamento non ci porterà dritti sulla Luna che sognavamo da piccoli ma chissà che non ci possa semplicemente aiutare a vivere un'esistenza serena benché semplice e, soprattutto, ad affrontare tutti quei cambiamenti che riteniamo devastanti ed impossibili da superare. Per il resto, ci sono sempre i sogni e i ricordi preziosi, quelli non ce li può togliere nessuno perché sono parte di noi e di ciò che siamo. Tra i miei ci sarà di sicuro e per sempre questo meraviglioso Inside Out... e almeno UN indimenticabile, dolcissimo e coraggioso personaggio.


P.S.
Sì, il corto Lava, che precede il film, è meraviglioso. Sì, la canzone che fa da trama e colonna sonora insieme è entrata di diritto a far parte di quelle melodie che partono a tradimento nella mia testa. E sì, piango ogni maledetta volta che succede. Grazie, Pixar.


Del regista e co-sceneggiatore (nonché voce originale della rabbia di papà) Pete Docter ho già parlato QUI mentre Kyle MacLachlan, che doppia il papà di Riley, lo trovate QUA.

Ronaldo Del Carmen è il co-regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Filippino, ha diretto episodi della serie Freakazoid. Anche e soprattutto animatore, ha 56 anni.


Tra le altre ventisette emozioni prese in considerazione c'erano anche Sorpresa, Orgoglio e Fiducia, ma i realizzatori hanno deciso alla fine di limitarsi a cinque, per rendere tutto meno complicato e sono stati eliminati anche un cucciolo e una sorella minore, per rendere Riley più vulnerabile; allo stesso modo, è stato presto scartato il primo plot di Inside Out, nel quale un bimba di 8 anni veniva colpita da un ramo perdendo la memoria a breve termine e costringendo le emozioni a recuperare i ricordi, così come l'accoppiata Gioia-Paura (al posto di Tristezza) o l'idea di fare viaggiare Riley nella propria mente. A parte questo, sappiate che nell'edizione home video del film sarà incluso anche il corto Riley's First Date?, che prosegue la storia del film; nell'attesa, QUI trovate un assaggio e se Inside Out vi fosse piaciuto recuperate Up, la saga di Toy Story e Monster & Co. ENJOY!

venerdì 18 settembre 2015

Wes Craven Day: Il serpente e l'arcobaleno (1988)



Il giorno stesso in cui è venuto a mancare Wes Craven ho chiesto al solito gruppetto di Blogger di organizzare un Day per commemorarlo e le adesioni sono state subito tantissime, a dimostrazione di quanto fosse amato lo zio Wes. Ho così colto la triste occasione per riguardare, dopo più di 10 anni, Il serpente e l’arcobaleno (The Serpent and the Rainbow), tratto dall’omonimo libro dell’etnobotanico Wade Davis, che all’epoca non avevo affatto apprezzato.


Trama: l’etnobotanico ed antropologo Dennis Alan si reca ad Haiti, su invito di un’azienda farmaceutica, per studiare il caso di un uomo morto sette anni prima e tornato in vita come zombi. Alan scoprirà tuttavia che curiosare tra le polveri e le leggende haitiane può essere estremamente pericoloso…



E’ proprio vero che i gusti cambiano ogni 10 anni. De Il serpente e l’arcobaleno mi aveva attirata all’epoca la spettrale locandina con un Bill Pullman più vampiro che zombi e un terrificante trailer che passava spesso in TV di cui ricordo alberi e, per l’appunto, un serpente. La visione mi aveva lasciata però totalmente insoddisfatta perché gli  zombi che mi aspettavo erano quelli della tradizione romeriana, non certo degli uomini di colore dall’aspetto un po’ trasandato e privi della tipica brama di carne umana. L’altra sera invece mi sono messa lì, satura di horror banali come solo chi ne guarda da 20 anni può essere, e mi è scesa di nuovo una lacrima al pensiero di come Wes Craven, prima di morire “fisicamente” di cancro, fosse già stato ucciso da spettatori stupidi come la sottoscritta, quel genere di pubblico che condanna film come Il serpente e l’arcobaleno ad essere un inevitabile insuccesso commerciale e spinge gli Autori, per non morire di fame, a piegarsi alle regole del business e girare della merda per ragazzini. Il serpente e l’arcobaleno è una pellicola particolare e coraggiosa, un horror nato nientemeno che da un trattato scientifico sulle sostanze velenose impiegate dai cosiddetti stregoni vodoo haitiani per creare degli zombi (laddove, ovviamente, per zombi si intende persone spinte in uno stato di coma assai simile alla morte, “resuscitate” e poi rese docili e prive di volontà da altre sostanze psicotrope). Partendo dal trattato di Wade Davis, il film di Craven ricama una favola nera che affonda le radici nelle credenze superstiziose della misteriosa Haiti, dove il confine tra suggestione mentale e magia è talmente sottile da essere quasi inesistente, e anche nell’attualità; è palese infatti che la condizione dello zombi e di tutti coloro a cui è stata rubata l’anima dal malvagio capo dei Tonton Macoute è la stessa in cui versavano gli haitiani alla fine degli anni ’80, vessati dalla dittatura di Bebé Doc Duvalier, ed è emblematico che la sconfitta del “cattivo” vada di pari passo con l’esilio del dittatore e la conseguente esplosione di gioia della popolazione (in realtà il film è stato girato in parte nella Repubblica Dominicana proprio a causa delle sommosse popolari haitiane, che avrebbero reso impossibile garantire la sicurezza della troupe). L’horror come specchio della realtà dunque, con l’angosciante tristezza di una persona consapevole di essere stata privata dell’anima e della libertà, costretta a camminare nella terra del Serpente senza poter raggiungere l’Arcobaleno.


