Buon giovedì a tutti! Con Batman vs Superman che tiene ancora banco, questa settimana ci sono poche uscite ma forse, qualcosina di interessante... ENJOY!
Race - Il colore della vittoria
Reazione a caldo: Per esempio.
Bolla, rifletti!: Per esempio la vera storia di un atleta di colore che vince in quattro specialità durante le Olimpiadi organizzate da Hitler per sancire la supremazia della razza ariana potrebbe essere MOLTO interessante. Forse un po' privo di mordente come film ma forse forse...
On Air - Storia di un successo
Reazione a caldo: Vabbé.
Bolla, rifletti!: Ora, lo Zoo di 105 mi fa ridere. Non sempre, ché a volte è di una pesantezza intollerabile e i momenti migliori sono fondamentalmente quelli con Wender e i suoi scherzi telefonici... ma girare e soprattutto trovare gente che distribuisca un film dedicato alla vita e alla carriera di MAZZOLI no, dai. Sono senza parole, giuro.
Dopo questo insulto alla cinematografia mondiale vediamo cosa propone il cinema d'élite, che è meglio...
Il condominio dei cuori infranti
Reazione a caldo: Mh.
Bolla, rifletti!: Tre incontri all'interno di un ascensore che non funziona, storie di vita che si intrecciano in una commedia radicata nell'ambiente fondamentalmente solitario delle banlieue parigine. Potrebbe essere un interessante recupero, chissà...
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giovedì 31 marzo 2016
mercoledì 30 marzo 2016
Suffragette (2015)
Con il solito ritardo arrivo a parlare di un film bellissimo, Suffragette, diretto nel 2015 dalla regista Sarah Gavron.
Trama: nella Londra dei primi del '900 la giovane operaia Maud, sposata e con un bimbo piccolo, si ritrova coinvolta nel movimento delle cosiddette "suffragette", militanti pronte a battersi per ottenere il suffragio universale...
"Avete voluto i nostri stessi diritti? E adesso pedalate!". Quante volte ho sentito queste parole, ovviamente con mille declinazioni diverse, pronunciate dagli uomini davanti ad una lamentela femminile relativa al posto di lavoro, agli stipendi, ad una legge particolarmente idiota, alle proteste di madri costrette ad affidare i figli ai nonni perché con un solo stipendio non si arriva a fine mese. Chissà cosa direbbero questi uomini se sapessero che, prima di ottenere il diritto di voto (diritto che, per inciso, NON è ancora stato ottenuto da tutte le donne del mondo), la condizione delle esponenti del gentil sesso non era quella delle tranquille casalinghe mostrate in un'infinità di commedie o drammi americani dagli anni '50 in poi né le Suffragette erano le gioviali ed energiche donnette canterine, fondamentalmente innocue, tramandate da Mary Poppins. Chissà cosa direbbero se sapessero che una donna, agli inizi del '900, doveva OVVIAMENTE essere madre e moglie devota ma anche portare a casa la pagnotta portandosi il figlio in fabbrica, dove era costretta a lavorare il doppio del consorte per la metà della paga, oltre ad andare incontro problemi di salute e a soprusi fisici e mentali, per non parlare dell'impossibilità di ambire ad incarichi di prestigio, men che meno statali o politici. Nei gloriosi anni '80, quando sono nata io, mamma è stata fortunata: poteva votare e poteva anche stare a casa a crescere me, perché a quei tempi un uomo poteva accollarsi gli oneri economici di una piccola famiglia, con un po' di oculato risparmio e qualche sacrificio. Oggi, a distanza di più di 100 anni, sebbene una donna possa fortunatamente votare ed ambire ad alte cariche all'interno della società e dello Stato, siamo tornate alle condizioni di inizio '900 e chissà invece cosa direbbero le Suffragette e il loro "capo" Emmeline Pankhurst davanti ad aberrazioni come #escile, alla discriminazione che ancora esiste sul posto di lavoro, all'impossibilità di andare in giro con una minigonna perché trattasi di palese invito alla violenza sessuale, alla misoginia più o meno elevata all'interno dei media o dell'opinione pubblica e questo, beninteso, SOLO nella civiltà occidentale, ché c'è chi sta sempre peggio di noi.
Probabilmente le suffragette si armerebbero non già di striscioni e ombrellini, come per l'appunto ci mostrava il signor Disney, ma di sassi ed esplosivi come ci raccontano Sarah Gavron e il gruppo di favolose interpreti che hanno messo in piedi Suffragette, pellicola che può e deve essere un bel calcio nelle palle di chi ancora non ha capito che non è il caso di parlare di "sesso debole" solo perché la donna manca di attributi fisici. E se è vero che la pellicola della Gavron non inneggia al "Girl PowA", preferendo invece mostrare i pro e i tanti contro di un movimento che non ha esitato a sporcarsi le mani di sangue per ottenere un minimo di visibilità all'interno di una società dove i giornali venivano sistematicamente zittiti da polizia e governo, è altrettanto vero che gli uomini non ne escono benissimo. Il marito di Maud, giovane operaio convinto che avere una moglie significhi avere accanto una creatura tranquilla, silenziosa ed obbediente, un ragazzo incapace di fare fronte alle difficoltà di gestire un figlio da solo e timoroso dell'opinione dei vicini di casa, non è più inetto di un consiglio di Lord che promettono senza mantenere o di vili padroni capaci solo di usare violenza sulle loro operaie; schiacciati dal peso di quella che, in definitiva, era una guerra civile inglese, i pochi uomini e le poche donne ancora capaci di usare il cervello potevano solo offrire un silenzioso sostegno alla causa, oppure un'ammirazione da tenere necessariamente nascosta per non incorrere nelle stesse pene inflitte a donne che reclamavano semplicemente dei diritti sacrosanti. E se sto suonando retorica e un po' arrabbiata è perché Suffragette è un film potente, che mi ha portata a riflettere sul poco che questa società offre a donne che, come me, si sono fatte il mazzo per avere un pezzo di carta che attestasse la fine di un rispettabilissimo percorso di studi e che passano invece le giornate accanto a persone che le disprezzano in quanto possibili madri (ergo ladre di stipendi e posti di lavoro oltre che fancazziste), che non le chiamano Dottoresse perché Dottore è un titolo da dare solo agli uomini (o a chi pratica la professione medica. E se ti lamenti sei pure arrogante e fai pesare la laurea a chi non meriterebbe neppure il diploma di scuola media), ecc. ecc. Quindi ben vengano film come questo, per combattere l'anche troppo diffusa ignoranza con sane dosi di realtà storica, per una volta non edulcorata da pizzi, trine e merletti... e, col cuore, dico affanculo Winifred Banks!
Di Carey Mulligan (Maud Watts), Ben Whishaw (Sonny Watts), Helena Bonham Carter (Edith Ellyn), Brendan Gleeson (Ispettore Arthur Steed) e Meryl Streep (Emmeline Pankhurst) ho già parlato ai rispettivi link.
Sarah Gavron è la regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Brick Lane. Ha 46 anni.
Anne-Marie Duff interpreta Violet Miller. Inglese, moglie dell'attore James McAvoy, ha partecipato a film come Enigma e Magdalene. Ha 46 anni.
Nel film compaiono, in ruoli minori, sia Helen Pankhurst, pro-pronipote di Emmeline Pankhurst, che sua figlia Laura. Se Suffragette vi fosse piaciuto recuperate North Country e L'ultima eclissi. ENJOY!
Trama: nella Londra dei primi del '900 la giovane operaia Maud, sposata e con un bimbo piccolo, si ritrova coinvolta nel movimento delle cosiddette "suffragette", militanti pronte a battersi per ottenere il suffragio universale...
"Avete voluto i nostri stessi diritti? E adesso pedalate!". Quante volte ho sentito queste parole, ovviamente con mille declinazioni diverse, pronunciate dagli uomini davanti ad una lamentela femminile relativa al posto di lavoro, agli stipendi, ad una legge particolarmente idiota, alle proteste di madri costrette ad affidare i figli ai nonni perché con un solo stipendio non si arriva a fine mese. Chissà cosa direbbero questi uomini se sapessero che, prima di ottenere il diritto di voto (diritto che, per inciso, NON è ancora stato ottenuto da tutte le donne del mondo), la condizione delle esponenti del gentil sesso non era quella delle tranquille casalinghe mostrate in un'infinità di commedie o drammi americani dagli anni '50 in poi né le Suffragette erano le gioviali ed energiche donnette canterine, fondamentalmente innocue, tramandate da Mary Poppins. Chissà cosa direbbero se sapessero che una donna, agli inizi del '900, doveva OVVIAMENTE essere madre e moglie devota ma anche portare a casa la pagnotta portandosi il figlio in fabbrica, dove era costretta a lavorare il doppio del consorte per la metà della paga, oltre ad andare incontro problemi di salute e a soprusi fisici e mentali, per non parlare dell'impossibilità di ambire ad incarichi di prestigio, men che meno statali o politici. Nei gloriosi anni '80, quando sono nata io, mamma è stata fortunata: poteva votare e poteva anche stare a casa a crescere me, perché a quei tempi un uomo poteva accollarsi gli oneri economici di una piccola famiglia, con un po' di oculato risparmio e qualche sacrificio. Oggi, a distanza di più di 100 anni, sebbene una donna possa fortunatamente votare ed ambire ad alte cariche all'interno della società e dello Stato, siamo tornate alle condizioni di inizio '900 e chissà invece cosa direbbero le Suffragette e il loro "capo" Emmeline Pankhurst davanti ad aberrazioni come #escile, alla discriminazione che ancora esiste sul posto di lavoro, all'impossibilità di andare in giro con una minigonna perché trattasi di palese invito alla violenza sessuale, alla misoginia più o meno elevata all'interno dei media o dell'opinione pubblica e questo, beninteso, SOLO nella civiltà occidentale, ché c'è chi sta sempre peggio di noi.
