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lunedì 30 agosto 2010

Paura e delirio a Las Vegas (1998)

Lo avevo già visto una volta, mi era piaciuto. Ho voluto riprovarci, mi è ripiaciuto e ora mi trovo davanti l’ingrato compito di recensire un film complicato ed assurdo come Paura e delirio a Las Vegas (Fear and Loathing in Las Vegas), tratto dal libro Paura e disgusto a Las Vegas di Hunter S. Thompson e girato nel 1998 da Terry Gilliam. Pigliatevi la vostra droga sintetica preferita e continuate la lettura…

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Il giornalista Raoul Duke, assieme all’amico e avvocato Dr. Gonzo partono alla volta di Las Vegas per un paio di reportage, con una quantità incredibile di droghe al seguito. Difficile trovare il tempo e le facoltà mentali per scrivere gli articoli quando queste ultime sono praticamente annientate da qualunque droga esistente al mondo…

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La trama di per sé è facile, perché è praticamente inesistente. Dovete sapere che tutto quello che troverete nel film (o quasi), deliri e visioni compresi, è tratto da quella specie di narrazione autobiografica che è, appunto, Paura e disgusto a Las Vegas, l’opera principale di una corrente denominata Gonzo Journalism di cui Thompson è praticamente il padre. Ora, per chi non lo sapesse, in due parole, il Gonzo Journalism è un tipo di giornalismo che racconta al pubblico fatti veri pesantemente filtrati dal punto di vista soggettivo del giornalista, che aggiunge pensieri, considerazioni proprie e anche un bel po’ di immaginazione. Se poi l’immaginazione è scatenata dall’ingestione di pesanti droghe non si capisce più dove finisca la realtà e dove cominci la finzione.

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Ora, pensate come dev’essere rendere in pellicola un casino simile. Dopo dieci minuti di film, lo giuro, non si capisce quasi più il motivo per cui Duke e Gonzo sono a Las Vegas: basta accettare la cosa, rilassarsi sulla poltrona e godersi il trip per apprezzare Paura e delirio a Las Vegas. La cosa per fortuna non è difficile perché le immagini con cui Gilliam riempie la testa dello spettatore sono vividi spezzoni di puro delirio: ci sono avvocati che si trasformano in Satana, stanze di hotel allagate, persone che si trasformano in umanoidi simili a lucertole, immaginari processi inquietanti come quelli di Alice nel Paese delle Meraviglie e, soprattutto, il kitch di Las Vegas: la città dove più di ogni altra si concentrano il Sogno americano e la distruzione dello stesso, un trionfo di luci, suoni, colori che si spreca per riempire quel gigantesco Nulla su cui si regge il tempio del divertimento e della perdizione per eccellenza. Non è un caso che Duke e Gonzo si strafacciano di qualunque cosa e proprio lì; da come l’ho capita io, il film e il libro non vogliono essere né un elogio né una critica delle droghe pesanti, ma semplicemente la constatazione di come una generazione di americani delusi dal loro stesso paese cercassero di evadere dalla realtà con l’intenzione di “ribellarsi al sistema” finendo poi per diventare inutili e molli come l’oggetto del loro disgusto. E Las Vegas è ovviamente la summa di tutto quanto è inutile, superfluo e ridicolo in America. 

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Inutile andare avanti a descrivere il film, dovete provarlo. Sappiate solo che Johnny Depp (abbruttito e trash da morire, immerso nei veri abiti di Thompson e praticamente un sosia del giornalista) nei panni di Duke è semplicemente geniale, con i suoi versi da squinternato e le sue pose da paranoico, e Benicio del Toro, che di solito, come ho detto in un post precedente, vorrei abitasse nel mio armadio, in questa pellicola è schifoso, laido e sucido a livelli improponibili, il personaggio più esilarante e al tempo stesso più odioso di tutta l’accozzaglia di freaks che ci vengono mostrati. Un essere che viene perfettamente descritto dallo stesso Duke: “One of God's own prototypes. Some kind of high-powered mutant never even considered for mass production. Too weird to live, and too rare to die” (Uno dei prototipi di Dio. Una specie di potentissimo mutante che non è mai stato preso nemmeno in considerazione per una produzione in serie. Troppo strano per vivere e troppo raro per morire. – E scusate la traduzione maffa - ). Se pensate che questo personaggio è esistito veramente, non vi viene voglia di dare un’occhiata a questo particolarissimo film?

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Di Johnny Depp ho già parlato in questi post, mentre un piccolo excursus della carriera di Benicio del Toro lo trovate qua.

Terry Gilliam è il regista della pellicola. Ex membro dei Monty Python, il visionario per eccellenza (e unico americano) del gruppo inglese, lo ricordo per aver diretto e scritto film complicatissimi e affascinanti, tra cui Monty Python, Brazil, La leggenda del re pescatore, L’esercito delle 12 scimmie, The Brothers Grimm e Parnassuss – L’uomo che voleva ingannare il diavolo. Ha 70 anni e un film in progetto che ormai sta diventando quasi una barzelletta per i fan del regista: The Man Who Killed Don Quixote, una delle pellicole più osteggiate, rimandate, sfigate della storia del cinema moderno. Auguri, Terry!

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Christina Ricci interpreta Lucy. Impossibile dimenticare la faccetta tonda della ragazzina che interpretava la dolcissima Kate in Sirene, la meravigliosa Mercoledì ne La Famiglia Addams e La Famiglia Addams 2 o la tenera Kat in Casper; anche se negli ultimi tempi la signorina si è un po’ persa in tristi produzioni è sempre un piacere vederla recitare. Oltre ai film citati ricordo Tempesta di ghiaccio, Small Soldiers, Pecker, Il mistero di Sleepy Hollow, La morsa del diavolo, e l’inguardabile Cursed – Il maleficio. Ha partecipato a telefilm come Malcom, Ally McBeal, Joey, Grey’s Anatomy e doppiato un episodio de I Simpson. Americana, ha 30 anni e quattro film in uscita.

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Cameron Diaz interpreta la giornalista bionda concupita da Gonzo. Altra attrice che, personalmente, amo alla follia, la ricordo per film come The Mask, Una cena quasi perfetta, Acque profonde, Il matrimonio del mio migliore amico, Una vita esagerata, Tutti pazzi per Mary, il carinissimo Cose molto cattive, il particolarissimo Essere John Malkovich, Charlie’s Angels, Minority Report, Gangs of New York, Charlie’s Angels: più che mai e i nuovissimi The Box e Innocenti bugie che vorrei vedere assolutamente. Ha anche prestato la voce alla principessa Fiona in tutti e quattro i film di Shrek, l’ultimo dei quali sta uscendo proprio in questi giorni. Americana, ha 38 anni e due film in uscita.

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Tobey Maguire interpreta l’orrendo streppone che chiede un passaggio a Gonzo e Duke. Uno dei tanti attori americani giovani, bellocci e sopravvalutati, che durano una o due stagioni per film più o meno d’impatto (in questo caso il signorino ha incarnato nientemeno che Peter Parker nella trilogia di Spider Man diretta da Sam Raimi), lo ricordo per film come Tempesta di ghiaccio, Harry a pezzi, i bellissimi Pleasantville e Le regole della casa del sidro e l’orrido Seabiscuit; ha recitato inoltre nei telefilm Ai confini della realtà, Blossom, Pappa e ciccia e Walker Texas Ranger. Americano, ha 35 anni e tre film in uscita.

