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giovedì 28 ottobre 2010

1972: Dracula colpisce ancora (1972)

E’ incredibile ma vero. Pur essendo un’appassionata di horror, fino alla settimana scorsa non mi era mai capitato di vedere nemmeno uno dei mille Dracula interpretati da Christopher Lee. Ho rimediato con un’espressione un po’ atipica di questo filone, ovvero col film 1972: Dracula colpisce ancora! (Dracula A.D. 1972) diretto appunto nel 1972 dal regista Alan Gibson.


Trama: verso la fine dell’800 Dracula viene nuovamente sconfitto dalla sua nemesi Van Helsing. Ma nella Londra dell’anno 1972 un discendente del suo servo più fedele cerca di sfruttare un gruppo di ragazzetti annoiati per fare resuscitare il Conte zannuto…


L’idea di un Dracula catapultato nella swinging London mi faceva già pensare ad una cosa molto trash. Invece, stranamente, questo film è sobrio e molto rispettoso della tradizione “draculiana”. Il fulcro della vicenda infatti non si allontana minimamente dal romanzo di Bram Stocker e tutto verte sulla (ormai) secolare rivalità tra il Conte vampiro e Van Helsing, con l’unica variante che il primo è immortale e quindi non cambierà mai, mentre il secondo ha un’esistenza relativamente breve quindi per continuare la storia bisogna tirare in ballo i suoi discendenti, tra cui una procace nipotina che si limita a fare la parte della vittima sacrificale (i tempi di Buffy erano ancora assai lontani…). Immagino che la pellicola in questione servisse alla Hammer per rimodernare un po’ una storia ormai trita e ritrita che gli spettatori erano stufi di vedere. Non ho idea se, alla fine, l’escamotage ha dato i suoi frutti, ciò nonostante per chi, come me, non è assuefatto al genere e per la prima volta sperimenta uno di questi Dracula, il risultato è piacevole proprio perché non è troppo esagerato o kitsch.


Siccome non ho termini di paragone con i precedenti e seguenti film della serie mi dovrò arrangiare con quello che conosco. Rispetto a pellicole più moderne, 1972: Dracula colpisce ancora! risulta inevitabilmente un po’ datato, nonostante si “spinga” fino a mostrare qualche aspetto più “pruriginoso” legato ai tempi dell’amore libero (gente che copula allegramente sotto i tavoli, piuttosto che fanciulle disposte – orrore! – a cambiare più partner la settimana) e nonostante, palesemente, le donzelle protagoniste non vedano l’ora di farsi azzannare da questo Dracula dallo sguardo pallato ma magnetico. Ovviamente per quanto sex appeal possa avere il nostro Conte non si arriverà mai agli estenti del Dracula di Coppola, siamo pur sempre negli anni ’70 e nell’ambito di una produzione mainstream, però il liquido rosso scorre parecchio, soprattutto in un paio di scene. Gli interpreti che spalleggiano i mostri sacri Lee e Cushing non sono malvagi; soprattutto il ragazzetto che interpreta Alucard è parecchio morboso e invasato e ricorda un pochino il Malcom McDowell dei tempi del divino Arancia Meccanica. Anche le scenografie sono molto evocative: l’interno del club dove la nipotina di Van Helsing viene aggredita, soffuso di luci violette, è molto stiloso, la magione di Van Helsing, colma di libri e opere d’arte (sebbene il ritratto di Dracula sia a dir poco orrendo…) è molto british e, ovviamente, il cimitero con chiesa sconsacrata e nebbia annesse sono un classico. Se vogliamo proprio trovare qualcosa di trash nel film direi che la medaglia viene vinta dal gruppo di strepponi canterini che si appropriano di una casa dell’alta borghesia per fare il loro festino, con sommo disgusto dei padroni di casa, e anche la “messa nera” per evocare Dracula da parecchie soddisfazioni in tal senso. Se lo trovate, in definitiva, guardatelo, è una chicca per appassionati!


Di Christopher Lee, che ovviamente interpreta Dracula, ho già parlato qui. Nonostante abbia la bellezza di 88 anni è ancora attivissimo e tra i prossimi film che lo vedono protagonista c’è anche quello nuovo di Martin Scorsese, Hugo Cabret.

Alan Gibson è il regista del film. Canadese, la sua carriera è stata perlopiù legata a produzioni televisive, tra le quali un paio di episodi di Hammer House of Horror. E’ morto a Londra, all’età di 49 anni.


Peter Cushing interpreta il professor Van Helsing, personaggio a cui è stato legato in una marea di altri film, tra i quali Dracula il vampiro, Le spose di Dracula, I satanici riti di Dracula, La leggenda dei sette vampiri d’oro. Altro pezzo da 90 dei vecchi horror, lo ricordo per il famosissimo Amleto di Sir Lawrence Olivier, La maschera di Frankenstein, La vendetta di Frankenstein, La furia dei Baskerville, La rivolta di Frankenstein, Le cinque chiavi del terrore, La maledizione di Frankenstein, Il sudario della mummia, Distruggete Frankenstein!, Le figlie di Dracula e per il primo Guerre Stellari mentre per la tv ha partecipato ad un episodio di Agente speciale. Inglese, è morto all’età di 81 anni per un cancro alla prostata.