Probabilmente le suffragette si armerebbero non già di striscioni e ombrellini, come per l'appunto ci mostrava il signor Disney, ma di sassi ed esplosivi come ci raccontano Sarah Gavron e il gruppo di favolose interpreti che hanno messo in piedi Suffragette, pellicola che può e deve essere un bel calcio nelle palle di chi ancora non ha capito che non è il caso di parlare di "sesso debole" solo perché la donna manca di attributi fisici. E se è vero che la pellicola della Gavron non inneggia al "Girl PowA", preferendo invece mostrare i pro e i tanti contro di un movimento che non ha esitato a sporcarsi le mani di sangue per ottenere un minimo di visibilità all'interno di una società dove i giornali venivano sistematicamente zittiti da polizia e governo, è altrettanto vero che gli uomini non ne escono benissimo. Il marito di Maud, giovane operaio convinto che avere una moglie significhi avere accanto una creatura tranquilla, silenziosa ed obbediente, un ragazzo incapace di fare fronte alle difficoltà di gestire un figlio da solo e timoroso dell'opinione dei vicini di casa, non è più inetto di un consiglio di Lord che promettono senza mantenere o di vili padroni capaci solo di usare violenza sulle loro operaie; schiacciati dal peso di quella che, in definitiva, era una guerra civile inglese, i pochi uomini e le poche donne ancora capaci di usare il cervello potevano solo offrire un silenzioso sostegno alla causa, oppure un'ammirazione da tenere necessariamente nascosta per non incorrere nelle stesse pene inflitte a donne che reclamavano semplicemente dei diritti sacrosanti. E se sto suonando retorica e un po' arrabbiata è perché Suffragette è un film potente, che mi ha portata a riflettere sul poco che questa società offre a donne che, come me, si sono fatte il mazzo per avere un pezzo di carta che attestasse la fine di un rispettabilissimo percorso di studi e che passano invece le giornate accanto a persone che le disprezzano in quanto possibili madri (ergo ladre di stipendi e posti di lavoro oltre che fancazziste), che non le chiamano Dottoresse perché Dottore è un titolo da dare solo agli uomini (o a chi pratica la professione medica. E se ti lamenti sei pure arrogante e fai pesare la laurea a chi non meriterebbe neppure il diploma di scuola media), ecc. ecc. Quindi ben vengano film come questo, per combattere l'anche troppo diffusa ignoranza con sane dosi di realtà storica, per una volta non edulcorata da pizzi, trine e merletti... e, col cuore, dico affanculo Winifred Banks!
Di Carey Mulligan (Maud Watts), Ben Whishaw (Sonny Watts), Helena Bonham Carter (Edith Ellyn), Brendan Gleeson (Ispettore Arthur Steed) e Meryl Streep (Emmeline Pankhurst) ho già parlato ai rispettivi link.
Sarah Gavron è la regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Brick Lane. Ha 46 anni.
Anne-Marie Duff interpreta Violet Miller. Inglese, moglie dell'attore James McAvoy, ha partecipato a film come Enigma e Magdalene. Ha 46 anni.
Nel film compaiono, in ruoli minori, sia Helen Pankhurst, pro-pronipote di Emmeline Pankhurst, che sua figlia Laura. Se Suffragette vi fosse piaciuto recuperate North Country e L'ultima eclissi. ENJOY!
martedì 29 marzo 2016
Kung Fu Panda 3 (2016)
Nonostante tutto il mondo fosse sconvolto dall'hype per Batman vs Superman, io ho bellamente ignoranto Mr. Wayne e Mr. Kent preferendo la visione di Kung Fu Panda 3, diretto dai registi Alessandro Carloni e Jennifer Yuh Nelson.
Trama: mentre il crudele Kai riesce a fuggire dal regno degli spiriti dove era confinato, il panda Po deve trovare la sua reale identità come Guerriero Dragone e affrontare il ritorno del vero padre...
Alla fine di questo terzo episodio posso tranquillamente dire che quella di Kung Fu Panda è una delle migliori trilogie mai girate, ovviamente con tutti i limiti del caso, non fraintendete. Il bello di questa serie di film infatti è che il protagonista Po, panda teneroso, cicciottello e pasticcione, cresce diventando un vero maestro del Kung Fu gradualmente, affrontando in ogni film una sfida che lo eleva di uno scalino rispetto alla sua condizione precedente, senza mai snaturarne l'essenza di bambinone combina guai; per intenderci, non vedremo mai Po diventare un eroe tragico alla Goku perché ogni suo passo verso la consapevolezza è costellato di piccoli momenti umoristici e, soprattutto, un'enorme umiltà. Ciò vale anche per questo ultimo episodio, che inizia con un Guerriero Dragone "adagiato" in una routine fatta di battaglie e allenamenti. Ma cosa significa davvero essere IL Guerriero Dragone? Cosa lo differenzia da combattenti ben più abili come, solo per fare due nomi, Tigre e il maestro Shifu? Eh, qualcosa di importantissimo c'è e il film lo rende chiaro e palese agli occhi dei piccoli spettatori, introducendo la tanto chiacchierata (almeno in Italia) figura del vero padre di Po, un pandone pasticcione ed esageratamente chiassoso, tanto quanto il figlio, e l'intera comunità dei suoi tenerissimi simili, uno più pacioccone e bello dell'altro. La ricerca delle proprie radici, la necessità di collaborare e migliorare sé stessi, la consapevolezza che il concetto di famiglia non può e non deve essere limitato ai legami di sangue, sono tutti temi importantissimi che vengono snocciolati con naturalezza tra un combattimento e l'altro, tra una risata e una lacrima, mentre gli sceneggiatori cercano di dare spazio non solo a Po ma anche a tutti i comprimari tanto amati da chi ha seguito la saga fin dall'inizio.
Kung Fu Panda 3 è come sempre molto bello anche visivamente. Sarà stata la grandezza della sala o dello schermo ma mi è parso che stavolta i personaggi fossero molto più realistici per quel che riguarda la resa del pelo (meravigliosamente morbido!!) e delle fattezze in generale, mentre le mosse di kung fu mi sono sembrate molto più fluide. L'animazione, come accadeva anche negli altri due film, alterna la CGI a disegni chiaramente ispirati alle stampe cinesi, soprattutto quando occorre introdurre dei flashback o delle leggende ricavate dalle storiche pergamene custodite da Shifu, e i due registi ricorrono spesso alla tecnica dello split screen, soprattutto durante le scene d'azione più concitate. Il character design dei personaggi nuovi, in gran parte ovviamente panda, è incredibilmente delicato e tenero, ogni animalotto è caratterizzato in modo che non sia possibile confonderlo con un altro e non avete idea di che esplosione di pucciosità siano i pandini, uno più bello dell'altro; il cattivo nuovo, Kai, è connotato come già succedeva ai tempi del primo Kung Fu Panda con un abbondante utilizzo del verde "ooze", concentrato di spettrale malvagità che si scatena nei terribili guerrieri di Giada che accompagnano il villain, ma purtroppo non raggiunge le vette di teatrale crudeltà del pavone del capitolo precedente, rischiando di cadere presto nel dimenticatoio come predetto dall'inside joke presente all'interno della pellicola. E se le sequenze ambientate nel Regno dello Spirito meritano il voto dieci per i colori e la fantasia con cui sono state realizzate, l'unico rammarico che mi resta è che Scimmia, Gru e Mantide siano un po' diventati i guerrieri scemi del villaggio, perdendo buona parte di quella tridimensionalità che, fortunatamente, non è venuta meno a Tigre e Shifu. E ora, prima di concludere, parliamo un po' della...
TERRIBILE QUESTIONE GENDER (Contiene Spoiler)
Cari genitori,
prima di impedire ai vostri bambini di andare a vedere un film delizioso come Kung Fu Panda 3 perché temete che esso possa pregiudicare non solo la loro identità sessuale futura ma anche il loro concetto di Famiglia Giusta, leggete queste due righe. Il panda Po viene cresciuto da un papero maschio e single perché quest'ultimo un giorno se lo vede piombare nel ristorante poco più che neonato. Non è che il vero padre, un panda per inciso, abbia deciso di abbandonarlo ma, capitelo, credeva fosse morto assieme alla moglie quando il loro villaggio è stato assaltato. E aggiungo anche che la mamma di Po viene più volte nominata nel corso del film, compianta nonché lodata per l'eroico sacrificio che l'ha portata a salvare la vita del pargolo. Quando il vero padre di Po torna a riabbracciarlo, NESSUNO mette in discussione la sua paternità, nessuno chiede a gran voce che panda e papero si uniscano in matrimonio per crescere il protagonista; piuttosto, i due padri riconoscono reciprocamente i rispettivi meriti e il loro rapporto, dopo la diffidenza e la gelosia iniziali, diventa una rispettosa e profonda amicizia. Tutto per il bene di Po che, in buona sostanza, capisce di essere stato cresciuto non solo da panda e papero, ma anche dal maestro Shifu, da maestro Oogway, da tutti gli amici, uomini e donne che siano, che hanno sempre avuto fiducia in lui. Quindi cari, perfetti genitori, andate a vedere Kung Fu Panda 3 tranquilli, ché il Gender non verrà a mordervi le chiappe e magari per una volta riuscirete anche a farvi una risata invece di prendere tutto così maledettamente sul serio!
Della regista Jennifer Yuh Nelson ho già parlato QUI. Jack Black (Po), Bryan Cranston (Li), Dustin Hoffman (Shifu), Angelina Jolie (Tigre), J.K. Simmons (Kai), Jackie Chan (Scimmia), Seth Rogen (Mantide), Lucy Liu (Vipera), David Cross (Gru), James Hong (Ping) e Jean-Claude Van Damme (Maestro Coccodrillo) li trovate invece ai rispettivi link.
Alessandro Carloni è il co-regista della pellicola. Nato a Bologna, è al suo primo lungometraggio. Anche animatore e tecnico degli effetti speciali, ha 38 anni.
Kate Hudson (vero nome Kare Garry Hudson) è la voce originale di Mei Mei. Americana, figlia di Goldie Hawn, la ricordo per film come Quasi famosi, The Skeleton Key e Tu, io e Dupree, inoltre ha partecipato a serie come Party of Five e Glee. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 37 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri doppiatori originali segnalo la presenza fissa Randall Duk Kim, che come negli altri episodi doppia il maestro Oogway, Wayne Knight, che invece presta la voce a Big Fun e Hom-Lee, e quattro dei figli della coppia Angelina Jolie/Brad Pitt, ovvero Pax, Knox, Zahara e Shiloh, tutti a doppiare i piccoli pandini mentre Rebel Wilson e Jamie Campbell Bower hanno rispettivamente dovuto rinunciare ai ruoli di Mei Mei e Li. I boss della Dreamworks hanno confermato che questo non sarà l'ultimo film della franchise ma che ce ne saranno ancora almeno tre; nell'attesa, se Kung Fu Panda 3 vi fosse piaciuto recuperate i primi due film e aggiungete I segreti dei cinque cicloni, il corto Kung Fu Panda Holiday, la serie Kung Fu Panda - Mitiche avventure e i corti Kung Fu Panda: I segreti dei maestri e Kung Fu Panda: Secrets of the Scroll. ENJOY!
Trama: mentre il crudele Kai riesce a fuggire dal regno degli spiriti dove era confinato, il panda Po deve trovare la sua reale identità come Guerriero Dragone e affrontare il ritorno del vero padre...
