Approfittando di una distribuzione stranamente illuminata, domenica ho convinto il Bolluomo ad accompagnarmi a vedere Il clan (El clan), diretto e co-sceneggiato nel 2015 dal regista Pablo Trapero.
Trama: nell'Argentina degli anni '80 i membri della famiglia Puccio conducono una vita apparentemente normale, in realtà il patriarca rapisce persone facoltose per poi chiedere il riscatto a nome del Fronte di Liberazione Nazionale...
Da qualche tempo lo dico e lo ripeto, i film tratti da reali fatti di cronaca, soprattutto se radicati all'interno delle vicende politiche d'epoca, sono i più interessanti in quanto spingono lo spettatore ad informarsi su ciò che sta dietro la storia narrata. Purtroppo le mie conoscenze storiche relative all'Argentina si limitano ai vaghi ricordi di pochi trafiletti del libro di Storia Contemporanea letti all'università e alla spettacolare visione della dittatura peronista dipinta in Evita, quindi ho cominciato a guardare Il clan senza alcuna infarinatura relativa al governo di Peron post-Eva, al Processo di Riorganizzazione Nazionale o al presidente eletto Alfonsín. Gran peccato, in quanto il protagonista de Il Clan, l'ex professore di economia ed ex membro dei servizi segreti argentini Arquimedes Puccio, è una figura inestricabilmente legata alle brutture governative di un tempo in cui sequestri, omicidi, terrorismo di stato e manipolazione delle notizie erano all'ordine del giorno. Talmente all'ordine del giorno che Pablo Trapero riesce a dipingere una realtà in cui la legge pare non esistere e in cui navigati sequestratori chiedono tranquillamente il riscatto telefonando da apparecchi situati in luoghi pubblici, se non addirittura all'interno di edifici istituzionali. Da questo punto di vista Il clan è uno dei film più angoscianti ed efficaci visti di recente, una pellicola asciutta ma non priva di stile né sentimento, capace di prendere per mano lo spettatore e avvicinarlo al nocciolo della questione senza stordirlo con eccessivo didascalismo; Trapero racconta l'essenziale, lasciando al pubblico la gioia di provare a capire ciò che muove i personaggi, il contesto che li ha resi tali, le emozioni che si nascondono dietro l'immagine di una famiglia apparentemente irreprensibile, formata persino da alcune figure di spicco all'interno della società argentina, i cui membri compiono o coprono consapevolmente i peggiori delitti. Alla freddezza di un patriarca inflessibile, i cui occhi di ghiaccio non lasciano trasparire alcune genere di tenerezza, si contrappongono la tragica storia di una giovane promessa del Rugby incapace di fuggire ad una realtà familiare odiosa e al fascino del denaro, di figli costretti a fuggire facendo perdere le proprie tracce, di donne le quali (anche in tempo di suffragio universale) non sono in grado di fare altro che fingere di non sapere, avallando silenziosamente le riprovevoli azioni degli "uomini di casa". In tutto questo, radio e televisioni riportano le travagliate vicende di un Paese turbolento e privo di una guida salda, con gli abitanti costretti a subire passivamente gioie o dolori, a seconda delle persone che arrivano, in un modo o nell'altro, a detenere il potere.
Una storia già così angosciosa ed interessante viene resa ancora più dinamica dalle scelte di regia e montaggio, che consegnano allo spettatore un film accattivante anche dal punto di vista visivo; il montaggio ardito e non banale, capace di creare un ironico ed amaro contrasto tra i crimini di Arquimedes e il desiderio del figlio Alex di vivere una vita normale, assieme alla scelta di creare un intreccio fatto di flashback e flash-forward, creano forse qualche difficoltà all'inizio ma poi ipnotizzano senza via di scampo. Gran parte del merito va anche agli attori, che mi dispiace non aver potuto ascoltare in lingua originale visto il doppiaggio un po' piatto. Guillermo Francella interpreta un Arquimedes meraviglioso, la quintessenza del "padre padrone" di poche parole ma di grandissimo carisma, capace di tenere sotto di sé non solo la famiglia ma anche pochi, fidati collaboratori e qualche piccolo delinquentello pronto ad arricchirsi; i già citati occhi di ghiaccio dell'attore, assieme al sembiante che in qualche modo ricorda quello di Udo Kier, sono abbastanza per fissarlo a fuoco nella memoria dello spettatore, sperando di non doverlo mai incontrare in qualche vicolo buio. Bravissimo è anche il ventiseienne Peter Lanzani, probabilmente al suo primo ruolo cinematografico serio dopo una gavetta a base di serie TV, che nei panni del bello e dannatissimo Alex racconta il dolore di un ragazzo costretto a dividersi tra una famiglia opprimente e la speranza di un futuro roseo fatto di successo, soldi e amore. Sinceramente, il confronto finale tra padre e figlio è una delle scene più belle viste quest'anno, colma di un pathos e un orrore psicologico che il 90% delle produzioni americane a tema criminale si sognano, e allo stesso modo è incredibile la padronanza dimostrata da Trapero nel saper gestire atmosfere quasi horror, dramma familiare ed elementi storico-biografici senza mai lasciare che un aspetto della pellicola prevalesse sull'altro. In sostanza, Il Clan è un film splendido, che merita di essere guardato dal maggior numero di persone possibili. Cercate di recuperarlo, io intanto vado a seppellirmi nei libri di storia!
Pablo Trapero è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Argentino, ha diretto film come Mondo Grua, Carancho e White Elephant. Anche produttore e attore, ha 45 anni.
Se le atmosfere de Il clan vi fossero piaciute potrei consigliare il recupero di Black Mass - L'ultimo gangster ma ovviamente quest'ultimo non regge il confronto. ENJOY!
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mercoledì 31 agosto 2016
martedì 30 agosto 2016
Gene Wilder (1933 - 2016)
Per parafrasare un tuo film che ho guardato sempre, fin da bambina... Non dirmelo, non ci credo.
Addio, stralunato, dolcissimo Gene.
domenica 28 agosto 2016
ABCs of Death 2.5 (2016)
A volte ritornano. Come da prassi, il post dedicato a ABCs of Death 2.5, costola nata da ABCs of Death 2, sarà spezzettato in tante minirecensioni, all'interno delle quali troverete in rosso i miei corti preferiti. Prima di cominciare vi dico solo che ABCs of Death 2.5 è frutto del concorso indetto on line per cercare il ventiseiesimo regista del secondo film (per la cronaca aveva vinto Robert Boocheck col suo M is for Masticate, finito nella pellicola "titolare") quindi la qualità dei corti non è proprio di livello eccelso...
