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domenica 25 marzo 2018

Un sogno chiamato Florida (2017)

Giovedì è uscito in tutta Italia Un sogno chiamato Florida (The Florida Project), diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Sean Baker nonché candidato all'Oscar per il miglior attore non protagonista, un bravissimo Willem Dafoe.


Trama: in un motel appena fuori dall'area di Walt Disney World vivono la piccola Moonee e sua madre, una giovane che tira a campare di espedienti. La bambina passa le giornate giocando e combinando disastri assieme ai suoi amici in completa e lieta innocenza, incurante dell'ambiente degradato che la circonda...



Penso che qualunque persona cresciuta coi film Disney abbia sognato, almeno una volta nella vita, di mettere piede a Disney World. E' vero che noi europei abbiamo Disneyland Paris e che ce n'è una persino a Tokyo, però quella vicino a Orlando, in Florida, è quella originale quindi dotata di un fascino tutto particolare. Il problema è che io, negli ultimi anni, ho guardato due film ambientati proprio lì e il mio desiderio (non particolarmente forte, per la verità) di recarmi un giorno in Florida si è sciolto come neve al sole. Il primo responsabile di tutto questo è stato il terrificante Escape From Tomorrow, che al di là della sua infima qualità era comunque riuscito nell'intento di riportare su schermo Disney World come qualcosa di finto, una macchina mangiasoldi costretta a far convivere la "magia" Disneyana con le orde di turisti cheap, incazzati e sudaticci che invadono quotidianamente il luogo, e adesso è arrivato anche Un sogno chiamato Florida, titolo italiano imbecille se mai ce n'è stato uno. Vorrei capire con che coraggio qualcuno abbia guardato il film e deciso di infilare la parola "sogno" nel titolo ignorando che la definizione "Florida Project" era stata coniata per indicare Disney World nei primi tempi di sviluppo del progetto e che è perfetta per sottolineare la condizione disgraziata della piccola Moonee (oltre a quella di semi-abbandono di quella che avrebbe dovuto essere una CITTA' prima ancora di un complesso di attrazioni), altro che sogno. Diciamo pure che Sean Baker, pur con incredibile eleganza, ha portato al cinema un incubo al quale solo la fervida immaginazione innocente di una bambina può fare fronte, ricreando negli squallidi ambienti che circondano la sterminata superficie del parco tutti quei favolosi luoghi di divertimento che la piccola, pur abitando a un passo dagli stessi, non ha mai potuto vedere nemmeno per sbaglio. Il teatro in cui si snodano le vicende di Moonee e della madre Halley sono motel dai colori sgargianti e dai nomi ingannevoli come Magic Castle e Futureland Motel, ubicati accanto a strade evocative quali Seven Dwarfs Lane e simili, ma nulla di tutto ciò che viene mostrato da Baker è magico, men che meno futuristico: sotto gli occhi increduli dello spettatore scorrono immagini di ordinaria miseria e squallore, di persone senza casa che tirano a campare sperando che il gestore del motel di turno chiuda un occhio e non limiti il loro soggiorno come prevederebbe la legge, di diner e outlet di seconda mano, di sterpaglie incolte, di edifici abbandonati, di elettrodomestici che non funzionano, di pericoli presenti ad ogni angolo della strada.


Se Un sogno chiamato Florida seguisse solo un punto di vista "adulto", sarebbe fratello di sangue di quegli pseudodocumentari anni '90 che tanto detesto ma fortunatamente Sean Baker ha scelto di filtrare il tutto attraverso gli occhi di una bambina, decisione che influenza anche lo stile di regia e la fotografia. Sfruttando l'arrivo di una nuova vicina di casa, la piccola Jancey, lo spettatore viene preso per mano da Moonee e portato ad esplorare queste zone lontane dal turismo di massa, che con un po' di faccia tosta e tanta fantasia diventano quasi un paradiso di libertà dove i bambini monelli possono scorazzare, scroccare cibo, ballare, urlare, prendere in giro i grandi e fare scherzi agli ignari passanti, senza tanto badare all'aspetto decadente dei dintorni o a questioni triviali come sicurezza e igiene; d'altronde, mettendomi nei panni di un bambino, mi basterebbe avere il pancino pieno e un sacco di tempo libero per essere felice, soprattutto con una vita relativamente "nomade" in compagnia di una mamma più bambina di me e con una piscina interamente a mia disposizione. Badate bene: alla faccia dell'immedesimazione, per la prima mezz'ora di film vi verrà voglia di farvi sterlizzare, perché Moonee e i suoi amichetti sono dei piccoli, infimi bastardelli sboccati, cresciuti da genitori incapaci oppure assenti in quanto impegnati a mettere assieme due spiccioli per sopravvivere. E' solo dopo che comincerete a vederli con la stessa indulgenza del povero, bistrattato manager Bobby, adulto dotato di polso fermo e cuore d'oro. E qui subentra il secondo punto di vista del film, quello di chi è arrivato a voler bene a Moonee, Halley e tutti gli altri disadattati che popolano il violaceo Magic Castle anche quando vorrebbe soltanto mettere le mani addosso a ragazze-madri volgari, indisponenti e fondamentalmente stupide o tirare un calcio ai mocciosi casinisti. Bobby, interpretato da un magistrale Willem Dafoe, sopporta quasi stoicamente ogni camurrìa e cerca di metterci una pezza, fungendo un po' da guardiano un po' da cerbero del luogo, ma anche lui fa parte della triste umanità sottoproletaria che popola Kissimmee e deve sottostare a regole ferree per poter mantenere il proprio lavoro. La saggezza dell'esperienza che si scontra con la sconsideratezza dell'ignoranza, dunque, ma il problema è che per quanto mi stesse sull'anima non sono riuscita ad odiare nemmeno Halley, terzo ed ultimo personaggio in grado di influenzare la percezione dello spettatore.


