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giovedì 30 luglio 2009

Dark Floors (2008)

Correva l’anno 2006, e in quel di Mildura alla TV passavano un programma, un festival europeo, che io assolutamente, pur vivendo nel vecchio continente, non conoscevo. Detto festival musicale, dall’evocativo nome di Eurovision o Eurocontest che dir si voglia, pur essendo un evento a quanto pare impedibile e famosissimo, era a mio avviso l’apoteosi del trash europeo, un’arena nella quale si sfidavano a colpi di canzoni per lo più inascoltabili strepponi provenienti da ogni paese (noi abbiamo Gigi d’Alessio e Giusy Ferreri ma gli altri paesi europei se la passano 300 volte peggio, e posso garantirlo). Quell’anno in particolare vinse un gruppo norvegese il cui nome era una sorta di presagio, i Lordi, con la canzone Hard Rock Halleluja che, come si può evincere dal nome, era una canzonaccia metallozza che glorificava il genere. Un evento facilmente rimuovibile da una memoria come la mia, se non fosse che i membri del gruppo, da sempre, si esibiscono truccati da mostri, troll e morti viventi. E non un trucco malfatto, blando, alla Marilyn Manson per dire, ma un trucco cinematografico fatto con tutti i crismi, tanto che a vederli sono terrificanti e assolutamente realistici. Insomma, tutto questo giro attorno al mondo per dire che, qualche giorno fa, ho scoperto che i Lordi hanno girato anche un horror, Dark Floors, diretto nel 2008 dal regista Pete Riski. Per curiosità l’ho visto ovviamente: un aborto, ma andiamo con ordine.

 


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La trama: il padre di una bimba autistica decide di portarla via dall’ospedale dove la stanno curando, e per farlo si infila in un ascensore assieme ad un’infermiera che cerca di dissuaderlo e ad altri ameni personaggi. Peccato che quando l’ascensore si apre per farli uscire, i nostri si trovano davanti un ospedale vuoto, quasi in rovina e popolato da mostri mordaci e non certo amichevoli.


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E questo è quanto. Regista e sceneggiatori cercheranno di intortarvi con paradossi spazio/temporali, simbologie di lotta tra bene e male, fenomenali poteri cosmici in minuscoli spazi vitali (ovvero block notes e pastelli a cera), ma non cascateci, non è vero nulla: c’è un ospedale vuoto, ci sono i mostri. Vogliamo uscire dall’ospedale, i mostri ci mangiano e non ci lasciano uscire. Aiuto. In breve, raramente ho visto un film più curato dal punto di vista formale e più raffazzonato da quello narrativo. In teoria la trama dovrebbe concentrarsi sulla ragazzina che, pur essendo autistica, o forse proprio per quello, chi lo sa, dovrebbe essere in grado di comunicare in qualche modo con i demoni che popolano questa sorta di limbo spazio-temporale in cui sembrano essere finiti tutti quanti, ospedale compreso. Dico in teoria, perché all’inizio il regista inquadra spesso i cupi e orrendi disegni che la bambina, incavolata nera per la mancanza del pastello rosso, continua imperterrita a fare sul suo block notes. Ma, sarà perché i disegni non si capiscono, sarà perché in effetti non ci azzeccano nulla, piano piano il film si sposta su un altro binario, per cui forse la ragazzina è una sorta di Gandalf che i demoni vogliono eliminare/mangiare/rapire (in realtà non si capisce cosa ci vogliano fare o se a loro freghi qualcosa..) o forse semplicemente è successo che i Lordi non sapevano più che pesci pigliare e avran pensato che tanto lo spettatore a quel punto era già bello e annichilito, assolutamente disinteressato alla questione. L’unica cosa certa è che lo sfasamento temporale c’è, ma il perché sia stato causato e perché all’interno di un limbo temporale si debba tenere un concerto dei Lordi è qualcosa che mi sfugge. Mah.


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E voi direte “beh, però ci sono i Lordi che fan davvero paura”. Assolutamente no. Lo spettatore che guarda il film consapevole del fatto che i Lordi così conciati ci fanno i concerti, non può sperare di prendere sul serio ogni loro apparizione, con la fantasma Banshee troppo simile alla signora della biblioteca in Ghostbusters, l’uomo di sabbia che è praticamente identico all’Imothep de La Mummia con Brendan Fraser, e Mr. Lordi in persona che sfoggia nientemeno che due gigantesche ali di tenebra alla fine, gigioneggiando e ruggendo in maniera quasi imbarazzante mentre la bambina lo guarda con un misto di scazzo e pietà. Diciamo quindi che, nonostante gli effetti speciali si concentrino quasi esclusivamente sui membri del gruppo, i pezzi più inquietanti del film sono quelli in cui loro non compaiono, il che è tutto dire. Anche a tasso di gore stiamo davvero male per essere il film d’esordio di un gruppo di metallozzi così “cattivi”: una gamba smozzicata, qualche morto vivente e poco altro, e sottolineo che il tutto avviene fuori campo, non sia mai che gli spettatori si spaventino davvero. Spezziamo una lancia in favore degli attori? Assolutamente no. Tutti senza arte né parte, i personaggi potrebbero anche venire sterminati in massa, tanto nessuno ne sentirebbe la mancanza. Io sconsiglierei quello che alla fine è solo e semplicemente un interminabile video dei Lordi persino ai loro fan. Ma se volete farvi del male, accomodatevi.




Pete Riski è il regista di quest’immondizia, e ne è anche lo sceneggiatore. Prima dell’esperienza con i Lordi costui lavorava nel montaggio. Finlandese, ha 35 anni e ci auguriamo tutti che la sua carriera finisca qui.




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Skye Bennet interpreta la ragazzina autistica, Sarah. Costei, pur essendo inglese, è una dei pochi giovani attori anglosassoni a non aver fatto almeno una comparsata nei film di Harry Potter. Tra i suoi film ricordo il carinissimo Ballet Shoes con Emma Watson e il remake di un caposaldo del trash, che prima o poi recensirò: It’s Alive, ovvero Baby Killer. La fanciullina ha 14 anni.




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Noah Huntley interpreta il padre di Sarah, Ben. L’attore inglese, attivo principalmente in serie televisive, ha partecipato a film come 28 giorni dopo e Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio. Ha 35 anni e un film in uscita.


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Ronald Pickup interpreta l’inutile e pseudomisterioso vecchiaccio Tobias. L’attore inglese è un veterano del piccolo e del grande schermo, e tra le sue pellicole rammento Il giorno dello sciacallo, Mai dire mai, Mission, Lolita (quello del 1997), Evilenko. Ha recitato nelle serie televisive Doctor Who e Matlock, ha 69 anni e un film in uscita.


