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martedì 30 settembre 2014

L'impero dei Lupin (1991)

Dopo la zamarreide di Meniamo le mani vediamo di proseguire con un classico post sul ladro gentiluomo creato da Monkey Punch: oggi parlerò dello special TV L'impero dei Lupin (ルパン三世 ナポレオンの辞書を奪え Rupan Sansei - Naporeon no jisho o ubae), diretto nel 1991 dal regista Osamu Dezaki. Già vi avviso, sarò brevissima...


Trama: Lupin decide di partecipare ad una corsa di auto d'epoca per vincere il dizionario di Napoleone, nel quale è nascosto il segreto legato al tesoro dell'impero dei Lupin. Purtroppo, anche le varie potenze mondiali puntano al tesoro...

No Maria, io esco!
L'impero dei Lupin è al momento lo special TV dalla qualità più scadente in assoluto, sia per quanto riguarda la trama che per quel che riguarda i disegni e per questo non meriterà più di un paragrafo. Il character design è imbarazzante e in ogni sequenza i personaggi sembrano disegnati da 20 mani diverse, perlopiù ignoranti delle regole base dell'anatomia soprattutto per quanto riguarda quella facciale: ogni primo piano è letteralmente raccapricciante, persino gli occhi mutano di fotogramma in fotogramma. Al fastidio di riuscire ad arrivare alla fine cercando di ignorare la pochezza grafica dello special si aggiunge anche quello di dover sopportare una storia noiosissima e inconcludente dove le psicologie dei personaggi sono appena abbozzate e dove, fondamentalmente, le arti criminali di Lupin si limitano giusto alla prima parte, ambientata al MOMA di New York. Per il resto del film, purtroppo, il ladro gentiluomo somiglia più ad un meccanico/inventore oppure si diverte a fare il cosplay del povero, bistrattato Zenigata e non bastano le apparizioni un po' più sostanziose di Jigen a risollevare le sorti dello special, apprezzabile solo per un brevissimo flashback a immagini fisse simile alla tecnica con cui venivano realizzate le scene "topiche" di Lady Oscar. Se avessero realizzato tutto L'impero dei Lupin con questo stile (e se in Italia avessimo evitato di ricorrere ad un doppiaggio imbarazzante, soprattutto per quel che riguarda la resa di un presunto accento americano), molto probabilmente sarebbero riusciti a raggiungere e superare la sufficienza ma in questo caso, purtroppo, per me è NO. Al prossimo film Lupinesco!

Farlo tutto così no,eh?
Del regista Osamu Dezaki ho già parlato qui.

Ricordandovi che lo special è conosciuto in Italia anche col titolo Il tesoro degli avi, Lupin III - Ruba il dizionario di Napoleone! e Il dizionario di Napoleone, se L'impero dei Lupin vi fosse piaciuto andate a queste coordinate e avrete l'imbarazzo della scelta con i titoli di cui finora ho parlato. ENJOY!




lunedì 29 settembre 2014

Meniamo le mani 2 - Atto di Forza (1990)


Così come Stallone continua a riproporci i suoi Mercenari, anche noi Blogger siamo arrivati al secondo capitolo del Meniamo le mani, l'Evento che riunisce in un'unica giornata tutti i nostri grebani beniamini. L'anno scorso io ho celebrato Lundgren, oggi tocca a Schwarzenegger e a Atto di forza (Total Recall), diretto nel 1990 dal regista Paul Verhoeven e liberamente tratto dal racconto Ricordiamo per voi di Philip K. Dick.


Trama: Douglas Quaid ha una casa, un lavoro e una bellissima moglie sulla Terra ma è perseguitato da sogni ambientati su Marte. Nel tentativo di rivivere uno di questi sogni si reca alla Recall, ditta specializzata nell'impiantare ricordi fasulli di favolose esperienze e scopre che tutta la sua vita è una menzogna orchestrata dal perfido Cohaagen...


Quando ero ragazzina e passavano in TV Atto di forza non potevo fare a meno di guardarlo perché, diciamocelo, ai tempi Schwarzy era un vero mito. Tuttavia, è anche vero che ad ogni visione me la facevo addosso per la paura, quando non ero impegnata a TENTARE di capire qualcosa dell'incasinatissima sceneggiatura di Dan O' Bannon e compagnia. Ancora oggi, per esempio, non ho ancora capito se tutto succede davvero o se l'intero film è frutto della mente di Quaid che, alla fine, come predetto da un sacco di personaggi, rimane davvero lobotomizzato. Cosa è vero e cosa è falso quindi nella vita di Douglas Quaid? Dipende, perché quando pensavamo ormai di aver capito tutto del personaggio ecco che scatta il ribaltone nello sconvolgente pre-finale. Quando pensavamo che Hauser fosse il vero cattivo, l'assassino a sangue freddo e lo psicopatico, scopriamo che in realtà Cohaagen è molto peggio di lui e che c'è qualcun altro ancor più abietto. Quando pensavamo che mutanti e compagnia bella non fossero già abbastanza trash, ecco che spuntano gli alieni. Ah, i mutanti e il trash, due capisaldi di Atto di forza che, assieme a sequenze decisamente orripilanti, lo rendono estremamente adorabile! Prendete gli effetti speciali di Rob Bottin, per esempio, e immaginatevi come possano avere influenzato la fragile psiche di una piccola Bollina: campassi cent'anni, mai dimenticherò i volti gonfi e sfigurati dei due protagonisti, in lotta per non esplodere a causa della pressione e della mancanza di ossigeno, così come non dimenticherò mai lo scioccante aspetto di Kuato, i volti rossastri e sfigurati dei mutanti marziani, la testa-bomba della donna cicciona o la sonda nasale del povero Schwarzy. Verhoeven, davvero, ha girato una supercazzola che inevitabilmente è riuscita ad assurgere col tempo allo status di cult, perché ciò che all'epoca era scioccante, oggi lo trovo sublime, talmente lontano dalla fantascienza "seria" e così sfacciatamente ironico e ridicolo (come la tizia con tre tette o il pupazzetto che guida il taxi) da meritare 92 minuti di applausi.