Se vi è piaciuto il film non avete che l’imbarazzo della scelta su cosa vedere dopo, visto che Christopher Lee è stato un Dracula assai prolifico. Però prima di lui c’era Bela Lugosi, quindi forse sarebbe carino rendergli omaggio guardando il Dracula di Tod Browning.  E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!



giovedì 21 ottobre 2010

Cattivissimo me (2010)

E’ bello vedere che i cartoni animati, da che mondo è mondo, non ti ingannano mai. Se un trailer ispira fiducia, al 99% anche il cartone animato sarà bello, mentre se il trailer è un’idiozia si sa già che la pellicola potrà essere evitata a pié pari, cosa che purtroppo non è sempre possibile fare con i film. Nel caso di Cattivissimo me (Despicable me), dei registi Pierre Coffin e Chris Renaud, il film mantiene quel che il trailer promette: momenti esilaranti, personaggi geniali e una storia molto bella.

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Trama: Gru è un supercattivo che si ritrova in una fase di empasse, con le nuove generazioni di criminali che riescono ad eseguire furti molto più spettacolari dei suoi. Per recuperare un’arma indispensabile al suo nuovo piano decide di adottare tre adorabili bimbette, con l’intenzione di sbarazzarsene una volta raggiunto lo scopo, ma col tempo anche il cattivissimo Gru scopre di avere ancora un cuore…

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Il primo esponente dell’”invasione dei supercattivi animati” (sotto Natale uscirà Megamind) merita davvero anche più di una visione. Dopo Monsters & co. e il più recente Mostri contro Alieni, che raccontavano il punto di vista di mostri comunque buoni, ora finalmente gli animatori hanno fatto il salto di qualità e hanno deciso di raccontare la storia dal punto di vista di un cattivo vero e proprio, creando una storia godibile a più livelli, allo stesso tempo più adulta ma anche più infantile rispetto a quelle dei suoi due “predecessori”. Gru è davvero despicable, ovvero spregevole più che cattivissimo: scoppia palloncini ai bambini, ghiaccia le persone in coda davanti a lui, spacca le macchine parcheggiate, inquina l’aria, minaccia i vicini, ruba e chi più ne ha più ne metta, senza contare che non si vergogna assolutamente del suo modo di essere. Però c’è qualcosa, oltre alla “mostruosità”, che lo lega ai protagonisti degli altri due film che ho citato: oltre che uno stile di vita quello di essere malvagio per lui è anche un lavoro. E qui la sceneggiatura apre la via a una feroce ed acutissima satira legata all’attuale crisi globale e USA, presentandoci un’inquietantissima Banca del male (ex Lehman Brothers, ovviamente!), uno stuolo di collaboratori stipendiati dallo stesso Gru per aiutarlo nelle sue imprese criminali (i meravigliosi Minions, presenza preponderante del film, il cui nome è proprio quello con cui si indicano comunemente i tirapiedi in inglese) e l’incubo della disoccupazione e del licenziamento per mancanza di fondi. Questa satira, ovviamente, viene addolcita dalla parte più infantile e formativa del film, quella in cui Gru, grazie all’arrivo delle tre meravigliose pesti che è costretto ad adottare per seguire uno dei suoi piani, si riscopre umano e molto più abile come papà che come cattivo, insegnando così ai piccoli spettatori che il calore di una famiglia, per quanto strana, è la cosa più importante nella vita. Credo sia la prima volta che mi capita di vedere il passato del protagonista di un cartone animato, segnato dalla presenza di una madre insensibile e distante, utilizzato come giustificazione del suo carattere: Gru si commuove nel leggere la storia dei tre micini e della loro dolce mamma e si rifiuta fino all’ultimo di dare il bacio della buonanotte alle bimbe, memore di un’infanzia priva di affetto. L’ovvia catarsi finale porta anche la mamma di Gru a ravvedersi, ma non troppo in fin dei conti.

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Al di là dei significati più seri, però, parliamo di quello che alla fine mi attira inevitabilmente al cinema a vedere questo tipo di cartoni: lo sterminato numero di gag. Cattivissimo me è popolato da personaggi secondari uno più esilarante e meglio caratterizzato dell’altro, che sono un degno complemento dello splendido protagonista e che, spesso, gli rubano la scena. Le tre bimbette sono deliziose e ognuna di loro racchiude in sé un aspetto di Gru: la più grande è caustica ed intelligente, quella di mezzo è “malvagia” quanto lui e la piccoletta, pucciosetta da morire, incarna tutta l’infantile innocenza che il Cattivissimo nasconde nel cuore. L’interazione della strana famigliola crea delle situazioni divertentissime (la scena in cui Gru, dopo aver abbandonato le piccole, si trova una testa di bambola nel letto, come succede ad uno dei protagonisti del Padrino, ha rischiato di uccidermi dalle risate), ma mai divertenti come quelle a cui danno vita lo sterminato numero di Minions. Questi esserini giallini, dal vocabolario ridottissimo e dall’intelligenza ancora più ridotta, entrano nel cuore, tanto che questo è l’unico cartone animato che merita i soldi del 3D solo per come consente di vedere il siparietto di queste creature che cercano, durante i titoli di coda, di raggiungere il pubblico in sala inventandosi mille modi per uscire dallo schermo. I miei momenti preferiti comunque sono quelli in cui i Minions al supermercato si mettono a cantare Copacabana versione karaoke, quando si mettono in fila per ricevere il bacino di Gru e tutte le volte che si picchiano o si fanno i dispetti. Dovrebbero emanare una legge che obblighi la presenza nelle case di almeno dieci o venti di queste bestiette, sul serio.