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Tra le miriadi di guest star che fanno comparsate più o meno lunghe all’interno del film segnalo Verne Troyer, il Minime della serie Austin Powers, il bassista dei Red Hot Chili Peppers, Flea, che interpreta un musicista, e due reduci de Il miglio verde: Michael Jeter (Eduard Delacroix nel film di Darabont) nei panni di un assurdo psicologo anti – droga, e Harry Dean Stanton (Toot – Toot) nei panni di un giudice. Anche l’autore del libro omonimo da cui è tratto il film, Hunter S. Thompson, compare in un flashback. A quanto pare, comunque, la gestazione del film è stata tutt’altro che rosea e ad occhio e croce risale a metà degli anni ’70 visto che per interpretare i due protagonisti era in lizza innanzitutto la coppia Jack NicholsonMarlon Brando poi, quando il duo è diventato troppo vecchio, si era pensato ai mitici Dan Aykroyd e John Belushi, ma dopo la morte di quest’ultimo il casting è andato a farsi friggere e per un po’ si era parlato di avere John Malkovich nel ruolo di Duke, ed alla fine era stato quasi confermato John Cusack. Peccato, tutte le accoppiate e i singoli attori scelti sarebbero state vincenti e ben particolari! A confermare la difficoltà di girare un film simile c’è anche la decisione di registi del calibro di Oliver Stone e Martin Scorsese che hanno rinunciato all’impresa. Non una pellicola facile né per i coinvolti né per gli spettatori, ma se vi è piaciuta vi consiglio, per motivi diversi, di vedere Easy Rider (per avere un altro scorcio dell’epoca), A Scanner Darkly (per vedere un altro film dove droghe e deliri la fanno da padrone) e infine 8 ½ di Fellini (per dare testimonianza di un’altra autobiografia pesantemente filtrata da sogni e fantasia). E ora vi lascio con lo stranamente normalissimo trailer del film! ENJOY!



venerdì 27 agosto 2010

Nightmare (2010)

L’ho già detto spesso su questo blog, ma mi piace ribadirlo per l’ennesima volta: mai andare al cinema colmi di speranze, è sempre meglio partire convinti della mediocrità di ciò che si sta per andare a vedere. In questo modo, se il film fa schifo arriviamo preparati, se invece il risultato è meglio di quanto ci aspettiamo saremo in parte sollevati e soddisfatti. E’ successo ieri sera dopo aver visto il nuovo Nightmare (A Nightmare on Elm Street), dello sconosciuto Samuel Bayer. Per carità, come remake è più inutile di altri, ma non fa schifo come temevo.


La trama è sempre la stessa, dal 1984: nella città di Springwood i ragazzi cominciano a morire nel sonno, per mano di un mostro artigliato chiamato Freddy Krueger che compare nei loro sogni. I superstiti provano in qualche modo a capire cosa vuole da loro l’immonda creatura e soprattutto come fare a ucciderlo prima che lui faccia altrettanto.


Ah, la mania dei remake, reboot, chiamateli un po’ come volete, il senso è sempre quello. Invadono i nostri cinema con film copia di originali che spesso e volentieri non avevano bisogno di essere rifatti. Almeno lo facessero stravolgendo completamente la trama, le scene clou, e quant’altro: per quanto riguarda il nuovo Nightmare il paragone con l’originale è inevitabile, perché tutte le scene chiave sono prese pari pari dalla pellicola del 1984, che a rivederla oggi è ancora freschissima, attuale ed inquietante. E allora che altro motivo c’è di fare un’operazione simile se non per bieco denaro? Siccome Englund (il Freddy originale) e Wes Craven, creatore del personaggio e regista del primo film, soldi ne hanno a palate, ecco che se ne chiamano fuori, giustamente. Quindi io cercherò di dimenticare l’affronto al Nightmare del 1984 e cercherò di considerare questo nuovo episodio come un film a sé.


La novità che viene pesantemente introdotta è una caratterizzazione molto più marcata del personaggio di Freddy come maniaco e pedofilo. Nei vecchi film la cosa passava un po’ sottotono, non veniva mai detto molto chiaramente cosa avesse fatto il buon Fred ai pargoli, tanto da arrivare a scatenare l’orda di genitori inferociti che decidono di fare giustizia sommaria del bruto bruciandolo vivo. Di questi tempi, invece, dove episodi di violenza e pedofilia sono le notizie più succulente per ogni giornale, la questione viene sviscerata e si cerca (stupidamente, a mio avviso) di instillare anche il dubbio nello spettatore: Krueger era davvero un maniaco? E se i bambini si fossero solo inventati tutto, spingendo i genitori ad uccidere un innocente? Ovviamente la risposta a queste domande, nonostante un flashback/sogno che mostra la sua morte con dovizia di pianti e urla, è un bel dito medio e artigliato mostrato con arroganza allo spettatore così credulone da avere abboccato: Freddy in questo film è più laido, stronzo, schifoso e depravato che in passato, e la scoperta della “caverna” piena di disegni infantili e di foto che testimoniano il suo rapporto malato con i bimbi è un pugno nello stomaco. Per il resto, al di là dei salti continui dovuti alle costanti comparse di Freddy (ecco, all’epoca lo centellinavano, il che era meglio sia per l’atmosfera che le coronarie) e delle secchiate di sangue, una cosa furba di questo remake è il ricorso ad un piccolo stratagemma per confondere ancora di più gli incubi e la realtà: pare che dopo qualche giorno il cervello dell’insonne cronico si costringa a fare “microsonni” per non andare in corto circuito. In questo caso la cosa viene sfruttata facendo piombare i protagonisti in sogni ad occhi aperti quando meno se lo aspettano, mentre camminano o fanno dell’altro, e il regista riesce così a dare vita a pregevoli sequenze come quella del supermercato, scandita dall’ironica canzone All I Have to Do Is Dream degli Elderly Brothers. Un’altra bella scena, che ai miei occhi è suonata come una “non – citazione” è quella in cui Nancy affonda in un corridoio colmo di sangue e finisce per precipitare assieme ad una pioggia rossa nella stanza di sotto attraverso il soffitto, finendo a rimbalzare su un letto: esattamente il contrario di quello che succede al povero Johnny Depp nel primo Nightmare, dove viene inghiottito dal letto e poi rigurgitato con una fontana di sangue talmente abbondante che il soffitto della stanza di sotto comincia a gocciolare.