E poi c'è Schwarzenegger, IL protagonista della giornata. L'unico attore assolutamente inadatto per la parte e quindi, paradossalmente, il più indicato grazie alla sua ironia, alla sua orribile piacioneria (l'ho già detto che Schwarzy è Urendo??) e alle sue espressioni facciali, che diventano involontariamente esilaranti soprattutto quando il nostro è sotto sforzo. Schwarzy anche se, giustamente, interpreta un personaggio che non dovrebbe sapere/capire una mazza ha sempre la battuta pronta nonché arguta, il pugno allenato a fare scempio degli avversari ammazzandoli il 90% delle volte e padroneggia persino l'arte amatoria necessaria a strappare sguardi lubrichi a Sharon Stone e Rachel Ticotin; con oggetti contundenti di vario tipo, mitragliette e turbanti, l'ex Mister Universo regge sulle spalle l'intera pellicola senza temere la vergogna, assecondando i deliri visivi del buon Verhoeven e gigioneggiando con l'accento tipico del terrestre su Marte (quello del venditore di crauti, per intendersi). Il suo faccione squadrato e il suo tunnel dentale riempiono lo schermo e ipnotizzano lo spettatore che, ovviamente, per tutta la vita non sarà mai in grado di separare Schwarzy da Atto di forza, e viceversa: la sola idea che quel mollo sfighé di Colin Farrell abbia potuto sostituire il "vero" Douglas Quaid nel remake del 2012 mi riempie di tristezza e mi fa dubitare della correttezza dell'intero genere umano, che meriterebbe il confino su Marte. A ripensarci, Atto di forza è troppo particolare e, col senno di poi, troppo autoriale per prendere parte alla celebrazione della tamarreide, ma chi se ne frega: Schwarzenegger non è mai stato tipo da film "un tanto al chilo e tutti uguali" come Seagal e VanDamme e soprattutto, nel suo piccolo, un po' sapeva recitare nonostante quell'incredibile faccia da pirla che palesa per tutta la durata di Atto di forza. Le botte, i botti e, soprattutto, i muscoli e le litrate di sangue ci sono anche nel film di Verhoeven e tanto deve bastare!!


Del regista Paul Verhoeven ho già parlato qui. Arnold Schwarzenegger (Douglas Quaid/Hauser), Sharon Stone (Lori) e Michael Ironside (Richter) li trovate invece ai rispettivi link.

Rachel Ticotin interpreta Melina. Americana, ha partecipato a film come Un giorno di ordinaria follia e Con Air, inoltre ha partecipato a serie come Oltre i limiti, Lost, Weeds e doppiato Maria Chavez nella serie Gargoyles. Ha 56 anni.


Ronny Cox (vero nome Daniel Ronald Cox) interpreta Vilos Cohaagen. Americano, ha partecipato a film come Un tranquillo weekend di paura, La macchina nera, Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills, Beverly Hills Cop II - Un piedipiatti a Beverly Hills II, RoboCop, Balle spaziali 2: la vendetta e a serie come Alfred Hitchcock presenta, La signora in giallo, Medium, Desperate Housewives, Cold Case e Dexter. Anche sceneggiatore e produttore, ha 76 anni e due film in uscita tra cui, orrore!, Beverly Hills Cop 4.


Tra gli altri attori spunta anche il Dean Norris della serie Under the Dome, sepolto sotto l'orrido trucco del mutante Tony. Atto di forza è stato il film che ha convinto Verhoeven ad ingaggiare Sharon Stone per Basic Instinct (anche se era stato fatto il nome di Chynthia Rothrock per il ruolo di Lori!) mentre Schwarzenegger ha ottenuto il ruolo di Quaid perché, per problemi legati al costume, non era riuscito ad essere il protagonista di RoboCop e non vedeva l'ora di lavorare col regista (e anche perché la casa di produzione di Dino De Laurentiis era fallita, altrimenti la parte sarebbe andata a Patrick Swayze e la regia a Bruce Beresford); prima che spuntasse il nome di Verhoeven, comunque, era David Cronenberg che avrebbe dovuto dirigere il film rinunciando a La mosca ma, per ritardi e altri problemi, alla fine non se n'è fatto nulla. Di Atto di forza esistono un paio di "sequel" (il film TV Total Recall 2070 e l'omonima serie televisiva, entrambi basati sul racconto di Philip K. Dick) e il già citato remake Total Recall - Atto di forza del 2012. Non vi consiglio di recuperare nessuna di queste pellicole o serie ma, se Atto di forza vi è piaciuto, potete sempre guardare RoboCop, Vanilla Sky, Dark City, Blade Runner, Terminator e Terminator 2: Il giorno del giudizio.

Oppure, potete seguire questi link e scoprire di quali pellicole zamarrone hanno parlato i miei colleghi blogger. ENJOY!

Whiterussian
Cinquecento film insieme
Scrivenny
Non c'è paragone
Recensioni Ribelli
Ho voglia di cinema
Solaris
La fabbrica dei sogni
Director's Cult
Combinazione Casuale


domenica 28 settembre 2014

Il Bollodromo #2 - Letture estive

Torna il Bollodromo per un secondo appuntamento di sproloqui non cinematografici! Dato l'argomento ormai penserete che il Bollodromo si focalizzerà esclusivamente sui libri ma è solo un caso, effettivamente: ancora non so bene come gestire questo spazio (lo avrete capito!) ma mi piacerebbe anche parlare di serie TV, anime, manga, fumetti, viaggi, "esperienze", piccole manie, amori effimeri... insomma, di tutto quello che fa parte della mia vita. Per esempio, a fine ottobre sarò sicuramente a Lucca Comics in solitaria per tre giorni di immersione totale nel mondo nerd e mi piacerebbe scrivere un report dell'esperienza visto che non ho mai fatto un viaggio da sola, per quanto breve, né ho avuto modo di stare al Lucca Comics per più di mezza giornata risicata quindi probabilmente avrò un sacco di cose di cui parlare... vedremo! Nel frattempo vi lascio alle poche ma interessanti letture che hanno accompagnato la mia estete... ENJOY!

La vendetta del diavolo
Autore: Joe Hill
Titolo originale: Horns
L'ho letto perché: a breve uscirà il film omonimo di Alexandre Aja, avente Daniel Radcliffe come protagonista. Non volevo arrivare all'appuntamento impreparata.
Di cosa parla? Il libro racconta la storia di Ig, ingiustamente sospettato da tutti di avere violentato e ucciso l'amore della sua vita. Dopo un anno e una sbronza particolarmente pesante Ig si sveglia con un paio di corna dotate di un incredibile potere...
Mi è piaciuto? Moltissimo. Joe ha ereditato l'abilità paterna di evocare mostri "della porta accanto" paurosamente credibili e in più riesce ad aggiungere quel tocco nerd-pop che lo rende ancora più accattivante. Preparatevi a ridere e a inorridire davanti agli imprevedibili effetti del potere di Ig e anche a commuovervi per una storia d'amore che, nonostante alcune esagerazioni tipicamente letterarie, non potrà che coinvolgervi e farvi sognare anche in mezzo agli incubi!
Ideale per: gli irriducibili King-addicted che cercano qualcosa di nuovo ma altrettanto valido.