Alla fine di questo terzo episodio posso tranquillamente dire che quella di Kung Fu Panda è una delle migliori trilogie mai girate, ovviamente con tutti i limiti del caso, non fraintendete. Il bello di questa serie di film infatti è che il protagonista Po, panda teneroso, cicciottello e pasticcione, cresce diventando un vero maestro del Kung Fu gradualmente, affrontando in ogni film una sfida che lo eleva di uno scalino rispetto alla sua condizione precedente, senza mai snaturarne l'essenza di bambinone combina guai; per intenderci, non vedremo mai Po diventare un eroe tragico alla Goku perché ogni suo passo verso la consapevolezza è costellato di piccoli momenti umoristici e, soprattutto, un'enorme umiltà. Ciò vale anche per questo ultimo episodio, che inizia con un Guerriero Dragone "adagiato" in una routine fatta di battaglie e allenamenti. Ma cosa significa davvero essere IL Guerriero Dragone? Cosa lo differenzia da combattenti ben più abili come, solo per fare due nomi, Tigre e il maestro Shifu? Eh, qualcosa di importantissimo c'è e il film lo rende chiaro e palese agli occhi dei piccoli spettatori, introducendo la tanto chiacchierata (almeno in Italia) figura del vero padre di Po, un pandone pasticcione ed esageratamente chiassoso, tanto quanto il figlio, e l'intera comunità dei suoi tenerissimi simili, uno più pacioccone e bello dell'altro. La ricerca delle proprie radici, la necessità di collaborare e migliorare sé stessi, la consapevolezza che il concetto di famiglia non può e non deve essere limitato ai legami di sangue, sono tutti temi importantissimi che vengono snocciolati con naturalezza tra un combattimento e l'altro, tra una risata e una lacrima, mentre gli sceneggiatori cercano di dare spazio non solo a Po ma anche a tutti i comprimari tanto amati da chi ha seguito la saga fin dall'inizio.
Kung Fu Panda 3 è come sempre molto bello anche visivamente. Sarà stata la grandezza della sala o dello schermo ma mi è parso che stavolta i personaggi fossero molto più realistici per quel che riguarda la resa del pelo (meravigliosamente morbido!!) e delle fattezze in generale, mentre le mosse di kung fu mi sono sembrate molto più fluide. L'animazione, come accadeva anche negli altri due film, alterna la CGI a disegni chiaramente ispirati alle stampe cinesi, soprattutto quando occorre introdurre dei flashback o delle leggende ricavate dalle storiche pergamene custodite da Shifu, e i due registi ricorrono spesso alla tecnica dello split screen, soprattutto durante le scene d'azione più concitate. Il character design dei personaggi nuovi, in gran parte ovviamente panda, è incredibilmente delicato e tenero, ogni animalotto è caratterizzato in modo che non sia possibile confonderlo con un altro e non avete idea di che esplosione di pucciosità siano i pandini, uno più bello dell'altro; il cattivo nuovo, Kai, è connotato come già succedeva ai tempi del primo Kung Fu Panda con un abbondante utilizzo del verde "ooze", concentrato di spettrale malvagità che si scatena nei terribili guerrieri di Giada che accompagnano il villain, ma purtroppo non raggiunge le vette di teatrale crudeltà del pavone del capitolo precedente, rischiando di cadere presto nel dimenticatoio come predetto dall'inside joke presente all'interno della pellicola. E se le sequenze ambientate nel Regno dello Spirito meritano il voto dieci per i colori e la fantasia con cui sono state realizzate, l'unico rammarico che mi resta è che Scimmia, Gru e Mantide siano un po' diventati i guerrieri scemi del villaggio, perdendo buona parte di quella tridimensionalità che, fortunatamente, non è venuta meno a Tigre e Shifu. E ora, prima di concludere, parliamo un po' della...
TERRIBILE QUESTIONE GENDER (Contiene Spoiler)
Cari genitori,
prima di impedire ai vostri bambini di andare a vedere un film delizioso come Kung Fu Panda 3 perché temete che esso possa pregiudicare non solo la loro identità sessuale futura ma anche il loro concetto di Famiglia Giusta, leggete queste due righe. Il panda Po viene cresciuto da un papero maschio e single perché quest'ultimo un giorno se lo vede piombare nel ristorante poco più che neonato. Non è che il vero padre, un panda per inciso, abbia deciso di abbandonarlo ma, capitelo, credeva fosse morto assieme alla moglie quando il loro villaggio è stato assaltato. E aggiungo anche che la mamma di Po viene più volte nominata nel corso del film, compianta nonché lodata per l'eroico sacrificio che l'ha portata a salvare la vita del pargolo. Quando il vero padre di Po torna a riabbracciarlo, NESSUNO mette in discussione la sua paternità, nessuno chiede a gran voce che panda e papero si uniscano in matrimonio per crescere il protagonista; piuttosto, i due padri riconoscono reciprocamente i rispettivi meriti e il loro rapporto, dopo la diffidenza e la gelosia iniziali, diventa una rispettosa e profonda amicizia. Tutto per il bene di Po che, in buona sostanza, capisce di essere stato cresciuto non solo da panda e papero, ma anche dal maestro Shifu, da maestro Oogway, da tutti gli amici, uomini e donne che siano, che hanno sempre avuto fiducia in lui. Quindi cari, perfetti genitori, andate a vedere Kung Fu Panda 3 tranquilli, ché il Gender non verrà a mordervi le chiappe e magari per una volta riuscirete anche a farvi una risata invece di prendere tutto così maledettamente sul serio!
Della regista Jennifer Yuh Nelson ho già parlato QUI. Jack Black (Po), Bryan Cranston (Li), Dustin Hoffman (Shifu), Angelina Jolie (Tigre), J.K. Simmons (Kai), Jackie Chan (Scimmia), Seth Rogen (Mantide), Lucy Liu (Vipera), David Cross (Gru), James Hong (Ping) e Jean-Claude Van Damme (Maestro Coccodrillo) li trovate invece ai rispettivi link.
Alessandro Carloni è il co-regista della pellicola. Nato a Bologna, è al suo primo lungometraggio. Anche animatore e tecnico degli effetti speciali, ha 38 anni.
Kate Hudson (vero nome Kare Garry Hudson) è la voce originale di Mei Mei. Americana, figlia di Goldie Hawn, la ricordo per film come Quasi famosi, The Skeleton Key e Tu, io e Dupree, inoltre ha partecipato a serie come Party of Five e Glee. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 37 anni e tre film in uscita.
Tra gli altri doppiatori originali segnalo la presenza fissa Randall Duk Kim, che come negli altri episodi doppia il maestro Oogway, Wayne Knight, che invece presta la voce a Big Fun e Hom-Lee, e quattro dei figli della coppia Angelina Jolie/Brad Pitt, ovvero Pax, Knox, Zahara e Shiloh, tutti a doppiare i piccoli pandini mentre Rebel Wilson e Jamie Campbell Bower hanno rispettivamente dovuto rinunciare ai ruoli di Mei Mei e Li. I boss della Dreamworks hanno confermato che questo non sarà l'ultimo film della franchise ma che ce ne saranno ancora almeno tre; nell'attesa, se Kung Fu Panda 3 vi fosse piaciuto recuperate i primi due film e aggiungete I segreti dei cinque cicloni, il corto Kung Fu Panda Holiday, la serie Kung Fu Panda - Mitiche avventure e i corti Kung Fu Panda: I segreti dei maestri e Kung Fu Panda: Secrets of the Scroll. ENJOY!
domenica 27 marzo 2016
Krampus - Natale non è sempre Natale (2015)
Spinta dall'entusiasmo di Lucia , Kara e Hell in questi giorni ho deciso anch'io di recuperare il bistrattato Krampus - Natale non è sempre Natale (Krampus), diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Michael Dougherty e, nonostante fosse già stata comunicata una data d'uscita, mai arrivato in Italia. Bel tempismo pubblicarlo proprio il giorno di Pasqua, eh? Auguri!!!!
Trama: costretto a passare le festività con i genitori in crisi e un terrificante nugolo di zii e cugini, il piccolo Max abbandona per la prima volta in vita sua lo spirito Natalizio. Sfortunatamente per lui, la sua mancanza di fede viene percepita dal Krampus e dai suoi adepti...
Alzi la mano chi non ha mai dovuto passare le feste tra parenti camurriosi!! Io sono stata benedetta da una famiglia numerosa ma affatto molesta, per lo più formata da persone intelligenti e se non altro riservate e poco chiassose ma purtroppo so per certo che non per tutti è così. Di sicuro non lo è per il piccolo Max, costretto a passare il Natale con un'orda di burini grandi e piccoli che farebbero scappare la pazienza ad un santo, due genitori che ormai non si amano più come una volta e una sorella in piena fase adolescenziale; l'unico alleato di Max, bimbo che ancora crede in Babbo Natale, ama scrivere la letterina o guardare Snoopy in televisione, è la nonna tedesca la quale, come tutte le nonne che si rispettino, è un bignami vivente di tradizioni, saggezza, biscottini e cioccolata. Date le premesse, Krampus sembra davvero la tipica favoletta edificante di Natale, una di quelle in cui tutti devono ritrovare lo spirito natalizio perduto a son di buffetti e ramanzine, giusto? No, niente di più sbagliato. Perché Krampus non perdona chi, anche solo per cinque minuti, ha smesso di credere e di cantare It's Beginning To Look a Lot Like Christmas con tutta la gioia di questo mondo nel cuore. Krampus è il secondo spirito "punitivo" creato dalla fervida mente di Michael Dougherty, quello che già ai tempi di Trick'r'Treat (o La vendetta di Halloween, fate voi, ma sappiate che è un titolo che aborro) ci aveva mostrato quanto fosse pericoloso prendersi gioco delle antichissime regole che scandiscono le festività, qualunque esse siano; a chi non rispetta il Natale, Krampus scaglia contro delle orribili ed inquietanti versioni di dolcetti e balocchi, esaudendo i desideri dei piccoli disillusi come un novello Djinn malvagio, facendoli pentire per tutta la vita di essersi arresi e avere smesso di combattere per un Natale migliore. Il risultato di tutto questo preambolo è una nerissima commedia natalizia, condita da momenti esilaranti e altri di spietata, immorale ironia, ancor più riusciti perché tremendamente realistici e al passo con la terrificante idea di "allegria a tutti i costi" oppure "consumismo sfrenato" che sempre più accompagna il Natale mano a mano che si diventa adulti.
Dougherty si diverte a giocare sia con la trama, che titilla le aspettative dello spettatore portandolo a sperare per il meglio perché "hey, è Natale!!", sia col bestiario di fantasiose creature che la Weta gli ha messo a disposizione. Io che mi aspettavo di vedere "solo" un serissimo e sanguinario Krampus alla maniera di Saint ho dovuto ricredermi e godermi una versione moderna de I gremlins, zeppa di quella violenta cattiveria nascosta appena dietro l'inquadratura che rischia di fare venire gli incubi ad eventuali, incauti giovani spettatori; non aspettatevi infatti la macellata del secolo, ché i momenti splatter di Trick'r'Treat sono fortunatamente ben lontani, bensì preparatevi ad accogliere quella vecchia sensazione di impotente terrore che moltissimi "horror per ragazzi" anni '80 riuscivano a riversare addosso allo spettatore. Oltre ad essere assai ben fatto per quel che riguarda la parte tecnica e la colonna sonora (ascoltate la versione di Carol of the Bells sui titoli di coda oppure godetevi il cattivissimo montaggio iniziale sulle note di It's Beginning To Look a Lot Like Christmas, mi darete ragione!), Krampus vanta anche la presenza di caratteristi bravissimi, capaci di dare quel tocco di zenzero speziato in più all'intera operazione: accanto alla sempre graditissima Toni Collette e l'ormai mitico David Koechner, spicca la tremenda zia intepretata da una Conchata Ferrell in stato di grazia, i cui duetti con le nipoti o, peggio, con i poveri pargoli innocenti sono da manuale della commedia grottesca. Michael Dougherty, per fortuna o purtroppo, è un regista e sceneggiatore che se la mena e lascia noi fan a bocca asciutta per tempi talmente lunghi che paiono un'eternità ma quando esce un suo film pare davvero di essere a Natale, con un succulento pacchettone davanti, pieno di mostrini da scartare. Tesoro mio, quanto mi farai aspettare per Trick'r'Treat 2?