M is for Magnetic Tape di Cody Kennedy e Tim Rutherford (Canadesi, registi della serie Straight to Video: The B-Movie Odissey)
E si comincia con un po' di trash. Tre minuti di delirio in videotape, con arroganti ed esilaranti effetti speciali d'accatto a base di videotape, ultraviolenza e ninja. Don't ask, come antipasto va benissimo.
M is for Maieusiophobia di Christopher Younes (Inglese, al suo primo lavoro)
Il segmento disturbante arriva alla traditora dopo le risate ambientate nel videostore. Girato con pupazzi in plastilina e la tecnica della stop motion, il corto di Younes racconta di una donna affetta dalla "paura di partorire" e vi lascio solo immaginare a cosa ciò potrebbe portare. Colonna sonora minimal ma da brivido, mi ha ricordato i migliori episodi di Salad Fingers.
M is for Mailbox di Rodrigo Gasparini e Dante Vescio (Brasiliani, registi del film O Diabo Mora Aqui)
Corto innocuo e simpatico, con un twist inaspettato sul finale. Belli gli effetti speciali, bravi gli attori, tecnicamente parlando uno dei migliori segmenti della raccolta, forse un po' banale nel tema.
M is for Make Believe di Summer Johnson (Americana, al suo primo lavoro)
Make believe significa "fare finta" e il corto è intrigante per il modo in cui rapporta l'innocenza di due bimbe alla trivialità di una morte violenta. Purtroppo l'idea è interessante ma la messa in scena è sul pietoso andante, con una pessima fotografia.
M is for Malnutrition di Peter Czikrai (Slovacco, regista di un altro corto intitolato Good Night)
Tipico spin-off zombie con qualche contaminazione da Ai confini della realtà. Crudele e ben girato, è sicuramente uno dei corti migliori, nonostante il tema non proprio originalissimo.
M is for Manure di Michael Schwartz (Canadese, regista di altri due corti horror)
Ovvero, storia di una creatura di merda che si vendica di un uomo di merda. Belli gli effetti speciali ma gli attori sono al limite del dilettantesco.
M is for Marauder di Steve Daniels (Americano, al suo primo lavoro)
Dopo sei corti abbastanza tradizionali arriva l'immancabile delirio d'autore, girato con un bianco e nero che omaggia palesemente Russ Meyers e presenta una ben strana accozzaglia di bikers e adoratori del demonio. Bello davvero.
M is for Mariachi di Eric Pennycoff (Americano, prevalentemente montatore, al suo secondo lavoro come regista)
Altro simpatico divertissement, che gioca sul contrasto tra Death Metal e musica tradizionale messicana. Un esilarante trionfo di sangue e violenza che si può tranquillamente riassumere con un "quando ce vo', ce vo'!".
M is for Marriage di Todd E. Freeman (Americano, classe 1976, regista di film come Wake Before I Die e Cell Count)
M is for MEH. Non l'ho capito, non m'ha detto nulla, voleva sicuramente omaggiare Cronenberg e il suo body horror ma i dialoghi sono di una banalità sconcertante. C'è di peggio all'interno dell'antologia, va bene, però questo a mio avviso è uno dei corti più deboli del film.
M is for Martyr di Jeff Stewart (Americano, regista di film come The Reunion)
Altra idea brillante messa in scena in modo egregio, tra lo sconcertante e il divertente. Dimenticate il martirio francese, non è nulla di così devastante ma sicuramente il protagonista del corto non subisce un bel destino.
M is for Matador di Gigi Saul Guerrero (Messicana, ha diretto parecchi corti horror)
Ennesima macellata, ma girata con stile e con un finale liberatorio. Affascinanti i costumi e molto belli gli effetti speciali e il make-up, probabilmente da questa idea verrebbe fuori un bello slasher.
M is for Meat di Wolfgang Matzl (Austriaco, al suo primo lavoro)
Altro episodio animato, stavolta con inquietanti personaggi fatti di... prosciutto crudo. Giuro. Come sempre, i corti animati sono i più disturbanti, forse perché c'è qualcosa nella stop motion che proprio mi inquieta, ma fortunatamente non siamo ai livelli del segmento di Christopher Younes.
M is for Mermaid di Ama Lea (Americana, regista di un altro corto intitolato Red Red)
Attori improponibili, soprattutto la tizia che interpreta la sirena, ma il corto è divertente e ha un finale cattivissimo che lo rende ancora più simpatico.
M is for Merry Christmas di Joe e Lloyd Staszkiewicz (Inglesi, registi di altri corti horror contenuti nell'antologia Shortcuts to Hell e il suo seguito)
M is for Meenchiata. Questo e il segmento successivo sono probabilmente i peggiori della raccolta, di Merry Christmas salvo solo l'accento inglese del Krampus (che poi, perché dovrebbe avere un accento inglese???), l'aspetto horror è praticamente inesistente. Meglio recuperare il film di Michael Dougherty.
M is for Mess di Carlos Faria (Brasiliano, al suo primo lavoro)
M is for Ma che caSSo ho visto? Storia di un uomo che defeca dall'ombelico. Stop. Va bene, in assenza di giapponesi bisognava inserire il segmento weird ma questo è davvero imbarazzante e, di fatto, manca della capacità tipicamente nipponica di affrontare con sprezzo della vergogna determinati argomenti.
M is for Messiah di Nicholas Humphries (Canadese, ha diretto film come Death Do Us Part e Charlotte's Song)
Altro episodio privo di infamia o lode, salvabile solo per la bella ambientazione e i costumi. Ancora devo capire dove volesse andare a parare il regista ma anche in questo caso non parliamo del corto peggiore della raccolta.
M is for Mind Meld di Brett Glassberg (Americano, al suo primo lavoro da regista)
Ecco il segmento più arduo da guardare, composto da una serie di torture inenarrabili che a malapena sono riuscita a sostenere. Dei tre minuti di corto, di fatto, ne avrò probabilmente guardati due. Brr.