L'incubo di Hill House
Autore: Shirley Jackson
Titolo originale: The Haunting of Hill House
L'ho letto perché: ne sento parlare da anni, soprattutto da Stephen King. E il mio amico Ale aveva appena finito di leggerlo.
Di cosa parla? Hill House è una casa maledetta, una delle più terribili. Un gruppo di persone si reca in loco per studiarne gli strani fenomeni e ne subiscono gli effetti...
Mi è piaciuto? L'ho trovato ipnotico e molto particolare. Più che un romanzo horror è la descrizione perfetta di una mente fragile e allo sbando, il triste epilogo di un'esistenza abituata alla sconfitta e di una donna in cerca di un posto da chiamare "suo". "Ti arrise la vittoria, ti arriderà l'amor" è un ritornello che vi si insinuerà nel cervello a lungo, lasciandovi preda della malinconia.
Ideale per: chi non cerca brividi a buon mercato ma preferisce immergersi in atmosfere più riflessive.


Friend (anche ripubblicato come Deadly Friend)
Autore: Diana Henstell
L'ho letto perché: ne ha parlato Lucia QUI e mi è salita la scimmia cosmica.
Di cosa parla? Piggy è un ragazzino geniale ma introverso che ha un solo amico, il robot Bee Bee, costruito con le sue mani. Costretto a trasferirsi in una piccola città a causa del divorzio dei suoi genitori e di un "errore" da lui commesso, Piggy riesce a fare amicizia solo con Samantha, la vicina di casa, di cui si innamora. Nel giro di brevissimo tempo il ragazzino perde però sia Bee Bee che Samantha e decide di resuscitare quest'ultima impiantandole nel cervello il software del robot...
Mi è piaciuto? Da morire. Dimenticate quella belinata trash di Dovevi essere morta perché Friend fa molta più paura e non si limita semplicemente a questo. Il romanzo della Henstell scava innanzitutto nella terribile solitudine del protagonista, nell'ancor più orribile (e taciuta, ovviamente) consapevolezza che non tutti i genitori, nemmeno quelli "equilibrati", possono riuscire ad amare incondizionatamente i propri figli e offre un triste spaccato di adolescenza inquieta e difficile. Dimenticate ovviamente il teen horror che invoglia le ragazzine a limonare con dei morti perché qui lo zombie è veramente raccapricciante, quanto di più anatomicamente realistico ci possa essere; detto questo, la storia d'amore tra Piggy e Sam è una delle più commoventi che abbia mai letto.
Ideale per: chiunque abbia guardato Dovevi essere morta. Purtroppo, anche se meriterebbe di venire pubblicato in Italia al posto di quell'immonda rumenta che troppo spesso insozza le librerie, Friend si trova solo in inglese: editori, mi offro volontaria per tradurlo ovviamente!

Il seme inquieto
Autore: Anthony Burgess
L'ho letto perché: mette assieme distopia, cannibalismo, un regime che costringe all'omosessualità e altre simili amenità. Non potevo perderlo.
Di cosa parla? Il libro racconta le (dis)avventure dello sfigatissimo antieroe Tristram, i cui tentativi di "maturazione" prima e quelli di ricongiungersi alla moglie fedifraga poi vengono costantemente frustrati dagli imprevedibili cambiamenti sociali di un'Inghilterra da incubo.
Mi è piaciuto? Nonostante una traduzione a mio avviso un po' "ridondante" è sempre piacevole perdersi nel delirio linguistico e narrativo di Burgess, che qui è davvero sfrenato. Le risate che provoca inevitabilmente Il seme inquieto sono sempre seguite da un brivido lungo la schiena e un incombente presagio di sventura perché l'universo immaginato dallo scrittore sarà anche grottesco ed esagerato ma le basi fondanti della società sono pericolosamente simili alle nostre...
Ideale per: chi non ha paura di sperimentare!

venerdì 26 settembre 2014

Il BollOspite: The Butterfly Room - La stanza delle farfalle (2012)

Eccoci arrivati ad un altro appuntamento col BollOspite, che oggi presenta una recensione in tandem con Arwen Lynch (la potete trovare ovviamente anche sul suo blog, La fabbrica dei sogni). Il film stavolta lo ha scelto Arwen e trattasi dell'italianissimo The Butterfly Room - La stanza delle farfalle, diretto e sceneggiato nel 2012 dal regista Jonathan Zarantonello. Contiene qualche SPOILER!


Trama: Ann è una donna solitaria ed educata che ama collezionare farfalle, tenute in una stanza misteriosa. La figlioletta di una vicina di casa scopre a poco a poco che Ann nasconde un oscuro segreto...


Il punto di vista di Arwen....


Guardando questo film ho avuto l'impressione che il regista abbia riunito alcuni nomi del cinema horror del passato, senza dubbio si tratta di un opera cinefila e come spesso accade c'è il modus operandi toccato persino da grandi registi come Tarantino ad esempio. Barbara Steele è unica, per chi come me ha visto le opere di Mario Bava sa a cosa mi riferisco, anche in questo film è inquietante da morire, avete notato il suo sguardo allucinante? E' da pelle d'oca che se ci penso ancora mi vengono i brividi. Il film si costruisce su un piano molto comune, la madre che passa un weekend con il suo nuovo compagno e deve lasciare la sua figlioletta, ma a chi la lascia? Alla vicina dall'aspetto rassicurante, senza contare che spesso sono le persone rassicuranti le più pericolose.Il film è costruito come se lo spettatore guardasse tutto con gli occhi di un bambino, in questo caso Julie, che entra in una storia più grande di lei che non può affrontare da sola, il regista Gionata Zarantorello è capace anche di parlare del passato di Ann, attraverso dei flashback intelligentissimi e mirati nei momenti giusti. Si scopre per esempio la presenza di una bambina che non vedremo mai, tranne quando sarà Julie a scoprirla nella stanza delle farfalle, si scopre il mistero legato alla psicosi di Ann e tanti altri misteri. A questo si aggiungono gli omicidi commessi per nascondere il suo oscuro passato dietro la patina di persona rassicurante accrescendo l'ansia dello spettatore. Da sottolineare la presenza del per me mitico Ray Wise - il Leland Palmer di Twin Peaks - uno degli attori che meriterebbero avere maggior risalto nel cinema. La regia è efficace e per nulla scontata, gli attori ben utilizzati, tranne alcuni che rimangono comprimari, il perno ovviamente è Barbara Steele, ritornata al cinema dopo il suo ritiro e si mangia ovviamente tutti quanti come dice Bollicina. L'orrore spesso risiede nelle cose rassicuranti, quelle che ci ispirano fiducia. La madre della bambina poi l'avrei menata pure io, ma come lasci la tua piccola nelle mani di una sconosciuta e te ne vai col tuo amante? Ma dico si può essere così superficiali? SI perchè il film è anche molto realistico oltre che essere un opera di fiction, e questa è una grande abilità del regista lo dobbiamo dire. Niente male come film italiano avere delle guest star americane che hanno fatto film horror. Sul finale invece mi trovo in disaccordo con Bollicina, non è scontato perchè se tu subisci degli abusi, un giorno potresti rimanerne vittima, quindi la storia si ripete e va avanti...non c'è un happy end consolatorio, quello si sarebbe stato fuori luogo. Il regista non fa un semplice horror, ma cerca di far capire agli spettatori che la follia una volta toccata ti segna per la vita e non ne puoi uscire, che la crudeltà e l'orrore si nascondono sempre in persone di cui in apparenza ti puoi fidare, anche se poi le conseguenze saranno devastanti. Zarantonello dirige un film che scava con una storia abbastanza semplice nel passato del glorioso cinema horror, e lo sa rappresentare in maniera fluida e sincera, e questo per il cinema italiano è già qualcosa di eccezionale non credete?