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William Hope interpreta il “simpaticissimo” Jon. A differenza della maggior parte del cast, formato da inglesi, questo attore è canadese, e tra i suoi film ricordo Aliens – Scontro finale, Hell Bound – Hellraiser II, prigionieri dell’inferno, Il santo, XXX. Ha 54 anni e due film in uscita tra cui un film che aspetto con bava alla bocca: lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie con Robert Downey Jr. e Jude Law!!


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E ora non posso fare altro che lasciarvi con la canzone che ha iniziato tutto questo scempio.. Hard Rock Hallelujah direttamente dall’Eurocontest 2006!! ENJOY e fateve due risate!


 


mercoledì 29 luglio 2009

Harry Potter e il Principe mezzosangue (2009)

E’ bello, talvolta, andare a vedere i film completamente disillusi, sia a causa di recensioni negative di amici e colleghi, sia a causa di naturale diffidenza. Ed è bello scoprire che, in effetti, quello che si sta vedendo non è poi male come ci aspettavamo, nonostante le mille effettive pecche. Questo è il caso di Harry Potter e il Principe mezzosangue (Harry Potter and the Half-Blood Prince) girato nel 2009 da David Yates e sesto capitolo dell’ormai quasi conclusa saga tratta dai libri della scrittrice inglese J. K. Rowling.

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La trama, per chi non la sapesse, è questa: Harry Potter, al sesto anno di Hogwarts, viene introdotto dal Preside Silente in un viaggio nei ricordi e nel passato del malvagissimo mago Voldemort, così da trovare una chiave per poterlo, eventualmente, distruggere. Tra un ricordo e l’altro Harry, assieme ai suoi amici di sempre Ron ed Hermione, ha tutto il tempo di indulgere nei primi amori adolescenziali, di trovare un infallibile libro di pozioni appartenuto ad un certo Principe Mezzosangue, e di temere che il buon Draco Malfoy stia cercando di introdurre i servi di Voldemort, i Mangiamorte, nella scuola.


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Metto subito le mani avanti: questo capitolo è meno curato ed approfondito degli altri, quindi chi non ha letto il libro farebbe meglio a starsene a casa o, almeno, ad affittarsi i precedenti film per cercare di rinfrescarsi la memoria. Infatti la storia principale, da me malamente condensata poco sopra, è molto più complessa di quanto la pellicola non mostri, e si vede: i ricordi di chi ha avuto a che fare con Voldemort, che nel libro hanno un ruolo importantissimo per delineare l’inquietante natura del malvagio, qui vengono ridotti a rapidi viaggi onirici che approfondiscono veramente poco e lasciano lo spettatore digiuno dai libri assai confuso. Perché Silente ci ha rimesso una mano? Di chi era l’anello che si vede ad un certo punto? Che legame ha la Caverna in mezzo al mare con Voldemort? Cosa diamine sono gli Horcrux? Questi sono interrogativi che il film stupidamente pone ma mica risolve, li usa solo come “contorno”d’atmosfera, privo di importanza. Altra questione che rimane solo nel titolo è quella del Principe Mezzosangue, il cui libro di pozioni ha una rilevanza talmente marginale che, arrivati alla fine, la rivelazione dell’identità del suddetto principe lascia lo spettatore con un:”embé? Chi? Aah, è vero, c’era un Principe Mezzosangue…” Ora, va bene che la maggior parte degli spettatori lo sa chi è il Principe, ma a beneficio di chi guarda solo i film un po’ di suspance e di attenzione in più non guastava..




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Ma veniamo ora alla principale critica che è stata mossa dai fan a questo film: il troppo amore. L’aspetto legato a Voldemort e al Principe in effetti viene drasticamente ridotto in favore dei primi turbamenti amorosi di Harry e compagnia che, per carità, sono presenti anche nel libro, ma lì riescono a formare un miracoloso equilibrio con il resto della trama. Qui sono anche troppo presenti e valorizzati, tanto da risultare pesanti e quasi inadatti al genere della pellicola: fin dall’inizio c’è un’improbabile scena in cui Harry cerca di concupire una babbana (e qui gli sceneggiatori si sono dimenticati del fatto che il maghetto dovrebbe essere prostrato dalla morte dello zio Sirius, altro che andare in giro a flirtare…), la sua attrazione verso la sorellina di Ron, Ginny, viene manifestata prepotentemente fin da subito, e quella di Hermione verso Ron è fin troppo palese ed esagerata, mentre quest’ultimo è l’unico personaggio che viene trattato come merita, meravigliosamente ottuso e preda delle morbose attenzioni della stupidissima Lavanda.


 


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Personalmente, sono stata molto più disturbata da alcune gravi mancanze che non da questo eccesso di “aMMore”, che rendeva il film anche divertente. Quello che mi ha sconcertato di più è la scena, che in alcuni telegiornali è stata fatta passare come la più attesa (ma da chi??!!), in cui i Mangiamorte fanno saltare in aria la Tana, ovvero la casa della famiglia Weasley. Ma cari giornalisti, se vi prendeste la briga di leggere i libri, sapreste che un simile incendio avrebbe fatto inveire più di un fan, e che peraltro la scena in questione, oltre ad essere ripetitiva visto che ci sono altri due incendi nel film, è totalmente inutile e poteva essere tranquillamente evitata in favore della splendida battaglia finale contro i Mangiamorte ad Hogwarts della quale, assurdamente, non c’è traccia, e peccato perché avrebbe dato modo di vedere in azione personaggi come Luna, Neville, Fenrir Greyback, Tonks e Lupin, che nel film si intravedono appena. Altro grave errore di sceneggiatura, tralasciando il fatto che il mistero delle azioni di Draco non viene praticamente mantenuto, lo troviamo sempre nel finale (evidentemente regista, sceneggiatori e attori non ce la facevano più): Harry non impedisce la morte di Silente per non contrastare i suoi ordini. Rimane fermo come un fesso mentre non una, ma CINQUE persone accerchiano l’amato preside per farlo fuori, e il primo dei cinque è una mezza pippa. Una scena simile è paradossale ed inverosimile! Infatti nel libro a Silente servono un incantesimo e un mantello dell’invisibilità per bloccare Harry ed impedirgli di intervenire. Qui invece il nostro mago ci fa davvero la figura dell’imbelle, regalandoci uno dei finali più insulsi della storia del cinema.