M is for Miracle di Álvaro Núñez (Spagnolo, al suo primo lavoro da regista)
Questo l'ho molto apprezzato per la follia intrinseca del "miracolo" e per la terrificante immagine finale che, giustamente, è la più riportata dai pochi siti che parlano di ABCs of Death 2.5. Gli spagnoli hanno sempre una marcia in più, anche quando si tratta di low budget.
M is for Mobile di Baris Erdogan (Turco, al suo primo lavoro da regista)
Più thriller che horror, un simpatico corto che racconta di un killer alle prese con strani sms. Come spesso accade, il segreto della riuscita dell'opera è un finale spiazzante.
M is for Mom di Carles Torrens (Spagnolo, classe 1984, ha diretto film come Apartment 143)
Improbabile storia d'amore ambientata in una realtà postatomica che probabilmente ha lasciato dietro di sé mostri mutanti non necessariamente zombie. Bellissimo sia dal punto di vista della sceneggiatura, della regia, della fotografia e dell'amore per i dettagli, M is for Mom è uno dei corti più belli della raccolta.
M is for Moonstruck di Travis Betz (Americano, classe 1976, ha diretto film come Joshua, Lo e The Dead Inside)
Sarà che il mio cervello a questo punto era già saturo ma ho trovato questo corto animato di una mosceria e una pochezza rare. Ridatemi la plastilina e proibite l'introduzione delle figurine di carta semoventi in un'antologia horror, ve prego.
M is for Mormon Missionaries di Peter Podgursky (Americano, ha diretto altri corti ed episodi di serie TV)
Sempre perché forse a questo punto ero già assuefatta a qualsiasi cosa avrebbero potuto gettare in questo calderone horror (ma oh, quanto sbagliavo...), questo corto non mi ha detto nulla. Ennesima variante sul tema violenza e tortura, viene salvato anch'esso dal twist finale e da interpreti discreti.
M is for Mother di Ryan Bosworth (Americano, ha diretto film come Black Sabbath)
Semplice e diretto, come un incubo. Non vi dirò mai a quale madre si faccia riferimento ma sappiate che non è una bella cosa.
M is for Muff di Mia Kate Russell (Australiana, ha diretto altri corti horror ma è principalmente make up artist)
Non proprio horror, a parte il momento splatter finale, ma molto molto carino e simpatico, con un bellissimo lavoro sulla colonna sonora e un'attrice cicciotta ed espressivissima. A voi scoprire cosa sia la "death by muff" del titolo originale.
M is for Munging di Clint Kelly e Jason M. Koch (Americani, Kelly è al suo primo film da regista mentre Koch ha diretto film come 7th Day)
M is for Ma anche no. Una roba disgustosa che nemmeno vi sto a descrivere, che spero di dimenticare nei mesi a venire. Brutto brutto, sia per il tema che per come è stato realizzato, nonostante l'apprezzamento mostrato dai fan di tutto il mondo.
M is for Mutant di Stuart Simpson (Australiano, ha diretto film come El monstro del mar!)
Purtroppo il film si conclude con una belinata che potrebbe probabilmente piacere giusto al vecchio Takashi Miike, con sparatorie, mutanti e mostrini volanti attaccati alla pellicola con lo sputo. Da un australiano giuro che mi sarei aspettata di più.
Riassumendo, ABCs of Death 2.5 è uno spin-off della serie principale decisamente poco riuscito. Il difetto principale dei corti non è tanto la natura semi-amatoriale della maggior parte di essi quanto piuttosto la scarsa fantasia che li caratterizza. Sinceramente, al terzo segmento basato solo ed esclusivamente su ultraviolenza e secchiate di sangue mi sono rotta un po' le scatole e siccome mi è parso di capire che i corti siano stati scelti in base ai voti ottenuti su internet, mi chiedo anche quale sia l'attuale livello dei fan dell'horror ubicati soprattutto in America. In conclusione, se non siete più che appassionati lasciate perdere, altrimenti consiglierei il recupero di The ABCs of Death e The ABCs of Death 2 i quali, con tutti i loro difetti, sono mille volte meglio di questo spin-off. ENJOY!
M is for Magnetic Tape di Cody Kennedy e Tim Rutherford (Canadesi, registi della serie Straight to Video: The B-Movie Odissey)
E si comincia con un po' di trash. Tre minuti di delirio in videotape, con arroganti ed esilaranti effetti speciali d'accatto a base di videotape, ultraviolenza e ninja. Don't ask, come antipasto va benissimo.
M is for Maieusiophobia di Christopher Younes (Inglese, al suo primo lavoro)
Il segmento disturbante arriva alla traditora dopo le risate ambientate nel videostore. Girato con pupazzi in plastilina e la tecnica della stop motion, il corto di Younes racconta di una donna affetta dalla "paura di partorire" e vi lascio solo immaginare a cosa ciò potrebbe portare. Colonna sonora minimal ma da brivido, mi ha ricordato i migliori episodi di Salad Fingers.
M is for Mailbox di Rodrigo Gasparini e Dante Vescio (Brasiliani, registi del film O Diabo Mora Aqui)
Corto innocuo e simpatico, con un twist inaspettato sul finale. Belli gli effetti speciali, bravi gli attori, tecnicamente parlando uno dei migliori segmenti della raccolta, forse un po' banale nel tema.
M is for Make Believe di Summer Johnson (Americana, al suo primo lavoro)
Make believe significa "fare finta" e il corto è intrigante per il modo in cui rapporta l'innocenza di due bimbe alla trivialità di una morte violenta. Purtroppo l'idea è interessante ma la messa in scena è sul pietoso andante, con una pessima fotografia.
M is for Malnutrition di Peter Czikrai (Slovacco, regista di un altro corto intitolato Good Night)
Tipico spin-off zombie con qualche contaminazione da Ai confini della realtà. Crudele e ben girato, è sicuramente uno dei corti migliori, nonostante il tema non proprio originalissimo.
M is for Manure di Michael Schwartz (Canadese, regista di altri due corti horror)
Ovvero, storia di una creatura di merda che si vendica di un uomo di merda. Belli gli effetti speciali ma gli attori sono al limite del dilettantesco.
