L'anno scorso è arrivato in Italia Autobahn - Fuori controllo (Collide), diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Eran Creevy. Un po' per gli attori, un po' per il titolo, un po' per volontà di guardare un film poco impegnativo l'ho recuperato e questo è il risultato...
Trama: quando alla fidanzata viene diagnosticata una grave malattia, il giovane Casey Stein si ritrova a necessitare dei soldi per un trapianto e si rimette quindi al servizio di un signorotto della droga tedesco che vorrebbe derubare il proprio capo...
Autobahn - Fuori controllo è talmente inutile e, paradossalmente, noioso che non merita neppure i due paragrafi standard che normalmente dedico persino ai film più scrausi. Non che di solito mi esalti all'idea di vedere interminabili inseguimenti in autostrada e macchine che vengono devastate neanche fossero delle Micromachines tarocche chinesi ma, probabilmente, se fosse stato interamente ambientato nella Autobahn del titolo italiano mi sarei divertita di più. Invece, forse per giustificare il cachet preteso da due ex mostri sacri quali Anthony Hopkins (la cui idea di criminale tedesco si concretizza in un alternarsi di sguardi allucinati, sussurri minacciosi ed improvvise grida) e Ben Kingsley (la cui idea di criminale turco si concretizza in un tamarro drogato e circondato da tsoccole che vive dentro un camper glitterato) sono stata persino costretta ad assistere agli imbarazzanti monologhi di due boss della mala, soporiferi come non mai. Morfeo mi ha avvinta anche grazie alla storia d'amore che da il via a tutto, sarà perché tra Nicholas Hoult e Felicity Jones c'è la stessa alchimia che passerebbe tra il figlio buliccio di Immortan Joe e una femmina di wookie o perché la parrucca messa in testa all'attrice credevo l'avessero resa illegale dopo Pretty Woman, chissà, sta di fatto che mi sono ritrovata spesso e volentieri a ripensare all'amatissimo True Romance, a Cuore selvaggio, persino a Natural Born Killers, con coppie realmente portate alla follia da un colpo di fulmine bellissimo e coinvolgente, altro che 'sti due molluschi. Insomma, ho pensato talmente tanto ad altri film che alla fine me ne sono fatta uno nella mia testa e mi sono mezza addormentata, con buona pace di questo emulo fighètto di Fast and Furious dal quale vi consiglio di stare allegramente alla larga, soprattutto se siete fan di Hopkins e Kingsley (finiranno mai loro e De Niro di girare film a scopi alimentari? Speriamo!).
Di Nicholas Hoult (Casey Stein), Felicity Jones (Juliette Marne), Anthony Hopkins (Hagen Kahl) e Ben Kingsley (Geran) ho già parlato ai rispettivi link.
Eran Creevy è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Shifty e Welcome to the Punch - Nemici di sangue. Ha 41 anni.
Zac Efron, nonostante sia un povero pirla, ha comunque subodorato la stronzata e ha rifiutato il ruolo di Casey Stein, che è di fatto passato a Hoult (ma perché?) e lo stesso vale per Amber Heard, che ha lasciato cavallerescamente il posto alla Jones. Detto questo, se Autobahn - Fuori controllo vi fosse piaciuto recuperate True Romance che è molto ma molto meglio. ENJOY!
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mercoledì 28 febbraio 2018
martedì 27 febbraio 2018
Black Panther (2018)
Primo della pressoché infinita sfilza di cinecomics che ci verranno propinati quest'anno, è arrivato anche a casa Bolla Black Panther, diretto e co-sceneggiato dal regista Ryan Coogler. NO SPOILER, of course.
Trama: dopo la morte del padre, T'challa diventa sovrano del ricchissimo Wakanda ed eredita i poteri della Pantera Nera. Oltre a proteggere lo stato africano dalle mire del mondo esterno, il nuovo re deve anche fare i conti con una minaccia dal passato...