Del regista e co-sceneggiatore Michael Dougherty ho già parlato QUI. Toni Collette (Sarah Engel) e David Koechner (Howard) li trovate invece ai rispettivi link.
Adam Scott interpreta Tom Engel. Americano, ha partecipato a film come Hellraiser - La stirpe maledetta, The Aviator, Piranha 3D, Black Mass - L'ultimo gangster e a serie come E.R. Medici in prima linea, NYPD, Party of Five, Six Feet Under, CSI: Miami e Veronica Mars, inoltre ha lavorato come doppiatore per episodi di American Dad! e Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 43 anni e un film in uscita.
Conchata Ferrell interpreta Zia Dorothy. Americana, la ricordo per film come Quinto potere, Edward mani di forbice e Una vita al massimo; inoltre ha partecipato a serie come Love Boat, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, Buffy l'ammazzavampiri, Friends, E.R. Medici in prima linea, Sabrina vita da strega e Due uomini e mezzo mentre come doppiatrice ha lavorato nel film Frankenweenie e in serie come The Mask. Ha 73 anni.
Se Krampus vi fosse piaciuto recuperate Trick'r'Treat, Racconti dalla tomba, Black Christmas, Gremlins, The Nightmare Before Christmas, Trasporto eccezionale - Un racconto di Natale e Saint. ENJOY!
Trama: costretto a passare le festività con i genitori in crisi e un terrificante nugolo di zii e cugini, il piccolo Max abbandona per la prima volta in vita sua lo spirito Natalizio. Sfortunatamente per lui, la sua mancanza di fede viene percepita dal Krampus e dai suoi adepti...
Alzi la mano chi non ha mai dovuto passare le feste tra parenti camurriosi!! Io sono stata benedetta da una famiglia numerosa ma affatto molesta, per lo più formata da persone intelligenti e se non altro riservate e poco chiassose ma purtroppo so per certo che non per tutti è così. Di sicuro non lo è per il piccolo Max, costretto a passare il Natale con un'orda di burini grandi e piccoli che farebbero scappare la pazienza ad un santo, due genitori che ormai non si amano più come una volta e una sorella in piena fase adolescenziale; l'unico alleato di Max, bimbo che ancora crede in Babbo Natale, ama scrivere la letterina o guardare Snoopy in televisione, è la nonna tedesca la quale, come tutte le nonne che si rispettino, è un bignami vivente di tradizioni, saggezza, biscottini e cioccolata. Date le premesse, Krampus sembra davvero la tipica favoletta edificante di Natale, una di quelle in cui tutti devono ritrovare lo spirito natalizio perduto a son di buffetti e ramanzine, giusto? No, niente di più sbagliato. Perché Krampus non perdona chi, anche solo per cinque minuti, ha smesso di credere e di cantare It's Beginning To Look a Lot Like Christmas con tutta la gioia di questo mondo nel cuore. Krampus è il secondo spirito "punitivo" creato dalla fervida mente di Michael Dougherty, quello che già ai tempi di Trick'r'Treat (o La vendetta di Halloween, fate voi, ma sappiate che è un titolo che aborro) ci aveva mostrato quanto fosse pericoloso prendersi gioco delle antichissime regole che scandiscono le festività, qualunque esse siano; a chi non rispetta il Natale, Krampus scaglia contro delle orribili ed inquietanti versioni di dolcetti e balocchi, esaudendo i desideri dei piccoli disillusi come un novello Djinn malvagio, facendoli pentire per tutta la vita di essersi arresi e avere smesso di combattere per un Natale migliore. Il risultato di tutto questo preambolo è una nerissima commedia natalizia, condita da momenti esilaranti e altri di spietata, immorale ironia, ancor più riusciti perché tremendamente realistici e al passo con la terrificante idea di "allegria a tutti i costi" oppure "consumismo sfrenato" che sempre più accompagna il Natale mano a mano che si diventa adulti.
E qui ho tipo perso 10 anni di vita... |
Del regista e co-sceneggiatore Michael Dougherty ho già parlato QUI. Toni Collette (Sarah Engel) e David Koechner (Howard) li trovate invece ai rispettivi link.
Adam Scott interpreta Tom Engel. Americano, ha partecipato a film come Hellraiser - La stirpe maledetta, The Aviator, Piranha 3D, Black Mass - L'ultimo gangster e a serie come E.R. Medici in prima linea, NYPD, Party of Five, Six Feet Under, CSI: Miami e Veronica Mars, inoltre ha lavorato come doppiatore per episodi di American Dad! e Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 43 anni e un film in uscita.
Conchata Ferrell interpreta Zia Dorothy. Americana, la ricordo per film come Quinto potere, Edward mani di forbice e Una vita al massimo; inoltre ha partecipato a serie come Love Boat, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, Buffy l'ammazzavampiri, Friends, E.R. Medici in prima linea, Sabrina vita da strega e Due uomini e mezzo mentre come doppiatrice ha lavorato nel film Frankenweenie e in serie come The Mask. Ha 73 anni.
Se Krampus vi fosse piaciuto recuperate Trick'r'Treat, Racconti dalla tomba, Black Christmas, Gremlins, The Nightmare Before Christmas, Trasporto eccezionale - Un racconto di Natale e Saint. ENJOY!
venerdì 25 marzo 2016
Frankenstein (2015)
Ogni tanto la distribuzione italiana stupisce il pubblico facendo arrivare in sala (non tutte, ci mancherebbe, credo solo 4/5 in tutta la Penisola) film straight to video come Frankenstein, scritto e diretto nel 2015 dal regista Bernard Rose.
Trama: un gruppo di scienziati crea un ragazzo dalla forza di dieci uomini ma la creatura comincia fin da subito a manifestare problemi di cedimento cellulare. Quando il ragazzo capisce di stare per venire ucciso fugge, lasciando dietro di sé una scia di sangue...
Il mito di Frankenstein mi ha sempre affascinata, lo ammetto, ma è ben difficile trovare qualche trasposizione cinematografica che non percorra pedissequamente sentieri già battuti nel corso degli anni. Bernard Rose, tornato finalmente all'horror, ci prova, spostando i riflettori dai tormenti del Dottor Victor Frankenstein, qui relegato al ruolo di semplice "creatore" senza scrupoli, e focalizzandoli sulla Creatura, che in questa versione del romanzo di Mary Shelley prende il nome di "mostro" o "Adam". Il regista, che è anche sceneggiatore, decide di renderci partecipi dei tormenti di un essere nato col corpo in decomposizione di un adulto ma la mente di un neonato, che col tempo cerca di crescere e comprendere la realtà che lo circonda nonostante essa gli riservi quasi solo violenza, dolore, sensazioni confuse ed emozioni negative. L'unico punto fisso dell'esistenza di Adam è la moglie di Frankenstein, Marie, la sola che per qualche tempo si rapporta alla Creatura come se ne fosse la madre (ed effettivamente, in un certo senso, così è); dal momento in cui anche Marie però lo rinnega, cercando di salvare sé stessa e il marito, per Adam si apre un abisso di solitudine e rancore, sentimenti che lo spingeranno sempre più in un vortice di tragedie e violenze assai simile a quello raccontato dalla Shelley. Ciò che differenzia il Frankenstein di Bernard Rose da molti altri suoi "fratelli" è però che la Creatura fondamentalmente non si muove spinta da una rinnovata e "colta" sete di vendetta verso i suoi creatori, quanto piuttosto dal desiderio di appartenere al mondo, di ritrovare le sensazioni positive ricevute da quella che lui considerava una figura materna, molto banalmente di "essere amato" senza secondi fini. Ovviamente, la cosa non gli riuscirà molto bene, povera creatura.
Purtroppo, nonostante le ottime intenzioni di partenza il povero Bernard Rose si perde un po' nella sua stessa sceneggiatura e viene bloccato da evidenti limiti di budget. Per esempio il personaggio di Marie, interpretato dall'elegante Carrie-Ann Moss, avrebbe a mio avviso meritato molto più spazio e magari una lettura più approfondita, anche perché nelle altre versioni di Frankenstein non mi sembrava ci fosse la presenza di un forte punto di vista femminile, nonostante l'autrice dell'opera originale fosse donna. Conseguentemente, la parte più interessante di Frankenstein è proprio quella iniziale, ambientata in un laboratorio che funge da culla e micromondo per Adam, e dotata di alcune belle sequenze girate in soggettiva, attraverso le palpebre chiuse di una Creatura che sta cominciando a conoscere il mondo con i suoi sensi ancora grezzi, mentre il resto del film, soprattutto nella parte finale ambientata nei bassifondi della città, stenta un po' a decollare. Nonostante il budget ristretto che ho citato sopra, ho molto apprezzato gli effetti speciali, splatter quanto basta (sinceramente la scena del cervello non sono riuscita a guardarla tutta,), e soprattutto il trucco di Adam, che diventa sempre più mostruoso mano a mano che la degenerazione cellulare avanza, al punto che del bel viso del bravo Xavier Samuel arriva a non esserci più traccia. Menzione d'onore, ovviamente, per la voce sempre sexy di un Tony Todd in versione "Ray Charles" mentre dispiace poter vedere così poco l'adorato Danny Huston, che da quando ha partecipato ad American Horror Story è diventato uno di quegli attori che mi spinge sempre a guardare un film, a prescindere dall'effettiva qualità dello stesso. Stavolta mi è andata bene, perché Frankenstein è una visione interessante, sicuramente meritevole di una chance!
Di Tony Todd (Eddie) e Danny Huston (Victor Frankenstein) ho parlato ai rispettivi link.
Bernard Rose è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come La casa ai confini della realtà, Candyman - Terrore dietro lo specchio e Amata immortale. Anche attore e compositore, ha 56 anni.
Carrie-Anne Moss interpreta Marie. Canadese, la ricordo per film come Matrix, Memento, Chocolat, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, inoltre ha partecipato a serie come I viaggiatori delle tenebre, Nightmare Cafe, Baywatch, Jessica Jones e Daredevil. Anche produttrice, ha 49 anni e due film in uscita, inoltre dovrebbe partecipare ad almeno una puntata dell'imminente serie Iron Fist, sempre nei panni dell'avvocato Jeri Hoghart.