... E quello della Bolla!

Quando, all'inizio dei titoli di testa, ho visto la dedica in italiano e la scritta "prodotto in associazione con RaiCinema" il mio primo istinto è stato quello di spegnere il televisore, il secondo quello di mandare un messaggio ad Arwen per chiederle se non le avesse dato di volta il cervello viste le mie ultime, orrende esperienze col thriller-horror moderno nostrano (Mandare un messaggio a me? Nooo, Bollicina abbi fede, lo sai che quando tocca a me scelgo sempre delle chicche, e come vedi il film t'è piaciuto, hehehe mai spegnere la tv anche se ci vedi RaiCinema all'inizio N.D.Arwen). Poi ho visto il nome di Barbara Steele e di un altro paio di signore avvezze all'horror (nonché di Ray Wise, ovviamente!) e ho deciso di dare comunque una chance a The Butterfly Room, aggiungerei anche per fortuna. La pellicola di Zarantonello infatti, pur non essendo priva di un paio di forzature, è uno dei thriller più intriganti che mi sia capitato di vedere recentemente, una sorta di ritorno alle atmosfere anni '80-'90 in perfetto stile Il patrigno o La mano sulla culla: la protagonista Ann, infatti, è semplicemente una pazza psicopatica tout-court e uno degli enormi pregi del film è quello di non stare a ricamare troppo su eventuali spiegoni legati al suo passato o a traumi ancora irrisolti. Ann, come nelle migliori favole, è "semplicemente" una strega cattiva, in grado di infliggere le peggiori torture psicologiche ai bambini per puro scopo educativo, egoista al punto da non fermarsi di fronte a nulla pur di ottenere l'oggetto delle sue brame. Tale "oggetto", c'è da dire, conferisce un che di morbosetto alla trama di The Butterfly Room, un perfetto esempio di "innocenza del demonio" che purtroppo rappresenta alla perfezione la mentalità di tante ragazzine (e di tante, indegne madri), disposte a fare qualunque cosa per soldi; anzi, a questi punti mi chiedo se Zarantonello non abbia qualche problema con la figura materna o con quella femminile perché, a parte la piccola Julie, delle donne rappresentate non se ne salva una, tutte pazze, sgualdrine, profittatrici e quant'altro. Qui mi fermo nel raccontare trama e personaggi che, ovviamente, vanno scoperti e gustati a poco a poco.
Il pregio della regia di Zarantonello, invece, è la sua capacità innanzitutto di creare immagini assai eleganti ed evocative (la scoperta del "segreto" della butterfly room del titolo è scioccante e meravigliosa allo stesso tempo) poi quella di sfruttare un montaggio fatto di dissolvenze particolari e ancor più particolari "rewind" che introducono ai pochi, necessari flashback necessari per comprendere la vicenda; i flashback in questione, peraltro, sono frammentari e mescolati al normale scorrere del tempo narrativo, cosa che spinge lo spettatore a guardare The Butterfly Room con particolare attenzione. La fotografia inoltre è molto curata e ciò, assieme agli elementi di cui ho già parlato, concorre ad elevare di molto la pellicola rispetto allo standard italiano moderno dei film di genere. Passiamo ora a quello che più mi ha attratto del film, ovvero l'abbondanza di guest star horror! Come spesso accade, alcune di esse sono ben utilizzate, altre meno. La grandiosa Barbara Steele non ha bisogno di presentazioni: elegante, con quel raffinatissimo accento inglese e quei profondi, inquietanti occhi neri, è la perfetta incarnazione del male e ruba la scena a chiunque le stia accanto, senza caricare un personaggio che, se messo in mano ad un'attrice meno esperta, avrebbe rischiato di trasformarsi in macchietta. Ray Wise, Camille Keaton ed Heather Langenkamp fanno giusto delle comparsate (a parte l'ex Nancy che ha un ruolo più consistente) e, obiettivamente, avrebbe fatto piacere vederli un po' di più, mentre la povera Erica Leerhsen interpreta un personaggio così irritante che verrebbe voglia di vederla morta dopo i primi fotogrammi. Molto brave anche le giovani protagoniste, ognuna a modo suo, in particolare i glaciali sguardi di disprezzo che Julia Putnam lancia nei confronti di chicchessia sembrano proprio veri mentre la piccola Ellery Sprayberry è di una tenerezza disarmante e sul finale spezza il cuore. A proposito del finale, forse giusto quello ho trovato un po' forzato, non tanto per l'"evoluzione" del personaggio della Langenkamp ma piuttosto per una situazione familiare a dir poco improbabile. Ciò non toglie, ovviamente, che The Butterfly Room è un film pregevolissimo che vi consiglio assolutamente di recuperare!!


Di Barbara Steele (Ann), Ray Wise (Nick) e P.J. Soles (Karen) ho già parlato ai rispettivi link.

Jonathan Zarantonello (vero nome Gionata Zarantonello) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Nato a Vicenza, ha diretto film come Medley - Brandelli di scuola e il corto Alice dalle 4 alle 5. Anche attore, responsabile degli effetti speciali e produttore, ha 35 anni.


Erica Leerhsen interpreta Claudia. Americana, ha partecipato a film come Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2, Non aprite quella porta e a serie come I Soprano, Alias, Ghost Whisperer e CSI: Miami. Anche produttrice, ha 38 anni.


Heather Langenkamp interpreta Dorothy. Indimenticabile Nancy in Nightmare - Dal profondo della notte, Nightmare 3 - I guerrieri del sogno e interprete di sé stessa in Nightmare - Nuovo incubo, la ricordo anche per film come Sotto shock; inoltre, ha partecipato a serie come Genitori in blue jeans. Anche produttrice e regista, ha 50 anni e due film in uscita.


Camille Keaton interpreta Olga. Americana, ha partecipato a film come Cosa avete fatto a Solange?, Non violentate Jennifer e Le streghe di Salem. Ha 67 anni e quattro film in uscita.