M is for Marauder di Steve Daniels (Americano, al suo primo lavoro)
Dopo sei corti abbastanza tradizionali arriva l'immancabile delirio d'autore, girato con un bianco e nero che omaggia palesemente Russ Meyers e presenta una ben strana accozzaglia di bikers e adoratori del demonio. Bello davvero.
M is for Mariachi di Eric Pennycoff (Americano, prevalentemente montatore, al suo secondo lavoro come regista)
Altro simpatico divertissement, che gioca sul contrasto tra Death Metal e musica tradizionale messicana. Un esilarante trionfo di sangue e violenza che si può tranquillamente riassumere con un "quando ce vo', ce vo'!".
M is for Marriage di Todd E. Freeman (Americano, classe 1976, regista di film come Wake Before I Die e Cell Count)
M is for MEH. Non l'ho capito, non m'ha detto nulla, voleva sicuramente omaggiare Cronenberg e il suo body horror ma i dialoghi sono di una banalità sconcertante. C'è di peggio all'interno dell'antologia, va bene, però questo a mio avviso è uno dei corti più deboli del film.
M is for Martyr di Jeff Stewart (Americano, regista di film come The Reunion)
Altra idea brillante messa in scena in modo egregio, tra lo sconcertante e il divertente. Dimenticate il martirio francese, non è nulla di così devastante ma sicuramente il protagonista del corto non subisce un bel destino.
M is for Matador di Gigi Saul Guerrero (Messicana, ha diretto parecchi corti horror)
Ennesima macellata, ma girata con stile e con un finale liberatorio. Affascinanti i costumi e molto belli gli effetti speciali e il make-up, probabilmente da questa idea verrebbe fuori un bello slasher.
M is for Meat di Wolfgang Matzl (Austriaco, al suo primo lavoro)
Altro episodio animato, stavolta con inquietanti personaggi fatti di... prosciutto crudo. Giuro. Come sempre, i corti animati sono i più disturbanti, forse perché c'è qualcosa nella stop motion che proprio mi inquieta, ma fortunatamente non siamo ai livelli del segmento di Christopher Younes.
M is for Mermaid di Ama Lea (Americana, regista di un altro corto intitolato Red Red)
Attori improponibili, soprattutto la tizia che interpreta la sirena, ma il corto è divertente e ha un finale cattivissimo che lo rende ancora più simpatico.
M is for Merry Christmas di Joe e Lloyd Staszkiewicz (Inglesi, registi di altri corti horror contenuti nell'antologia Shortcuts to Hell e il suo seguito)
M is for Meenchiata. Questo e il segmento successivo sono probabilmente i peggiori della raccolta, di Merry Christmas salvo solo l'accento inglese del Krampus (che poi, perché dovrebbe avere un accento inglese???), l'aspetto horror è praticamente inesistente. Meglio recuperare il film di Michael Dougherty.
M is for Mess di Carlos Faria (Brasiliano, al suo primo lavoro)
M is for Ma che caSSo ho visto? Storia di un uomo che defeca dall'ombelico. Stop. Va bene, in assenza di giapponesi bisognava inserire il segmento weird ma questo è davvero imbarazzante e, di fatto, manca della capacità tipicamente nipponica di affrontare con sprezzo della vergogna determinati argomenti.
M is for Messiah di Nicholas Humphries (Canadese, ha diretto film come Death Do Us Part e Charlotte's Song)
Altro episodio privo di infamia o lode, salvabile solo per la bella ambientazione e i costumi. Ancora devo capire dove volesse andare a parare il regista ma anche in questo caso non parliamo del corto peggiore della raccolta.
M is for Mind Meld di Brett Glassberg (Americano, al suo primo lavoro da regista)
Ecco il segmento più arduo da guardare, composto da una serie di torture inenarrabili che a malapena sono riuscita a sostenere. Dei tre minuti di corto, di fatto, ne avrò probabilmente guardati due. Brr.
M is for Miracle di Álvaro Núñez (Spagnolo, al suo primo lavoro da regista)
Questo l'ho molto apprezzato per la follia intrinseca del "miracolo" e per la terrificante immagine finale che, giustamente, è la più riportata dai pochi siti che parlano di ABCs of Death 2.5. Gli spagnoli hanno sempre una marcia in più, anche quando si tratta di low budget.
M is for Mobile di Baris Erdogan (Turco, al suo primo lavoro da regista)
Più thriller che horror, un simpatico corto che racconta di un killer alle prese con strani sms. Come spesso accade, il segreto della riuscita dell'opera è un finale spiazzante.
M is for Mom di Carles Torrens (Spagnolo, classe 1984, ha diretto film come Apartment 143)
Improbabile storia d'amore ambientata in una realtà postatomica che probabilmente ha lasciato dietro di sé mostri mutanti non necessariamente zombie. Bellissimo sia dal punto di vista della sceneggiatura, della regia, della fotografia e dell'amore per i dettagli, M is for Mom è uno dei corti più belli della raccolta.
M is for Moonstruck di Travis Betz (Americano, classe 1976, ha diretto film come Joshua, Lo e The Dead Inside)
Sarà che il mio cervello a questo punto era già saturo ma ho trovato questo corto animato di una mosceria e una pochezza rare. Ridatemi la plastilina e proibite l'introduzione delle figurine di carta semoventi in un'antologia horror, ve prego.
M is for Mormon Missionaries di Peter Podgursky (Americano, ha diretto altri corti ed episodi di serie TV)
Sempre perché forse a questo punto ero già assuefatta a qualsiasi cosa avrebbero potuto gettare in questo calderone horror (ma oh, quanto sbagliavo...), questo corto non mi ha detto nulla. Ennesima variante sul tema violenza e tortura, viene salvato anch'esso dal twist finale e da interpreti discreti.
M is for Mother di Ryan Bosworth (Americano, ha diretto film come Black Sabbath)
Semplice e diretto, come un incubo. Non vi dirò mai a quale madre si faccia riferimento ma sappiate che non è una bella cosa.
M is for Muff di Mia Kate Russell (Australiana, ha diretto altri corti horror ma è principalmente make up artist)
Non proprio horror, a parte il momento splatter finale, ma molto molto carino e simpatico, con un bellissimo lavoro sulla colonna sonora e un'attrice cicciotta ed espressivissima. A voi scoprire cosa sia la "death by muff" del titolo originale.