Xavier Samuel interpreta Adam. Australiano, ha partecipato a film come The Twilight Saga: Eclipse, Anonymous e Fury. Ha 33 anni e cinque film in uscita.
Trama: un gruppo di scienziati crea un ragazzo dalla forza di dieci uomini ma la creatura comincia fin da subito a manifestare problemi di cedimento cellulare. Quando il ragazzo capisce di stare per venire ucciso fugge, lasciando dietro di sé una scia di sangue...
Il mito di Frankenstein mi ha sempre affascinata, lo ammetto, ma è ben difficile trovare qualche trasposizione cinematografica che non percorra pedissequamente sentieri già battuti nel corso degli anni. Bernard Rose, tornato finalmente all'horror, ci prova, spostando i riflettori dai tormenti del Dottor Victor Frankenstein, qui relegato al ruolo di semplice "creatore" senza scrupoli, e focalizzandoli sulla Creatura, che in questa versione del romanzo di Mary Shelley prende il nome di "mostro" o "Adam". Il regista, che è anche sceneggiatore, decide di renderci partecipi dei tormenti di un essere nato col corpo in decomposizione di un adulto ma la mente di un neonato, che col tempo cerca di crescere e comprendere la realtà che lo circonda nonostante essa gli riservi quasi solo violenza, dolore, sensazioni confuse ed emozioni negative. L'unico punto fisso dell'esistenza di Adam è la moglie di Frankenstein, Marie, la sola che per qualche tempo si rapporta alla Creatura come se ne fosse la madre (ed effettivamente, in un certo senso, così è); dal momento in cui anche Marie però lo rinnega, cercando di salvare sé stessa e il marito, per Adam si apre un abisso di solitudine e rancore, sentimenti che lo spingeranno sempre più in un vortice di tragedie e violenze assai simile a quello raccontato dalla Shelley. Ciò che differenzia il Frankenstein di Bernard Rose da molti altri suoi "fratelli" è però che la Creatura fondamentalmente non si muove spinta da una rinnovata e "colta" sete di vendetta verso i suoi creatori, quanto piuttosto dal desiderio di appartenere al mondo, di ritrovare le sensazioni positive ricevute da quella che lui considerava una figura materna, molto banalmente di "essere amato" senza secondi fini. Ovviamente, la cosa non gli riuscirà molto bene, povera creatura.
Purtroppo, nonostante le ottime intenzioni di partenza il povero Bernard Rose si perde un po' nella sua stessa sceneggiatura e viene bloccato da evidenti limiti di budget. Per esempio il personaggio di Marie, interpretato dall'elegante Carrie-Ann Moss, avrebbe a mio avviso meritato molto più spazio e magari una lettura più approfondita, anche perché nelle altre versioni di Frankenstein non mi sembrava ci fosse la presenza di un forte punto di vista femminile, nonostante l'autrice dell'opera originale fosse donna. Conseguentemente, la parte più interessante di Frankenstein è proprio quella iniziale, ambientata in un laboratorio che funge da culla e micromondo per Adam, e dotata di alcune belle sequenze girate in soggettiva, attraverso le palpebre chiuse di una Creatura che sta cominciando a conoscere il mondo con i suoi sensi ancora grezzi, mentre il resto del film, soprattutto nella parte finale ambientata nei bassifondi della città, stenta un po' a decollare. Nonostante il budget ristretto che ho citato sopra, ho molto apprezzato gli effetti speciali, splatter quanto basta (sinceramente la scena del cervello non sono riuscita a guardarla tutta,), e soprattutto il trucco di Adam, che diventa sempre più mostruoso mano a mano che la degenerazione cellulare avanza, al punto che del bel viso del bravo Xavier Samuel arriva a non esserci più traccia. Menzione d'onore, ovviamente, per la voce sempre sexy di un Tony Todd in versione "Ray Charles" mentre dispiace poter vedere così poco l'adorato Danny Huston, che da quando ha partecipato ad American Horror Story è diventato uno di quegli attori che mi spinge sempre a guardare un film, a prescindere dall'effettiva qualità dello stesso. Stavolta mi è andata bene, perché Frankenstein è una visione interessante, sicuramente meritevole di una chance!
Di Tony Todd (Eddie) e Danny Huston (Victor Frankenstein) ho parlato ai rispettivi link.
Bernard Rose è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come La casa ai confini della realtà, Candyman - Terrore dietro lo specchio e Amata immortale. Anche attore e compositore, ha 56 anni.
Carrie-Anne Moss interpreta Marie. Canadese, la ricordo per film come Matrix, Memento, Chocolat, Matrix Reloaded e Matrix Revolutions, inoltre ha partecipato a serie come I viaggiatori delle tenebre, Nightmare Cafe, Baywatch, Jessica Jones e Daredevil. Anche produttrice, ha 49 anni e due film in uscita, inoltre dovrebbe partecipare ad almeno una puntata dell'imminente serie Iron Fist, sempre nei panni dell'avvocato Jeri Hoghart.
Xavier Samuel interpreta Adam. Australiano, ha partecipato a film come The Twilight Saga: Eclipse, Anonymous e Fury. Ha 33 anni e cinque film in uscita.
giovedì 24 marzo 2016
(Gio)WE, Bolla! del 24/3/2016
Buon giovedì a tutti! Arrivo un po' in ritardo ma arrivo, per parlarvi di una settimana cinematografica nell'ovvia insegna di Batman vs Superman. A parte questo scontro tra titani è uscito qualcos'altro di interessante nella cattivissima Savona? ENJOY!
Batman vs Superman - Dawn of Justice
Reazione a caldo: Mh.
Bolla, rifletti!: So di essere una nerd della domenica quando dico che di questo film non può fregarmene di meno. Chi già grida al capolavoro, molti che lo demoliscono, alcuni che difendono Affleck mentre abbattono Cavill, altri ancora che ritengono Wonder Woman inutile... insomma, io aspetto la recensione entusiasta di DUE sole persone, le uniche che potrebbero convincermi ad andare, altrimenti starò a casa tranquilla.
Heidi
Reazione a caldo: Oooh.
Bolla, rifletti!: A parte il romanzo della Spyri, per me Heidi è solo l'anime che da 40 anni viene replicato in TV. Al diavolo questa bambinetta riccioluta e ridatemi le caprette che fanno ciao!!
Un paese quasi perfetto
Reazione a caldo: Ahahahaahahaha!!!!
Bolla, rifletti!: Riiisatona di scherno. Mi dispiace per Silvio Orlando, al quale voglio sempre benissimo, ma non andrei a vedere un film con Fabio Volo nemmeno se ne andasse della mia stessa vita.
Un momento di follia
Reazione a caldo: Quello in cui violenterò Cassel?
Bolla, rifletti!: Storia di una diciassettenne che si invaghisce, ricambiata almeno per "un momento di follia" appunto, di Vincent Cassel. Chiamamela scema!!! Però ho poca voglia di guardare questo film al cinema, credo lo recupererò poi!
Il mio grosso grasso matrimonio greco 2
Reazione a caldo: Ma anche basta.
Bolla, rifletti!: A che pro girare un sequel quando la protagonista è si greca, ma non più grossa né grassa? Comunque, lo lascio ai cultori del primo film che, per inciso, non ho mai visto!
Al cinema d'élite ripropongono La corte, quindi ci si risente la prossima settimana!
Batman vs Superman - Dawn of Justice
Reazione a caldo: Mh.
Bolla, rifletti!: So di essere una nerd della domenica quando dico che di questo film non può fregarmene di meno. Chi già grida al capolavoro, molti che lo demoliscono, alcuni che difendono Affleck mentre abbattono Cavill, altri ancora che ritengono Wonder Woman inutile... insomma, io aspetto la recensione entusiasta di DUE sole persone, le uniche che potrebbero convincermi ad andare, altrimenti starò a casa tranquilla.
Heidi
Reazione a caldo: Oooh.
Bolla, rifletti!: A parte il romanzo della Spyri, per me Heidi è solo l'anime che da 40 anni viene replicato in TV. Al diavolo questa bambinetta riccioluta e ridatemi le caprette che fanno ciao!!
Un paese quasi perfetto
Reazione a caldo: Ahahahaahahaha!!!!
Bolla, rifletti!: Riiisatona di scherno. Mi dispiace per Silvio Orlando, al quale voglio sempre benissimo, ma non andrei a vedere un film con Fabio Volo nemmeno se ne andasse della mia stessa vita.
Un momento di follia
Reazione a caldo: Quello in cui violenterò Cassel?
Bolla, rifletti!: Storia di una diciassettenne che si invaghisce, ricambiata almeno per "un momento di follia" appunto, di Vincent Cassel. Chiamamela scema!!! Però ho poca voglia di guardare questo film al cinema, credo lo recupererò poi!
Il mio grosso grasso matrimonio greco 2
Reazione a caldo: Ma anche basta.
Bolla, rifletti!: A che pro girare un sequel quando la protagonista è si greca, ma non più grossa né grassa? Comunque, lo lascio ai cultori del primo film che, per inciso, non ho mai visto!
Al cinema d'élite ripropongono La corte, quindi ci si risente la prossima settimana!
mercoledì 23 marzo 2016
Bollalmanacco On Demand: Doom Generation (1995)
Oggi avrei dovuto parlare di L'inquilino del terzo piano ma siccome nell'ultimo On Demand ho mancato di rispetto a Milo Ventimiglia e soprattutto a Una mamma per amica sono stata "punita" dalla cara Kara Lafayette la quale, simpatikerrima, mi ha chiesto di guardare Doom Generation (The Doom Generation), scritto e sceneggiato nel 1995 dal regista Gregg Araki. Per la cronaca, il prossimo film On Demand sarà DAVVERO L'inquilino del terzo piano. ENJOY!
Trama: i fidanzati Amy e Jordan incontrano il misterioso Xavier e si imbarcano assieme a lui in un folle viaggio per le strade dei disagiati USA anni '90...
Se dovessi individuare un periodo storico col quale non sono proprio in sintonia penserei quasi subito agli anni '90. Io sono figlia degli '80, ancora un po' legata a quei nostalgici '70 mai passati di moda, preferisco la stupidera un po' tamarra all'angosciosa ribellione della cosiddetta MTV Generation, la generazione del whatever al quadrato in cui non c'è nessuna certezza tranne quella che il mondo fa schifo ma l'anonimato e la sobrietà anche di più. Forse per questo quando vedo una pellicola profondamente e seriamente radicata nel disagio di quegli anni (roba meravigliosa come Ragazze a Beverly Hills non fa testo, quelle sono supercazzole allegre!) vengo presa alla gola da un'angoscia terribile durante la quale, vai a saper perché, comincio a pensare a The Head e non la smetto più. Ve lo ricordate The Head? O, ancora peggio, MTV Oddities? Andate a cercare su uìchipìdia che a me s'accappona la pelle al sol pensiero. Tutto questo viaggio intorno al mondo l'ho fatto per dire che Doom Generation è stata una visione tosta e perplimente, un tuffo nella melma anni '90 dal quale sono uscita sporca e depressa nonostante buona parte del film sia poco più di un grottesco road trip a base di sesso, droga, ancora sesso e ultraviolenza. Dimenticate però l'eleganza Kubrickiana, ché Doom Generation è la sagra dell'acido per quel che riguarda la regia e quella del cane per quel che concerne gli attori e a un occhio disattento potrebbe anche risultare una roba talmente raffazzonata e senza capo né coda da non volerla mai più rivedere. Io sicuramente non lo riguarderò ma sono arrivata anche a riconoscergli un senso, il suo essere bandiera di una gioventù americana allo sbando resa ancora più confusa e svogliata dalle stesse istituzioni che dovrebbero tutelarla, Stato e Chiesa in primis.
