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venerdì 29 aprile 2016

The Witch: A New-England Folktale (2015)


In questo 2016 che si sta avvicinando a grandi passi alla stagione estiva, gli horror pregevoli stanno spuntando come funghi. Il più chiacchierato al momento è sicuramente The Witch: A New-England Folktale (anche conosciuto semplicemente come The Witch), diretto e sceneggiato dal regista Robert Eggers nel 2015.


Trama: nell’America del diciassettesimo secolo una famiglia di coloni inglesi viene cacciata dall’insediamento e i suoi membri sono costretti a metter su casa al limitare del bosco. Lì la famiglia viene colpita da una serie di sventure che farebbero pensare alla presenza di una strega…


Se mi avessero detto che a 35 anni non avrei dormito la notte per colpa di un film recitato in inglese antico, all’interno del quale le scene ad effetto sono dosate col contagocce, non ci avrei creduto. Allo stesso modo, ho affrontato The Witch col sopracciglio alzato di chi ormai non si aspetta più miracoli da nessuna parte, non dopo essere rimasta perplessa davanti ad un buon numero di horror magnificati dalla critica di tutto il mondo (sarò ignorante ma, per fare un esempio, It Follows mi è sembrato “soltanto” un buon film, non uno dei più belli mai visti), solo per asciugare una lacrima di commozione alla fine di una pellicola splendida, che sceglie un approccio assolutamente impopolare di fronte al tema trattato. The Witch traspone in immagini una storia di stregoneria e demoni senza quasi utilizzarli, sfruttando l’iconografia tipica di un “racconto popolare” ambientato in un New England non ancora preda della caccia alle streghe che sarebbe culminata nei processi di Salem; la bellezza del film di Eggers è il modo in cui si prende tutto il tempo di contestualizzare la vicenda tratteggiando con pochi, importantissimi dettagli ogni membro della famiglia di William, padre e marito dotato di un’incrollabile, testarda ed ignorantissima fede verso Dio e tutti i precetti della Bibbia, cosa che, a quanto pare, gli è costato l’esilio dall’insediamento coloniale. Accanto a lui c’è la moglie Kate, fedele compagna strappata alla terra natìa e costretta non solo a seguire un marito privo di tenerezza ma anche a venire sempre più “eclissata” agli occhi di lui e del figlio maggiore da una figlia, Thomasin, giovane e bella. Thomasin, da par suo, comincia giustamente a mal tollerare il clima repressivo presente in famiglia e la costante condanna presente negli occhi del padre, fervente sostenitore della teoria del peccato originale, per la quale chiunque è naturalmente malvagio, spinto al peccato ed indegno, mentre il figlio Caleb, poverino, sopporta stoicamente cercando di mettere da parte i dubbi e confidando in un Dio un po’ più misericordioso rispetto a quello invocato costantemente dal padre. Poi, ahimé, ci sono i gemelli. Due orribili bambini che, quando la famiglia viene colpita dalla tragedia, cominciano ad instillare il germe del dubbio “stregonesco” e a comunicare con tale Black Phillip, ovvero l’amichevole capro nero che bruca in cortile.