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Vorrei spendere due parole anche per lo sfigatissimo villain Vector, con le sue armi lancia – piranha e seppie, la panza che esce dalla tutina attillata e il mega impianto per la Wii sopra una gigantesca vasca per gli squali, per il geniale Dottor Nefarius, che con la sua sordità crea invenzioni impagabili come i disco – robot e lo sparapuzzette, per l’infamissima direttrice dell’orfanotrofio che infila le bambine nella scatola della vergogna e si emoziona quando Gru la chiama “burro” in spagnolo, dandole dell’asino, e infine per le cariatidi che reggono le colonne del corridoio della banca del male, sempre più gobbe mano a mano che Gru lo percorre, finché l’ultima è definitivamente spiaccicata sotto il loro peso. Spettacolare poi l’inizio, un’impietosa satira del turista americano medio e una stilettata cattivissima agli australiani, il cui monumento nazionale parrebbe essere un’enorme lattina di birra. Non è tutto oro quello che luccica, ovviamente. Per esempio, per quanto non disdegni mai un tocco di sano trash, le citazioni musicali anni ’70 ormai hanno fatto il loro tempo, e il balletto finale dei personaggi sulle note di You Should Be Dancing dei Bee Gees è un po’ troppo tirato per i capelli e risulta decisamente banale, quasi un riempitivo per allungare il cartone. E cacca a piene mani sulla versione italiana di Cattivissimo me: dopo un bellissimo doppiaggio e un’accettabile canzone di Giorgia mi ci mettete un’orrida patacca del Mercatone Uno a coprire l’insegna del supermercato dove vanno a comprare i Minions??? Ma è come se al posto dell’insegna del Kwick – e – mart di Apu ci mettessero quella del Dìperdì! Vorrei davvero sapere chi è l’imbecille che ha tirato fuori una simile idea solo per raccattare due soldi di sponsor, visto che l’immagine che ne risulta è decisamente imbarazzante… Ma, a parte questo, Cattivissimo me è un altro film che mi sento di consigliare vivamente.

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Di Julie Andrews, che in originale doppia la stronzissima madre di Gru, ho già parlato qui, mentre Will Arnett, che presta la voce al cupo Mr. Perkins, lo trovate qua.

Pierre Coffin è uno dei due registi del film, al suo secondo lavoro. Francese, ha 43 anni.

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Chris Renaud è l’altro regista del film, anche lui al secondo lavoro dopo aver già diretto un corto che ha per protagonista lo Scrat de L’era glaciale. Americano, ha 44 anni.

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Steve Carell doppia Gru nella versione originale. Ammetto di non amare troppo quello che è uno dei più “nuovi” comici americani, anche se la sua interpretazione in Little Miss Sunshine è fenomenale, però qualche film dove compare l’ho visto, come Una settimana da Dio e Anchorman: The Legend of Ron Burgundy. Ha 48 anni e due film in uscita. 

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Jason Segel presta la voce a Vector nella versione originale. Questo attore rimarrà sempre nel mio cuore per il ruolo del tontolone Marshall nella serie How I Met Your Mother (no, il titolo italiano non me lo farete mai dire, mi fa schifo!), ma ha anche altri titoli all’attivo come Giovani pazzi e svitati e Ore 11:14 – Destino fatale. Ha partecipato alle serie Alias e CSI, oltre ad aver doppiato un episodio de I griffin. Americano, ha 30 anni e quattro film in uscita, tra cui un probabile film dei Muppet.

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Del film è già in cantiere un seguito, i cui dettagli sono ancora top secret, che dovrebbe uscire nel 2013, e sicuramente un paio di corti che avranno per protagonisti i meravigliosi Minion. E ora, vi lascio con il trailer originale del film, così potrete sentire come Gru, nella versione USA, abbia un meraviglioso accento à la Bela Lugosi che, purtroppo, nell’interpretazione italiana del pur bravo Max Giusti si perde. ENJOY!




martedì 19 ottobre 2010

The Town (2010)

Temo che quest’anno cinematografico mi porterà a dover rivalutare qualche attore e regista che non ho mai amato. Prima mi è toccato ammettere che Leonardo Di Caprio è migliorato nel tempo fino a riuscire a sostenere una meraviglia come Inception, ora mi tocca ammettere che Ben Affleck è un bravo regista (come attore ho ancora qualche riserva, insomma…) e consigliare il suo ultimo film, The Town, tratto dal libro Prince of Thieves scritto nel 2004 dallo scrittore americano Chuck Hogan.

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Trama: Doug MacRay è un abilissimo ladro che, con i suoi tre compagni di sempre, si è specializzato nel rapinare banche e furgoni portavalori. Durante l’ultima rapina lui e i suoi prendono in ostaggio il direttore della banca, Claire. Dopo la traumatica esperienza, la ragazza viene contattata dall’FBI, e Doug decide di avvicinarsi a lei per scoprire quel che sa, solo per ritrovarsi innamorato perso, ricambiato e a rischio di compromettere l’intera banda…