Persi in una giungla infernale fatta di junk food, droga, sesso facile, violenza e talmente tanta omologazione che la protagonista viene riconosciuta da chiunque come una vecchia fiamma, i tre colori della bandiera americana (Amy BLUE, Jordan WHITE e Xavier RED) cercano un senso alla loro esistenza o, meglio ancora, cercano di sopravvivere al caos che minaccia di inghiottirli e annullarli per sempre, trovando forza nell'assurdo e fragilissimo legame che li unisce. Si ride a denti stretti ad ogni guizzo di grottesco umorismo che Araki inserisce nella sceneggiatura, davanti alla goffaggine dell'innamoratissimo James Duval e al bestiario di comprimari uno più sballone dell'altro ma il finale, che rischiate di trovare tagliatissimo, è un colpo allo stomaco pesantissimo e zeppo di simbolismi che condannano sia lo spettatore che i protagonisti alla perdita di ogni speranza e voglia di vivere. Quello che non manca a Doom Generation è sicuramente lo stile (finalmente ho capito dove diavolo ha tirato fuori Ai Yazawa l'orrida giacchetta trasparente indossata da Miwako in parecchi capitoli di Cortili del cuore) oltre ovviamente ad una voglia di osare e di scioccare lo spettatore che riverbera nella regia, nel montaggio audace ed esplicito delle scene di sesso e violenza (se ripenso al finale mi sento male e io non ho lo stomaco delicato, lo sapete) e anche nella fisicità degli attori. Parlo di fisicità perché, davvero, alla McGowan e ai due quarti di manzo che l'accompagnano non si chiede altro che essere bellocci ed incarnare il vuoto cosmico di una "gioventù bruciata" e pazienza se James Duval parrebbe quasi ritardato e Johnathon Schaech pronto per girare il cosiddetto "film muto" citato da Elio, tutti e tre sono obiettivamente perfetti per il ruolo. Quindi, in sostanza, Doom Generation mi è piaciuto o no? Potrei rispondere con un bel whatever, come farebbe Amy, prima di mandarvi tutti quanti a fan**lo, ma sono figlia degli anni '80 e vi rispondo che sicuramente è un film MOLTO interessante ma purtroppo non fa per me. Però sicuramente una visione la merita e ringrazio Miss Lafayette per avermi consigliato una pellicola così particolare!
Di Rose McGowan, che intepreta Amy Blue, ho già parlato QUI.
Gregg Araki è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Ecstasy Generation e Mysterious Skin. Anche produttore, ha 57 anni.
James Duval interpreta Jordan White. Americano, ha partecipato a film come Independence Day, Ecstasy Generation, Donnie Darko e Tales of Halloween. Anche produttore, sceneggiatore e stuntman, ha 44 anni e ben quindici film in uscita.
Johnathon Schaech interpreta Xavier Red. Americano, ha partecipato a film come La mia peggior nemica, Che la fine abbia inizio, Quarantena e a serie come Cold Case, CSI: Miami e Masters of Horror. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 47 anni e quattro film in uscita.
Jordan Ladd avrebbe dovuto interpretare Amy ma la madre Cheryl, ex Charlie's Angel, ha messo il veto proprio all'ultimo minuto e per questa sua prodezza è stata inserita nei NON-Ringraziamenti finali tra quelli che "non hanno avuto fede". Doom Generation fa parte della cosiddetta "Teenage Apocalypse Trilogy" del regista, di cui fanno parte anche Totally F***ed Up ed Ecstasy Generation; se il film vi fosse piaciuto recuperateli tutti, ovviamente e magari aggiungete anche Amiche cattive. ENJOY!
Trama: i fidanzati Amy e Jordan incontrano il misterioso Xavier e si imbarcano assieme a lui in un folle viaggio per le strade dei disagiati USA anni '90...
Se dovessi individuare un periodo storico col quale non sono proprio in sintonia penserei quasi subito agli anni '90. Io sono figlia degli '80, ancora un po' legata a quei nostalgici '70 mai passati di moda, preferisco la stupidera un po' tamarra all'angosciosa ribellione della cosiddetta MTV Generation, la generazione del whatever al quadrato in cui non c'è nessuna certezza tranne quella che il mondo fa schifo ma l'anonimato e la sobrietà anche di più. Forse per questo quando vedo una pellicola profondamente e seriamente radicata nel disagio di quegli anni (roba meravigliosa come Ragazze a Beverly Hills non fa testo, quelle sono supercazzole allegre!) vengo presa alla gola da un'angoscia terribile durante la quale, vai a saper perché, comincio a pensare a The Head e non la smetto più. Ve lo ricordate The Head? O, ancora peggio, MTV Oddities? Andate a cercare su uìchipìdia che a me s'accappona la pelle al sol pensiero. Tutto questo viaggio intorno al mondo l'ho fatto per dire che Doom Generation è stata una visione tosta e perplimente, un tuffo nella melma anni '90 dal quale sono uscita sporca e depressa nonostante buona parte del film sia poco più di un grottesco road trip a base di sesso, droga, ancora sesso e ultraviolenza. Dimenticate però l'eleganza Kubrickiana, ché Doom Generation è la sagra dell'acido per quel che riguarda la regia e quella del cane per quel che concerne gli attori e a un occhio disattento potrebbe anche risultare una roba talmente raffazzonata e senza capo né coda da non volerla mai più rivedere. Io sicuramente non lo riguarderò ma sono arrivata anche a riconoscergli un senso, il suo essere bandiera di una gioventù americana allo sbando resa ancora più confusa e svogliata dalle stesse istituzioni che dovrebbero tutelarla, Stato e Chiesa in primis.
Persi in una giungla infernale fatta di junk food, droga, sesso facile, violenza e talmente tanta omologazione che la protagonista viene riconosciuta da chiunque come una vecchia fiamma, i tre colori della bandiera americana (Amy BLUE, Jordan WHITE e Xavier RED) cercano un senso alla loro esistenza o, meglio ancora, cercano di sopravvivere al caos che minaccia di inghiottirli e annullarli per sempre, trovando forza nell'assurdo e fragilissimo legame che li unisce. Si ride a denti stretti ad ogni guizzo di grottesco umorismo che Araki inserisce nella sceneggiatura, davanti alla goffaggine dell'innamoratissimo James Duval e al bestiario di comprimari uno più sballone dell'altro ma il finale, che rischiate di trovare tagliatissimo, è un colpo allo stomaco pesantissimo e zeppo di simbolismi che condannano sia lo spettatore che i protagonisti alla perdita di ogni speranza e voglia di vivere. Quello che non manca a Doom Generation è sicuramente lo stile (finalmente ho capito dove diavolo ha tirato fuori Ai Yazawa l'orrida giacchetta trasparente indossata da Miwako in parecchi capitoli di Cortili del cuore) oltre ovviamente ad una voglia di osare e di scioccare lo spettatore che riverbera nella regia, nel montaggio audace ed esplicito delle scene di sesso e violenza (se ripenso al finale mi sento male e io non ho lo stomaco delicato, lo sapete) e anche nella fisicità degli attori. Parlo di fisicità perché, davvero, alla McGowan e ai due quarti di manzo che l'accompagnano non si chiede altro che essere bellocci ed incarnare il vuoto cosmico di una "gioventù bruciata" e pazienza se James Duval parrebbe quasi ritardato e Johnathon Schaech pronto per girare il cosiddetto "film muto" citato da Elio, tutti e tre sono obiettivamente perfetti per il ruolo. Quindi, in sostanza, Doom Generation mi è piaciuto o no? Potrei rispondere con un bel whatever, come farebbe Amy, prima di mandarvi tutti quanti a fan**lo, ma sono figlia degli anni '80 e vi rispondo che sicuramente è un film MOLTO interessante ma purtroppo non fa per me. Però sicuramente una visione la merita e ringrazio Miss Lafayette per avermi consigliato una pellicola così particolare!
L'orrida giacchetta trasparente. |
Gregg Araki è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Ecstasy Generation e Mysterious Skin. Anche produttore, ha 57 anni.
James Duval interpreta Jordan White. Americano, ha partecipato a film come Independence Day, Ecstasy Generation, Donnie Darko e Tales of Halloween. Anche produttore, sceneggiatore e stuntman, ha 44 anni e ben quindici film in uscita.
Johnathon Schaech interpreta Xavier Red. Americano, ha partecipato a film come La mia peggior nemica, Che la fine abbia inizio, Quarantena e a serie come Cold Case, CSI: Miami e Masters of Horror. Anche sceneggiatore, produttore e regista, ha 47 anni e quattro film in uscita.
Jordan Ladd avrebbe dovuto interpretare Amy ma la madre Cheryl, ex Charlie's Angel, ha messo il veto proprio all'ultimo minuto e per questa sua prodezza è stata inserita nei NON-Ringraziamenti finali tra quelli che "non hanno avuto fede". Doom Generation fa parte della cosiddetta "Teenage Apocalypse Trilogy" del regista, di cui fanno parte anche Totally F***ed Up ed Ecstasy Generation; se il film vi fosse piaciuto recuperateli tutti, ovviamente e magari aggiungete anche Amiche cattive. ENJOY!
martedì 22 marzo 2016
Knock Knock (2015)
Due settimane fa Canale 5 ha mandato in onda, in prima serata e senza censure, il film Knock Knock, diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Eli Roth. Ovviamente riesco a parlarne solo ora, sorry!
Trama: rimasto solo per un weekend, Evan, architetto sposato e padre di famiglia, la prima notte fa entrare in casa due ragazze infreddolite, bagnate e bisognose di un passaggio per andare a una festa. Le due lo seducono e lo coinvolgono in una notte di sesso ma Evan avrà modo di pentirsene amaramente...