Me lo aspettavo, ma è incredibile vedere come la pecca principale del film siano il trucco e l’aspetto di Freddy. Mi viene da ridere, perché avranno speso tempo e denaro in quantità inimmaginabili e il risultato è un grottesco incrocio tra un gatto e un castoro. Sarà che già la faccia di Jackie Earle Haley non è delle migliori (non me ne voglia, poveraccio, ma da struccato Englund è un uomo molto più bello) ma il trucco è praticamente identico a quello degli uomini gatto de I sonnambuli, con l’aggiunta di cicatrici da ustione e quant’altro. Per fortuna, almeno, il doppiaggio italiano ha dimenticato la S mutata in F a causa delle labbra fuse, o sarebbe risultato ancora più grottesco. Ma CACCA in abbondanza sugli adattatori italiani che hanno coperto i meravigliosi titoli di testa, scritti con il gesso da mano infantile, con delle banali scritte bianche e solo per tradurre due parole che non leggerà nessuno. Segnalo verso la fine del film una simpatica citazione da Pulp Fiction e, ahimé, una triste quanto prevedibile apertura per futuri seguiti. In definitiva, si poteva fare di peggio: preso come film a sé non sarebbe nemmeno troppo male, ma il vero Nightmare è inarrivabile.


Di Jackie Earle Haley, che interpreta Freddy Krueger, ho parlato qui.

Samuel Bayer è il regista della pellicola, che figura come suo primo film. Prima ha lavorato sui video di artisti del calibro di Garbage, Marilyn Manson, Cranberries, Metallica, Green Day, Offspring, DavidBowie, Blink 182, Smashing Pumpkins ed Iron Maiden. Americano, ha 48 anni e due film in programma, tra cui il seguito di Nightmare. Vorranno mica arrivare a toccare i 6/7 della vecchia versione? Freddy, ti prego, abbattili.


Rooney Mara interpreta Nancy. Americana, ha lavorato come comparsa in Urban Legend 3 e ha partecipato alle serie Law & Order e ER. Ha 25 anni e tre film in uscita, tra cui il remake di Uomini che odiano le donne, dove lei avrà il ruolo della divina Lisbeth Salander. La mia Sally interpretata da una così molla??? ORROREEE!!!


Kyle Gallner interpreta Quentin. Personalmente, visto che la sua carriera è appena all’inizio, lo ricordo solo nei panni del darkettino che finiva vittima di Megan Fox ne Il corpo di Jennifer (nel frattempo si è ingurgitato tutto il catering del set visto che è diventato gonfio come un batrace..), ma ha recitato anche in Il messaggero e in alcune serie tv come Il tocco di un angelo, Giudice Amy, Veronica Mars, Cold Case, Bones, Medium, Law & Order, The Shield e Smallville. Americano, ha 24 anni e sette film in progetto.


Katie Cassidy interpreta Kris. Niente di troppo eclatante nella carriera di questa giovane attrice americana, che ha partecipato a film come Cambia la tua vita con un click, Black Christmas – un Natale rosso sangue e a serie come Settimo cielo, Supernatural, Harper’s Island, Gossip Girl e Melrose Place (quello nuovo ovviamente). Ha 24 anni e due film in uscita.


Thomas Dekker interpreta Jesse. Americano, ha partecipato a film come Villaggio dei dannati e serie come La tata, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi: la serie, CSI, Settimo cielo, Dr. House, Heroes (nella prima serie era il migliore amico di Claire) e Terminator – The Sarah Connors Chronicles. A partire dal quinto episodio de Alla ricerca della Valle Incantata presta la voce al dinosauro Piedino e in un paio di seguiti che penso siano inediti in Italia ha doppiato anche il topo Fievel nonché un episodio de I griffin. Ha 23 anni e due film in uscita.


E ora un paio di curiosità. Il film era nato come prequel, e avrebbe dovuto narrare la storia prima che Freddy diventasse il mostro che è. Ovviamente ad un progetto simile il buon Englund avrebbe partecipato volentieri. Ovviamente, perché improvvisare basandosi magari su pochi materiali sparsi quando è molto più comodo rimaneggiare la pappa pronta e metter su un remake? No comment. Per quanto riguarda il cast, per il ruolo di Freddy era stato pensato anche Billy Bob Thornton (non male!!) ed era prevista anche una partecipazione speciale di John Saxon, che nel film dell’84 interpretava il padre di Nancy (personaggio peraltro scomparso nel remake…) ma alla fine non se n’è fatto nulla. Per la serie Tante volte il fato è strano: nel lontano 1984 Johnny Depp non era proprio andato a fare l’audizione per Nightmare, ma pare fosse lì solo per accompagnare… Jackie Earle Haley. Alla fine Johhny è stato preso, mentre il povero Haley è stato in stand – by per più di vent’anni! Ovviamente, parlando proprio del primo film, vi consiglio di vederlo, assieme al terzo capitolo (I guerrieri del sogno) e al “settimo” (Nuovo Incubo). Sono i migliori, e se poi vi appassionate nessuno vi vieta di vedere anche gli altri! Beccatevi ora il trailer del primo, vero Nightmare... ENJOY!





mercoledì 25 agosto 2010

4 mosche di velluto grigio (1971)

Inutile. Per quanto mi sforzi, così come lo splatter anche il genere giallo non mi intriga come dovrebbe (solo Sette note in nero di Fulci pare fare eccezione). Qualche giorno fa ho guardato 4 mosche di velluto grigio, girato nel 1971 dal nostrano Dario Argento, e nonostante lo sbattimento per procurarmene una versione a dir poco maffa non ritengo che il film in sé abbia meritato lo sforzo, anche se qualche piccola perla l’ha regalata. Vediamo un po’.

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Trama: il musicista Roberto, accortosi di un tizio che lo pedina con parecchia insistenza, lo affronta e per sbaglio lo uccide. Potrebbe scappare e fare finta di nulla, se non fosse che un tizio con una maschera in volto ha visto tutto e lo ha persino fotografato ma, invece di andare dalla polizia e denunciarlo, preferisce minacciarlo e rendergli in generale la vita un inferno…

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Che dire. Si muovono in me sentimenti contrastanti. Facciamo qualche piccola precisazione: come giallo in sé 4 mosche di velluto grigio è un po’ una belinata, non tanto per la questione legata all’identità del colpevole (non ho capito fino all’ultimo chi fosse, in effetti, di questo ne rendo atto agli sceneggiatori) e neppure per la trama che comunque è abbastanza articolata e complicatussa, quanto per le motivazioni che spingono il colpevole e il modo in cui lo stesso viene riconosciuto nel finale. Non vi anticipo nulla ma ha a che fare con il titolo che fino a quel momento rimane davvero un’incognita. Detto questo, bisogna dire che nel film sono presenti elementi trash e divertenti a profusione, e qualche inquietante zampata tipicamente argentiana che lo vivacizzano un po’.

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Sul versante “thriller – horror” è sempre apprezzabile l’idea di inserire nel contesto un killer con una maschera da bambola, asettico ed inquietante quanto basta. Al solito, Argento riesce a mettere angoscia con quelle sue maledette e lunghissime inquadrature di finestre che danno sul buio esterno, da dove sembra sempre debba sbucare qualcosa o qualcuno (come in Suspiria), ed aggiunge un altro paio di belle scene. La prima è il sogno ricorrente del protagonista, ambientato in un paese asiatico non meglio definito, nel quale lui si vede nei panni di un boia che prima stiletta il condannato a morte alla base del collo per irrigidirlo, quindi lo decapita con una sciabolata decisa. Sogno ricorrente sprofondato in un bianco abbacinante, che per due o tre volte si blocca prima del taglio mentre alla fine la scena viene mostrata nella sua interezza, profezia di quello che accadrà all’assassino. La seconda è la morte reale dell’assassino in questione, che si schianta contro un camion, scena decisamente ad effetto che ci viene mostrata al ralenti e con diverse inquadrature, quasi il regista volesse prolungare l’agonia del killer. Il tutto senza quasi mostrare una goccia di sangue: il film si basa molto sull’attesa e sulla tensione del “non vedere”, anche se ci sono alcune scene di morti violente. Un’altra sequenza che ho molto apprezzato è quella dove il parco, affollato di gente, si svuota all’improvviso come per magia, lasciando la cameriera sola, perplessa e in balia dell’assassino.