M is for Munging di Clint Kelly e Jason M. Koch (Americani, Kelly è al suo primo film da regista mentre Koch ha diretto film come 7th Day)
M is for Ma anche no. Una roba disgustosa che nemmeno vi sto a descrivere, che spero di dimenticare nei mesi a venire. Brutto brutto, sia per il tema che per come è stato realizzato, nonostante l'apprezzamento mostrato dai fan di tutto il mondo.
M is for Mutant di Stuart Simpson (Australiano, ha diretto film come El monstro del mar!)
Purtroppo il film si conclude con una belinata che potrebbe probabilmente piacere giusto al vecchio Takashi Miike, con sparatorie, mutanti e mostrini volanti attaccati alla pellicola con lo sputo. Da un australiano giuro che mi sarei aspettata di più.
Riassumendo, ABCs of Death 2.5 è uno spin-off della serie principale decisamente poco riuscito. Il difetto principale dei corti non è tanto la natura semi-amatoriale della maggior parte di essi quanto piuttosto la scarsa fantasia che li caratterizza. Sinceramente, al terzo segmento basato solo ed esclusivamente su ultraviolenza e secchiate di sangue mi sono rotta un po' le scatole e siccome mi è parso di capire che i corti siano stati scelti in base ai voti ottenuti su internet, mi chiedo anche quale sia l'attuale livello dei fan dell'horror ubicati soprattutto in America. In conclusione, se non siete più che appassionati lasciate perdere, altrimenti consiglierei il recupero di The ABCs of Death e The ABCs of Death 2 i quali, con tutti i loro difetti, sono mille volte meglio di questo spin-off. ENJOY!
venerdì 26 agosto 2016
The Rocky Horror Picture Show (1975)
Per “colpa” della rassegna estiva Castelfranco Off e
della Collezionista di biglietti è arrivato il tanto temuto momento di
affrontare la stesura di un post sul film cult per eccellenza, quel The Rocky
Horror Picture Show diretto da Jim Sherman nel 1974. Sarà un post atipico, sappiatelo. “I see you shiver with
antici… pation!”
Science Fiction/Double Feature
Il Rocky Horror Picture Show non è semplicemente un film o uno spettacolo teatrale, bensì un'esperienza. Un'esperienza fondamentalmente basata sulla nostalgia, sull'omaggio ai film di fantascienza o horror risalenti agli anni '50/'60 (gli stessi, più o meno, di cui parlava Stephen King nel suo capolavoro It) e ci vorrebbe un vero appassionato del genere per comprendere tutti i riferimenti nascosti all'interno del cult di Jim Sherman e Richard O'Brien, non solo nominati all'interno della canzone introduttiva ma anche citati a piene mani nel corso della pellicola. Brad e Janet, due "normalissimi ragazzi in salute" si ritrovano all'improvviso catapultati all'interno di un Castello di Frankenstein dove troveranno la quintessenza delle icone da film horror: lo scienziato pazzo, la Creatura, il servo gobbo, zombie, alieni, improbabili raggi della morte e quant'altro, tutto raccontato allo spettatore attonito attraverso la voce compassata di un inglesissimo Narratore, chiamato a dare un senso ad una vicenda misteriosa e terrificante che nasconde un imprevedibile twist "arcobaleno".
Dammit, Janet!
I due protagonisti di The Rocky Horror Picture Show, i già citati Brad e Janet, sono la quintessenza del WASP. Lei è una dolcissima verginella, ingenua e totalmente impreparata ad affrontare qualsiasi cosa esuli dalla piccola realtà a lei conosciuta, mentre lui è il trionfo della sicumera americana, dotato di quella tipica strafottenza di chi vive col paraocchi ed è convinto di avere SEMPRE in mano la situazione. Due personaggi odiosi, quindi? Assolutamente no, ma quanta goduria si prova vedendo i bravissimi Susan Sarandon e Barry Bostwick, entrambi giovani e bellissimi, perdere progressivamente il senno e i freni inibitori, sotto le "cure" dell'espertissimo Frank'n'Furter.
Over at the Frankenstein Place
The Rocky Horror Picture Show è un trionfo di colorate scenografie ed esterni ad hoc. La chiesa dove facciamo la conoscenza di Brad e Janet, il castello battuto dalla pioggia (e da quei terrificanti lampi finti), il laboratorio di Frank'n'Furter, la fantomatica Zen Room, la piscina sotto il palco e l'antenna della RKO sono indimenticabili tanto quanto i personaggi che popolano il film. In un attimo l'atmosfera cambia dalla banale sicurezza della sequenza iniziale all'assurdità di un castello pieno di passaggi segreti e trappole, dove chiunque potrebbe strisciare nel buio e fare chissà cosa ai poveri malcapitati ospiti!
Time Warp
Se c'è un momento in cui chiunque sia predisposto rischia di cedere totalmente il proprio cuore al Rocky Horror Picture Show o è quando compare Frank'n'Furter o quando Magenta, Columbia e Riff Raff si scatenano assieme ai transilvani ballando il Time Warp. Siccome di musica non me ne intendo, non posso spiegarvi la bellezza della colonna sonora del film, fatta non solo di esaltanti brani rock ma anche di struggenti e tristissime melodie, quindi approfitterò di questo spazietto per raccontarvi di come sono venuta a conoscenza di questo cult e come, letteralmente, sono finita in un time warp che si rinnova ad ogni visione. Devo ringraziare pubblicamente mia cugina Daniela, la quale mi ha prestato videocassetta e colonna sonora per "sverginarmi" (è un termine osceno, ma i neofiti del Rocky Horror si chiamano vergini) prima di portarmi a vedere lo spettacolo messo in piedi dalla compagnia originale londinese, miracolosamente in tournée a Savona. L'amore è scoccato subitaneo e travolgente, vedere lo spettacolo dal vivo è stata un'esperienza che non dimenticherò mai e che fortunatamente si è ripetuta qualche anno dopo, quando ormai padroneggiavo benissimo il "jump to the left", lo "step to the right" ma soprattuttamente "the pelvic rush" che, come si sa, è quello che "really drives you insaa-aa-aa-aane". Rimpiango di non avere mai potuto andare a vedere lo show di mezzanotte che si tiene in moltissimi cinema sparsi per il mondo, magari con tutti gli oggetti necessari all'interazione, ma ancora non è detta l'ultima parola.