Siccome ormai sono passate praticamente due settimane non starò a perplimermi sulla scelta di Canale 5 di trasmettere un threesome abbastanza esplicito in prima serata e senza nemmeno un bollino rosso oltre a quella che, molto superficialmente, è la storia di due pazze che torturano (più psicologicamente che altro) un povero belinone, dico solo che negli anni '90 ci censuravano Sailor Moon e Rossana per molto meno e la chiudo lì, parliamo di Knock Knock e basta. L'ultimo film di Eli Roth è la sua ennesima rivisitazione di un sottogenere del thriller-horror, dopo i cannibali Deodatiani è toccato al thriller psicologico a sfondo erotico, laddove ovviamente l'erotismo si concentra solo nella prima mezz'ora di film. Il resto è, come ho detto, apparentemente una supercazzola fatta di torture, deliri delle due giovinette e punizioni inflitte al personaggio di Keanu Reeves, all'interno del quale lo spettatore stenta a trovare delle motivazioni che esulino da una semplice e gratuita follia. In realtà all'interno di Knock Knock scatta quel meccanismo che negli anni '70/'80 puniva quelle verginelle che si concedevano al fidanzato nel bel mezzo di un campo estivo, rendendole preda del mostro/maniaco di turno, solo che stavolta il destino si abbatte su un marito fedifrago sotto forma di gnocche spaventose. A dire il vero Genesis e Bel non sono paladine delle donne cornificate, forse le si potrebbe vedere piuttosto come ferventi antagoniste dell'ipocrisia borghese, di quelle famiglie "del Mulino Bianco" che sappiamo benissimo stare in piedi per miracolo. Evan e la moglie sono l'emblema della coppia di successo americana, quella che ha dovuto realizzarsi lavorando ma ANCHE mettendo al mondo due figli che, ovviamente, usano assieme agli impegni lavorativi come scusa per non fare mai sesso; il giorno della festa del papà, non a caso, la moglie oberata dallo stress da Mostra Artistica piglia i bambini e se ne va per un weekend al mare mentre lui decide di rimanere a casa a lavorare "perché è in ritardo" (ma invece di cazzeggiare, visto che lavori in proprio, non potevi pensarci prima?) quando entrambi avrebbero potuto parcheggiare i pargoli già grandini da nonni/amici e passarsi il fine settimana da soli.
Tutto questo per dire che se all'inizio Genesis e Bel stanno davvero sull'anima con quelle loro pose da puttanoni che sanno vivere, man mano che il film procede monta invece l'odio nei confronti di Evan e persino di sua moglie. Tolta la maschera da seduttrici, Genesis e Bel si rivelano due ronzini che mi hanno ricordato molto le gesta dei "Coinquilini di merda" dell'omonima pagina Facebook e la reazione di Evan, prima di trasformarsi in paura, è quella di uno che s'è beccato una sòla su un sito porno proprio quando pensava di godersi una bella lesbicata e si è accorto di aver pagato invece per un filmino di grannies o peggio. Il ragionamento "mi avete offerto della pizza gratis, come potevo rifiutare!" gli fa ancora più onore, soprattutto quando al terrore di venire scoperto dalla moglie si aggiunge il terribile sospetto di essersi scopato due minorenni e se da un lato si potrebbe accusare Knock Knock di misoginia, la verità è che da nessuna parte si evince l'assunto "tutte le donne sono tr**e" mentre viene affermato con prepotenza che quasi tutti gli uomini sono dei vecchi maiali. Eli Roth, Nicolás López e Guillermo Amodeo in primis, ovviamente, ché con tutta probabilità quella di venire "usati" da due donne gnocche da morire era anche un loro chiodo fisso e non a caso Roth almeno una se l'è sposata. A tal proposito, Lorenza Izzo e Ana de Armas sono fantastiche, nei limiti dei personaggi interpretati riescono a tirare fuori un dualismo niente male, passando da raffinate fatalone a mocciosette isteriche fin troppo simpatiche; Keanu Reeves invece è un cagnaccio ed offre un'interpretazione che più forzata non si può ma, come già accadeva a Ben Affleck in Gone Girl, per il personaggio di Evan calza davvero a pennello (uomo di mezza età, finto tonto, orgoglioso del suo passato di DJ vecchio, un burattino senza fichi nelle mani delle due sgnoccole... meraviglioso!). Rispetto ad altri film girati da Eli Roth questo però è davvero una belinata per famiglie (prima. serata. Canale. 5. No comment.) e io comincio a sospettare che la compagnia dei cileni non gli faccia proprio benissimo: Eli bello, quando torniamo alla cattiveria grezza di Cabin Fever e Hostel?
Del regista e co-sceneggiatore Eli Roth ho già parlato QUI. Keanu Reeves (Evan), Lorenza Izzo (Genesis) e Colleen Camp (Vivian) li trovate invece ai rispettivi link.
Aaron Burns, che interpreta Louis, compare anche in The Green Inferno e dovrebbe essere il primo a venire mangiato dai cannibali; allo stesso film ha partecipato anche Ignacia Allamand, che in Knock Knock interpreta la moglie di Evan mentre in The Green Inferno è la fidanzata di Alejandro, la bionda odiosa che viene subito uccisa dalle frecce degli indigeni. Nonostante nei credits compaiano solo i nomi di Eli Roth, Nicolás López e Guillermo Amodeo come sceneggiatori, Knock Knock è il remake del film Death Game che, non a caso, vedeva Colleen Camp nei panni di una delle due folli seduttrici (l'altra era Sondra Locke, tra l'altro co-produttrice di Knock Knock assieme alla Camp, mentre al posto di Reeves c'era Seymour Cassel); un altro remake non ufficiale della pellicola è lo spagnolo Viciosas al desnudo, del 1980. Se Knock Knock vi fosse piaciuto recuperate dunque l'originale e aggiungete Sex Crimes - Giochi pericolosi, Hostel, Hostel 2 e The Strangers. ENJOY!
Trama: rimasto solo per un weekend, Evan, architetto sposato e padre di famiglia, la prima notte fa entrare in casa due ragazze infreddolite, bagnate e bisognose di un passaggio per andare a una festa. Le due lo seducono e lo coinvolgono in una notte di sesso ma Evan avrà modo di pentirsene amaramente...
Siccome ormai sono passate praticamente due settimane non starò a perplimermi sulla scelta di Canale 5 di trasmettere un threesome abbastanza esplicito in prima serata e senza nemmeno un bollino rosso oltre a quella che, molto superficialmente, è la storia di due pazze che torturano (più psicologicamente che altro) un povero belinone, dico solo che negli anni '90 ci censuravano Sailor Moon e Rossana per molto meno e la chiudo lì, parliamo di Knock Knock e basta. L'ultimo film di Eli Roth è la sua ennesima rivisitazione di un sottogenere del thriller-horror, dopo i cannibali Deodatiani è toccato al thriller psicologico a sfondo erotico, laddove ovviamente l'erotismo si concentra solo nella prima mezz'ora di film. Il resto è, come ho detto, apparentemente una supercazzola fatta di torture, deliri delle due giovinette e punizioni inflitte al personaggio di Keanu Reeves, all'interno del quale lo spettatore stenta a trovare delle motivazioni che esulino da una semplice e gratuita follia. In realtà all'interno di Knock Knock scatta quel meccanismo che negli anni '70/'80 puniva quelle verginelle che si concedevano al fidanzato nel bel mezzo di un campo estivo, rendendole preda del mostro/maniaco di turno, solo che stavolta il destino si abbatte su un marito fedifrago sotto forma di gnocche spaventose. A dire il vero Genesis e Bel non sono paladine delle donne cornificate, forse le si potrebbe vedere piuttosto come ferventi antagoniste dell'ipocrisia borghese, di quelle famiglie "del Mulino Bianco" che sappiamo benissimo stare in piedi per miracolo. Evan e la moglie sono l'emblema della coppia di successo americana, quella che ha dovuto realizzarsi lavorando ma ANCHE mettendo al mondo due figli che, ovviamente, usano assieme agli impegni lavorativi come scusa per non fare mai sesso; il giorno della festa del papà, non a caso, la moglie oberata dallo stress da Mostra Artistica piglia i bambini e se ne va per un weekend al mare mentre lui decide di rimanere a casa a lavorare "perché è in ritardo" (ma invece di cazzeggiare, visto che lavori in proprio, non potevi pensarci prima?) quando entrambi avrebbero potuto parcheggiare i pargoli già grandini da nonni/amici e passarsi il fine settimana da soli.
Tutto questo per dire che se all'inizio Genesis e Bel stanno davvero sull'anima con quelle loro pose da puttanoni che sanno vivere, man mano che il film procede monta invece l'odio nei confronti di Evan e persino di sua moglie. Tolta la maschera da seduttrici, Genesis e Bel si rivelano due ronzini che mi hanno ricordato molto le gesta dei "Coinquilini di merda" dell'omonima pagina Facebook e la reazione di Evan, prima di trasformarsi in paura, è quella di uno che s'è beccato una sòla su un sito porno proprio quando pensava di godersi una bella lesbicata e si è accorto di aver pagato invece per un filmino di grannies o peggio. Il ragionamento "mi avete offerto della pizza gratis, come potevo rifiutare!" gli fa ancora più onore, soprattutto quando al terrore di venire scoperto dalla moglie si aggiunge il terribile sospetto di essersi scopato due minorenni e se da un lato si potrebbe accusare Knock Knock di misoginia, la verità è che da nessuna parte si evince l'assunto "tutte le donne sono tr**e" mentre viene affermato con prepotenza che quasi tutti gli uomini sono dei vecchi maiali. Eli Roth, Nicolás López e Guillermo Amodeo in primis, ovviamente, ché con tutta probabilità quella di venire "usati" da due donne gnocche da morire era anche un loro chiodo fisso e non a caso Roth almeno una se l'è sposata. A tal proposito, Lorenza Izzo e Ana de Armas sono fantastiche, nei limiti dei personaggi interpretati riescono a tirare fuori un dualismo niente male, passando da raffinate fatalone a mocciosette isteriche fin troppo simpatiche; Keanu Reeves invece è un cagnaccio ed offre un'interpretazione che più forzata non si può ma, come già accadeva a Ben Affleck in Gone Girl, per il personaggio di Evan calza davvero a pennello (uomo di mezza età, finto tonto, orgoglioso del suo passato di DJ vecchio, un burattino senza fichi nelle mani delle due sgnoccole... meraviglioso!). Rispetto ad altri film girati da Eli Roth questo però è davvero una belinata per famiglie (prima. serata. Canale. 5. No comment.) e io comincio a sospettare che la compagnia dei cileni non gli faccia proprio benissimo: Eli bello, quando torniamo alla cattiveria grezza di Cabin Fever e Hostel?
Del regista e co-sceneggiatore Eli Roth ho già parlato QUI. Keanu Reeves (Evan), Lorenza Izzo (Genesis) e Colleen Camp (Vivian) li trovate invece ai rispettivi link.