Craven è già pienamente conscio della tragedia e dell’orrore insiti in questa condizione ed è per questo che non calca la mano con splatter o scene vietate ai minori, non ne ha bisogno: sangue e viscere sono orpelli con cui si divertono i ragazzini, l’horror adulto parla attraverso suggestioni, sguardi e “idee”. L’idea di venire sepolto vivo per esempio, con un muto terrore racchiuso nella lacrima di Christoph all’inizio, oppure il tremendo e allucinato sguardo del bokor Peytraud, un Zakes Mokae talmente inquietante che se me lo trovassi davanti scapperei a gambe levate (cosa che, effettivamente, il protagonista ad un certo punto fa). Però Haiti è anche magia, terra dei sogni e degli incubi voodoo e sappiamo tutti che Craven in questo campo è maestro. Fin dall’inizio, quindi, Il serpente e l’arcobaleno è impreziosito da una serie di sequenze oniriche che si alternano senza soluzione di continuità alle riprese “reali”  tanto che è spesso difficile capire quando finiscano le une e comincino le altre; tra le più efficaci rientrano sicuramente quella in cui Bill Pullman scopre il suo totem animale (ho adorato la tipica “incertezza” dei sogni più belli, quelli in cui gioia e terrore si compensano e si fondono) e quella terribile ed angosciante in cui il protagonista viene sepolto vivo e ricoperto da un mare di sangue prima di risvegliarsi e capire che l'incubo è appena iniziato. Non di soli sogni vive l'uomo però e, nonostante queste incursioni nell'horror, è anche vero che Craven utilizza spesso una regia documentaristica, soprattutto nelle sequenze che riguardano funerali e processioni, tanto da spingere lo spettatore a chiedersi se davvero quella che ha davanti è una semplice messinscena oppure il regista si è nascosto per riprendere delle cerimonie realmente esistite. Insomma, Il serpente e l'arcobaleno è un film atipico ma sicuramente non da sottovalutare, né da considerare come un'opera minore del regista: forse è un po' ingenuo sul finale, che ricorda tanto Grosso guaio a Chinatown, ma in generale è una visione interessante e consigliatissima!

Wes Craven è stato spesso ospite del Bollalmanacco. Ecco i film di cui ho parlato:

L'ultima casa a sinistra (1972)


Le colline hanno gli occhi (1977)


La casa nera (1991)


Scream 1, 2 e 3 (1996 - 2000)


My Soul to Take - Il cacciatore di anime (2010)


E se ancora, come spero, non vi basta, ecco gli altri blog che oggi hanno celebrato il buon Wes Craven:

Non c'è paragone - La casa nera
Mari's Red Room - L'ultima casa a sinistra
Scrivenny - Scream
Combinazione casuale - Nightmare - Dal profondo della notte
Non c'è paragone - La casa nera
WhiteRussian - Red Eye
Cinquecento Film Insieme - Scream 3 e 4
Pensieri Cannibali - Nightmare - Nuovo incubo
In Central Perk - Nightmare - Dal profondo della notte
Il Zinefilo - Dovevi essere morta
Montecristo - L'ultima casa a sinistra
Director's Cult - La casa nera

Immancabile e doveroso l'omaggio de Il giorno degli zombi: visto che in quasi ogni post di Lucia viene citato Wes è palese che gli voleva bene più di tutti noi quindi cercate anche le recensioni dedicate ai suoi film!! :)

giovedì 17 settembre 2015

(Gio)WE, Bolla! del 17/09/2015

Buon giovedì! Avete notato che da qualche tempo le uscite settimanali partono di lunedì e continuano per tutta la settimana? Rischio di non capirci davvero più nulla! A parte questo, c'è qualcosa di interessante al momento al Multisala? Direi proprio di sì! ENJOY!

Inside Out
Reazione a caldo: YAY!!!
Bolla, rifletti!: Universalmente riconosciuto da chi ha già avuto la fortuna di vederlo come uno dei Capolavori Pixar. Spero di riuscire ad andare domenica, nel frattempo preparo i fazzoletti che già il trailer mi mette un magone infinito...

L'attesa
Reazione a caldo: ??
Bolla, rifletti!: Primo dei molti film arrivati dritti dalla Mostra del cinema di Venezia, racconta di due donne in "attesa" di un uomo, figlio di una e fidanzato dell'altra, e di una verità troppo dolorosa per essere rivelata. Sicuramente sarà un bellissimo film ma l'argomento mi sembra troppo deprimente e viste le due settimane "calde" che mi aspettano potrà rimanere serenamente al palo.

Tutte lo vogliono
Reazione a caldo: Io no.
Bolla, rifletti!: Brignano gigolò per caso? Ma nemmeno nei miei incubi più perversi, grazie.

Anche al cinema d'élite arrivano strascichi della Mostra e la protagonista assoluta è Valeria Golino, vincitrice della Coppa Volpi...

Per amor vostro
Reazione a caldo: Hmm...
Bolla, rifletti!: Opera in bianco e nero con sprazzi di colore, usati per raccontare la storia di una donna convinta di essere "una cosa da niente". Il film promette di essere particolare e molto interessante, spero di poterlo recuperare un giorno!