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E a proposito di cose insulse. Daniel Radcliffe è il potenziale erede di Tom Hanks quanto ad aria bolsa. Ha il carisma nonché il fascino di un cetriolino sottaceto, eppure è il protagonista. Nelle scene sentimentali, con una Ginny alta 30 cm più di lui e che si atteggia a sensuale lolita, lui ci fa davvero la figura del minchione, rigido e statico come un gatto di marmo. Quando ci prova con la ragazza al bar la sua faccia è da dimenticare, così come quando prende la Felix Felicis, che lo porta a vagare per Hogwards con lo sguardo strafatto di un figlio dei fiori… anche se non crediate che perda la sua solita espressione di chi non sa perché è finito nel film. Finché era piccino poteva anche andare, ma dopo tanti anni basta, non ci sono scusanti, visto e considerato che Rupert Grint ed Emma Watson, nonostante il ruolo idiota del primo, hanno sviluppato espressività e bravura in grado di farli sfigurare accanto ai bravissimi altri grossi calibri del film. Quanto ad attori carismatici, infatti, anche questo capitolo non può davvero lamentarsi: oltre agli ormai consolidati e splendidi Alan Rickman (il suo Piton è sempre un meraviglioso modello di scazzo mortale e aplomb assassino) ed Helena Bonham Carter (la sua folle Bellatrix da, come sempre, i brividi) che svettano sugli altri splendidi ma ahimé poco sfruttati attori, il Lumacorno di Jim Broadbent è semplicemente geniale nella sua spietata caricatura di un patetico professore universitario laido e classista.




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In poche parole alla Bolla il film è piaciuto o no? Non mi è dispiaciuto, lo ammetto, ma purtroppo ci sono mille virgole e ripensamenti. Diciamo che è un bel film, ben realizzato, per la maggior parte ben recitato, con sprazzi di assoluta e deliziosa ironia (le scenette di Lavanda, il funerale di Aragog e la festa di Lumacorno con tanto di vomitata sulle scarpe di Piton), momenti toccanti (la tristezza di Hermione e l’alzata di bacchette finale) e scene emozionanti (la caduta del ponte all’inizio, oppure l’attacco degli Inferi, seppur troppo debitore al Signore degli Anelli…). Però il finale tirato per i capelli e la mancanza di un reale approfondimento su quello che doveva essere il tema portante del film… mah. Cacca sugli sceneggiatori. Darò 6 e mezzo tendente al 7, ma solo per l’incentivo dato dalla presenza di Piton.




Di Alan Rickman ho già parlato qui.


David Yates è il regista del film. Il regista inglese è ormai un veterano della serie, aveva già diretto il precedente Harry Potter e l’Ordine della Fenice e sta girando i due episodi che comporranno Harry Potter e i doni della morte. Per il resto ha lavorato soprattutto come regista di telefilm. Oltre ai già citati ultimi episodi di Harry Potter, ha un altro film in uscita. Ha 46 anni.


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Daniel Radcliffe interpreta Harry Potter. Inutile stare ad elencare i film interpretati dall’ormai famosissimo attore inglese, ovvero tutti i capitoli della saga. Attivo anche a teatro, ha esordito con il film Il sarto di Panama, ha 20 anni e un film in uscita.




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Rupert Grint interpreta Ron Weasley, lo storico e sfigato amico di Harry. Premesso che in questo film supera sé stesso e che, a mio avviso, come attore è una spanna sopra a tutti gli altri ragazzini, anche per lui vale quanto detto per Radcliffe, la sua carriera si concentra principalmente sui capitoli della saga. In Italia, è uscito anche un altro suo film, In viaggio con Evie. L’attore inglese ha 21 anni.




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Emma Watson interpreta la streghetta prodigio Hermione Granger. Poco credibile che un’attrice così carina si possa innamorare, nel film, di un mostrillo come Ron, ma tant’è: a differenza della Hermione del libro la Watson si è sicuramente sviluppata meglio dei suoi due colleghi. Oltre a tutti i film della saga, l’attrice inglese, nata in Francia, conta nel suo curriculum il delizioso film per la TV Ballet Shoes e il doppiaggio del film Le avventure del topino Desperaux. Ha 19 anni e un film in uscita.


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Helena Bonham Carter interpreta la pazza e crudelissima Bellatrix Lestrange a partire dal capitolo Harry Potter e l’Ordine della Fenice. La bravissima attrice inglese, fortunata compagna di un mostro sacro quale il regista Tim Burton, dagli esordi è sempre stata considerata adattissima come attrice da parti “in costume”, e solo negli ultimi anni si è distaccata da questa etichetta, elevandosi a icona weird e dark. Tra i suoi film ricordo Camera con vista, Amleto, Casa Howard, Frankenstein di Mary Shelley, Merlino, Fight Club, Il pianeta delle scimmie, Big Fish, La fabbrica di cioccolato, Sweeney Todd, Terminator Salvation; ha inoltre dato la voce ad uno dei personaggi di Wallace & Gromitt e la maledizione del coniglio mannaro, nonché alla Sposa dello splendido La sposa cadavere, mentre per la TV ha partecipato a Miami Vice. Ha 46 anni e sei film in uscita, tra cui il film che attendo di più in assoluto, l’Alice in Wonderland di Tim Burton, dove lei interpreterà la Regina Rossa!! Non vedo l’ora!




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Jim Broadbent interpreta il ruffianissimo professore Horace Lumacorno, alla sua prima apparizione nella saga. Il veterano inglese, un attore da Oscar visto che ne ha vinto uno come non protagonista per il film Iris, ha una filmografia molto vasta che comprende film come l’allucinante Brazil, La moglie del soldato, Riccardo III; lo storico e da me e Toto tanto bramato The Secret Agent, Moulin Rouge!, Gangs of New York, Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio, Hot Fuzz, Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo. Ha 60 anni e tre film in uscita.


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E ora vi lascio con i meravigliosi e ormai storici Harry Potter Puppet Pals ed il loro Mysterious Ticking Noise. ENJOY!!!


 


venerdì 17 luglio 2009

Coraline e la porta magica (2009)

Ieri sera sono andata a vedermi, dopo lunga attesa, la versione 3D di Coraline e la porta magica (Coraline) dell’ormai espertissimo e sempre bravo Henry Selick, tratto da un racconto di Neil Gaiman, lo stesso autore dello storico Sandman.