Lo scrivo all'inizio del post così ci togliamo il dente: dopo DIECI anni davvero non avete ancora capito che dovete rimanere seduti a subire in silenzio TUTTI i titoli di coda di un film Marvel perché ci saranno come minimo DUE scene post credits, solitamente la migliore proprio alla fine degli stessi? In una sala gremita, al primo spettacolo ho contato otto spettatori rimanenti, quando sono andata io pochi di meno. Siete ridicoli, su. A parte questo sfogo, Black Panther era uno dei film del MCU a cui non avrei dato un euro e invece mi sono trovata davanti l'opera migliore dai tempi di Winter Soldier (parlando ovviamente di pellicole con un'impronta action e seria, ché Guardiani della Galassia gioca su un altro livello, ormai direi che sia chiaro a tutti...). Il personaggio di Pantera Nera, supereroe africano del quale, beninteso, a me non è mai importato una cippa come del resto di tutti i Vendicatori cartacei, viene portato sullo schermo con intelligenza e finezza, grazie ad una sceneggiatura non esente da cliché ma comunque interessante ed entusiasmante, che sottolinea le differenze del personaggio rispetto ai suoi colleghi americani, inglesi ed extraterrestri. T'Challa, infatti, non è un "banale" supereroe con superproblemi, bensì un re guerriero, conscio dei doveri non già verso il mondo ma verso la sua gente, il popolo di Wakanda. Questa piccola nazione inventata, situata nel cuore dell'Africa, ha la particolarità di sembrare un poverissimo Paese di contadini ma in realtà, grazie al metallo chiamato Vibranio, è invece una fucina di scienza, tecnica e ricchezza, dove gli abitanti vivono in bilico tra tradizioni tribali e un progresso inimmaginabile; per proteggersi da eventuali minacce esterne, radicate in un desiderio di espansione coloniale ai danni dei popoli "deboli", Wakanda deve mantenere una maschera di povertà ed ignoranza e per questo il suo re è sempre stato costretto a lasciare che la sua gente (le persone di colore non Wakandiane) venisse ridotta in schiavitù e privata di terre e diritti. Partendo da questo assunto, Black Panther collega una storia di pura fantasia a lotte civili realmente accorse e contestualizzate nel tempo, spingendo lo spettatore a riflettere assieme ai personaggi su quale sia il modo migliore per aiutare i nostri simili ed evitare l'insorgere di violenza ed ignoranza, ché spesso a nascondere la testa sotto la sabbia si fanno solo danni: è giusto rimanere isolati per timore di venire schiacciati dal mondo esterno, privando così quest'ultimo di importanti scoperte scientifiche, oppure è più vantaggioso tendere una mano ed instaurare un rapporto di mutuo arricchimento? E' meglio costruire muri o ponti? Domande banali, domande necessarie in tempi bui come questi, non solo nell'America di Trump ma anche nell'Italia di Forza Nuova, Salveenee e Casapound, e fa ridere che sia un film Marvel a doverle porre scatenando il panico nelle teste vuote di tutto il mondo.
C'è tanto cuore, dunque, in questo Black Panther ma anche tanta azione, visto che T'challa e i suoi degni compari sono dei badass da primato. Anche stavolta il PG-13 ha reso di gomma gli artigli della Pantera, per carità, ma le scene d'azione sono parecchio goduriose e ben coreografate, perlomeno quando non sono ambientate in un tunnel nero dove si scontrano le pantere, ché lì mi è sembrato di guardare un videogame; alla tecnologia Wakandiana, che rende possibile l'impossibile, va dato il merito di buona parte della riuscita degli inseguimenti mozzafiato sia in auto che sui mezzi alati mentre la regia di Ryan Coogler, fattosi le ossa con Creed - Nato per combattere, ha reso per una volta chiari e gradevoli i corpo a corpo rituali ambientati sul ciglio della cascata. Black Panther è molto curato anche dal punto di vista delle scenografie e dei costumi, un mix di design dal moderno al fantascientifico e ispirazioni tribali, con abiti utilizzati per caratterizzare le diverse tribù del Wakanda attraverso una commistione di colori e materiali che ricordano molto quella dei reali stati africani, in più ha anche una splendida colonna sonora tra il truzzo e il tribale, perfetta per esprimere la particolare natura "borderline" di T'challa e del suo popolo. A proposito di colonna sonora, devo collegarmi proprio alle canzoni, anzi, a What is Love di Haddaway per parlare degli attori, partendo da chi mi ha colpita al punto da pregare (invano, ahimé) per uno spin-off interamente dedicato al personaggio. Mi riferisco, ovviamente, all'Ulysses Klaue di Andy Serkis, matto come un cavallo ed esaltante come