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Io sono un po’ di parte, lo ammetto. Chi mi conosce sa che, forse prima ancora degli horror, i film che mi fanno veramente uscire di testa sono quelli imperniati su piccole bande di malviventi, ladri o mafiosi, pellicole che raccontano modi e luoghi del sottobosco criminale. Inutile dire, quindi, che Casinò e Quei bravi ragazzi di Scorsese, piuttosto che Il Padrino, passando per Sleepers fino ad arrivare a I Sopranos sono cose che riguarderei mille volte senza stancarmi mai. The Town omaggia, in parte, tutti questi film e serie, spostando l’”azione” in una realtà a me sconosciuta, la Charlestown di Boston, che a quanto pare è la culla dei rapinatori di banche. Il film quindi, come i grandi precursori, non si limita a mostrarci semplicemente le rapine, la lotta con l’FBI, le violenze che circondano queste persone, ma anche la loro vita, le personalità e i problemi dei singoli criminali. Ben Affleck in particolare si concentra sui due opposti, il pacato e ragionevole Doug, il cui unico sogno è di lasciarsi alle spalle Charlestown, e il violento Jim, suo migliore amico e quasi fratello, figlio immutabile della realtà in cui è nato e cresciuto. Fulcro del loro contrasto, come in ogni storia criminale che si rispetti, una donna, la semplice Claire, outsider in più di un senso in quanto estranea sia alla realtà quasi mafiosa in cui sono invischiati i protagonisti che alla città in cui vivono, e forse per questo l’unica in grado di catturare occhi e cuore di Doug, portandolo via da amici, complici, ex fidanzate e presunte figlie illegittime.

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The Town è molto ben fatto, come regista Ben Affleck è decisamente meglio che come attore. Splendide le rapine che ci vengono mostrate, con un montaggio serratissimo e l’idea inquietante di far indossare alla banda delle maschere di gomma (le suore fanno molto più senso degli scheletri, effettivamente…), emblematiche alcune immagini, come quella di Claire che cammina bendata e a piedi nudi verso la riva del mare (“Credevo che prima o poi avrei sentito il vuoto e sarei caduta…”) o come quella in cui il bastardissimo fioraio Fergie, tra parentesi il personaggio più riuscito del film assieme al folle Jim, mette il protagonista davanti ad una spiacevole verità mentre ripulisce le rose con un coltello, tagliando con violenza spine e foglie. Purtroppo Affleck, a differenza dei grandi autori, è immaturo ancora e si concede a qualche ingenuità o, peggio, a qualche desiderio del pubblico femminile (le immagini in cui si mostra seminudo a balestrarsi sono sicuramente piacevoli ma inutili, a pensarci bene…), e quel che ne risente è, paradossalmente, proprio la love story che dovrebbe essere il fulcro del film. Troppo inverosimile, nata dal nulla e basata su una reciproca tristezza che, lungi dall’essere commovente, strappa delle matte risate: il direttore di banca sarà anche caruccetto (anche se indossa sempre la stessa roba, bisogna dirlo…) ma vorrei sapere in quale mondo un rapinatore si prenderebbe il tempo di sussurrarle con voce suadente per calmarla mentre cerca di aprire la cassaforte, senza contare che i due si innamorano seguendo battute trite e ritrite con l’aggiunta di roba come: “Ah, che bella giornata di sole!” “No, a me le giornate di sole ricordano quando il mio fratellino è morto…” “Ah diamine, non lo sapevo. Beh, che dire, mia madre ha abbandonato me e quell’ubriacone di mio padre quando ero piccolo, ho passato mesi a cercarla come un fesso, consolati…” Ma ammazzatevi, che sfiga santo cielo!! A fronte di questo, ben venga un personaggio come quello di Jim, che almeno vivacizza il tutto con degli scatti di follia (e per fortuna Affleck non ha tentato l’omaggio a Joe Pesci, dando all’irlandesotto un’impronta abbastanza personale, sennò sarebbe stato passabile di fucilazione) e riporta il film sul giusto binario. Nonostante questo, comunque, The Town è davvero un bel film che merita di essere visto.

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Di Ben Affleck, regista ed interprete del protagonista, ho parlato qui, mentre l’ubiquo Pete Postlethwaite, che interpreta Fergie, lo trovate qui.

Rebecca Hall interpreta Claire. Inglese, ha partecipato a film come The Prestige, Vicky Cristina Barcellona e Dorian Gray. La sua carriera è solo all’inizio quindi! Ha 28 anni e tre film in uscita.

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Jeremy Renner interpreta James Coughlin. Californiano, ha partecipato a film come North Country e 28 settimane dopo oltre che a serie tv come Angel, CSI e Dr. House. Ha 39 anni e quattro film in uscita, tra cui The Avengers, dove avrà il ruolo di Occhio di falco.

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Chris Cooper interpreta Stephen MacRay, il padre del protagonista. Bravissimo attore che ricorderò sempre nei panni dell’ambiguo vicino di Kevin Spacey nello splendido American Beauty, tra gli altri suoi film segnalo Io me & Irene, Il patriota, l’ammorbante Seabiscuit, Capote e Syriana; ha inoltre partecipato a serie come Miami Vice e Law & Order. Americano, ha 59 anni e un film in uscita.

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E ora qualche curiosità: Titus Welliver, che interpreta l’agente Dino, è un attore che sicuramente i fanatici di Lost ricorderanno bene, visto che ha dato volto e voce al fantomatico “Uomo nero”, il fratello/avversario di Jacob nell’ultima serie. Peccato invece per il povero Victor Garber, attore che io adoro e che interpretava il padre di Sydney Bristow in Alias, che si riduce ad una comparsata da sfigato nei primi dieci minuti di film. Vi lascio quindi con il trailer originale del film... ENJOY!




martedì 12 ottobre 2010

13 Beloved (2006)

Da quando ho cominciato a spaziare per la cinematografia mondiale, ho scoperto che, al 99%, i film tailandesi mi ammorbano. Per fortuna non è stato così con il particolarissimo 13 Beloved (13 game sayawng), diretto nel 2006 dal regista Chukiat Sakveerakul.