L'incredibile attenzione dedicata al background culturale dei personaggi fa sì che lo spettatore provi sulla pelle, ancor prima che compaiano creature inquietanti come Black Phillip, il disagio di un'epoca in cui le persone vivevano di superstizioni ed ignoranza, affidando sé stessi e il proprio benessere ai capricci di un Dio che ha scelto di creare l'uomo peccatore e di condannarlo ad un'esistenza di spietata e costante autocritica, letteralmente all'insegna del "mainaGGioia", per dirla in termini meno aulici. E' la mentalità dei coloni del New England in generale e di William in particolare a creare terreno fertile per l'elemento sovrannaturale, tanto che dopo un inizio lento e ragionato gli eventi cominciano a susseguirsi uno dietro l'altro finché la tensione diventa quasi intollerabile; Eggers gioca per la maggior parte della durata sul "non visto", sulle implicazioni nascoste nei dialoghi tra i personaggi e nelle filastrocche dei gemellini terribili, sull'iconografia tipica della strega, tanto che non si ha quasi mai la certezza che le adepte del demonio stiano effettivamente prendendo di mira la famiglia. The Witch non è uno di quei film dal finale aperto o ambiguo, comunque, come mi è capitato di vedere ultimamente in Hellions. Nella seconda parte della pellicola le carte vengono scoperte e le immagini diventano brutali, in aperto contrasto con la reticenza iniziale, dove la fanno da padrone le inquadrature degli inquietanti boschi che circondano la casa di Thomasin e i cupi interni della stessa (fotografia e scenografie sono splendide ed accurate, non ve lo sto nemmeno a dire); quando il sangue comincia a scorrere, le urla diventano quasi cacofoniche e i bravissimi attori arrivano a dare letteralmente il bianco (o il nero, fate voi), The Witch subisce un'altra frenata che ha lo stesso effetto di una pugnalata al petto dello spettatore, perché non serve "vedere" per rimanere pietrificati dall'orrore, basta soltanto ascoltare ed immaginare, che è anche peggio. E quel finale, agghiacciante ma allo stesso tempo estremamente liberatorio, è uno dei più belli che mi sia capitato di vedere in un horror, permeato da una raffinatezza tale che persino il pur gradito Rob Zombie dovrebbe andare a nascondersi con tutti i suoi caproni e i Signori di Salem. Ho già detto "che meraviglia"?    
 
Robert Eggers è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, anche scenografo e costumista, ha 34 anni.


Ralph Ineson interpreta William. Inglese, ha partecipato a film come Big Fish, From Hell, Harry Potter e il principe mezzosangue, Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 1, Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2, Intruders, Grandi speranze, Guardiani della galassia, Kingsman: Secret Service e a serie come Il trono di spade. Ha 47 anni e un film in uscita.


Se The Witch vi fosse piaciuto recuperate The Blair Witch Project e A Field in England. ENJOY!

23 commenti:

  1. Vabbè, a questo punto bisogna proprio vederlo.

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  2. Infatti il film, in pratica, ricrea un mondo e ti ci immerge dentro. Alla fine, ti sembra addirittura di averlo adottato, quel sistema di pensiero allucinante.
    E il soprannaturale, il maligno, la stregoneria, sembrano proprio discendere ed essere generati da quel sistema di pensiero.
    Bellissimo.

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    1. Sì, la cosa interessante è che non ti dice "c'è la strega" ma attraverso i personaggi ti convince che la strega POTREBBE esserci. Anche perché la malignità è radicata in ognuno di loro, salvo forse il povero Caleb. Ho già voglia di rivederlo, pensa te! :D

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  3. Mi ispira tantissimo ma non riuscirò MAI a vederlo.

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    1. Ti dico solo che ancora adesso, a distanza di una settimana, sentire il verso di una capra o vederne l'immagine mi mette i brividi.

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  5. Se tutto va bene stasera e lo guardo. E se l'hype viene deluso... ti abbandono nella foresta! u.u
    Comunque la penso allo stessa maniera su "It follows".

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    1. Nuooo nella Foresta nooooo!!! T__T Non lasciarmi in balìa di Black Philip!

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  6. Mi è mancata l'aria per un po'. Fai alla svelta a dire 'non ci credo non ci credo', poi ti ritraggono una fede così potente da scombussolarti per giorni. E quelle poche parole del maledetto Philip alla fine? Annientata dalla paura.

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    1. Le parole di Philip sono già storia: Wouldst thou like to live deliciously? potrebbe essere la frase dell'anno <3

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  7. Io, invece, It Follows l'ho trovato orridissimo - ma che senso c'aveva? boh - però questo, nonostante qui e lì mi sia parso un po' pretenzioso, ha affascinato pure me. Colonna sonora da brivido.

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    1. Orridissimo no, però non mi ha "toccata" quanto credevo quindi mezzo diludendo. The Witch invece è stato amore!!

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  8. Mi interessa parecchio, a questo punto. E poi, avvicinandosi l'estate, bisogna andare giù di horror... e che magari siano anche il più possibile belli!