pochi altri villain del MCU (diciamo proprio nessuno, a parte l'indimenticato Yondu), in grado di surclassare ad occhi chiusi il pur valido Killmonger di Michael B. Jordan e di riconfermarsi uno dei più grandi attori "commerciali" al mondo; apprezzatissima anche la Okoye di Danai Gurira, la donna capace di stenderti con un'occhiataccia mortale anche quando non è armata di katana come in The Walking Dead o impegnata a far volteggiare lance come in questo caso. Come al solito, i personaggi secondari mi hanno colpita più di quelli principali (a Mirco è piaciuto il rinoceronte leppegoso, per dire...) ma sarebbe un peccato non rendere merito a Chadwick Boseman per la fiera interpretazione del suo T'Challa e a Lupita Nyong'o per la dolce e forte Nakia, così come sarebbe un peccato se futuri sceneggiatori e registi mancassero di sviluppare la giovane Shuri, simpatico comic relief dell'intera operazione, fortunatamente non irritante né invasivo come un Thor: Ragnarok qualsiasi. Gli artigli della Pantera hanno quindi colpito, signori. Speriamo che Avengers: Infinity War sia altrettanto bello!
Del regista e co-sceneggiatore Ryan Coogler ho già parlato QUI. Chadwick Boseman (T'Challa/Black Panther), Michael B. Jordan (Erik Killmonger), Lupita Nyong'o (Nakia), Martin Freeman (Everett K. Ross), Daniel Kaluuya (W'Kabi), Forest Whitaker (Zuri) e Andy Serkis (Ulysses Klaue) li trovate invece ai rispettivi link.
Angela Bassett interpreta Ramonda. Americana, la ricordo per film come FX- Effetto mortale, Un poliziotto alle elementari, Critters 4, Amore all'ultimo morso, Malcom X, Strange Days, Vampiro a Brooklyn e Contact; inoltre, ha partecipato a serie quali I Robinson, Flash, Nightmare Cafe, Alias, E.R. - Medici in prima linea, American Horror Story e ha doppiato episodi de I Simpson e Bojack Horseman. Anche produttrice e regista, ha 60 anni e due film in uscita, Avengers: Infinity War e Mission: Impossible - Fallout.
Danai Gurira, che interpreta Okoye e che dovrebbe tornare anche in Avengers: Infinity War, è ovviamente la Michonne della serie The Walking Dead mentre Letitia Wright, che interpreta Shuri, dovrebbe tornare sia nel succitato Infinity War ed essere tra i protagonisti dell'imminente Ready Player One; altro volto conosciuto è quello di Sterling K. Brown, alias N'Jobu, che in American Crime Story era l'avvocato Christopher Darden. In tempi non sospetti, ovvero negli anni '90, Wesley Snipes avrebbe voluto interpretare Pantera Nera e aveva realizzato persino uno script; l'attore avrebbe voluto che la storia fosse interamente ambientata in Africa mentre il regista legato al progetto, John Singleton, preferiva l'America dei movimenti civili, inoltre il nome Black Panther era ancora troppo legato all'omonimo gruppo di attivisti, così non se n'è fatto nulla e nel frattempo Wesley Snipes è diventato troppo vecchio per il ruolo. Oltre a Wesley Snipes ci sono altri attori che hanno sperato di diventare Pantera Nera e quasi tutti sono poi finiti ad interpretare altri personaggi nel MCU, come Djimon Hounsou (Korath nel primo Guardiani della Galassia) ed Anthony Mackie, diventato Falcon al posto di Michael B. Jordan, che aveva fatto il provino per il ruolo e invece è diventato Killmonger. Manca solo John Boyega all'appello, considerato per il ruolo di T'Challa ma ancora fuori dal MCU per ora. Per quel che riguarda i registi, invece, la prima a cui era stato proposto di lavorare a Black Panther è stata Ava DuVernay, che si è ritirata dal progetto per divergenze creative ma è rimasta a lavorare con la Disney per l'imminente Nelle pieghe del tempo. Dopo tutto questo infoporn passiamo alle cose serie, ovvero alla CONTINUITY! T'Challa, assieme al padre T'Chaka, è comparso per la prima volta in Captain America: Civil War (e tornerà assieme a quasi tutti gli eroi nel pluricitato Avengers: Infinity War); nello stesso film era comparso anche l'agente Everett Ross mentre per la prima apparizione di Ulysses Klaue bisogna risalire all'anno precedente con Avengers: Age of Ultron. Apparentemente, quindi, per godere appieno di Black Panther avreste da recuperare solo tre film... ma non scherziamo, ecco l'elenco completo delle pellicole che compongono il MCU, per una volta in ORDINE CRONOLOGICO: Captain America: Il primo vendicatore, Iron Man, Iron Man 2, L'incredibile Hulk, Thor (qui aggiungete di nuovo Captain America: Il primo vendicatore), The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of Ultron, Ant - Man, Doctor Strange, Captain America: Civil War, Spider-Man: Homecoming e Thor: Ragnarok. ENJOY!