Sweet Transvestite
Inutile negare che il cuore pulsante di The Rocky Horror Picture Show è il Frank'n'Furter di Tim Curry, qui nel ruolo più iconico di sempre. Uno scienziato pazzo dal nome tedesco, che parla con l'accento inglese della regina, amante di uomini e donne in egual misura e deciso a costruire l'uomo perfetto... ovviamente per portarselo a letto, che domande. Il carisma di Curry è gigantesco, così come è incredibile il fascino che emana pur con le fattezze bruttarelle che lo contraddistinguono, al punto che non è difficile capire perché sia Janet che Brad cedano alle sue lusinghe. Frank è l'agente del caos, un motore di libertà dallo stile "troppo estremo" che non esita a spargere sangue e dolore per raggiungere i suoi scopi. Ma, anche lì, come si fa ad odiarlo? Come si fa a non creparsi la faccia di lacrime sul finale? Non si può, io ve lo dico. Questa è la vera magia di Frank.
I Can Make You a Man
Ragazzini, se cercate un film scevro di allusioni sessuali avete sbagliato pellicola. Non fate come i genitori che hanno portato i bambini alla proiezione di Castelfranco storcendo poi il naso davanti a cavalline peniche e amplessi sessuali più o meno suggeriti. Di questi tempi, il Rocky Horror Picture Show non ha più nulla di scandaloso ma sicuramente nel 1975 la storia di uno scienziato pazzo deciso a costruirsi l'amante perfetto, zeppo di muscoli e superdotato, e di due fidanzatini che riescono a "trovare la propria strada" (e probabilmente anche a capire di non essere fatti l'uno per l'altro) attraverso la scoperta del sesso, deve aver destato parecchio scalpore. Canzoni come Hot Patootie, Touch-a-touch-a-touch me (che, di fatto, descrive nella minuzia ciò che viene dopo il citato "heavy petting that only leads to trouble and... sit wetting") e la splendida Rose Tints My World parlano di un modo di vivere interamente consacrato ai piaceri della carne, al raggiungimento della libertà attraverso la ricerca disinteressata del piacere. Un modo di vivere non privo di conseguenze ma comunque meno riprovevole rispetto all'ipocrisia e alla stolida ignoranza mostrata all'inizio dai due giovani protagonisti.
Eddie
Vogliamo parlare anche dei personaggi "secondari"? Dopo un'unica visione di The Rocky Horror Picture Show vi rimarrà probabilmente in testa solo Frank'n'Furter ma se persevererete capirete che Frank non esisterebbe senza gli iconici co-protagonisti che lo affiancano. Lo sfortunato motociclista Eddie (interpretato da un Meat Loaf in stato di grazia e giovanissimo), i servi Riff Raff (ovviamente interpretato dal compositore Richard O'Brien) e Magenta, la groupie Columbia, il bambinone Rocky, il compassato Criminologo e l'esilarante Dottor Scott sono personaggi essenziali tanto quanto Brad e Janet, oltre ad essere incredibilmente ben caratterizzati.
Don't Dream It
L'inno del prefinale, per me la canzone più importante e bella della pellicola. Il messaggio di Frank al mondo è Don't Dream It, Be It: non sognatelo, siatelo. Come ho detto sopra, il Rocky Horror è un inno alla liberazione sessuale e non solo in termini puramente legati all'esperienza ma anche alle pulsioni, che siano etero, omosessuali o addirittura pansessuali. Per estensione, chiunque dovrebbe avere il coraggio di essere ciò che vuole, senza rinunciare ai propri sogni ed adoperandosi perché essi diventino realtà. Se ci pensate, è lo stesso messaggio che da anni la Disney cerca di inculcare nei bambini, ma ascoltato attraverso la sensuale voce di Frank fa tutto un altro effetto.
I'm Going Home/Super Heroes
The Rocky Horror Picture Show, con tutti i suoi lustrini, le paillettes, l'apparente superficialità, non è un film stupido. Innanzitutto è un horror, per l'appunto, e in quanto tale ci racconta di come i desideri di Frank non siano innocenti né i mezzi utilizzati per raggiungerli privi di vittime. Il sangue scorre e non solo, c'è anche un twist piuttosto inquietante nel corso di una cena di compleanno, quindi è necessario che qualcuno venga punito. A tal proposito, il finale è uno dei più tristi della storia del musical, dai toni tragici e malinconici, ed è la classica conclusione in cui all'innocenza viene sostituita una dolorosa, oscura esperienza che spesso coincide con una perdita e la consapevolezza di essere soli al mondo, costretti a lottare contro i mulini a vento per riuscire a tenere tra le mani la libertà faticosamente conquistata. Certo, qualcuno potrà tornare a ballare il Time Warp, di nuovo, ma non per tutti sarà così. "And crawling, on the planet's face, some insects, called the human race. Lost in time. And lost in space. And meaning". Non so voi, ma io mi immedesimo e mi commuovo ogni volta che sento queste parole che escono dalle labbra del sommo Charles Gray.
Science Fiction/Double Feature
Il cerchio si conclude, si torna all'inizio. Come fece mia cugina con me, ho avuto l'onore di accompagnare la Collezionista di biglietti a vedere il suo primo The Rocky Horror Picture Show. Posso solo sperare che le sia piaciuto tanto quanto era piaciuto ad una Bolla ancora al liceo, e che Giulia a sua volta convinca altri "vergini" a ballare il Time Warp, così come spero che questo post sconclusionato ma zeppo di amore spinga altri a diventare "Regular Frankie Fan" come Columbia e la sottoscritta. Se non dovesse accadere, tornerò comunque felice al mio dolce pianeta Transexual, nella galassia di Transilvania, riguardando in loop questo fantastico cult finché non sarò troppo vecchia e rincoglionita per capirne le parole.