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La trama: Coraline Jones è una curiosa ragazzina che cerca di sopravvivere nel grigio mondo dei genitori, noiosi e troppo impegnati col loro lavoro per prestarle la necessaria attenzione. Un giorno, nella squallida casa nuova (degno coronamento ai vicini di casa, un branco di freaks), Coraline trova una piccola porticina che la porta in un mondo speculare a quello vero, ma migliore, dove genitori, vita e vicini rispondono ad ogni suo desiderio. Un mondo ideale.. peccato che, per rimanerci per sempre, la piccola dovrebbe farsi cucire dei bottoni al posto degli occhi: una terribile stonatura in un mondo che, come Coraline a poco a poco scoprirà, ne è pieno…


 


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Un moderno Alice nel Paese delle meraviglie, ecco cos’è questo Coraline. Un viaggio fantastico in un mondo da sogno (o da incubo) che cattura lo spettatore dall’inizio alla fine, cullandolo con immagini di una bellezza mozzafiato accompagnate da una colonna sonora inquietante ed evocativa (strano che non fosse coinvolto Danny Elfman stavolta…). Premetto di non aver letto il racconto da cui è stato tratto il film, quindi la mia analisi non sarà molto accurata, e premetto anche che i miei occhi erano troppo rapiti dalla cura certosina che sta dietro alla stop motion per cogliere eventuali falle nella trama.


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Quello di Coraline è il tipico “viaggio iniziatico” di una bimba acidella e non troppo simpatica, che si ritrova in una situazione non voluta, in una casa nuova, lontana dai vecchi amici, circondata da gente e animali che non tollera e che rifiuta con tutta sé stessa. La rappresentazione iniziale dei moscissimi genitori e degli assurdi vicini di casa (su tutti le anziane ex attrici, con i loro cani impagliati e le caramelle dell’anteguerra), nonché del grigio, fatiscente e piovoso ambiente, è geniale ed induce nello spettatore un sufficiente moto di simpatia nei confronti della ragazzina costretta a sopportarli. Ed è così che viene accolto quasi con sollievo l’arrivo di questa porta, e dell’altro mondo: coloratissimo, divertente, una festa per gli occhi… e a proposito di occhi: peccato per quegli inquietanti bottoni cuciti sulle facce di ogni essere vivente, che cominciano ad insinuare qualche dubbio. Pare proprio una casa delle bambole quella in cui viene a trovarsi Coraline, un posto magico dove tutti i suoi desideri diventano realtà, e dove i suoi vicini, che potenzialmente potrebbero essere le persone più interessanti del mondo (in fondo sono tutti artisti circensi e teatrali) realizzano questo potenziale, regalandoci le scene più belle di tutto il film: lo spettacolo dei topi ballerini, l’esilarante duetto tra la Sirenetta vecchia e la Venere del Botticelli grassa, per non parlare del meraviglioso giardino creato dall’altro Padre solo per Coraline.


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Ed è proprio quando Coraline si convince a vivere lì per sempre che la sottile inquietudine data da quei bottoni al posto degli occhi si manifesta: essi sono il terribile prezzo per far diventare reali i propri desideri, come a dire che il troppo stroppia e che le cose ottenute con troppa facilità nascondono sempre la fregatura. Da lì in poi il film cambia registro, e l’elemento dark supera di parecchi livelli quello favolistico: arrivano i fantasmi dei bimbi che sono stati così sciocchi da credere alle parole della Matrigna, e che hanno perso gli occhi e la vita. La matrigna stessa diventa un orrendo ragno antropomorfo, dalle mani come artigli, e tutto ciò che all’apparenza era bello diventa grottesco e contorto. Non ho problemi ad ammettere che verso il finale qualche brivido viene anche ai più scafati, soprattutto è inquietante il fatto che, come nei migliori horror, il male non viene debellato definitivamente ma rimarrà per sempre sospeso come una spada di Damocle sul capo della protagonista, anche se quest’ultima avrà comunque imparato ad apprezzare genitori ed amici, per quanto imperfetti: Un happy ending, dunque, ma nemmeno troppo.


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I personaggi sono tutti assai graziosi e ben caratterizzati. Coraline non è la classica ragazzina scema delle fiabe, è furba e fin troppo sarcastica; inoltre è stilosa da morire, con i capelli blu tinti e le unghie abbinate. L’amichetto freak, Wybourne (che si pronuncia come Why Born?, ovvero Perché sei nato?), un po’ insulso nonostante i mille tentativi di renderlo particolare, risulta paradossalmente meglio nell’altro mondo, un pupazzetto muto e dolcissimo, a mio avviso il personaggio più azzeccato dopo la Matrigna, che è l’essenza della malignità e a tratti fa davvero paura. Altri miti sono le due vicine ex attrici di Vaudeville, l’una cieca come una talpa, l’altra con difficoltà deambulatorie, e l’acrobata russo, alle prese con uno spettacolo di topi ballerini che non vedremo mai. L’unica presenza “normale” del film è il micio dall’aspetto inquietante che funge da guida e coscienza di Coraline: nonostante possa parlare, ha sicuramente più senno ed utilità pratica di tutti gli altri personaggi insieme. Il micio però è l’unico elemento che palesa i limiti della stop-motion e che non è evoluto dai tempi di The Nightmare Before Christmas: il suo sembiante rozzo, i tratti quasi appena abbozzati sono identici a quelli del gatto che a volte accompagna la bambolina di pezza Sally nel primo film di Selick. Per il resto, questa tecnica conferisce alle immagini una poesia e una bellezza che, ormai, nei cartoni tutti fatti con la computer graphic è difficile trovare. In fondo ogni singolo fotogramma presuppone lo sbattimento di orde di artisti ed artigiani che, a mano, muovono i pupazzetti, cambiano testoline con le espressioni, creano miniscenografie curate in ogni dettaglio; e se un tempo si percepivano questi piccoli “scatti” e l’animazione non era propriamente fluida, oggigiorno è praticamente perfetta. L’unica pecca è che la versione 3D, a mio avviso, non sfrutti molto la nuova tecnologia, tranne in alcune scene non troppo memorabili o fondamentali.


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Come già detto all’inizio, questo Coraline ha molti elementi in comune con Alice nel Paese delle Meraviglie: c’è una porta da attraversare collegata all’altro mondo da un cunicolo, simile a quello dove si infila il Bianconiglio. C’è un gatto che scompare e ricompare a suo piacimento, come lo Stregatto. C’è un giardino incantato dove i fiori si muovono, e alcuni animali parlano, oltre alla tentazione del cibo che, si sa, ha messo parecchie volte nei guai Alice. Per i più grandi viene citato a piene mani Nightmare (la mano ad artiglio che si stacca e vive di volontà propria), qualcuno ha detto anche la Casa 4 (le bocche cucite), il Candido di Voltaire e, sicuramente, l’Amleto di Shakespeare, di cui viene riproposto un monologo nel corso dello spettacolo delle due attrici. Per i nostalgici, le citazioni da The Nightmare Before Christmas si sprecano: l’inizio, quando una misteriosa mano meccanica scompone e ricuce una bambolina di pezza, ricorda molto il modo in cui Jack seziona un orsacchiotto di peluche, i macchinari del Dr.Finkelstein e ovviamente la distruzione del Babau. La Tartaruga giocattolo che trova Coraline nell’altro mondo è l’ennesima “figlia” del cane fantasma Zero e del cagnolino tutt’ossa de La sposa cadavere, e molto simili ai personaggi de La Sposa Cadavere sono sia le vecchie attrici che l’acrobata, bluastro come i morti viventi che popolano quel film. La Matrigna, o Altra Madre che dir si voglia, somiglia invece a tratti alla vecchia Crudelia DeMon de La carica dei 101, mentre l’arredamento del suo salotto somiglia a un incubo kafkiano.