Nel film a un certo punto compare anche Joe Dante, ovvero il tassista a cui Claudia chiede se è davvero troppo vecchia per indossare certi abiti. The Butterfly Room non è, come si dice nei credits, basato sul romanzo Alice dalle 4 alle 5 (che, di fatto, non esiste) bensì sul corto che porta lo stesso titolo, sempre diretto da Jonathan Zarantonello. Se il film vi fosse piaciuto magari recuperatelo! ENJOY!


giovedì 25 settembre 2014

(Gio)WE, Bolla! del 25/9/2014

Buon giovedì a tutti! La nuova settimana cinematografica si preannuncia infantile e maffa ancora più di quelle precedenti, almeno a Savona... riuscirà Besson a salvarci tutti? ENJOY!

L'incredibile storia di Winter il delfino 2
Reazione a caldo: Perché uno non bastava...?
Bolla, rifletti!: Continua la storia del delfino sfortunato, costretto a vivere con una coda prostetica. Questa volta gli muore anche la mamma, pensa un po'. Della serie, Candy Candy, Georgie e persino Remì quando vedono la povera bestiola si grattano.... Ovviamente, una simile pellicola va bene solo per chi si è appassionato alla prima!

Pongo il cane milionario
Reazione a caldo: Prima il delfino, poi il cane!
Bolla, rifletti!: Non mi va neppure di commentarla questa produzione spagnola che incrocia l'orrido Richie Rich alla "pucciosità" di un cane (che almeno non è un chihuahua). Obiettivamente, è troppo anche per me.

La buca
Reazione a caldo: Un altro cane...???
Bolla, rifletti!: Settimana animalista, questa. Castellitto e Papaleo (che, ahimé, non sopporto), amici-nemici e uniti dal morso di un cagnolino promettono la solita commedia all'italiana, graziata forse dalla presenza di Ciprì alla regia. Mah, mi convince comunque poco...

Lucy
Reazione a caldo: Dopo tanta fuffa qualcosa di decente...?
Bolla, rifletti!: Besson per me è ormai sparito da anni, almeno dai tempi de Il quinto elemento. Potrebbe essere Lucy un ritorno alle origini violente, un po' tamarre e molto fantasiose del regista francese? Speriamo! Sicuramente lo andrò a vedere!

L'unico film interessante, come spesso ultimamente accade, se l'è accaparrato un po' in ritardo il cinema d'élite...

Anime nere
Reazione a caldo: una "tragedia elisabettiana calabrese"? WOW!!
Bolla, rifletti!: Come vedete, io non è che disprezzi il cinema italiano. Purtroppo, nel multisala esce solo fuffa nostrana mentre le cose un po' particolari come questa escono giusto in quei tre giorni quando magari la gente non va al cinema e ha altro da fare. Spero di recuperare presto questa pellicola perché so già che il piglio tragico ed antropologico con cui vengono trattate le tradizioni (soprattutto quelle negative) di una società immutabile come quella calabrese mi intriga parecchio!

mercoledì 24 settembre 2014

Contraband (2012)

Per staccare il cervello senza ricorrere all'horror qualche sera fa ho deciso di guardare Contraband, diretto nel 2012 dal regista Baltasar Kormákur.


Trama: un ex contrabbandiere ormai fuori dal giro è costretto a smerciare una grossa quantità di denaro falso per togliere dai guai il giovane cognato...


Contraband è un film perfetto per una serata disimpegnata. Ben lungi dall'essere un action zamarro e sguaiato dove la risata la fa da padrone, la pellicola di Kormákur è più una crime story a base di tradimenti, colpi congegnati razionalmente e drammi familiari, qualcosa che, molto probabilmente, nelle mani di uno Scorsese o persino di un Ben Affleck avrebbe potuto tranquillamente fare il balzo di qualità e diventare un'opera da consigliare e riguardare. Fissati i dovuti limiti, comunque, Contraband fa la sua bella figura: la storia dell'ex contrabbandiere Chris, costretto a tornare "al lavoro" per colpa di un ragazzino pieno di passione e stupidità e decisamente codardo è divertente e anche convincente perché il personaggio non è esageratamente cupo o troppo guascone e i suoi colleghi sono dotati ognuno di una loro peculiarità ma non rischiano di diventare delle macchiette ingestibili. La trama dosa bene i momenti d'azione, quelli più thriller ed altri maggiormente introspettivi senza troppo calcare la mano su nessuna delle varie anime della pellicola, in generale non ci sono buchi logici o incredibili forzature (o almeno a me non è sembrato di ravvisarne) e la storia scorre liscia fino alla fine, coinvolgendo lo spettatore con un twist forse non troppo originale ma comunque gradevole. Volendo essere cattivi, ovviamente, ci sarebbe da sottolineare come tutti questi pregi derivino dal fatto che Contraband non è una pellicola made in USA, bensì il remake dell'islandese Reykjavík Rotterdam, altrimenti penso ne sarebbe uscita una roba ben peggiore.


Mettiamo un attimo da parte l'inevitabile cinefilia anti-remake e parliamo degli attori, che indubbiamente sono quelli che fanno funzionare al meglio Contraband. Mark Wahlberg porta a casa un'interpretazione dignitosa e coerente con la sua natura di "manzo non esagerato" ma ovviamente il motivo per cui mi sono cimentata nella visione del film è stato la presenza dell'adorato Giovanni Ribisi, che si profonde in una performance da incredibile sociopatico e ruba la scena ad un Ben Foster bruttarello e un po' sottotono (nonostante, paradossalmente, il suo personaggio sia il più interessante di tutti!). Simpaticissimi tutti i colleghi di Wahlberg, a partire da quel Lukas Haas che rivedo sempre con piacere, e ovviamente esilarante J.K. Simmons nei panni dello stronzissimo capitano, mentre Kate Beckinsale quando viene tolta da quell'Underworld che le è tanto congeniale diventa moscia come un sacco di patate. La regia di Baltasar Kormákur per fortuna non ricerca soluzioni modaiole come ralenti o riprese sghembe ma, avvalendosi di una fotografia particolare e quasi sfumata, riesce comunque ad essere originale e riconoscibile senza condannare Contraband all'anonimato o lo spettatore al mal di testa perpetuo. Sicuramente Contraband non sarà il film del secolo ma se vi piace un genere di film dove l'azione non si traduce solo in sparatorie ed esplosioni e dove i personaggi dimostrano di avere un anima che li eleva dalla banale bidimensionalità potreste anche dargli una chance, non ve ne pentirete!


Di Mark Wahlberg (Chris Farraday), Giovanni Ribisi (Tim Briggs), Lukas Haas (Danny Raymer), Caleb Landry Jones (Andy) e J.K. Simmons (Capitano Camp) ho già parlato ai rispettivi link.

Baltasar Kormákur (vero nome Baltasar Kormákur Samper) è il regista della pellicola. Islandese, ha diretto anche Cani sciolti. Anche produttore, attore e sceneggiatore, ha 48 anni e un film in uscita.