Aaron Burns, che interpreta Louis, compare anche in The Green Inferno e dovrebbe essere il primo a venire mangiato dai cannibali; allo stesso film ha partecipato anche Ignacia Allamand, che in Knock Knock interpreta la moglie di Evan mentre in The Green Inferno è la fidanzata di Alejandro, la bionda odiosa che viene subito uccisa dalle frecce degli indigeni. Nonostante nei credits compaiano solo i nomi di Eli Roth, Nicolás López e Guillermo Amodeo come sceneggiatori, Knock Knock è il remake del film Death Game che, non a caso, vedeva Colleen Camp nei panni di una delle due folli seduttrici (l'altra era Sondra Locke, tra l'altro co-produttrice di Knock Knock assieme alla Camp, mentre al posto di Reeves c'era Seymour Cassel); un altro remake non ufficiale della pellicola è lo spagnolo Viciosas al desnudo, del 1980. Se Knock Knock vi fosse piaciuto recuperate dunque l'originale e aggiungete Sex Crimes - Giochi pericolosi, Hostel, Hostel 2 e The Strangers. ENJOY!
domenica 20 marzo 2016
45 anni (2015)
Tra i tanti recuperi pre-Oscar di cui riesco a parlare solo ora c'è stato anche 45 anni (45 Years), diretto e co-sceneggiato dal regista Andrew Haigh a partire dal racconto In Another Country di David Constantine.
Trama: Kate e Geoff stanno per festeggiare i quarantacinque anni di matrimonio quando lui riceve una lettera dalla Svizzera, nella quale c'è scritto che la sua fidanzata di un tempo, annegata in un lago di montagna, è stata ritrovata perfettamente conservata nel ghiaccio. Vecchie ferite mai sanate cominciano a riaprirsi...
Io sono una di quelle donne atipiche che non hanno mai potuto soffrire le storie d'amore, scritte o filmate. Intendiamoci, sono la prima a piangere davanti ad un vulcano che, poverello, non trova la sua vulcana oppure ad impelagarmi in stupidi shipping all'interno di film, serie TV, comics o manga, tuttavia non ho mai potuto soffrire le storie interamente imperniate su fidanzamenti, matrimoni, colpi di fulmine. Non a caso sono rimasta single per decenni. No, non solo per via del mio aspetto diversamente bello ma anche per questa mia fondamentale insensibilità refrattaria all'aMMore, povero Bolluomo. Questo per dire che ho fatto un po' fatica ad arrivare alla fine di 45 anni, nonostante questo film non sia propriamente una storia d'amore bensì la storia della FINE (o di un NON-INIZIO) di un amore. Il fatto è che io a Geoff, marito fondamentalmente freddo come solo un inglese può essere, avrei spaccato la faccia a due minuti dall'inizio della pellicola, poi mi sarei messa a scrollare Kate urlandole in faccia "SVEGLIAAAAA!!!!", maledicendola ogni secondo per non aver capito di essere sempre stata il rimpiazzo di una donna morta. 45. Anni. Di. Sopportazione. Passati con uno che non vuole avere figli, che non fa foto alla moglie perché "uuh, credevo non ti piacesse" (però della ex ne ha parecchie nascoste in soffitta), che al primo incontro con la futura sposa ha già messo le mani avanti parlando dell'amore della sua vita, morto in tragiche circostanze, con uno a cui basta una lettera per uscire di testa e ripiombare in questi ricordi d'amor perduto. E la moglie che fa? Sì, un po' s'arrabbia ma, insomma, sono passati 45 anni. Somatizza tutto con rabbia, rinchiudendosi in devastanti silenzi, avvelenandosi con la dolorosa consapevolezza che mentre suona Smoke Gets in Your Eyes dei Platters e il marito piange come un vitello dopo averle lanciato una Fatality sottoforma di commovente discorso, i pensieri dell'uomo non sono per lei ma per l'altra e per quelle due vite spentesi in un lago svizzero. Sono ancora troppo giovane? Non posso capire le implicazioni di un legame come il matrimonio? Può essere ma giuro che guardando 45 anni non mi sono sentita coinvolta neppure una volta da questo gioco di disperato silenzio e ancor più disperata routine matrimoniale.
Che poi, intendiamoci, non mi avrà toccato il cuore ma 45 anni è un bel film, lo riconosco. Charlotte Rampling e Tom Courtenay sono mostruosi, due giganti che si confrontano nel modo più doloroso possibile, palleggiandosi segretucci e mezze verità, e sono perfetti nell'incarnare non solo questo legame pieno di contraddizioni ma anche un modo malinconico e tristemente "senile" di affrontare la vita e i suoi problemi in un momento in cui si spererebbe solo di stare tranquilli e crogiolarsi nelle incrollabili certezze di un'esistenza ormai al tramonto. L'atmosfera della vicenda riverbera alla perfezione nel paesaggio brullo di una campagna inglese che in una settimana pare percorrere tutte le stagioni, come se i 45 anni di matrimonio si sfaldassero addosso ai protagonisti, e nella triste quiete di un tipico paesino britannico, di quelli che quando ti ci fermi per caso ti chiedi come diamine facciano gli abitanti a vivere lì senza provare il costante desiderio di impiccarsi. Allo stesso modo, il ritmo della pellicola è lento, interamente costruito su un'alternanza di dialoghi o episodi a loro modo rivelatori e silenzi ancor più espliciti, durante i quali la cinepresa indugia sui gesti e gli sguardi dei protagonisti come se volesse penetrare l'intimità di questo matrimonio apparentemente perfetto e, soprattutto, dei complessi sentimenti di Geoff e Kate. Non che i miei sentimenti verso 45 anni siano meno complicati, come avete potuto vedere. Ripensandoci e scrivendone mi rendo conto che la pellicola di Andrew Haigh mi è piaciuta più di quanto credessi, tuttavia le sensazioni riportate sullo schermo sono troppo distanti dalla mia esperienza di vita per poterle apprezzare appieno. Chissà, magari potrei riprovare tra una trentina d'anni. Se invece leggendo il post voi avete colto qualcosa che potrebbe interessarvi non aspettate così tanto e recuperate questo film prima di soccombere ai problemi della vecchiaia.
Di Charlotte Rampling (Kate Mercer), Tom Courtenay (Geoff Mercer) e Geraldine James (Lena) ho già parlato ai rispettivi link.
Andrew Haigh è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Weekend. Anche produttore, ha 43 anni e un film in uscita.
Trama: Kate e Geoff stanno per festeggiare i quarantacinque anni di matrimonio quando lui riceve una lettera dalla Svizzera, nella quale c'è scritto che la sua fidanzata di un tempo, annegata in un lago di montagna, è stata ritrovata perfettamente conservata nel ghiaccio. Vecchie ferite mai sanate cominciano a riaprirsi...
Io sono una di quelle donne atipiche che non hanno mai potuto soffrire le storie d'amore, scritte o filmate. Intendiamoci, sono la prima a piangere davanti ad un vulcano che, poverello, non trova la sua vulcana oppure ad impelagarmi in stupidi shipping all'interno di film, serie TV, comics o manga, tuttavia non ho mai potuto soffrire le storie interamente imperniate su fidanzamenti, matrimoni, colpi di fulmine. Non a caso sono rimasta single per decenni. No, non solo per via del mio aspetto diversamente bello ma anche per questa mia fondamentale insensibilità refrattaria all'aMMore, povero Bolluomo. Questo per dire che ho fatto un po' fatica ad arrivare alla fine di 45 anni, nonostante questo film non sia propriamente una storia d'amore bensì la storia della FINE (o di un NON-INIZIO) di un amore. Il fatto è che io a Geoff, marito fondamentalmente freddo come solo un inglese può essere, avrei spaccato la faccia a due minuti dall'inizio della pellicola, poi mi sarei messa a scrollare Kate urlandole in faccia "SVEGLIAAAAA!!!!", maledicendola ogni secondo per non aver capito di essere sempre stata il rimpiazzo di una donna morta. 45. Anni. Di. Sopportazione. Passati con uno che non vuole avere figli, che non fa foto alla moglie perché "uuh, credevo non ti piacesse" (però della ex ne ha parecchie nascoste in soffitta), che al primo incontro con la futura sposa ha già messo le mani avanti parlando dell'amore della sua vita, morto in tragiche circostanze, con uno a cui basta una lettera per uscire di testa e ripiombare in questi ricordi d'amor perduto. E la moglie che fa? Sì, un po' s'arrabbia ma, insomma, sono passati 45 anni. Somatizza tutto con rabbia, rinchiudendosi in devastanti silenzi, avvelenandosi con la dolorosa consapevolezza che mentre suona Smoke Gets in Your Eyes dei Platters e il marito piange come un vitello dopo averle lanciato una Fatality sottoforma di commovente discorso, i pensieri dell'uomo non sono per lei ma per l'altra e per quelle due vite spentesi in un lago svizzero. Sono ancora troppo giovane? Non posso capire le implicazioni di un legame come il matrimonio? Può essere ma giuro che guardando 45 anni non mi sono sentita coinvolta neppure una volta da questo gioco di disperato silenzio e ancor più disperata routine matrimoniale.
Che poi, intendiamoci, non mi avrà toccato il cuore ma 45 anni è un bel film, lo riconosco. Charlotte Rampling e Tom Courtenay sono mostruosi, due giganti che si confrontano nel modo più doloroso possibile, palleggiandosi segretucci e mezze verità, e sono perfetti nell'incarnare non solo questo legame pieno di contraddizioni ma anche un modo malinconico e tristemente "senile" di affrontare la vita e i suoi problemi in un momento in cui si spererebbe solo di stare tranquilli e crogiolarsi nelle incrollabili certezze di un'esistenza ormai al tramonto. L'atmosfera della vicenda riverbera alla perfezione nel paesaggio brullo di una campagna inglese che in una settimana pare percorrere tutte le stagioni, come se i 45 anni di matrimonio si sfaldassero addosso ai protagonisti, e nella triste quiete di un tipico paesino britannico, di quelli che quando ti ci fermi per caso ti chiedi come diamine facciano gli abitanti a vivere lì senza provare il costante desiderio di impiccarsi. Allo stesso modo, il ritmo della pellicola è lento, interamente costruito su un'alternanza di dialoghi o episodi a loro modo rivelatori e silenzi ancor più espliciti, durante i quali la cinepresa indugia sui gesti e gli sguardi dei protagonisti come se volesse penetrare l'intimità di questo matrimonio apparentemente perfetto e, soprattutto, dei complessi sentimenti di Geoff e Kate. Non che i miei sentimenti verso 45 anni siano meno complicati, come avete potuto vedere. Ripensandoci e scrivendone mi rendo conto che la pellicola di Andrew Haigh mi è piaciuta più di quanto credessi, tuttavia le sensazioni riportate sullo schermo sono troppo distanti dalla mia esperienza di vita per poterle apprezzare appieno. Chissà, magari potrei riprovare tra una trentina d'anni. Se invece leggendo il post voi avete colto qualcosa che potrebbe interessarvi non aspettate così tanto e recuperate questo film prima di soccombere ai problemi della vecchiaia.
Di Charlotte Rampling (Kate Mercer), Tom Courtenay (Geoff Mercer) e Geraldine James (Lena) ho già parlato ai rispettivi link.
Andrew Haigh è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Weekend. Anche produttore, ha 43 anni e un film in uscita.