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Ultime due curiosità, prima di parlare dei doppiatori famosi che in Italia ci siamo persi. Primo: rimanete ovviamente fino alla fine dei titoli di coda e pregate che gli stolti gestori del cinema non accendano le luci, rendendo quasi inutili i vostri occhiali 3D, c’è un grazioso spettacolo dei topolini ballerini. Altra cosa: vedrete, sempre sul finale, una strana scritta, che recita più o meno così: “Per chi può capirlo: Animale”. Non statevi a scervellare, è l’ennesima testimonianza dell’ignoranza dei nostri adattatori, che hanno tradotto persino l’indizio di un concorso legato al sito USA della Nike (ergo, inutile per il nostro Paese), che consentiva di vincere un paio di scarpe prodotte apposta per il film. La parola originale, per la cronaca, era Jerk Wad, epiteto poco carino che Coraline usa nei confronti di Wybourne. Infatti, mentre “jerk” ha assunto, molto banalmente, il significato di “idiota”, il “jerk wad” è l’equivalente della “douche bag”, in pratica è ciò con cui ci si pulisce dopo essersi sparati una pippa. Un idiota, insomma, ma all’ennesima potenza, un rifiuto della società, una schifezza d’uomo. Non a caso, negli USA è stato richiesto che i bambini venissero accompagnati dai genitori anche per l’utilizzo di alcuni termini “impropri”, oltre che per le scene un po’ paurose.




Henry Selik è il talentuoso regista del film, di cui è anche sceneggiatore. Oltre ad avermi regalato, assieme a Tim Burton, il cartone animato più bello che abbia mai visto, il pluricitato The Nightmare Before Christmas, ha girato anche James e la pesca gigante, sempre in stop motion, tratto da un libro di Roald Dahl. Ha 57 anni e un film in progetto.


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Dakota Fanning da la voce a Coraline. Premetto che io adoro Dakota, secondo me è una delle enfant prodige più dotate di Hollywood, quindi sono felicissima ogni volta che vedo un film che contempla la sua presenza. Tra le sue pellicole ricordo Mi chiamo Sam (il suo esordio sul grande schermo assieme a un meraviglioso Sean Penn), il cult The Cat in the Hat, Man on Fire, Nascosto nel buio, La guerra dei mondi, Charlotte’s Web e ha inoltre doppiato un capolavoro dell’animazione giapponese come Il mio vicino Totoro. Ha partecipato anche alle serie televisive ER, Ally McBeal, CSI, Malcom, I Griffin, alla splendida miniserie Taken (che mi ha fatta innamorare di lei!), Friends. Ha 15 anni e due film in uscita, tra cui il secondo capitolo dell’orrenda franchise di Twilight: New Moon.




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Teri Hatcher da la voce alla mamma di Coraline e all’Altra Madre, o Matrigna. L’attrice californiana, la cui carriera è sempre stata prettamente televisiva, ha trovato una rinnovata fama interpretando la svampita casalinga Susan Meyers nella serie Desperate Housewives, dopo un periodo di stasi lavorativa. Tra i suoi film ricordo Tango & Cash, Il domani non muore mai, Spy Kids. Per la TV ha lavorato nelle serie Love Boat, Star Trek, McGyver, I racconti di mezzanotte, Lois & Clarke: Le nuove avventure di Superman, Seinfeld, Frasier, Two and a Half Men. Ha 45 anni.




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E dopo questo lungo e tedioso post, vi lascio con il carinissimo trailer… ENJOY!






giovedì 16 luglio 2009

Dark Water (2005)

Ieri sera mi sono incapricciata di vedere Dark Water (potenza di Tim Roth, credo!) remake, diretto nel 2005 dal brasiliano Walter Salles, dell’omonimo film giapponese di Hideo Nakata, tratto da un racconto scritto dallo stesso autore di The Ring, Koji Suzuki. Ammetto che dell’originale non ricordavo nulla, tranne l’immagine della bimba con l’impermeabile giallo e le chiazze di umido sul soffitto, quindi col remake ho goduto anche di un discreto effetto sorpresa.



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La trama: Dahlia, una donna con alle spalle alcuni traumi infantili e in causa di separazione col marito, decide di trasferirsi in un appartamento con sua figlia Cecilia. Fin dall’inizio l’appartamento ed il palazzo in cui è situato si rivelano strani e fatiscenti: perdite d’acqua dal soffitto, ascensori che portano alla terrazza dell’ultimo piano senza che glielo si chieda, rumori in locali che dovrebbero essere vuoti, ecc. ecc. Quando poi la bimba comincia a parlare di un’amichetta invisibile e gli strani fenomeni cominciano a diventare sempre più difficili da ignorare, Dahlia intuisce che qualcosa di spiacevole è successo in quel palazzo…


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Come ho detto, è difficile fare un confronto tra i due film, visto che non ricordo bene l’originale. Come già The Ring, però, e come la maggior parte degli horror giapponesi (anche se qui non si può proprio parlare di horror, al limite di ghost story), alla base della trama c’è il rancore di una persona morta in circostanze che potevano essere evitate e che cerca di ottenere nella morte quello che è mancato in vita. In questo caso, ci troviamo di fronte ad una trama legata all’abbandono di bimbi ingiustamente non amati dai genitori, che potrebbe anche essere commovente se non fosse per lo sviluppo trito e ritrito di queste premesse e per come è stata realizzata la pellicola. Diciamoci la verità: sia nel remake che nell’originale non succede assolutamente nulla: al limite entrambi potrebbero rappresentare meravigliosamente il tormento di un idraulico e l’incubo di una casalinga, con quell’acqua di fogna che trabocca da ogni fessura, i capelli neri che galleggiano persino nei bicchieri, il tempo del cavolo all’esterno (non smette di piovere per tutto il film!!). Per non parlare poi della lavatrice che esplode e della simpatia assoluta del custode, dell’avvocato e del padrone di casa…