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Trama: Pusit (che nei sottotitoli inglesi viene chiamato Chit, chissà perché…) è un impiegatucolo che, oltre ad essere senza fidanzata, senza macchina e senza soldi, sta anche per essere licenziato. A “salvarlo” da questa sequenza ininterrotta di sfiga arriva una misteriosa telefonata che gli comunica di essere stato scelto per un gioco: il nostro eroe dovrà superare 13 prove, alla fine delle quali diventerà ricco da far schifo. Fosse così facile…

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Prendete un qualsiasi Fantozzi della nostra generazione ed unite la commedia e la satira sociale ad una sorta di Saw; riuscirete, forse, a farvi un’idea di cosa sia 13 Beloved. Un film che non può essere definito semplicemente horror e che, nonostante sia legato ad una cultura così diversa dalla nostra, ci è vicino in più di un senso. I problemi di Pusit sono assai simili a quelli di qualsiasi altro suo coetaneo occidentale, almeno all’apparenza. Chi non sarebbe invogliato (almeno dalle prime due prove, ovviamente, poi io personalmente mi sarei arresa…) almeno a provare a vincere quei soldi così facili che, in quanto tali, diventano il miraggio per risolvere tutti i problemi? Purtroppo, a questo mondo, non si fa nulla per nulla e spesso e volentieri per arricchirsi serve una discreta mancanza di scrupoli. Esagerando, si può dire che 13 Beloved è una metafora del mondo in cui viviamo: alienato, prigioniero di miti irraggiungibili, dove le persone “normali” vengono inghiottite fino a sparire, dove vincono i più furbi e dove, soprattutto, chiunque nasconde la sua natura di bestia dietro una facciata di normalità. Il regista ci vuole dire che, se messo alle strette e pressato, toccato nella sua sopravvivenza economica e sociale, chiunque può mettere da parte gli scrupoli e andare avanti come un tir per la sua strada, senza guardare in faccia nessuno. Non è permessa nessuna debolezza, o si viene spazzati via.

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13 Beloved, intelligentemente, lascia la spiegazione “morale” dell’intera vicenda ad un occhio al contempo crudele ed innocente (ovviamente non vi tolgo la sorpresa di sapere chi c’è dietro al gioco), che si contrappone a quello incredulo dell’amica del protagonista, destinata ad essere semplice ed impotente testimone del progressivo degrado di Pusit. Quanto a quest’ultimo, il regista ci aiuta ad entrare nella sua mente, a capire le sue scelte e le sue azioni con pochi flashback ben mirati, che puntano su un’infanzia di sottomissione alla madre iperprotettiva e abusi da parte del padre schifosamente bastardo. Altro aspetto che io, personalmente, ho gradito molto, è l’abbondanza di scene ironiche, soprattutto nella prima metà del film: l’immagine di Pusit che malmena un bullo a colpi di zampa di porco mentre la gente rimane semplicemente a guardare e oppone una blanda resistenza è da antologia, ma ce ne sono mille altre, la maggior parte delle quali imperniata su una visione del popolo tailandese che, a quanto ci mostra un loro connazionale, è composto da gente caciarona, stordita e di un’ignoranza fuori dal comune (i familiari del vecchietto bloccato nel pozzo sono emblematici…). Quanto a ciò che costituisce l’ossatura stessa del film, ovvero le 13 prove, spaziano senza soluzione di continuità dal disgustoso al “normale” al gore; interessante e molto ben fatta quella del filo di metallo teso su una strada trafficata, leggendaria e schifosa quella del ristorante cinese e toccante quella in cui viene chiesto a Pusit di fare piangere almeno tre bambini. Sarà che i pargoletti utilizzati nella scena sono deliziosi, ma quando uno di loro si mette a piangere stringendo nei pugni la gamba dei pantaloni del protagonista sono arrivata a sentirmi merda io per lui. Nonostante si riesca a trovare solo in lingua originale (e purtroppo il tailandese suona davvero come un’ininterrotta e piatta nenia…) con sottotitoli, vi consiglio di provare a guardarlo, perché 13 Beloved è davvero un film interessante.

Chukiat Sakveerakul è regista e sceneggiatore del film. 13 Beloved è il secondo dei suoi quattro film, che spaziano dalla ghost story alla commedia fino ad arrivare al dramma gay. Tailandese, ha 29 anni.

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Krissada Terrence interpreta il protagonista, Pusit. 13 Beloved è stato l’ultimo dei tre film ai quali ha partecipato, il primo dei quali è una commedia musicale dal titolo The Adventures of Iron Pussy (!!), che narra le avventure di un travestito agente segreto. Devo assolutamente trovarlo, nulla può essere più trash. L’attore tailandese, che è anche cantante in una band pop, ha 40 anni.