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Tuttavia, secondo me, quello che rende particolare il film è l’abbondanza di momenti comici e trash, per i quali dobbiamo ringraziare personaggi come Dio, il Professore e l’ispettore gay, nonché dei dialoghi francamente imbarazzanti. Forse il monologo più inverosimile è quello finale dell’assassino, che spiega i motivi della sua follia e che ad essere sinceri fa cadere le palle con un sonoro tonfo, ma anche il resto non scherza. Diomede, detto Dio (interpretato da Bud Spencer), viene introdotto con un inequivocabile coro di Alleluia e possiede un pappagallo di nome Affanculo. Ora, già questo di per sé è trash a livelli improponibili, ma Argento getta benzina sul fuoco mettendo in bocca a Dio una frase come “io e lui (il Pappagallo, n.d.B.) non potremmo mai entrare in società assieme. Te lo immagini?” e subito dopo rincara la dose spiegando l’origine del soprannome del Professore: si chiama così perché “non scoreggia mai in pubblico”. Della serie, basta poco, che ce vò? E questa è solo la punta dell’iceberg, perché ci sono postini mazzuolati per motivi futili, amici che raccontano versioni porno della storia di Frankenstein con il mostro iperdotato e pure omosessuale, cugine baldracche, potenziali soccorritori con l’intelligenza di criceti, investigatori che si bullano di non aver risolto nemmeno un caso ergo questa sarebbe la volta buona in base alla teoria delle probabilità e chi più ne ha più ne metta. Detto questo, credo questo film non deluderà gli amanti irriducibili di Argento e del giallo in generale. Personalmente ho visto di peggio ma non mi sono appassionata abbastanza. Comunque, un’occhiata la consiglio, anche perché è vero che Argento lì doveva ancora farsi un po’ le ossa ma sicuramente rispetto ai suoi ultimi lavori 4 mosche di velluto grigio è un capolavoro!

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 Di Dario Argento ho già parlato qui. Al momento pare stia preparando la sceneggiatura del remake di Profondo Rosso. Si vocifera la presenza di Romero come regista, ma il progetto è ancora molto incerto. E per fortuna, direi io.

Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, interpreta Diomede, detto Dio. Alzi la mano chi non conosce il grande Bud e poi vada immantinente a vergognarsi di esistere, visto che questo attore ha cresciuto e continuerà, si spera, a crescere generazioni di italiani ed estimatori stranieri con i film girati assieme all’inseparabile Terence Hill. Tra le sue pellicole ricordo Dio perdona… io no!, I quattro dell’Ave Maria, Lo chiamavano Trinità, … continuavano a chiamarlo Trinità, Si può fare… Amigo, Più forte ragazzi!, Anche gli angeli mangiano fagioli, Piedone lo sbirro, … Altrimenti ci arrabbiamo, Porgi l’altra guancia, Piedone a Hong Kong, Charleston, I due superpiedi quasi piatti, Piedone l’africano, Lo chiamavano Buldozzer, Pari e dispari, Uno sceriffo extraterreste – poco extra e molto terrestre, Io sto con gli ippopotami, Piedone d’Egitto, Chissà perché.. capitano tutte a me, Chi trova un amico trova un tesoro, Cane e gatto, Banana Joe, Bomber, Nati con la camicia, Non c’è due senza quattro, Miami Supercops, Superfantagenio, il tristissimo (in senso negativo) Botte di Natale, Fuochi d’artificio e le serie tv Detective Extralarge, Big Man e l’ultimissima fatica I delitti del cuoco. Ha 81 anni e un film in uscita, Mafia. Farewell to the Godfather che conta interpreti del calibro di Michael Madsen, Franco Nero, John Rhys – Davies e (ohibò!) Lou Ferrigno. Attendo con fiducia, che dire!

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Oreste Lionello interpreta Il Professore. Altra colonna portante del cinema, del teatro e della tv italiani, voce storica di Woody Allen e in generale doppiatore sopraffino, lo ricordo per film come Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi, Totòtruffa ’62, La signora gioca bene a scopa?; come doppiatore, ha prestato la voce per il particolarissimo cartone animato VIP, mio fratello superuomo e nelle serie Le avventure di Barbapapà e Inuyasha. E’ morto l’anno scorso, all’età di 82 anni.

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Michael Brandon interpreta il protagonista, Roberto. Newyorchese, ha recitato in parecchi telefilm, tra cui La Signora in giallo, La tata, Ally McBeal, Jag, Doctor Who e Bones. Inoltre pare sia la voce narrante delle avventure de Il trenino Thomas. Ha 65 anni e un film in uscita.

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Tra gli altri attori figurano Mimsy Farmer, già presente nel Black Cat di Fulci, nel ruolo della moglie del protagonista, mentre l’investigatore gay è interpretato da Jean – Pierre Marielle, che ha partecipato al recente Il Codice Da Vinci con il ruolo di Jaques Saunière. La cosa assurda è che persino due pezzi da 90 della musica internazionale come Ringo Starr e James Taylor erano stati pensati come interpreti del personaggio principale, mentre alla colonna sonora (composta da un Moricone stranamente sottotono…) dovevano mettere mano nientemeno che i Deep Purple. Torna coi piedi per terra, Dario!! Se il film vi è piaciuto vi consiglio, ovviamente, di vedere Profondo Rosso e poi, siccome 4 mosche di velluto grigio fa pare di un’ideale “trilogia degli animali”, vi direi di vedere anche L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code, anche se non so dirvi come siano, purtroppo. Rimedierò, un giorno (forse). E ora vi lascio all'inquietantissimo trailer del film... ENJOY!!




martedì 17 agosto 2010

Lasciami entrare (2008)

E' dovuto passare un bel pò di tempo, due anni esatti, prima che un Wannasee si concretizzasse in effettiva visione. Sto parlando del dolcissimo Lasciami entrare (Låt den rätte komma in), film girato da Tomas Alfredson nel 2008 e tratto dal libro omonimo di John Ajvide Lindqvist che ho letto proprio in questo periodo l'anno scorso. Per una volta libro e film si compensano ed è impossibile dire quale sia più bello, visto che lo sono entrambi.

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La trama: Oskar è un bambino vessato dai coetanei e con una famiglia abbastanza disastrata alle spalle. Una sera incontra Eli, la sua nuova vicina di casa, all'apparenza una bambina come lui, che in realtà è una vampira trasferitasi col servitore, che per procurarle il sangue si lascia maldestramente alle spalle qualche cadavere. Tra i due ragazzi nasce una difficile amicizia, che piano piano si fa sempre più profonda e pericolosa..