Kate Beckinsale (vero nome Kathrin Romany Beckinsale) interpreta Kate Farraday. Inglese, ha ricordo per film come Big Fish, Pearl Harbor, Underworld, Van Helsing, The Aviator, Cambia la tua vita con un click, Underworld: Evolution, Vacancy, Underworld - La ribellione dei Lycans e Underworld - Il risveglio. Ha 41 anni e due film in uscita.


Ben Foster (vero nome Benjamin A. Foster) interpreta Sebastian Abney. Americano, ha partecipato a film come X-Men - Conflitto finale, 30 giorni di buio e a serie come Six Feet Under, La zona morta e My Name Is Earl, inoltre ha lavorato come doppiatore nella serie Robot Chicken. Anche produttore, ha 34 anni e tre film in uscita.


Tra gli altri attori segnalo anche la presenza del fratello di Mark Wahlberg, Robert; il regista Baltasar Kormákur era invece il protagonista di Reykjavík Rotterdam, di cui Contraband, come ho già avuto modo di dire nel post, è il remake. Se il film vi fosse piaciuto magari recuperate la pellicola islandese e aggiungete anche The Town. ENJOY!

martedì 23 settembre 2014

Evil Things - Cose cattive (2012)

Incuriosita dalle varie recensioni scritte da un paio di amici blogger, qualche sera fa ho deciso di dare una chance all'italiano Evil Things - Cose cattive, diretto e co-sceneggiato nel 2012 dal regista Simone Gandolfo. Si ringraziano Il Bradipo e Beatrix che mi avevano messa in guardia da 'sto scempio...


Trama: i quattro finalisti del gioco Evil Things, che premia gli esseri più abietti e "cattivi" presenti nella rete, si ritrovano preda delle sadiche torture dell'ideatore del cimento, il fantomatico Maestro.


Prima che la mia ira si abbatta con grandissimo sdegno su Evil Things - Cose cattive, lasciatemi dire solo UNA cosa positiva: sia lodato il doppiaggio italiano, quello fatto da professionisti seri. Dico così perché, se oltre a sussarmi un'ora e mezza di Nulla, avessi anche dovuto sussarmi un'ora e mezza di Nulla inficiato dalla solita, orrenda dizione di un gruppo di attorucoli che si doppiano da soli, credo mi sarei fatta esplodere la testa per la disperazione. Perlomeno, invece, il doppiaggio di Evil Things - Cose cattive (ambientato in Piemonte ma recitato palesemente in inglese, come se il mercato straniero avesse bisogno di una simile baggianata quando ne creano già troppe loro senza il nostro aiuto!!!) è stato curato e realizzato da professionisti e io ho potuto così rimanere in vita per mettervi in guardia: Evil Things è un film che vi porterà a rivalutare rumenta come Il bosco fuori e persino, ossignore perdonami, In the Market. Questi due inenarrabili orrori, infatti, avevano almeno il pregio di essere trash a livelli decisamente fuori scala (non che qui il trash manchi, visto che tra i followers del blog Cose Cattive spiccano due strepponi che mi hanno tanto ricordato i Fratelli Peluria di Mario e che la provincia piemontese viene mostrata come un covo di freaks che defecano in strada... Cannibale, me lo confermi??) di scatenare liberatorie risate isteriche, di essere talmente stupidi da rendere la stesura dell'inevitabile stroncatura quasi divertente. Evil Things, invece, è la rappresentazione stessa del mainaggioia, dello spiegone, del cliché, della ripetitività, della telefonata che allunga la vita e appesantisce le palpebre, della colonna sonora da suicidio, della soggettiva vomitosa che farebbe cavare gli occhi alla stessa Strega di Blair, nonché la condanna di una giovane attrice che, se non fosse bloccata in un personaggio di una banalità sconcertante (emo dal cuore d'oro, tanto triste e sconfitta dalla vita, la mente obnubilata da vocette e visioni), sarebbe anche brava, poveraccia.


Evil Things pretende di imboccare la strada del torture porn alla Saw o alla Hostel ma è come se, durante la realizzazione di queste due pellicole, Edmondo De Amicis avesse cominciato a bacchettare le dita birichine e sanguinarie di Eli Roth e James Wan e li avesse costretti ad annacquare la trama con costanti e noiosissimi riferimenti religiosi e, peggio, con un'insistente moraletta di fondo messa lì a mo' di grillo parlante. E sì che i protagonisti di Evil Things meriterebbero le peggio cose e non solo perché sono dei grandissimi stronzi ma perché sono anche talmente stereotipati e banali che, se esistessero davvero, bisognerebbe ucciderli e dare un premio all'autore del gesto: il "ragazzo dal QI altissimo" in realtà è un povero pirla conciato come Ash dei Pokemon che, giusto per ribadire il suo status di nerd, va in giro con la maglietta del Buddy Christ e il cappellino di Steve Jobs, lo stronzetto violento è talmente insignificante che non ne rammento nemmeno la faccia mentre la zoccolotta se la crede così tanto che forse persino Paz De La Huerta è meno volgare di lei. A riunire questi "alti" esempi di umanità ci pensa Saw.. ehm, l'Arcangelo Gabriele (sic), un tizio che è riuscito ad uccidere i genitori a RANDELLATE. Ora, dicasi randello "Bastone grosso e pesante usato per percuotere", peccato che le immagini mostrino i genitori del povero fesso immersi in un lago di sangue, come se invece del randello il genio avesse usato un'ascia o un machete (ma, a parte questo, non avete idea di quanto poco carismatico, altamente irritante e soprattutto inconcludente sia quest'uomo): la macellata in questione è, tra l'altro, l'unico elemento gore di una pellicola che tocca il massimo della cattiveria torturando una tizia per mezzo di piccioni. Giuro. Anzi, magari fossero dei malarici piccioni, qui si parla di candide e graziose colombelle. Questo, assieme alla pretesa di conferire autorialità a Cose cattive sparando ogni tanto flash di immagini surreali che scomodano persino le formiche di Un chien andalou, mi porta a concludere qui il post e ad aggiungere solo un'ultima cosa, e mi perdoni Lucia se oso appropriarmi della frase scritta in calce al suo meraviglioso blog: Quando non sai più cosa dire, c'è sempre Lammerda. Basta la parola, come il confetto Falqui.

Simone Gandolfo è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Soprattutto attore, è originario di Imperia e ha 34 anni.


Marta Gastini interpreta Nina/Ariel. Originaria di Alessandria, ha partecipato a film come Il rito, Dracula 3D e a serie come I Borgia. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 25 anni e un film in uscita.


Pietro Ragusa interpreta Gabriel. Originario di Firenze, ha partecipato a film come Il talento di Mr. Ripley, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Diaz: Don't Clean Up This Blood e a serie come Don Matteo. Ha 41 anni e un film in uscita.