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Del film esistono due versioni, una delle quali è priva delle scene più gore e di parecchie immagini relative alla disgustosa quinta prova. Riguardo a quest’ultima, il piatto che deve ingerire Pusit è fatto in realtà con durian (un frutto tipico del sudest asiatico che pare puzzi da morire ma abbia un sapore divino), sciroppo e anacardi. Chi ha visto il film provi a ricostruire la scena, mentre chi non l’ha visto cerchi di immaginare il contenuto del piatto in base agli ingredienti! E ora vi lascio col trailer della versione inglese del DVD... ENJOY!!






giovedì 7 ottobre 2010

A Perfect Getaway - Una perfetta via di fuga (2009)

Mah, tante volte me le vado a cercare. Nonostante i pareri contrari di chi lo aveva già visto, in questi giorni mi sono messa a guardare A Perfect Getaway – Una perfetta via di fuga (il titolo originale è, appunto, A Perfect Getaway; notare che in questo caso “getaway” sarebbe dovuto venire tradotto con “vacanza” visto che la via di fuga non c’entra davvero nulla…), diretto e sceneggiato nel 2009 dal regista David Twohy.



Trama: Cydney e Cliff sono due neosposi che decidono di passare la luna di miele alle Hawaii. Durante la vacanza vengono a scoprire che c’è in giro una coppia di assassini che ha già fatto fuori due sposini e, guarda un po’, lo scoprono proprio quando incontrano altri due fidanzati in vacanza come loro. Ovviamente il “gioco”, per lo spettatore, sarà scoprire quale coppia è quella omicida, considerato che in giro ce n’è anche una terza…



Quando un film si basa sul gioco di sospetti, l’importante è tenere in sospeso lo spettatore fino all’ultimo, possibilmente rendendogli difficile l’”indagine”. Purtroppo A Perfect Getaway fallisce proprio su questo punto fondamentale, o forse sono io che ne ho visti troppi di film per sorprendermi. Sta di fatto che un limitato dubbio si può magari avere fino a metà film, ma tolti un paio di personaggi la soluzione è palese agli occhi dello spettatore smaliziato. Palese ovviamente non significa logica, beninteso: le forzature per fare quadrare il tutto sono da lacrime agli occhi. Provate a riguardare il film col senno di poi e a ripensare ai dialoghi e capirete che la giustificazione trovata dallo sceneggiatore/regista è parecchio fuffosa e, a dirla tutta, anche il finale è assurdo: perché fare tutto quel casino per poi rinunciare all’ultimo? Ho capito che qui si parla di fanciulle deluse nei sentimenti (ma quali sentimenti, poi…?) però il ragionamento non fila comunque, come non fila affatto il motivo per cui gli assassini uccidono, troppo pretenzioso e altisonante per un film simile.



Peccato, perché la realizzazione di A Perfect Getaway non è male. Al di là della fotografia pulitissima che ci mostra eccezionali immagini da cartolina, verso metà film il regista risveglia anche la creatività e sbulacca, soprattutto al momento della risoluzione dell’arcano: flashback in bianco e nero, immagini passate che si sovrappongono a quelle presenti, uno schermo diviso in tre parti per mostrare tre eventi che avvengono nello stesso momento…una botta di vita, insomma, forse per svegliare un po’ lo spettatore che, come me, si aspettava uno slasher alla Blood Trails, per intenderci, e che invece deve limitarsi a fare il conto delle gocce di sangue, centellinato in un paio di ferite guaribili con un cerotto o poco più. Bravi gli attori, detestabili i personaggi, soprattutto quello di Timothy Olyphant, un ex soldato sottuttoio, sbruffone e antipatico. “Simpatico” invece lo sceneggiatore, che ha pensato bene di prendersi in giro e fare un po’ di metacinema creando il personaggio di Steve Zahn, sceneggiatore mediocre che per tutto il film se ne esce con battute del tipo “Ah, se ci trovassimo in una mia sceneggiatura a quest’ora succederebbe così, così e cosà…”. Ma per favore. L’unica citazione veramente divertente (per chi conosce la storia, ovvio…) è vedere Cydney dichiarare di non avere mai fatto uso di cannabis in vita sua, quando invece la Jovovich all’epoca fece parecchio scandalo per una serie di foto dove posava con un bel cannone in mano. Passate oltre, gente, passate oltre. A Perfect Getaway sta bene a prendere la polvere in qualche sperduto Blockbuster, visto che non è buono nemmeno per offrire qualche perla trash. O al limite potrebbe portarvi a chiedere perché mai qualcuno a cui è stata impiantata una placca metallica in testa riuscirebbe ad approfittarsene per passare i controlli in aeroporto e portarsi dietro un coltello da caccia attaccato alla caviglia, visto che nella realtà lo prenderebbero da parte per rivoltarlo come un calzino.



Di Timothy Olyphant, che interpreta Nick, ho già parlato qui.

David Twohy è il regista e sceneggiatore del film. Californiano, e responsabile di brutture di cui non voglio nemmeno parlare, come Pitch Black e Le cronache di Riddick, ha 55 anni.



Milla Jovovich interpreta la novella sposina Cydney. L’attrice ucraina ha cominciato la carriera giovanissima, come fotomodella, per poi diventare l’”erede” di Brooke Shields quando le è stato offerto il ruolo di protagonista nel fuffoso Ritorno alla Laguna Blu. Da quel momento in poi la sua carriera è stata un crescendo, grazie anche al matrimonio (ora finito) con il regista Luc Besson, che l’ha voluta nel carinissimo Il quinto elemento e nel meno bello Giovanna D’Arco. Ora i più la conoscono come la cacciatrice di zombie Alice nell’infinita serie di pellicole dedicate a Resident Evil (qualche settimana fa è uscito nelle sale italiane l’ultimo capitolo in 3D, Resident Evil: Afterlife) però ha girato anche altri film, tra i quali ricordo Charlot, The Million Dollar Hotel e Zoolander. Ha 35 anni e sette film in uscita, tra cui uno che mi interessa particolarmente in quanto ennesima versione di un romanzo che amo molto, I tre moschettieri. Questa volta c’è nientemeno che Christoph Waltz a fare Richelieu, potrei forse perdermelo??!! Peraltro sul Twitter della buona Milla se ne può seguire la realizzazione passo per passo quasi in tempo reale.