Trama: dopo la morte del padre, T'challa diventa sovrano del ricchissimo Wakanda ed eredita i poteri della Pantera Nera. Oltre a proteggere lo stato africano dalle mire del mondo esterno, il nuovo re deve anche fare i conti con una minaccia dal passato...
Lo scrivo all'inizio del post così ci togliamo il dente: dopo DIECI anni davvero non avete ancora capito che dovete rimanere seduti a subire in silenzio TUTTI i titoli di coda di un film Marvel perché ci saranno come minimo DUE scene post credits, solitamente la migliore proprio alla fine degli stessi? In una sala gremita, al primo spettacolo ho contato otto spettatori rimanenti, quando sono andata io pochi di meno. Siete ridicoli, su. A parte questo sfogo, Black Panther era uno dei film del MCU a cui non avrei dato un euro e invece mi sono trovata davanti l'opera migliore dai tempi di Winter Soldier (parlando ovviamente di pellicole con un'impronta action e seria, ché Guardiani della Galassia gioca su un altro livello, ormai direi che sia chiaro a tutti...). Il personaggio di Pantera Nera, supereroe africano del quale, beninteso, a me non è mai importato una cippa come del resto di tutti i Vendicatori cartacei, viene portato sullo schermo con intelligenza e finezza, grazie ad una sceneggiatura non esente da cliché ma comunque interessante ed entusiasmante, che sottolinea le differenze del personaggio rispetto ai suoi colleghi americani, inglesi ed extraterrestri. T'Challa, infatti, non è un "banale" supereroe con superproblemi, bensì un re guerriero, conscio dei doveri non già verso il mondo ma verso la sua gente, il popolo di Wakanda. Questa piccola nazione inventata, situata nel cuore dell'Africa, ha la particolarità di sembrare un poverissimo Paese di contadini ma in realtà, grazie al metallo chiamato Vibranio, è invece una fucina di scienza, tecnica e ricchezza, dove gli abitanti vivono in bilico tra tradizioni tribali e un progresso inimmaginabile; per proteggersi da eventuali minacce esterne, radicate in un desiderio di espansione coloniale ai danni dei popoli "deboli", Wakanda deve mantenere una maschera di povertà ed ignoranza e per questo il suo re è sempre stato costretto a lasciare che la sua gente (le persone di colore non Wakandiane) venisse ridotta in schiavitù e privata di terre e diritti. Partendo da questo assunto, Black Panther collega una storia di pura fantasia a lotte civili realmente accorse e contestualizzate nel tempo, spingendo lo spettatore a riflettere assieme ai personaggi su quale sia il modo migliore per aiutare i nostri simili ed evitare l'insorgere di violenza ed ignoranza, ché spesso a nascondere la testa sotto la sabbia si fanno solo danni: è giusto rimanere isolati per timore di venire schiacciati dal mondo esterno, privando così quest'ultimo di importanti scoperte scientifiche, oppure è più vantaggioso tendere una mano ed instaurare un rapporto di mutuo arricchimento? E' meglio costruire muri o ponti? Domande banali, domande necessarie in tempi bui come questi, non solo nell'America di Trump ma anche nell'Italia di Forza Nuova, Salveenee e Casapound, e fa ridere che sia un film Marvel a doverle porre scatenando il panico nelle teste vuote di tutto il mondo.