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Dimenticate Twilight, dimenticate per un istante tutti i ridondanti horror americani e immergetevi nella deliziosa atmosfera di questa pellicola, delicata come un fiocco di neve, fatta di silenzi ed immagini particolari, arrivata da una nazione che, paradossalmente, è molto più vicina degli Stati Uniti ma è talmente poco conosciuta da risultare praticamente aliena. Lasciami entrare racconta una storia più umana che horror, trattando con delicatezza temi come la solitudine, la diversità, la paura di crescere, il difficile rapporto tra figli e genitori separati. Lo fa senza scadere in sensazionalismo, scene troppo gore o inverosimili, immagini scioccanti (le poche morti del film vengono riprese da lontano, o mostrate solo in parte, lasciandole spesso all'immaginazione dello spettatore) o altri "trucchi del mestiere", e ci cattura grazie all'inquietante e triste sguardo della bambina protagonista.

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Sicuramente, eventuali detrattori potrebbero trovarlo enormemente noioso. A me invece è piaciuto molto anche per il coraggio dell'adattamento cinematografico, perché il regista e lo sceneggiatore hanno eliminato molti aspetti della trama, presenti nel libro, che avrebbero attirato molto più l'attenzione: il cadavere vampiro che diventa lo spauracchio dell'intera cittadina, la palese pedofilia del servo di Eli che le resta accanto solo per poter avere il suo corpo in cambio, il passato della stessa vampiretta che rivela un segreto sconcertante e che rende la storia d'amore tra lei e Oskar decisamente non convenzionale (sebbene l'immagine di cosa Eli nasconda sotto la gonna dia già di per sé un'idea di ciò che viene meglio specificato nel libro). L'unica pecca è che i personaggi di contorno, come il branco di "fannulloni" che passano le loro ore nel bar del paese, diventano delle macchiette facilmente sacrificabili, e allo stesso modo il triste destino di Virginia e del suo amante non viene sentito come meriterebbe.  Nonostante questo, però, Lasciami entrare è un sano ritorno ad un cinema "vampirico" dove i succhiasangue sono affascinanti ma non "bellissimi" e dove la malinconia e il sangue la fanno da padrone. Consigliatissimo.

Tomas Alfredson è il regista della pellicola. Svedese, è praticamente sconosciuto in Italia visto che questo è il primo film da lui girato ad avere avuto un successo internazionale. Ha 45 anni e un film in uscita.

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Kare Hedebrant interpreta Oskar, il suo primo ruolo in un film. Svedese, ha 15 anni e un film in uscita.
Lina Leandersson interpreta Eli. Per ora Lasciami entrare è il suo primo ed unico film. Anche lei è Svedese e anche lei ha 15 anni.

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Purtroppo, anche Lasciami entrare è stato preso nelle grinfie della distribuzione americana che ha deciso di trarne un remake. Let Me In uscirà ad ottobre negli states, e già dal trailer si capisce che sarà molto più fracassone e banale dell'originale; l'unica cosa buona è che ad interpretare Eli sarà la giovane Chloe Moretz, già Hit Girl in Kick Ass, e tra gli altri interpreti figurano Richard Jenkins ed Elias Koteas. Nel dubbio, meglio sempre guardare gli originali, mi raccomando, ma se volete un paragone vi lascio con il trailer di questo remake. ENJOY!





venerdì 13 agosto 2010

Tetsuo (1989)

Il Bollalmanacco non va in vacanza, perché siccome la proprietaria è in ferie, guardare film le riesce meglio, soprattutto se il tempo si mantiene decisamente indegno. Così oggi parliamo di un film, per dirla con parole antiche, "sconvolgente, a tratti allucinante", girato nell'ormai lontano 1989 dal giapponese Shinya Tsukamoto, ovvero Tetsuo.


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La trama (ovviamente per come l'ho capita io...): un impiegatucolo giapponese, dopo aver investito assieme alla fidanzata un cretino con l'hobby di infilarsi pezzi di ferro arrugginiti negli arti, comincia a trasformarsi in un uomo d'acciaio e ad essere perseguitato dal cretino redivivo.


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Ci sono volute due visioni, a distanza di anni, per trovare un senso a questo film. Espressione massima della corrente cyberpunk giapponese, dove l'orrore per il continuo espandersi della tecnologia viene manifestato nella creazione di mostri fatti di carne e metallo (un pò come potrebbe succedere in un film di Cronenberg, che tuttavia parte da una riflessione sull'uomo, prima ancora che sulla macchina), Tetsuo non ha una vera e propria trama, ma è composto da un insieme di immagini in bianco e nero, montate in modo frenetico, che sono una più estraniante, fredda e sconvolgente dell'altra. Il regista tra l'altro le mescola con ricordi mostrati da schermi televisivi, flashback che poco hanno a che vedere con la trama principale o avvenimenti che non si capisce quando accadano (il barbone col bastone, chi sta picchiando e quando? Boh, probabilmente non lo sapremo mai...) con il risultato che lo spettatore occidentale, assolutamente non abituato a film orientali, innanzitutto confonde i personaggi, com'è successo a me la prima volta, e secondariamente s'impicca perché cerca di trarre un senso da quanto vede. Pessimo errore.

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Sinceramente, il film fa schifo. Non perché sia brutto o fatto male, ma perché mostra immagini schifose, nel vero senso della parola, e posso dirlo con certezza perché a distanza di anni erano ancora ben fisse nella mia mente. Al di là della famosissima scena della "trivellazione", ovvero quando l'impiegato si accorge di essere diventato un uomo d'acciaio con pudenda d'acciaio senza possibilità di recupero e a farne le spese è la sua (oscena) fidanzata, ci sono parecchie immagini disturbanti, che fanno lo stesso effetto di una forchetta passata sui denti: il feticista che si infila tubi d'acciaio nelle gambe, l'impiegato che si schiaccia il foruncolo di ferro con dovizia di pus e sangue, il sogno "erotico" dove il protagonista viene sodomizzato da un tubo di ferro flessibile (sic..), e la finisco qui o vi racconto tutto il film. L'aspetto trash del film si può comunque trovare tutto (oltre che nel trucco del feticista..) nel rapporto tra il protagonista e la fidanzata: fermo restando che quest'ultima è l'unica giapponese in grado di assomigliare, per "bellezza" e "raffinatezza" a Loredana Berté, la perla della pellicola sono però le lunghe telefonate tra i due, dove l'unica parola che viene pronunciata è Moshi moshi (Pronto), il "sensualissimo" modo di mangiare di lei e il fatto che si ecciti dopo che il fidanzato ha ucciso uno investendolo. Ma brutta vajassa. Ah, dimenticavo la chicca del gatto avvolto nel domopack e trasformato in un pezzo di metallo miagolante, quanto alla recitazione degli attori coinvolti, lascio a voi il giudizio, ma ho visto di peggio, suvvia. Non vi è venuta una voglia folle di vederlo?!?