Tra i vari interpreti segnalo la presenza dell'Orco Rubio della Melevisione, Giuseppe Loconsole, che compare nei panni del Cacciatore. Cose cattive è stato prodotto da Luca Argentero e la sua distribuzione si è svolta con uno strano sistema on demand: le sale che volevano proiettarla potevano tranquillamente richiedere la pellicola, di cui esiste un'unica copia. Domandandomi chi mai vorrebbe proiettare nel proprio cinema questa roba, concludo dicendovi che, se Cose cattive vi fosse piaciuto, potreste anche guardare Saw - L'enigmista. ENJOY!



domenica 21 settembre 2014

Necropolis - La città dei morti (2014)

A prescindere da quel che leggo in giro, di horror al cinema non me ne perdo uno per principio. Ed è così che martedì sono andata a vedere Necropolis - Il regno dei morti (As Above, So Below), diretto e co-sceneggiato dal regista John Erick Dowdle.


Trama: una studiosa trascina nelle catacombe di Parigi un paio di collaboratori e dei teppistelli autoctoni per cercare la fantomatica Pietra Filosofale. L'impresa si rivelerà mortale e non in senso buono...


L'orrore, lo si è detto tante volte, è soggettivo. Mio padre ogni volta che è costretto a fare una risonanza magnetica telefona all'ospedale di turno chiedendo se il macchinario è aperto o chiuso, l'unica volta che non lo ha fatto è uscito dall'infernale trappola dopo 10 secondi, scampanellando come un dannato. Ergo, se mio padre avesse guardato Necropolis - Il regno dei morti, sarebbe per l'appunto morto d'infarto durante i primi dieci, concitati minuti o non avrebbe comunque superato la prima metà del film. Io, per fortuna, non ho ereditato la sua claustrofobia ma devo dire che Necropolis, con la sua natura di mockumentary, le riprese sghembe, l'ambientazione sotterranea e le urla terrorizzate di chi rimane incastrato nel sottosuolo come un ratto, mi ha causato una persistente sensazione di soffocamento, almeno nella prima parte, che ho parecchio apprezzato. Poi i signori Dowdle si ricordano di una cosetta chiamata Divina Commedia e di un nasone chiamato Dante e tutto va in malora, a dimostrazione che gli americani dovrebbero rimanere confinati nella loro grande Nazione e metter mano solo a quel che è loro. Ma andiamo con ordine. La trama di Necropolis, almeno all'inizio, è simpatica ed interessante. I personaggi sono stranamente acculturati ed intelligenti, il loro obiettivo è trovare la Pietra Filosofale di Nicolas Flamel e ciò comporta la necessità di risolvere enigmi intricati e, ovviamente, di infilarsi nelle catacombe parigine, decisamente una bella ambientazione: in pratica, Il codice Da Vinci incontra I Goonies. Qui e là vengono inseriti discreti tocchi horror/weird che non infastidiscono lo spettatore ma, anzi, rendono il tutto ancora più interessante e, nonostante qualche ovvia ed immancabile belinata, la trama non scricchiola nemmeno più di tanto. Poi, forse perché il film è stato prodotto dalla Universal Orlando Resort e dai suoi parchi a tema, Necropolis diventa un'orribile attrazione da luna park, la famigerata e temibile Casa degli Orrori Vomitilla.


Grazie ad una serie di calcoli alchemici che non vi sto a dire e ad una furbizia a dir poco volpina, a un certo punto i nostri si ritrovano a varcare quella soglia per cui si va nell'eterno dolore e nella città dolente e dove tutto è fondamentalmente identico a ciò che sta sopra, come da titolo originale di questa pernacchietta di film. Da quel momento il regista perde ogni controllo sulla macchina da presa (da qui il vomito) e le catacombe parigine diventano la Casa della Libertà come veniva dipinta nel Pippo Chennedi Show, ovvero un posto dove "facciamo un po' quel ca**o che ci pare" e dove, neanche a dirlo, non manca più nessuno. Il mio compare, ancora ipnotizzato dall'abbondante utilizzo di epigrafi, ha cercato di convincermi riguardo alla teoria del senso di colpa che genera fantasmi o demoni, e posso anche dargli retta, ma sta di fatto che la trama di Necropolis da quel momento in poi diventa una forma di groviera, una fanfiction scritta da un pazzo che aggiunge cose a caso giusto perché gli sembrano carine e non si preoccupa dei dettagli macroscopici o della coerenza del tutto. Personalmente, ho riso molto davanti al povero demone che per due volte si ritrova per caso davanti alla protagonista invasata e che per due volte si prende una pizza in faccia causando un soddisfacentissimo "SOCK!" che non sentivo più dai tempi di Bud Spencer e Terence Hill, oppure davanti all'altro povero demone che sta lì, seduto su un trono come un pirla, mentre i protagonisti più pirla di lui gli passano alle spalle in punta di piedi, chiudendo gli occhi sperando di diventare magicamente invisibili (e io me lo figuravo 'sto povero Dimonio mentre alzava gli occhi al cielo sussurrando "Ma si può campare così? Tana per i quattro str**zi lì dietro, vi vedo!"). A questi e tanti altri elementi divertenti, proprio quelli che vi aspettereste percorrendo un tunnel degli orrori (ci sono persino le manine e le faccette che escono dai muri, grazie Lamberto Bava!!), il regista e co-sceneggiatore aggiunge anche l'idea di far morire alcuni personaggi "perché sì" e di farne sopravvivere altri "perché mi va" e non basta una bellissima inquadratura finale per salvare la baracca: alla fine di Necropolis - La città dei morti lo sguardo dello spettatore è identico a quello del povero sfighé che guarda i due "studiosi" sperando di incenerirli col pensiero al grido di "Ve c'hanno mai mandato a quel paese...". Evitabile.


Del regista e co-sceneggiatore John Erick Dowdle ho già parlato qui.

Perdita Weeks (vero nome Perdita Rose Annunziata Weeks) interpreta Scarlett. Gallese, ha partecipato a film come Hamlet, Spice Girls - Il film e Prowl. Ha 29 anni.


Ben Feldman interpreta George. Americano, ha partecipato a film come Cloverfield, Venerdì 13 e a serie come Perfetti... ma non troppo, Numb3rs, Medium e CSI - Scena del crimine. Anche sceneggiatore, ha 34 anni e un film in uscita.


Edwin Hodge (vero nome Edwin Martel Basil Hodge) interpreta Benji. Americano, ha partecipato a film come Die Hard - Duri a morire, La notte del giudizio, Anarchia - La notte del giudizio e a serie come Angel, Cold Case, Grey's Anatomy, Ghost Whisperer, Heroes e CSI: Miami. Anche produttore, ha 29 anni e un film in uscita.