Di Tim Curry (Frank'n'Furter), Susan Sarandon (Janet Weiss), Richard O' Brien (Riff Raff), Patricia Quinn (Magenta), Meat Loaf (Eddie) e Charles Gray (Il criminologo) ho già parlato ai rispettivi link.Science Fiction/Double Feature
Il Rocky Horror Picture Show non è semplicemente un film o uno spettacolo teatrale, bensì un'esperienza. Un'esperienza fondamentalmente basata sulla nostalgia, sull'omaggio ai film di fantascienza o horror risalenti agli anni '50/'60 (gli stessi, più o meno, di cui parlava Stephen King nel suo capolavoro It) e ci vorrebbe un vero appassionato del genere per comprendere tutti i riferimenti nascosti all'interno del cult di Jim Sherman e Richard O'Brien, non solo nominati all'interno della canzone introduttiva ma anche citati a piene mani nel corso della pellicola. Brad e Janet, due "normalissimi ragazzi in salute" si ritrovano all'improvviso catapultati all'interno di un Castello di Frankenstein dove troveranno la quintessenza delle icone da film horror: lo scienziato pazzo, la Creatura, il servo gobbo, zombie, alieni, improbabili raggi della morte e quant'altro, tutto raccontato allo spettatore attonito attraverso la voce compassata di un inglesissimo Narratore, chiamato a dare un senso ad una vicenda misteriosa e terrificante che nasconde un imprevedibile twist "arcobaleno".
Dammit, Janet!
I due protagonisti di The Rocky Horror Picture Show, i già citati Brad e Janet, sono la quintessenza del WASP. Lei è una dolcissima verginella, ingenua e totalmente impreparata ad affrontare qualsiasi cosa esuli dalla piccola realtà a lei conosciuta, mentre lui è il trionfo della sicumera americana, dotato di quella tipica strafottenza di chi vive col paraocchi ed è convinto di avere SEMPRE in mano la situazione. Due personaggi odiosi, quindi? Assolutamente no, ma quanta goduria si prova vedendo i bravissimi Susan Sarandon e Barry Bostwick, entrambi giovani e bellissimi, perdere progressivamente il senno e i freni inibitori, sotto le "cure" dell'espertissimo Frank'n'Furter.
Over at the Frankenstein Place
The Rocky Horror Picture Show è un trionfo di colorate scenografie ed esterni ad hoc. La chiesa dove facciamo la conoscenza di Brad e Janet, il castello battuto dalla pioggia (e da quei terrificanti lampi finti), il laboratorio di Frank'n'Furter, la fantomatica Zen Room, la piscina sotto il palco e l'antenna della RKO sono indimenticabili tanto quanto i personaggi che popolano il film. In un attimo l'atmosfera cambia dalla banale sicurezza della sequenza iniziale all'assurdità di un castello pieno di passaggi segreti e trappole, dove chiunque potrebbe strisciare nel buio e fare chissà cosa ai poveri malcapitati ospiti!
Time Warp
Se c'è un momento in cui chiunque sia predisposto rischia di cedere totalmente il proprio cuore al Rocky Horror Picture Show o è quando compare Frank'n'Furter o quando Magenta, Columbia e Riff Raff si scatenano assieme ai transilvani ballando il Time Warp. Siccome di musica non me ne intendo, non posso spiegarvi la bellezza della colonna sonora del film, fatta non solo di esaltanti brani rock ma anche di struggenti e tristissime melodie, quindi approfitterò di questo spazietto per raccontarvi di come sono venuta a conoscenza di questo cult e come, letteralmente, sono finita in un time warp che si rinnova ad ogni visione. Devo ringraziare pubblicamente mia cugina Daniela, la quale mi ha prestato videocassetta e colonna sonora per "sverginarmi" (è un termine osceno, ma i neofiti del Rocky Horror si chiamano vergini) prima di portarmi a vedere lo spettacolo messo in piedi dalla compagnia originale londinese, miracolosamente in tournée a Savona. L'amore è scoccato subitaneo e travolgente, vedere lo spettacolo dal vivo è stata un'esperienza che non dimenticherò mai e che fortunatamente si è ripetuta qualche anno dopo, quando ormai padroneggiavo benissimo il "jump to the left", lo "step to the right" ma soprattuttamente "the pelvic rush" che, come si sa, è quello che "really drives you insaa-aa-aa-aane". Rimpiango di non avere mai potuto andare a vedere lo show di mezzanotte che si tiene in moltissimi cinema sparsi per il mondo, magari con tutti gli oggetti necessari all'interazione, ma ancora non è detta l'ultima parola.
Sweet Transvestite
Inutile negare che il cuore pulsante di The Rocky Horror Picture Show è il Frank'n'Furter di Tim Curry, qui nel ruolo più iconico di sempre. Uno scienziato pazzo dal nome tedesco, che parla con l'accento inglese della regina, amante di uomini e donne in egual misura e deciso a costruire l'uomo perfetto... ovviamente per portarselo a letto, che domande. Il carisma di Curry è gigantesco, così come è incredibile il fascino che emana pur con le fattezze bruttarelle che lo contraddistinguono, al punto che non è difficile capire perché sia Janet che Brad cedano alle sue lusinghe. Frank è l'agente del caos, un motore di libertà dallo stile "troppo estremo" che non esita a spargere sangue e dolore per raggiungere i suoi scopi. Ma, anche lì, come si fa ad odiarlo? Come si fa a non creparsi la faccia di lacrime sul finale? Non si può, io ve lo dico. Questa è la vera magia di Frank.
I Can Make You a Man
Ragazzini, se cercate un film scevro di allusioni sessuali avete sbagliato pellicola. Non fate come i genitori che hanno portato i bambini alla proiezione di Castelfranco storcendo poi il naso davanti a cavalline peniche e amplessi sessuali più o meno suggeriti. Di questi tempi, il Rocky Horror Picture Show non ha più nulla di scandaloso ma sicuramente nel 1975 la storia di uno scienziato pazzo deciso a costruirsi l'amante perfetto, zeppo di muscoli e superdotato, e di due fidanzatini che riescono a "trovare la propria strada" (e probabilmente anche a capire di non essere fatti l'uno per l'altro) attraverso la scoperta del sesso, deve aver destato parecchio scalpore. Canzoni come Hot Patootie, Touch-a-touch-a-touch me (che, di fatto, descrive nella minuzia ciò che viene dopo il citato "heavy petting that only leads to trouble and... sit wetting") e la splendida Rose Tints My World parlano di un modo di vivere interamente consacrato ai piaceri della carne, al raggiungimento della libertà attraverso la ricerca disinteressata del piacere. Un modo di vivere non privo di conseguenze ma comunque meno riprovevole rispetto all'ipocrisia e alla stolida ignoranza mostrata all'inizio dai due giovani protagonisti.