Shinya Tsukamoto è il regista del film, e interpreta anche il feticista del metallo. Considerato uno dei migliori registi della scena underground giapponese, tra i suoi altri film segnalo i seguiti di Tetsuo ovvero Tetsuo II: Body Hammer e Tetsuo the Bullet Man. Giapponese, ha 50 anni e al momento sta girando un episodio di una serie televisiva.

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Tomorowo Taguchi interpreta il protagonista. Attore dalla filmografia sterminata, tra i titoli conosciuti anche da me segnalo i già citati Tetsuo II: Body Hammer e Tetsuo the Bullet Man assieme a The Guinea Pig 2: l'androide di Notre Dame, Dr. Akagi, Tabù - Gohatto e 11 settembre 2001. Ha 53 anni e due film in uscita.

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Nessun film da consigliare, in caso vi piacesse forse sarebbe meglio cercare i due seguiti ed altri lavori del regista, però segnalo la particolare colonna sonora, davvero molto bella e azzeccata. E ora... beccatevi il trailer. ENJOY!



martedì 3 agosto 2010

Toy Story 3 (2010)

Ce l’ho fatta! Ho finito la trilogia, e finalmente posso dire senza ombra di dubbio che quella di Toy Story è una delle più belle che esistano, e farebbe degna figura accanto a quella del Padrino e a quella dei Guerre Stellari originali. Quando sono uscita dal cinema dopo aver visto Toy Story 3 di Lee Unkrich volevo rientrare per rivederlo, e non sto scherzando!

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La trama: sono passati 10 anni dall’ultimo film. Ridendo e scherzando Andy è cresciuto, ha abbandonato i giocattoli di sempre e ora sta per andare al college. Per un errore tutti i giocattoli meno Woody arrivano quasi ad essere buttati nella spazzatura, quindi Buzz e compagnia decidono di fuggire dal padroncino ingrato e di trovare rifugio in un asilo. Naturalmente, anche quello che sembra tutto rose e fiori in realtà nasconde qualcosa di torbido, e starà a Woody aiutare gli amici nella grande fuga…

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Come nel film, anche nella realtà sono passati 10 anni. Ovviamente in questo lasso di tempo la CG è migliorata tantissimo, così che ora non si riesce più a scorgere un solo difetto grafico in Toy Story 3, le cui immagini sono di una bellezza e di una nitidezza incredibili, anche senza l’ausilio del sempre inutile 3D (ma almeno questa volta non viene male agli occhi come davanti all’Alice in Wonderland di Tim Burton…), ma chi pensava che la forma avrebbe superato la “sostanza”, e che dopo 10 anni gli sceneggiatori si sarebbero limitati a cavalcare la nostalgia per i due film precedenti, come spesso accade, si è sbagliato di grosso. Toy Story 3 è un gioiello assolutamente superiore ai primi due, che regala momenti di pura commozione e di devastante ilarità, assieme ad una trama che lascia a bocca aperta ed incerti sul finale in più di un momento.

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Come sempre, quello che adoro di tutti i Toy Story, compreso questo, è che nonostante la storia sia ovviamente di fantasia, la realtà si avverte con tutta la sua spietatezza. L’inizio è un colpo al cuore per tutti i fan. Dopo una splendida sequenza ambientata nel glorioso passato in cui Andy creava incredibili avventure da vivere assieme ai suoi amici giocattoli, ci viene mostrato il bimbo ormai cresciuto, con Woody e compagnia che cercano in tutti i modi di richiamare la sua attenzione e farlo tornare a giocare con loro. Andando avanti si scopre che, col passare degli anni, non tutti i giocattoli “ce l’hanno fatta”, e sono stati buttati via o venduti: il pinguino Wheezy, la pastorella Bo Peep, la lavagna magica, i piccoli trolls. Nessuna concessione alla nostalgia dunque (anche se è vero che sono stati eliminati i personaggi più deboli…), neppure ai sentimenti del povero Woody che nutriva una forte simpatia per la procace pastorella. Vero è che, dal punto di vista pratico, una simile scelta consente agli sceneggiatori di concentrarsi su un ristretto gruppo di personaggi iperaffiatati e sicuramente divertenti e di aggiungerne di nuovi, in grado di non fare assolutamente rimpiangere chi non c’è più: l’orso Lotso è un villain molto più carismatico del debole Stinky Pete, Barbie e Ken sono semplicemente esilaranti e molte delle gag più azzeccate sono quelle che li riguardano, e il gruppetto di giocattoli di Molly è delizioso (il riccio shakespeariano e i pisellini nel baccello in primis, senza contare che il Totoro che la pargola tiene in camera mi ha fatta sbavare d’invidia…).

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Senza rovinare la sorpresa a chi non ha ancora visto il film, Toy Story 3 riprende tutti i temi accennati nei primi due film (l’amicizia, il senso di appartenenza ad un gruppo, l’inesorabilità del tempo che passa, l’accettazione di sé stessi e dei propri limiti) e tira le somme del discorso, arrivando ad una conclusione logica, per quanto malinconica. Il finale e le immagini che vengono mostrate poco prima, con i giocattoli che si tengono per mano uniti da un comune destino, sono talmente emblematiche ed emozionanti che mi viene il magone ancora adesso a scriverne. Un perfetto circolo che si chiude, e che ci riporta al primo, lontano episodio: spero davvero che a nessuno venga in mente di spezzare questo equilibrio miracoloso con un quarto episodio o partirò personalmente ad inibire eventuali sacrileghi registi o sceneggiatori. Tornando a temi più faceti, invece, vorrei far notare un paio di cose che ho adorato. Innanzitutto l’aspetto horror della pellicola, che veniva giusto accennato nei primi due film, nel terzo esplode con i personaggi della bambolina priva di un occhio che ruota la testa nemmeno fosse posseduta e soprattutto con l’orrenda scimmia urlante che batte i piatti, è identica a quella descritta dal buon Stephen King in uno dei racconti della raccolta Scheletri. Seconda cosa, l’aspetto vintage. Innanzitutto vorrei far notare che la Barbie del film indossa la stessa tutina con cui veniva venduta Barbie Aerobica, la prima che mi hanno comprato, datata 1984, e tutto l’immenso guardaroba dell’ambiguo Ken (Lovin’animal Ken, per la cronaca, figlio di una linea di pupazzi talmente trash che all’epoca non avevo nemmeno chiesto a mamma di comprarmi la Barbie in pendent) è ispirato ad abitini realmente esistiti, alcuni dei quali tra l’altro li ho anche visti di persona e ci ho persino giocato. Tra gli altri giocattoli conosciuti anche da noi segnalo il telefono della Fisher Price doppiato da Jerry Scotti e la Fattoria Parlante (qui genialmente utilizzata come roulette per le scommesse d’azzardo con i soldi del Monopoli) della Mattel con la quale ho giocato fino alla nausea da piccina.