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Al solito, le versioni americane risultano però molto più piatte. Ricordo nell’originale il vago senso di inquietudine, la tensione che veniva creata anche nei momenti in cui accadeva poco o nulla (anche perché, se non rammento male, il visino della bimba fantasma non si vedeva mai e restava sempre nascosto sotto quel cappuccetto giallo alla Milo), le azioni del fantasma, molto più sottili, mentre nel remake si punta dritto al sodo e le sue intenzioni sono chiare fin da subito. Inoltre, per “sviare” lo stolto spettatore occidentale, nella versione americana vengono introdotte anche le figure dei due teppisti e viene enfatizzata quella del custode, che pur si limita a vivere nell’ignavia e a far finta di non sapere, calamitando su di sé l’attenzione ed i sospetti degli spettatori. Raccapricciante l’idea di omaggio al Giappone che hanno avuto regista e sceneggiatori, i quali hanno deciso di utilizzare come “regalo dall’aldilà” uno zainetto di Hello Kitty ovviamente assente dalla pellicola originale. Gli attori presenti, inoltre, sono davvero sprecati, gente come il tarantiniano Tim Roth, John C. Reilly e addirittura un premio Oscar come Jennifer Connelly non meritano di essere relegati a simili ruoli: e se la Connelly, almeno, fa da protagonista e non è neppure malaccio, i primi due sono invece utilizzati a mò di macchietta. In definitiva, un film che va bene per una serata non impegnata, e per chi non è avvezzo all’horror “pesante”: se non siete degli esperti la storia è carina e potrebbe persino risultarvi nuova, gli attori sono bravi e regia e scenografia sono molto ben curate. Si astengano quelli che cercano un horror originale ed inquietante, al limite guardatevi la versione giapponese.




Walter Salles è il regista della pellicola. Brasiliano, tra gli altri suoi film ricordo Central do Brasil e I diari della motocicletta. Ha 53 anni e un film in uscita.




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Tim Roth interpreta lo stranissimo avvocato Jeff Platzer. L’attore inglese, anche regista, è stato lanciato dall’ottimo zio Quentin, che gli ha regalato tre interpretazioni di culto ne Le Iene (era Mr. Orange), in Pulp Fiction (era Ringo, lo Zucchino dell’inizio del film) e infine in Four Rooms (Ted il fattorino). Ma la carriera di questo grandissimo attore non muore con Quentin, anche se ultimamente il povero Tim è decisamente poco sfruttato.. Tra gli altri suoi film infatti ricordo il meraviglioso Rosencrantz e Guildenstern sono morti (dove recitava con Gary Oldman!), Rob Roy, Gridlock’d – Istinti criminali, La leggenda del pianista sull’oceano, The Million Dollar Hotel, Vatel, Planet of The Apes, Funny Games (il remake USA), L’incredibile Hulk. Per la TV ha recitato in I racconti di mezzanotte. Ha 48 anni e due film in uscita.


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Jennifer Connelly interpreta Dahlia, la protagonista. L’attrice newyorchese è stata benedetta fin dall’infanzia da ruoli che dire splendidi è dire poco: la giovane Deborah nel meraviglioso C’era una volta in America di Sergio Leone, la sfortunata Jennifer nel Phenomena di Dario Argento e, non ultimo, la viziata e combattiva Sarah nell’indimenticabile Labyrinth con David Bowie. Tra i suoi, meno significativi, film della maturità, ricordo il pregevole Scomodi omicidi, Dark City, A Beautiful Mind (per il quale ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista), Hulk. Ha 39 anni e cinque film in uscita.


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John C. Reilly interpreta il signor Murray, proprietario del palazzo. Questo attore di Chicago, dai tratti somatici e dalla capigliatura riccia assai riconoscibili, alterna parti in filmoni memorabili a parti comiche nelle più becere commedie americane, spesso al fianco di Will Ferrell. Tra i suoi film ricordo Giorni di tuono, Ombre e nebbia, Hoffa: Santo o mafioso?, Buon compleanno Mr. Grape, L’ultima eclissi, Nightwatch – Il guardiano della notte, il bellissimo Boogie Nights – L’altra Hollywood, La sottile linea rossa, lo splendido Magnolia, Gangs of New York, The Hours, Terapia d’urto, Chicago, The Aviator, Radio America, Talladega Nights: The Ballad of Ricky Bobby, Tenacious D e il destino del rock. Ha 44 anni e quattro film in uscita, tra cui la trasposizione di Cirque du Freak, tratto dai romanzi vampireschi di Darren Shan, famosissimi all’estero e pubblicati da noi (orrore!) nelle serie dei Piccoli Brividi.




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E ora vi lascio, ovviamente, con il trailer della versione giapponese… ENJOY!


 


martedì 14 luglio 2009

Shaun of The Dead (2004)

Che il demone calderiano maledica in eterno la distribuzione italiana. Quale persona sana di mente andrebbe al cinema a vedere, o affitterebbe, un film dallo sciagurato titolo “L’alba dei morti dementi”? Pochi o nessuno, sicuramente, perché quello che il pubblico si aspetterebbe sarebbe un’orrenda parodia all’americana dei film di zombie, dunque perché spendere soldi per una simile schifezza? Ma per fortuna, esistono mezzi per conoscere ed apprezzare i film nella loro purezza, senza lasciarsi fuorviare da titoli immondi, che impedirebbero di scoprire piccole perle come questo Shaun of the Dead, diretto nel 2004 dall’inglese Edgar Wright.