Eddie
Vogliamo parlare anche dei personaggi "secondari"? Dopo un'unica visione di The Rocky Horror Picture Show vi rimarrà probabilmente in testa solo Frank'n'Furter ma se persevererete capirete che Frank non esisterebbe senza gli iconici co-protagonisti che lo affiancano. Lo sfortunato motociclista Eddie (interpretato da un Meat Loaf in stato di grazia e giovanissimo), i servi Riff Raff (ovviamente interpretato dal compositore Richard O'Brien) e Magenta, la groupie Columbia, il bambinone Rocky, il compassato Criminologo e l'esilarante Dottor Scott sono personaggi essenziali tanto quanto Brad e Janet, oltre ad essere incredibilmente ben caratterizzati.
Don't Dream It
L'inno del prefinale, per me la canzone più importante e bella della pellicola. Il messaggio di Frank al mondo è Don't Dream It, Be It: non sognatelo, siatelo. Come ho detto sopra, il Rocky Horror è un inno alla liberazione sessuale e non solo in termini puramente legati all'esperienza ma anche alle pulsioni, che siano etero, omosessuali o addirittura pansessuali. Per estensione, chiunque dovrebbe avere il coraggio di essere ciò che vuole, senza rinunciare ai propri sogni ed adoperandosi perché essi diventino realtà. Se ci pensate, è lo stesso messaggio che da anni la Disney cerca di inculcare nei bambini, ma ascoltato attraverso la sensuale voce di Frank fa tutto un altro effetto.
I'm Going Home/Super Heroes
The Rocky Horror Picture Show, con tutti i suoi lustrini, le paillettes, l'apparente superficialità, non è un film stupido. Innanzitutto è un horror, per l'appunto, e in quanto tale ci racconta di come i desideri di Frank non siano innocenti né i mezzi utilizzati per raggiungerli privi di vittime. Il sangue scorre e non solo, c'è anche un twist piuttosto inquietante nel corso di una cena di compleanno, quindi è necessario che qualcuno venga punito. A tal proposito, il finale è uno dei più tristi della storia del musical, dai toni tragici e malinconici, ed è la classica conclusione in cui all'innocenza viene sostituita una dolorosa, oscura esperienza che spesso coincide con una perdita e la consapevolezza di essere soli al mondo, costretti a lottare contro i mulini a vento per riuscire a tenere tra le mani la libertà faticosamente conquistata. Certo, qualcuno potrà tornare a ballare il Time Warp, di nuovo, ma non per tutti sarà così. "And crawling, on the planet's face, some insects, called the human race. Lost in time. And lost in space. And meaning". Non so voi, ma io mi immedesimo e mi commuovo ogni volta che sento queste parole che escono dalle labbra del sommo Charles Gray.
Science Fiction/Double Feature
Il cerchio si conclude, si torna all'inizio. Come fece mia cugina con me, ho avuto l'onore di accompagnare la Collezionista di biglietti a vedere il suo primo The Rocky Horror Picture Show. Posso solo sperare che le sia piaciuto tanto quanto era piaciuto ad una Bolla ancora al liceo, e che Giulia a sua volta convinca altri "vergini" a ballare il Time Warp, così come spero che questo post sconclusionato ma zeppo di amore spinga altri a diventare "Regular Frankie Fan" come Columbia e la sottoscritta. Se non dovesse accadere, tornerò comunque felice al mio dolce pianeta Transexual, nella galassia di Transilvania, riguardando in loop questo fantastico cult finché non sarò troppo vecchia e rincoglionita per capirne le parole.
Jim Sharman è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Australiano, ha diretto anche Shock Treatment. Anche attore, produttore e scenografo, ha 71 anni.
Barry Bostwick interpreta Brad Majors. Americano, lo ricordo per film come Weekend con il morto 2, Spia e lascia spiare e Tales of Halloween, inoltre ha partecipato a serie come Charlie's Angels, Perfetti... ma non troppo, Scrubs, Cold Case, Supernatural, Ghost Whisperer, Nip/Tuck, CSI e doppiato episodi di Phineas e Ferb. Anche produttore, ha 71 anni e due film in uscita.
Nato come opera teatrale, il Rocky Horror Show comprendeva già nel cast Tim Curry, Richard O'Brien, Patricia Quinn, Little Nell e Jonathan Adams il quale, tuttavia, recitava nella parte del Criminologo; Susan Sarandon e Barry Bostwick sono arrivati dopo, per accontentare i produttori che volevano attori americani nel film (peraltro, pare che Steve Martin avesse fatto il provino per il ruolo di Brad). A Vincent Price era stato invece offerto il ruolo del Criminologo ma il grande attore ha dovuto rifiutare perché coinvolto in altre riprese. Il film avrebbe dovuto essere in bianco e nero fino al momento dell'apparizione di Frank'n'Furter, dopodiché l'unico tocco di colore avrebbero dovuto essere le sue labbra rosse, almeno fino alla fine di Sweet Transvestite, quando l'intero film sarebbe stato virato in "technicolor" fino a Superheroes; nel DVD per il venticinquesimo anniversario del film hanno tentato di fare una cosa simile ma la pellicola si colora nel momento in cui Riff Raff apre la porta, rivelando a Brad e Janet i Transilvani. Nel 1981 Jim Sharman e Richard O'Brien hanno realizzato una sorta di sequel intitolato Shock Treatment, che riporta sullo schermo i personaggi di Brad e Janet (interpretati stavolta da Jessica Harper e Cliff De Young) e alcuni degli attori presenti nel Rocky Horror, ovvero lo stesso Richard O'Brien, Patricia Quinn, Little Nell e Charles Gray, con ruoli diversi. In questi giorni dovrebbe inoltre essere entrato in post-produzione l'"omaggio" televisivo della Fox diretto da Kenny Ortega, che probabilmente andrà in onda negli USA ad Halloween e che si prospetta un'aberrazione della peggior specie, nonostante la presenza di Tim Curry nei panni del Criminologo. Chi vivrà vedrà, comunque. Detto questo, se The Rocky Horror Picture Show vi fosse piaciuto recuperate La piccola bottega degli orrori, Stage Fright e Repo! The Genetic Opera. ENJOY!