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Toy Story 3 ha anche delle gag che possono venire capite solo da chi ha visto i primi due film. Innanzitutto i piccoli alieni verdi diventano finalmente padroni del “Dio Artiglio” che tanto venerano e riescono anche a salvare il loro “papà” Mr. Potato Head, ricambiando il gesto compiuto dalla patata in Toy Story 2. Buzz viene resettato, e riportato alla condizione di borioso e antipatico Ranger Spaziale che tanto odio aveva causato in Woody nel primo film. A proposito di Buzz, la sua versione spagnola è semplicemente strepitosa (come la canzone Hay un amigo en mi cantata dai Gipsy Kings nei titoli di coda..) e lo rende uno dei personaggi migliori del film, anche se i miei preferiti sono, oltre agli ovvi Barbie, Ken e alieni verdi, un Mr. Potato Head che in questo terzo episodio, assieme alla moglie novella Cassandra, da davvero il bianco (la gag della tortilla e del cetriolo sono da antologia) e le new entry: Chuckles il clown triste, i tre pisellini nel baccello e il riccio teatrante. Uno stuolo di guest star tra i doppiatori italiani; intelligentemente ripescati Fabrizio Frizzi e Massimo D’Apporto, rispettivamente nei panni di Woody e Buzz, al già citato Gerry Scotti si aggiungono Claudia Gerini nel ruolo di Barbie, il mitico Fabio De Luigi nel ruolo di Ken e l’inaspettato Giorgio Faletti nel ruolo del clown triste. Siete ancora qui a leggere?? Andatelo a vedereeee!!!!!

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Di Tom Hanks, che in originale doppia Woody, ho già parlato qui, Tim Allen lo trovate qua; Lee Unkrich, finalmente promosso regista, è stato nominato qui mentre un breve profilo di Joan Cusak, la voce di Jessie, lo trovate qua. Tra le guest star che prestano la voce ai personaggi secondari figura anche Timothy Dalton, di cui ho già parlato qui, in questo caso doppiatore del riccio attore Mr. Pricklepants.

Michael Keaton in originale presta la voce a Ken. Geniale attore americano legatissimo al primo Burton (come dimenticare la sua meravigliosa performance come Beetlejuice in Beetlejuice – Spiritello porcello o come Bruce Wayne in Batman e Batman Returns?), negli ultimi tempi purtroppo la sua carriera è finita un po’ sotto tono. Lo ricordo comunque in film come Quattro pazzi in libertà, My Life – questa mia vita, Mi sdoppio in quattro, Jackie Brown, Out of Sight, Jack Frost, White Noise, Herbie – Il supermaggiolino e telefilm come Frasier. Come doppiatore ha lavorato nei film Porco Rosso, Cars – Motori ruggenti e per la serie I Simpson. Ha 59 anni e un film in uscita.

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Woopi Goldberg spunta a sorpresa come doppiatrice di un personaggio molto secondario, quasi invisibile, il polpo Stretch. Eppure questa attrice (che definire solo comica è riduttivo...) è una delle più grandi in assoluto e ha persino vinto l’Oscar come migliore attrice non protagonista per il film Ghost. Tra le sue altre pellicole ricordo Il colore viola, Jumpin’ Jack Flash, Il grande cuore di Clara, Sister Act – Una svitata in abito da suora, Palle in canna, sister Act 2 – Più svitata che mai, Una moglie per papà, Bordello of Blood, Bogus – L’amico immaginario, la versione televisiva di Alice nel Paese delle Meraviglie, Ragazze interrotte e Rat Race; ha inoltre partecipato a un episodio de La Tata, doppiato Il re leone, Pagemaster – Un’avventura meravigliosa, Rugrats – Il film e parecchi episodi di Capitan Planet e i Planeteers. Newyorchese, ha 55 anni e due film in uscita.

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Ned Beatty in originale presta la voce all’orsacchiotto Lotso. Americano, lo ricordo per film come l’inquietante Un tranquillo weekend di paura, Nashville, Tutti gli uomini del presidente, Quinto potere (per il quale è stato nominato all’Oscar come Miglior attore non protagonista), L’Esorcista II: L’eretico, Superman, 1941: Allarme a Hollywood, Superman II, Giocattolo a ore e l’esilarante Riposseduta; ha inoltre partecipato ad episodi delle serie Il tenente Kojak, MASH, Hunter, La signora in giallo, Alfred Hitchcock presenta, Pappa e ciccia, e CSI: Scena del crimine. Ha 78 anni e un film in uscita, Rango: un cartone animato di Gore Verbinski doppiato, tra gli altri, da Johnny Depp, che ha per protagonista un camaleonte in crisi d’identità perso per il deserto… mah!

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Jodi Benson in originale presta la voce a Barbie. Mi sembrava carino spendere due parole per questa attrice americana dalla splendida voce, visto che grazie a lei, nel 1989, ha preso vita la Ariel de La Sirenetta, personaggio a cui è rimasta legata per tutti i seguiti e spin – off nati da quel primo film. Inoltre, ha doppiato personaggi di Nausicaa della Valle del vento, Thumbelina – Pollicina, Flubber – Un professore tra le nuvole, A Bug’s Life, Toy Story 2, Giuseppe il re dei sogni e della serie Hercules, inoltre ha recitato in un episodio del telefilm Hunter. Ha 49 anni.

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E ora, siccome il post è particolarmente lungo, vi lascio semplicemente con il trailer del film… ENJOY!



lunedì 2 agosto 2010

Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi (2004)

In questi ultimi tempi le librerie sono invase da (spesso mediocri) libri sui vampiri e simili amenità, ma se riuscite ad arrivare al reparto della letteratura per ragazzi e ad evitare i mille succhiasangue che ammiccano dalle copertine e scavate un po’, scoprirete una serie di tredici libri scritta dal fantomatico Lemony Snicket: Una serie di sfortunati eventi. Per quanto il tredicesimo libro sia un po’ deludente vale la pena di leggerla, ve lo assicuro. E vale la pena guardare questo delizioso film tratto dai primi tre libri, Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi (Lemony Snicket’s A Series of Unfortunate Events), diretto nel 2004 da Brad Silberling.


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La trama: i tre fratellini Baudelaire, Violet, Klaus e la piccola Sunny rimangono orfani e privi di casa a seguito di un terribile incendio. L’inetto Mr. Poe, incaricato di trovare loro un tutore in attesa che Violet diventi maggiorenne e possa ereditare l’immensa fortuna lasciata dai genitori, li affida ad un loro fantomatico parente, l’orrido Conte Olaf, che non si fermerà davanti a nulla pur di impossessarsi dell’eredità…


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Non è facile parlare dell’opera di Lemony Snicket a chi non ha mai avuto la fortuna di leggere i libri. In poche parole l’autore si fa depositario delle disgrazie dei fratelli Baudelaire e le racconta in prima persona (con tutti i limiti del caso, ovviamente, vuoi per la mancanza di prove, vuoi per depistaggi portati avanti da fantomatici “nemici) privando il lettore di ogni speranza di una risoluzione felice ed immergendolo in un’ironia spietata. Non si può dire però che gli incauti lettori non vengano avvertiti: quasi in ogni pagina ci sono avvertimenti a NON proseguire la lettura, a non farsi illusioni, a non provare neppure a pensare ad un happy end. Il film è molto bello proprio perché ricalca tutti questi aspetti dei libri, ai quali è molto fedele.