Se Necropolis - La città dei morti vi fosse piaciuto recuperate Catacombs - Il mondo dei morti: io non l'ho mai visto ma il mio compare di visione continuava a citarlo, definendolo molto ma molto simile. ENJOY!


venerdì 19 settembre 2014

Si alza il vento (2013)

Dal 13 al 16 settembre, in ogni cinema illuminato d'Italia tranne quello di Savona è uscito l'ultimo anime di Hayao Miyazaki, Si alza il vento (風立ちぬ - Kaze tachinu), diretto dal sensei nel 2013 e tratto dal suo manga omonimo, a sua volta ispirato al romanzo di Tatsuo Hori.


Trama: Jiro Horikoshi sogna di fare il pilota ma ciò gli viene impedito da un difetto alla vista. Il ragazzo decide così di studiare per diventare un ingegnere aeronautico, ispirato dalle gesta del progettista d'aerei italiano Giovanni Caproni...


Si alza il vento, così si dice, sarà l'ultimo film diretto e sceneggiato dal Maestro Hayao Miyazaki e, nell'insieme, è una pellicola complessa, "adulta", un'opera nostalgica che racchiude in sé tutta la poetica del sensei. Nonostante sia basata sulla figura realmente esistita dell'ingegnere aeronautico giapponese Jiro Horikoshi, l'ultima fatica di Miyazaki riesce infatti a mescolare la realtà (anche troppo prosaica, fatta di tecnicismi e numeri) a un sogno trasportato letteralmente dalle ali del vento, in grado di spingere verso la vita un essere umano ed un’intera Nazione anche nei momenti più terribili. "Le vent se lève!... il faut tenter de vivre": si alza il vento e bisogna provare a vivere, versi di una poesia di Paul Veléry che diventeranno come un mantra per il giovane Jiro che, fin da piccolo, vede frustrato il suo sogno di diventare pilota. Il richiamo del vento è troppo forte e giustamente Jiro non si perde d'animo; se non potrà pilotare aerei li costruirà, tentando di emulare e superare l'ingegnere Caproni che, pur vivendo a mezzo mondo di distanza da lui, è la persona che riesce a parlargli meglio di chiunque altro, comunicando attraverso il legame del sogno. Caproni, come Jiro, sogna di dotare l'uomo di ali per superare le barriere, per afferrare la libertà e per evolversi; purtroppo, il vento che soffia attorno a Jiro è un vento di guerra e il nostro eroe per realizzare il suo sogno dovrà mettere la sua inventiva al servizio di qualcosa che non dispenserà gioia, bensì morte e desolazione. Miyazaki ci mostra un Giappone ben diverso da quello a cui siamo abituati, una terra del Sol Levante ancora "indietro di 40 anni" rispetto al resto del mondo, dove il metallo è un lusso e i buoi sono l'unico mezzo per spostare degli aerei che rischiano di sfasciarsi in volo, una Nazione che per mettersi alla pari delle altre ha scelto di ignorare la fame e la povertà dei suoi abitanti e di investire interamente nella guerra; Jiro non è un guerrafondaio (così come Si alza il vento non è, come sostenuto da tanti, una celebrazione dei conflitti armati o del Giappone, che non esce troppo bene dalla pellicola)  ma è un uomo del suo tempo, costretto a scendere a compromessi nonostante la sua incredibile gentilezza e sensibilità.


Il vento, oltre ai sogni, porta con sé anche l’amore, altra forza fondamentale in Si alza il vento. Delicata come una brezza, infatti, si avverte per tutto il film la presenza di Nahoko, la ragazza che Jiro incontra durante il primo, disastroso viaggio verso l'università per non dimenticarla più. Come gli aerei costruiti da Jiro, l'amore tra lui e Nahoko è meraviglioso ma destinato alla tragedia, effimero come un sogno ed altrettanto potente, fonte d’ispirazione e salvezza per il protagonista fiaccato dai fallimenti e dal regime governativo giapponese; i due innamorati seguono l’insegnamento di Veléry e vivono, alla faccia dei terremoti, delle malattie e del poco tempo che è stato loro concesso e da ogni giorno traggono il meglio, anche se ciò significa semplicemente starsi accanto l’un l’altro tenendosi per mano. Il loro legame colpisce e coinvolge lo spettatore molto più dei tentativi di Jiro di costruire l'aereo perfetto, è qualcosa che stringe il cuore e commuove quanto le incredibili immagini con cui il sensei Miyazaki si accomiata dal suo pubblico, infondendo la vita anche a ciò che normalmente è inanimato. Davanti ad un terremoto che ruggisce come un mostro, agli sbuffanti motori degli aerei, all’esilarante vitalità dei sogni condivisi col baffuto Caproni (un trionfo di tracotante ed allegra italianità, ben diversa dal compassato atteggiamento tedesco, grazie sensei per l’amore che porti verso questo nostro indegno popolo!!), all’elegante volo di un aereoplanino di carta, al cameratesco canto che unisce i popoli, all’incredibile bellezza di una sposa novella e all’addio finale, tanto malinconico quanto colmo di speranza, è impossibile rimanere insensibili davanti all’abilità artistica e poetica del sensei. Sebbene a Si alza il vento abbia preferito altri suoi capolavori, il fatto che non riesca a scrivere una recensione coerente perché i ricordi stanno formando un groppo alla gola grosso come Re Totoro è segno che Miyazaki ha fatto centro anche stavolta e che la sua mancanza lascerà un vuoto incolmabile. Ma, come si dice, il vento si alza… e bisogna provare a vivere. Arigato, sensei.


Del regista e sceneggiatore Hayao Miyazaki ho già parlato qui mentre Hideaki Anno, che presta la voce a Jiro Horikoshi, lo trovate qua.

Werner Herzog (vero nome Werner H. Stipetic) è il doppiatore originale di Castorp. Tedesco, ha diretto film come Aguirre, furore di Dio, Nosferatu - Il principe della notte, Fitzcarraldo e Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans. Anche sceneggiatore, attore e produttore, ha 72 anni e tre film in uscita.


Jun Kunimura, che presta la voce al personaggio Hattori, era il boss Tanaka di Kill Bill. Per la versione USA della pellicola è stato invece scelto un cast all-star tra cui figurano anche Joseph Gordon-Levitt (Jiro Horikoshi), Emily Blunt (Nahoko Satomi), Martin Short (Kurokawa), Stanley Tucci (Caproni), Mandy Patinkin (Hattori) e William H. Macy (Satomi). Per la cronaca, la canzone in tedesco che a un certo punto cantano Jiro, Castorp e Satomi-san è Das gibt's nur einmal, das kommt nicht wieder (Succede solo una volta, non capiterà più), tratta dal film Der Congress del 1932 che credo non sia mai stato distribuito in Italia. Piuttosto che cercare questo reperto archeologico, se Si alza il vento vi fosse piaciuto recupererei Porco Rosso e Nausicaa della valle del vento. ENJOY!