La trama: Shaun è un impiegatucolo trentenne con la sindrome da Peter Pan e mille problemi relazionali. Passa le sue giornate vegetando al pub Winchester in compagnia del suo migliore amico, Ed, più sfigato e disadattato di lui, per la disperazione della fidanzata, della mamma e del patrigno. Proprio quando la ragazza, Liz, decide di farla finita con lui e di lasciarlo, il mondo viene colpito da un’epidemia di zombie e Shaun si deciderà a rimettere a posto la sua vita… ma dovrà cercare di sopravvivere per riuscirci! 
Ora verrò tacciata di eresia dai più, ma per me Shaun of the Dead, seppur non faccia affatto paura, è l’horror perfetto. O meglio, è il più bel film di zombie che abbia mai visto, e mi perdonino i fan di Romero; gli attori sono bravissimi, la storia fila scorrevole e piacevole come raramente accade, i personaggi sono delineati in modo perfetto e sono talmente umani che oltre a strappare risate fanno anche scendere qualche lacrimuccia, gli zombie non sono delle macchiette come potrebbe succedere in film simili, ma sono davvero pericolosi e realizzati con un makeup splendido, i dialoghi sono credibili e divertentissimi, non mancano scene splatter (per non parlare di quelle cult!) e il tutto è scandito da una colonna sonora, composta da omaggi horror come la colonna sonora di Zombie di Romero e successi decisamente più “ballabili”, che definire azzeccata è dir poco. E’ innegabile che dopo anni di omaggi italiani, di questi tempi siano gli inglesi a poter essere considerati i degni eredi di Romero e Fulci, visto che le migliori pellicole sugli zombie degli ultimi anni provengono tutte dal Regno unito (basti pensare a Dead Set e 28 giorni dopo…). Certo, non sono “puri” film di zombie, sono pellicole atipiche, contaminate dai generi più disparati, ma non per questo sono meno valide di quelle degli storici predecessori.
Andiamo più nello specifico: la genialata di un simile film, e non mi stancherò mai di ripeterlo, è quella di seguire il modello di illustri predecessori e la lezione dello zio King, ovvero quella di inserire all’interno di una storia “normale” l’elemento horror. Come dice la locandina, Shaun of The Dead è “una commedia romantica… con gli zombie”. L’inizio trae in inganno, mostrando allo spettatore il passo strascicato ed i lamenti di un uomo che non è altro che il povero Shaun dopo una levataccia. Ma da lì in poi, mentre lo spettatore viene attirato dai problemi del protagonista, dalla sua vita inconcludente, dalla rozza simpatia del demenziale Ed, gli zombie vengono introdotti come piccoli fatterelli marginali che sconvolgono la vita della città tutta… ma ce ne vuole prima che Shaun ed Ed si rendano conto della loro presenza! Ciò da il via a siparietti esilaranti, come la spesa di Shaun al supermercato, lo zombie che fa il coro alla canzone White Lines, i due “amanti focosi” all’uscita del pub che, in realtà, non sono altro che un morto vivente e la sua preda sbocconcellata. Splendido poi il modo in cui, una volta messi di fronte alla dura realtà, i due amici si impegnino ad affrontare la situazione, in parte approfittando di inaspettate libertà (poter guidare la macchina dell’odioso inquilino Pete su tutte…) e in parte cercando modi per risolvere problemi inimmaginabili: l’ingenuità e i sogni ad occhi aperti di Shaun ricordano molto quelli del JD di Scrubs (“Usciamo, andiamo dalla mamma, ci togliamo dalle balle Phillip, prendiamo la mamma, andiamo da Liz, ci facciamo una tazza di tè, e aspettiamo che tutto questo finisca” è un mantra ripetuto per ben tre volte, ogni volta con una modifica quando Shaun si rende conto che non è poi così facile rimanere normali davanti alla fine del mondo..) ma è proprio l’assurdità della vicenda a far crescere le palle al nostro, che si arma di vinili e mazza da cricket, affronta gli zombie per salvare mamma e fidanzata, alla fine si trasforma persino nel “Cacciatore” ed ottiene rispetto anche dagli amici di Liz .
Ovviamente tutto questo viene supportato da una fotografia splendida, da interpreti bravissimi e da una regia azzeccatissima che riesce ad unire i clichè degli horror (le sagome degli zombie che si intravedono a frotte dietro la porta , per esempio) alle innovazioni regalate dalla musica, elemento fondamentale del film: la scena cult, assolutamente, è quando il gruppo di amici, all’interno del Winchester, sfonda di mazzate uno zombie al ritmo di Having A Good Time dei Queen, mentre i morti viventi all’esterno, attirati dalla musica e dalle luci, sembrano ballare come se fossero a un concerto. Inutile da parte mia segnalare altre battute e scene che mi sono rimaste nel cuore: sono troppe e lascio a chi verrà invogliato leggendo questo post a vedere (o Rivedere!!) questo splendido film!!! E se poi vi impallerete come me, vi ricordo che esiste un bellissimo cd con tutte le canzoni, una graphic novel tratta dal film, scritta da Chris Ryall e disegnata da Zach Howard, un DVD colmo di speciali che merita di essere comprato anche solo per le “papere” e le quattro piccole storie a fumetti che ci mostrano i “buchi” presenti nel film (rispettivamente la storia di Ed, degli zombie che seguono Shaun, della morta Mary e della fuga di Dianne) ed infine un sacco di merchandising (io ho la spilletta di Ed a casa XDXD) fico. Che aspettate a portare avanti lo shopping compulsivo??!! 
Edgar Wright è il regista e primo sceneggiatore del film. Lo sceneggiatore inglese si è fatto le ossa ed ha raggiunto la fama, come già Simon Pegg, lavorando per la tv britannica, in particolare in una serie di cui Shaun of The Dead riprende alcune gag, situazioni e personaggi: Spaced. Dopo il successo internazionale raggiunto con Shaun, il regista è diventato talmente “cult” da potersi permettere di realizzare come guest director uno dei finti spezzoni per il film Grindhouse, il fulciano Don’t e ha diretto un’altra pellicola con Pegg e Nick Frost, Hot Fuzz. Ha 35 anni e quattro film in uscita.
Simon Pegg interpreta Shaun, ed è anche sceneggiatore della pellicola. Apprezzatissimo attore della tv britannica, tanto da meritarsi un omaggio fumettistico prima ancora di diventare universalmente famoso (il Piccolo Hughie del divino The Boys di Garth Ennis, è dichiaratamente identico a lui), è ora molto attivo anche nel cinema americano, che lo ha accolto come una simpatica mascotte di culto. Tra i suoi film: La terra dei morti viventi, Mission: Impossibile III, Hot Fuzz, il falso trailer Don’t, Le cronache dei morti viventi, Star Trek, L’era glaciale 3 – L’alba dei dinosauri (a cui ha prestato la voce). Per la TV, oltre al già citato Spaced, ha recitato in Band of Brothers e Doctor Who. Ha 39 anni e tre film in uscita.
Simon Pegg (a sinistra) e il Piccolo Hughie (a destra): la somiglianza è impressionante!!
Nick Frost interpreta l’esilarante Ed. Migliore amico di Simon Pegg, anche nella realtà, ha lavorato quasi sempre in coppia con lui, fin dai tempi di Spaced, pur avendo ottenuto minor successo rispetto al compare. Tra i suoi film ricordo Hot Fuzz, il falso trailer Don’t, I Love Radio Rock. Per la TV ha partecipato alla serie Twisted Tales. Ha 37 anni e, in uscita, gli stessi film di Pegg.
E ora vi lascio con le gag del film!! A proposito di gag… se guarderete il film, fate attenzione alla scena in cui Pete e Shaun discutono se mandare via di casa Ed oppure no. Noterete che l’attore dovrebbe interpretare uno scazzatissimo Pete, ma dopo il saluto e i gesti di Nick Frost non riesce, proprio alla fine della ripresa, a trattenere le risate, e un angolo del labbro s’incurva all’insù come se avesse un tic. ENJOY!!