Steve Zahn interpreta invece lo sposino, Cliff. Americano, ha partecipato a film come Giovani carini e disoccupati, Allarme rosso, Out of Sight e C’è post@ per te e doppiato Stuart Little – Un topolino in gamba, Il dottor Dolittle 2 e Stuart Little 2; ha inoltre recitato nei telefilm Friends e Monk. Ha 43 anni e quattro film in uscita.



E ora un paio di curiosità. Per la serie “dove ho già visto questa faccia?”, i fan di Lost potranno riconoscere in Gina (interpretata da Kiele Sanchez) una dei due fidanzatini sfigati che vengono erroneamente sepolti vivi con dei diamanti in saccoccia. Parliamo invece ora della coppia di strapponi, Cleo e Kale: lei è interpretata da Marley Shelton, ovvero la Dottoressa Dakota di Planet Terror, la prima vittima del killer in Sin City e la ragazza concupita da Tobey Maguire in Pleasantville; lui invece è interpretato dall’australiano Chris Hemsworth, che in quanto tale ha ovviamente recitato nella soap Home & Away e che diventerà famoso quando uscirà Thor, visto che sarà lui ad interpretare il dio del tuono. Paradossalmente, di un film così mediocre esiste anche un Director’s Cut che nulla aggiunge a quanto si vede nella versione normale. Volete davvero gustarvi le epiche vicende di una vacanza andata male? Andate sul sicuro con l’Hostel di Eli Roth. ENJOY!


venerdì 1 ottobre 2010

Inception (2010)

Che trip, è proprio il caso di dirlo. E’ difficile uscire dall’atmosfera onirica di Inception di Christopher Nolan, soprattutto è difficile recensirlo a caldo dopo solo una visione, visto che sicuramente avrò perso l’80% dei dettagli, ma posso provarci.


Trama: Cobb è una sorta di ladro “onirico”, in grado di entrare nei sogni della gente, nel loro subconscio, e di rubare loro i segreti più nascosti, grazie anche ad un valido gruppo di abili aiutanti. Il suo desiderio più grande è quello di tornare, dopo anni, a casa dai suoi figli, cosa che non può fare a causa di un mandato di arresto internazionale. L’unico che può esaudire il suo desiderio è il potente magnate Saito, che gli commissiona non di rubare un’idea, ma di impiantarla nella mente del figlio del suo diretto concorrente. Inutile dire che la cosa non sarà facile…



Miracolo. Finalmente sono riuscita ad andare a vedere un film colmo di effetti speciali funzionali alla trama che il regista ha RIFIUTATO di girare in 3D. E vai col primo punto a favore. Un film commerciale sì ma privo di attorucoli adolescenti o iperfighe incapaci di recitare messi solo per fare audience. Secondo punto a favore. Un film che, sebbene sia stato sicuramente ispirato da qualcosa di già esistente, non è né un remake, né un reboot, né un sequel, né un prequel, ma una storia concepita e scritta ex novo dal regista. Terzo, importantissimo punto a favore. Inception è una gioia per gli occhi e per le orecchie, ed è un esercizio mentale non da poco. Rinuncio in partenza ad avvallare o confutare tutte le teorie psichiche ed oniriche che stanno alla base della complicatissima trama, perché i tecnicismi di base mi sfuggono e giuro che se nel film ci sono delle incongruenze o dei passaggi illogici non li ho assolutamente colti, ma anche se fosse: chi se ne frega. La pellicola di Nolan per me è stata una perfetta scatola cinese, un rompicapo costruito da mille fili diversi che il regista snoda con maestria fino alla fine, trovando di ognuno un capo e una coda. Non sono solo il sogno e la realtà che si mescolano, ma i sogni con altri sogni, la fantascienza con lo spionaggio, l’avventura con l’introspezione psicologica; Inception non si limita a mostrarci paesaggi a base di CGI conditi con gran paroloni, ma ci fa affondare nella mente di un uomo che ha perso tutto per avere giocato con qualcosa di troppo difficile da capire e che ora è completamente alla deriva, un uomo che ha rovinato la sua vita per sperimentarne un’altra, e che ora è tormentato dai sensi di colpa e dai rimpianti. Un vecchio nel corpo di un giovane, il cui animo viene esplorato e penetrato principalmente grazie all’innocenza di una ragazza che invece la vita deve ancora iniziarla, e che gioca con i sogni con tutta la meraviglia e la fiducia in sé stessa tipica di qualsiasi adolescente. Un subconscio forte e complesso, che cerca di forzare quello di un altro giovane uomo che deve cominciare la propria vita da solo, dopo essere uscito dall’ombra di un padre opprimente e distante; un’operazione che potrebbe rivelarsi semplicemente devastante oppure, anche se compiuta per scopi meno che nobili, salvifica e positiva. E questo ci porta al quarto punto a favore del film, il finale. Semplicemente diabolico.