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    1. Occhio perché questa non è una supercazzola estiva, eh! E' un bell'horror invernale *__*

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  9. Un "film ispirato da un gran numero di leggende popolari su stregonerie del passato", così lo sceneggiatore e regista Robert Eggers. Thomasin rappresenta superbamente quel particolare periodo storico - liminale - nel quale fede e ragione ancora si sovrapponevano e dove la superstizione rappresentava il bagaglio culturale popolare, reale quanto la difficile vita dei campi. È impossibile guardare The Witch e non correre col pensiero alla sterminata letteratura sulla stregoneria, alle fiabe e leggende popolari, ai documenti d’archivio. Ancora, a Carlo Ginzburg e al suo lavoro sui benandanti: questi guerrieri spirituali che combattevano le forze del male per proteggere i raccolti ("le biade"). In questa accurata ricostruzione d’epoca il tema della terra e del raccolto, l’ossessione per il cibo e la paura della fame così costante in quel mondo si fa strada sin dal primo minuto (con quel bosco dove si rifugiano gli animali e si nascondono le trappole ed è curioso quanto un film come La quinta stagione, accumunato da The Witch per il filo rosso delle credenze e riti come costante della quotidianità nell’immaginario popolare, condivida con esso anche l'estetica; inquadrature, composizione, luce: è tutto un felice omaggio alla pittura fiamminga del periodo, da Bruegel in poi). Il tema della stregoneria si presta poi a molteplici punti interpretativi: dal conflitto tra nomos e physis, a quello del soprannaturale sin fino a interrogare immaginario e inconscio collettivo. Il patriarcato (parola abusata quanto resilienza, ma qui ci sta) e, ancora, il ruolo della donna. Di questo conflitto Thomasin, Anya Taylor-Joy, ne è la degna rappresentazione plastica: a partire da quel suo corpo che la colloca ancora in una terra di mezzo (come il periodo storico in cui la vicenda è ambientata) tra l'adolescenza e l'età adulta (nel corso del film assisteremo al suo menarca come accadde alla Moretz in Carrie). Così Thomasin vive un conflitto tra la repressione famigliare (rappresentata più ancora che dalla figura del padre dal modello femminile espresso della madre Katherine) e desiderio di autodeterminazione: non potrà che sciogliersi con Thomasin che uccide la Regina del focolare, Katherine, per farsi - lei - Regina del bosco. E la scelta di abbandonare la religione, il credo del padre (e dei Padri) per abbracciare la stregoneria e raggiungere una piena consapevolezza non può che chiudere così il film. Voglio notare ancora quanto in Eggers le metafore trovino forza nella concretezza del quotidiano: il caprone Black Philip, il diavolo, istiga Thomasin attraverso la promessa del burro (ancora il cibo): quel burro (butter) che secondo le antiche credenze proprio le streghe rubavano dalle dispense una volta trasformatesi in farfalle (butterfly).
    "Tremate, tremate le streghe son tornate." Per me la grandezza del film di Eggers sta, ancor più, in questo forte messaggio femminista (altra parola abusata) perché non scade mai nel didascalico, nel retorico o nel ridicolo (Titane dico a te!). Se nel corso dei secoli la strega è sempre stata oggetto di persecuzione da parte delle autorità, a partire dagli anni Settanta il movimento femminista se ne impossessa, rivendicandone l'appartenenza. Se “la prolungata schiavitù della donna è la pagina nera della storia dell'umanità” scriveva un secolo e mezzo fa Elizabeth Cady Stanton più recentemente Jude Ellison Sady Doyle è andata oltre affermando che la storia dell'umanità è storia stessa del patriarcato e la donna è sempre stata il suo antagonista, così: "se il villaggio non ci vuole possiamo sempre dirigerci verso i boschi", quei boschi che sceglie Thomasin senza più quelle trappole che piazza la società: si chiamino imposizioni od obblighi. Una domanda si pone però: se l'ecumene ha raggiunto ogni angolo del pianeta dove cercare asilo oggi?

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    1. Davanti a un simile commento non posso che farmi da parte, ammirata!

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  10. Io l'ho trovato molto noioso invece, è stata lunga la parte centrale 😂

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