venerdì 10 luglio 2009

Lupin e la strana strategia psicocinetica (1974)

E’ ufficiale: io amo i giapponesi. Non esiste nulla di più trash del tentativo giapponese di fare un live action delle serie animate più famose anche perché, intendiamoci: voi ce lo vedreste un film di Sailor Moon con attori in carne ed ossa e per di più dagli occhi a mandorla, con le sgrargiantissime divisine, a saltellare a destra e manca? Beh, con Dragonball è successo anche prima dell’orrenda versione USA e, come ho scoperto neppure un mese fa, nel 1974 un regista di nome Takashi Tsuboshima decise di far diventare “umano” anche il personaggio più famoso di Monkey Punch, girando il live action Lupin e la strana strategia psicocinetica (Rupan Sansei: Nenrikichan Sakusen).

 


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La trama: Lupin è un giovane perdigiorno, a volte ladro, molto spesso donnaiolo, ignorante riguardo al glorioso passato dei suoi antenati. Un giorno vede una splendida galeotta su un furgoncino della polizia, se ne innamora e la libera, cercando per tutto il film di compiacerla per portarsela a letto. Ovviamente la donna in questione altri non è se non la Fujiko Mine dell’anime. Nel frattempo, l’ispettore Zenigata con i suoi assurdi aiutanti cerca di arrestarlo, anche senza prove, un nostalgico, bolso e vecchio Jigen cerca di indottrinarlo per far tornare in vita l’impero dei Lupin e un’organizzazione gestita dal bieco Macaroni (!) cerca di farlo fuori.


 


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La trama, come si può vedere, è solo un pretesto, del fumetto c’è poco, del cartone animato quasi nulla. Lupin è poco più che un ragazzino senza nessun interesse per i complicati e divertenti piani che hanno accompagnato i telespettatori fin dagli anni ’70 e l’unico suo scopo è ottenere l’amore sfruttando la sua psicocinesi… e qui apro una parentesi: sta fantomatica psicocinesi, tanto nominata nel film, non si capisce chi la possieda, che diamine sia, perché dia addirittura il titolo al film e soprattutto perché alla fine venga citata per introdurre delle assurde pietre di probabile origine aliena! Ma torniamo a ciò che abbonda invece nel film, oltre all’incoerenza: il trash che lo rende così meraviglioso, sostenuto da abiti al limite del kitch ed effetti speciali che avrebbero fatto ribrezzo ai Power Rangers (però le musichette sono stupende!).




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Lupin si palesa fin dall’inizio del film in un’improbabile completo bianco, lanciando bacetti a destra e manca, e con una meravigliosa quanto zamarra “L” tatuata sul petto. Fujiko, provetta “occhio di gatto” ha come arma una carta da gioco in grado, credo, di tagliare persino l’adamantio e si esibisce assieme a Lupin in siparietti comico/amorosi degni di una puntata di Love Bugs. Jigen veste un orrido completo color cammello (capace di nascondere un arsenale da far invidia a Deadpool) e in una scena riesce a mangiare usando come tavolino la tazza del cesso, unico complemento d’arredo presente in salotto, che diventa ovviamente un comodo cestino per i rifiuti una volta finito il pasto: basta tirare la catena e via!! Zenigata è la quintessenza della comicità giapponese, un omaccione infuriato ed isterico che urla ai suoi dementi aiutanti, la tipica coppia alla Fichi d’India che non capirebbe una fava neppure guardando i Teletubbies. Il buon ispettore tra l’altro manifesta una verve erotica che nel cartone gli manca, e cerca di palpeggiare una poliziotta compiacente proprio mentre guida la macchina d’ordinanza. Altre prodezze “erotiche” del film, che farebbero impallidire quelle di Lando Buzzanca (e che mi hanno fatto piegare in due dalle risate): una donnina che alla sola vista di Lupin orgasma al grido di Yamete! mentre lui la osserva esterrefatto, il rapporto tra i due, troppo esplicito per la legge giapponese e quindi “mimato” dai simboli universali del sesso maschile e di quello femminile che interagiscono tra loro, il gruppo di killer travestite da suore che imbastiscono un “sensualissimo” balletto davanti ad un Lupin particolarmente perplesso che alla fine decide di accontentarle sfoderando letteralmente gli attributi e facendole fuggire inorridite (ovviamente l’astuto Lupin riconosce la vera natura dei killer con la frase: “Siete troppo belle per essere delle suore!” … no, povero minchione, è che non esistono suore con la zeppa di 15 cm!!). Sorvolo sull’italiano di Macaroni, sul prete francese e su mille altre prodezze trash, che lascio allo spettatore il gusto di trovare… dico solo: guardatelo! Anche se Jigen non si può guardare e Goemon manca, questo è puro kitch giapponese anni ’70, neppure Mike Myers con Austin Powers avrebbe osato tanto!


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Takashi Tsuboshima è il regista della pellicola. A quel che capisco la sua carriera, che spazia dagli anni ’60 ai ’70 è costellata da film avventurosi (alcuni al limite dell’exploitation) e divertenti con qualche punta di demenzialità. E’ morto nel 2007 per cancro ai polmoni.




Yuki Meguro interpreta Lupin. L’attore ha avuto un suo momento di gloria “occidentale” ed è stato nominato addirittura agli Emmy nel 1980 per la sua interpretazione in un film televisivo, Shogun (con Richard Chamberlain e lo storico Toshiro Mifune). Ha 62 anni.


 


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Kunie Tanaka interpreta Jigen. Attore assai attivo sia nella tv che nel cinema, in quasi tutti i generi, ancora ai nostri giorni, ha partecipato alla trasposizione cinematografica di un altro manga, Maison Ikkoku di Rumiko Takahashi ed ha persino lavorato con un regista del calibro di Akira Kurosawa. Ha 77 anni.


 


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Shiro Ito interpreta l’ispettore Zenigata. Attore meno prolifico di Tanaka, ma pur sempre attivo ai giorni nostri, come ogni giapponese che si rispetti è assai versatile e alcuni suoi film sono arrivati anche in Italia, come La donna contro il racket dell’estorsione e I delitti della maschera No. Ha 72 anni.


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Hideko Ezaki, che interpreta Fujiko, ha cominciato e finito la carriera di attrice con questo film e di lei si sono perse le tracce. E ora vi lascio con quello che parrebbe il trailer della pellicola... ENJOY the trash!!