La realizzazione del tutto è magistrale. Ci sono moltissime immagini che mi hanno colpita, tutte scandite dalla splendida colonna sonora di Hans Zimmer. Prima fa tutte l’intera sequenza che mostra allo spettatore i tre livelli del sogno in contemporanea: il furgone che cade nel fiume al ralenti, secondi che diventano lunghissimi minuti, durante i quali, in un altro “piano”, Joseph Gordon – Levitt oscilla privo di gravità e combatte assecondando i movimenti del suo corpo addormentato, mentre in un altro piano il resto dei personaggi affronta una battaglia nella neve quasi impossibile, e su tutto incombe una Non je ne regrette rien che a tratti si sente normalmente, a tratti viene distorta e resa lentissima, rimbombante, tanto da non sembrare neppure la canzone di Edith Piaf. E poi, molto più semplicemente, mi ha spiazzata la scena in cui Ariadne piega completamente le leggi della fisica nel sogno di Cobb, creando una Parigi priva di cielo, con palazzi e strade al suo posto. Ci sarebbero mille altre scene da citare, però non voglio rovinarvi il gusto della sorpresa. Mi limiterò ad aggiungere che gli attori sono tutti perfetti, a partire da “faccia da pancotto” Di Caprio, che in questo film finalmente ha smesso di essere bolso come negli ultimi che avevo visto; voto 10 a Joseph Gordon – Levitt che interpreta una spalla stilosa e professionale da morire, all’affascinante e raffinatissima dark lady di Marion Cotillard e all’ambiguo Ken Watanabe, con il suo personaggio in bilico tra avida “cattiveria” e un animo essenzialmente zen. Detto questo, l’anno cinematografico appena iniziato non poteva venire inaugurato meglio.


Di Leonardo Di Caprio, che interpreta Cobb, ho già parlato quiCillian Murphy, alias Robert Fischer, è stato nominato qua, mentre Pete Postlethwaite, che appare nel ruolo del padre morente di Fischer, lo trovate qui.

Christopher Nolan è regista e sceneggiatore del film. Autore completo e molto interessante, tra i suoi film ricordo il particolarissimo Memento, Insomnia, Batman Begins, The Prestige e Il cavaliere oscuro. Inglese, ha 40 anni e un terzo film di Batman in progetto.



Joseph Gordon – Levitt interpreta Arthur. Va bene, io sono di parte, visto che seguo questo ragazzo da quando, all’età di 15 anni, recitava nell’esilarante Una famiglia del terzo tipo con il ruolo di Tommy, il vecchio alieno nel corpo di adolescente. Adesso è cresciuto e la sua bravura non è calata, anzi. Tra i suoi altri film ricordo Beethoven, Halloween 20 anni dopo, 10 cose che odio di te e (500) giorni insieme mentre per la tv ha recitato in Casa Keaton, La signora in giallo, Pappa e ciccia, That’s 70’s Show, Oltre i limiti e Numb3rs. Americano, ha 29 anni e quattro film in uscita. Quando e se uscirà il Batman nuovo di Christopher Nolan per lui dovrebbe esserci pronto un ruolo ereditato nientemeno che dal mitico Jim Carrey: quello dell’Enigmista. 


 
Michael Caine (il cui vero nome è Maurice Joseph Micklewhite) compare in un cameo nel ruolo di Miles, il vecchio mentore di Cobb. Uno dei più grandi attori inglesi e, ultimamente, feticcio di Nolan visto che compare in quasi tutti i suoi film, lo ricordo per pellicole come Un colpo all’italiana, Vestito per uccidere, Hannah e le sue sorelle (per il quale ha vinto l’Oscar come migliore attore non protagonista), Lo squalo 4: la vendetta, Festa in casa Muppet, Blood and Wine, Le regole della casa del sidro (per il quale ha vinto il suo secondo e meritato Oscar come migliore attore non protagonista), Austin Powers in Goldmember, Batman Begins, The Prestige Il cavaliere oscuro. Ha 77 anni e tre film in uscita. Nel prossimo Batman di Nolan lui dovrebbe riprendere il ruolo del maggiordomo Alfred.


Ellen Page interpreta Ariadne. Giovanissima attrice canadese già nominata all’Oscar come miglior attrice protagonista per il film Juno, ha partecipato anche a Hard Candy e X – Men: conflitto finale (col ruolo di Kitty Pride), inoltre ha prestato la voce per un episodio de I Simpson. Ha 23 anni e due film in uscita.


Lukas Haas
 appare nella prima parte del film nei panni dell’”architetto” Nash. L’attore americano nei miei ricordi di bambina rimarrà sempre il ragazzino protagonista dell’inquietante Scarlatti, il thriller, ma nel frattempo è ovviamente cresciuto (malissimo!!), e tra i suoi altri film segnalo Witness – Il testimone, Mars Attacks! Long Time Dead. Ha anche partecipato a serie come Ai confini della realtà, Le avventure del giovane Indiana Jones, 24 Criminal Minds. Ha 34 anni e quattro film in uscita.


Tra gli altri, bravissimi attori coinvolti segnalo Ken Watanabe (attore giapponese già apparso in film come L’ultimo samurai e Memorie di una Geisha) nel ruolo di Saito, Tom Hardy (attore inglese già apparso in Maria Antonietta e Rocknrolla) nel ruolo di Eames e Marion Cotillard (attrice francese già apparsa nel Big Fish di Tim Burton e ne La vie en rose, biopic dedicato ad Edith Piaf, la cantante di Non je ne regrette rien, utilizzata dai protagonisti del film come sfondo per ogni risveglio.) nei panni della moglie di Cobb, Mal. ENJOY!