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L’inizio è sconcertante. Il film comincia con… le avventure dell’Happy Littlest Elf, un’esilarante e zuccherosa schifezza a cartoni animati che perseguiterà lo spettatore per tutta la pellicola, una specie di “film proiettato nell’altra sala” che il narratore invita ad andare a vedere al posto di Una serie di sfortunati eventi. Da qui si alternano le immagini dello stesso Lemony Snicket, voce narrante dell’intera vicenda, che rimarrà sempre e solo un’ombra priva di identità sullo schermo (proprio come il vero autore, che non è mai stato fotografato…), e le vicende dei tre orfani. Queste ultime ricalcano abbastanza fedelmente la trama dei primi tre libri, che per ovvie ragioni viene condensata: si comincia con Un infausto inizio, si continua con La stanza dei serpenti e La funesta finestra, per poi tornare all’Infausto inizio. In tutto questo ci sono citazioni anche dagli altri libri, talmente criptiche che giusto chi se li ricorda a menadito potrebbe coglierle. La bellezza dei libri, oltre che nella storia talmente “sfigata” e anche abbastanza crudele, bisogna dirlo, sta nell’utilizzo a dir poco fantasioso che l’autore fa della lingua e della grammatica inglese (per questo bisognerebbe leggerli in originale, secondo me) e nel modo in cui riesce a fare parlare la piccola Sunny, poco più che una neonata e quindi apparentemente incapace di esprimersi con un senso compiuto. Apparentemente, perché se la piccola nel libro biascica “Arigato”, l’autore sottolinea il fatto che vorrebbe dire grazie, e via dicendo. Nel film questo non può essere reso nella stessa maniera, ma gli esilaranti sottotitoli che accompagnano i versi di Sunny non sono affatto male, anzi. Anche il finale di Un infausto inizio è stato un po’ modificato. Quando il Conte Olaf arriva a farsi sposare da Violet per ottenere l’eredità con un falso spettacolo teatrale, nel libro il matrimonio viene considerato nullo perché la ragazzina non firma il contratto con la mano “giusta” (on her right hand), bensì con la sinistra. Nel film l’errore viene ricordato (il Conte Olaf ribadisce: “mano destra, prego.”) però viene scelta una soluzione più spettacolare per risolvere il problema del matrimonio.


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Per quando riguarda l’aspetto visivo, il film è uno spettacolo. Gli ambienti sono fatti al 90% in CG, ma non si avverte quel senso di pesante irrealtà che spesso si trova in altre pellicole. Anche i costumi, soprattutto quelli di Violet, sono splendidi, un azzeccato miscuglio di elementi vittoriani e abiti moderni, tanto che dare una collocazione temporale alla storia è praticamente impossibile. Ma ciò che rende veramente spettacolare il film sono gli attori, Jim Carrey su tutti: il suo Conte Olaf non ha nulla da invidiare a quello, già abbastanza perfido e vanesio, dei libri, ma qui si sottolinea alla perfezione anche il suo essere un pessimo attore (sono solo gli adulti ad essere sempre, inevitabilmente, ingannati dai suoi travestimenti farlocchi, nonostante gli Orfani cerchino di avvertirli in ogni modo), soprattutto con l’orrido travestimento da Stephano, “italianissimo” esperto di serpenti. Da Oscar è anche la zia Josephine interpretata da Meryl Streep, una donna dalle mille, irrazionali fobie che non esita a sacrificare gli orfani per il suo bene e quello della sua adorata grammatica; l’adattamento de La funesta finestra è forse il migliore dei tre anche grazie alla perfetta interazione tra la Streep e Carrey, che danno vita a siparietti comici decisamente esilaranti. Insomma, Una serie di sfortunati eventi è un film che consiglio caldamente: chissà che non vi venga voglia di leggere anche i libri…


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Di Jim Carrey, che interpreta il Conte Olaf, ho già parlato qui. Tra i suoi progetti futuri, le solite commedie, un musical e persino un adattamento dei libri della serie Where’s Waldo? (!!), ma nulla di troppo interessante purtroppo. La bravissima Meryl Streep, che nel film ha il ruolo della fobica zia Josephine, la trovate qui, mentre Timothy Spall, che interpreta l’inetto Mr. Poe, è stato nominato qui. Jude Law, che narra la storia nella versione originale, vestendo quindi i panni di Lemony Snicket, lo trovate qui.Tra gli attori spunta anche Dustin Hoffman, in un breve cameo nei panni di critico teatrale.


Brad Silberling è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Casper e City of Angels, assieme ad alcuni episodi di Alfred Hitchcock presenta, NYPD e Giudice Amy. Ha 47 anni.


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Emily Browning interpreta Violet Baudelaire. Australiana, ha recitato in Nave fantasma, Al calar delle tenebre e The Uninvited. Ha 22 anni e due film in uscita, tra cui il nuovo film di Zack Snyder, Sucker Punch: ha un trailer delirante e vagamente trash, non posso perderlo!


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Liam Aiken interpreta Klaus Baudelaire. Newyorchese, ha recitato in Nemiche amiche ed Era mio padre. Ha 20 anni.


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Bill Connolly interpreta lo zio Monty. Scozzese, ha recitato in Proposta indecente, Mai dire ninja, L’ultimo samurai e X – Files – Voglio crederci. Ha doppiato film come Pocahontas, I Muppet nell’isola del tesoro e avuto parti in telefilm come Una famiglia del terzo tipo e Colombo. Ha 68 anni e quattro film in uscita, tra cui I viaggi di Gulliver, dove interpreterà il re dei lillipuziani con Jack Black nei panni del protagonista! Holy shit!


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Catherine O’Hara interpreta il giudice Strauss. Perché cito questa donna? Perché è merito suo se la dolcissima Sally di The Nightmare Before Christmas può parlare e cantare! Già solo per questo meriterebbe un posto d’onore sul mio blog, ma come dimenticare che l’attrice canadese è stata anche l’antipatica Delia di Beetlejuice e la mamma di Macaulay Culkin in Mamma, ho perso l’aereo (e seguito)?Tra gli altri suoi film ricordo Fuori orario, Dick Tracy e Nel paese delle creature selvagge (come doppiatrice), mentre tra i telefilm ai quali ha partecipato ci sono Racconti di mezzanotte, Oltre i limiti e Six Feet Under. Ha 56 anni e due film in uscita.


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Un sacco di facce conosciute tra gli attori impegnati in questo film, soprattutto tra gli scagnozzi del Conte Olaf: l’uomo calvo è Luis Guzmàn, una sorta di Danny Trejo “minore” che avrete sicuramente notato in film come Magnolia e Boogie Nights – L’altra Hollywood; Jennifer Coolidge, che interpreta una delle due donne col cerone sul viso, è stata la famigerata mamma di Stiffler nei film della serie American Pie e ha partecipato anche ad alcuni episodi di Nip/Tuck; infine, Cedric “The Entertainer”, che interpreta l’ispettore, ha prestato la voce al braccio destro del Re Julian di Madascar. In origine doveva essere Tim Burton a dirigere il film, con Johnny Depp nei panni del Conte Olaf e Glenn Close in quelli di zia Josephine. Sicuramente sarebbe stato molto più dark, e chissà cosa ne sarebbe venuto fuori, ma in definitiva non ci si può lamentare del risultato ottenuto, anzi. Vedere per credere: ecco a voi il trailer, così giudicherete. ENJOY!!