Se Moonee rappresenta l'innocenza capace di trasformare uno squallido sobborgo in un parco giochi, Halley è colei che si è fatta inghiottire dall'incubo e, pur amando alla follia la figlia, non riesce ad uscirne ma, anzi, continua a scavarsi la fossa con le sue mani. Questo perché è la stessa Halley ad essere poco più di una bambina, ancora desiderosa di giocare e svagarsi con le amiche nonostante le pressanti responsabilità che comporta l'essere adulta e madre; questa bella ragazza dai capelli coloratissimi e zeppa di tatuaggi (interpretata da Bria Vinaite, attrice esordiente scoperta su Instagram) affronta la vita con tutto l'odio di un'adolescente ribelle, incurante del proprio corpo e della sua dignità, senza il minimo senso del risparmio, trattando Moonee da pari pur cercando di proteggerla dalle brutture che una simile condizione di disagio comporta. E' questo mix di senso materno e totale incoscienza a rendere Halley un personaggio complesso ed impossibile da odiare, soprattutto perché a margine delle scorribande di Moonee e compagni lo spettatore sente incombere l'inevitabile tragedia pronta a distruggere un equilibrio instabile e forzato. Bobby non è un supereroe e purtroppo Halley e Moonee non sono due principesse Disneyane che verranno ricompensate da un lieto fine dopo aver vissuto magiche avventure in una terra da sogno e prive di regole; l'urlo di rabbia di Halley, che manda giustamente a fanculo tutto e tutti, sconfitta dalla vita e dalla società, è lo stesso che sgorga spontaneo dal cuore dello spettatore davanti alle lacrime di Moonee, piccola pargolotta sboccata che alla fine sono arrivata ad adorare. Per questo il finale di Un sogno chiamato Florida (così come il film nella sua interezza) è uno dei più belli e dolorosi visti quest'anno, con quella corsa a perdifiato ripresa di straforo con un IPhone: se prima c'era la realtà filtrata dal sogno, alla fine c'è il sogno filtrato dalla realtà, un afflato di speranza che mi sono sentita di abbracciare in toto, augurando a Moonee e Jancey la più bella delle giornate e una vita piena di amore e amicizia, alla faccia di tutti gli stupidi problemi di noi adulti imbecilli... e alla faccia di una Casa del Topo che vuole bene solo ai bimbi abbienti.


Di Willem Dafoe, che interpreta Bobby, ho già parlato QUI mentre Caleb Landry Jones, che interpreta Jack, lo trovate QUA.

Sean Baker è il regista e co-sceneggiatore del film. Americano, ha diretto film come Prince of Broadway, Starlet, Tangerine ed episodi di serie come Greg the Bunny. Anche produttore, ha 47 anni.


Se Un sogno chiamato Florida vi fosse piaciuto recuperate Re della terra selvaggia. ENJOY!

4 commenti:

  1. Come sai già, amatissimo.
    Fotografia da sogno e protagonista sboccata ma adorabile. Lo rivedrò presto. :)

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    1. Piccola Moonee. All'inizio volevo ucciderla, davvero, poi l'unico desiderio era quello di abbracciarla e portarmela via!

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  2. Incredibile, gente che lo ama e gente che lo odia.
    Lo vedrò prestissimo, sono curioso di scoprire dove mi troverò.

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