C'è tanto cuore, dunque, in questo Black Panther ma anche tanta azione, visto che T'challa e i suoi degni compari sono dei badass da primato. Anche stavolta il PG-13 ha reso di gomma gli artigli della Pantera, per carità, ma le scene d'azione sono parecchio goduriose e ben coreografate, perlomeno quando non sono ambientate in un tunnel nero dove si scontrano le pantere, ché lì mi è sembrato di guardare un videogame; alla tecnologia Wakandiana, che rende possibile l'impossibile, va dato il merito di buona parte della riuscita degli inseguimenti mozzafiato sia in auto che sui mezzi alati mentre la regia di Ryan Coogler, fattosi le ossa con Creed - Nato per combattere, ha reso per una volta chiari e gradevoli i corpo a corpo rituali ambientati sul ciglio della cascata. Black Panther è molto curato anche dal punto di vista delle scenografie e dei costumi, un mix di design dal moderno al fantascientifico e ispirazioni tribali, con abiti utilizzati per caratterizzare le diverse tribù del Wakanda attraverso una commistione di colori e materiali che ricordano molto quella dei reali stati africani, in più ha anche una splendida colonna sonora tra il truzzo e il tribale, perfetta per esprimere la particolare natura "borderline" di T'challa e del suo popolo. A proposito di colonna sonora, devo collegarmi proprio alle canzoni, anzi, a What is Love di Haddaway per parlare degli attori, partendo da chi mi ha colpita al punto da pregare (invano, ahimé) per uno spin-off interamente dedicato al personaggio. Mi riferisco, ovviamente, all'Ulysses Klaue di Andy Serkis, matto come un cavallo ed esaltante come pochi altri villain del MCU (diciamo proprio nessuno, a parte l'indimenticato Yondu), in grado di surclassare ad occhi chiusi il pur valido Killmonger di Michael B. Jordan e di riconfermarsi uno dei più grandi attori "commerciali" al mondo; apprezzatissima anche la Okoye di Danai Gurira, la donna capace di stenderti con un'occhiataccia mortale anche quando non è armata di katana come in The Walking Dead o impegnata a far volteggiare lance come in questo caso. Come al solito, i personaggi secondari mi hanno colpita più di quelli principali (a Mirco è piaciuto il rinoceronte leppegoso, per dire...) ma sarebbe un peccato non rendere merito a Chadwick Boseman per la fiera interpretazione del suo T'Challa e a Lupita Nyong'o per la dolce e forte Nakia, così come sarebbe un peccato se futuri sceneggiatori e registi mancassero di sviluppare la giovane Shuri, simpatico comic relief dell'intera operazione, fortunatamente non irritante né invasivo come un Thor: Ragnarok qualsiasi. Gli artigli della Pantera hanno quindi colpito, signori. Speriamo che Avengers: Infinity War sia altrettanto bello!
Del regista e co-sceneggiatore Ryan Coogler ho già parlato QUI. Chadwick Boseman (T'Challa/Black Panther), Michael B. Jordan (Erik Killmonger), Lupita Nyong'o (Nakia), Martin Freeman (Everett K. Ross), Daniel Kaluuya (W'Kabi), Forest Whitaker (Zuri) e Andy Serkis (Ulysses Klaue) li trovate invece ai rispettivi link.
Angela Bassett interpreta Ramonda. Americana, la ricordo per film come FX- Effetto mortale, Un poliziotto alle elementari, Critters 4, Amore all'ultimo morso, Malcom X, Strange Days, Vampiro a Brooklyn e Contact; inoltre, ha partecipato a serie quali I Robinson, Flash, Nightmare Cafe, Alias, E.R. - Medici in prima linea, American Horror Story e ha doppiato episodi de I Simpson e Bojack Horseman. Anche produttrice e regista, ha 60 anni e due film in uscita, Avengers: Infinity War e Mission: Impossible - Fallout.
Danai Gurira, che interpreta Okoye e che dovrebbe tornare anche in Avengers: Infinity War, è ovviamente la Michonne della serie The Walking Dead mentre Letitia Wright, che interpreta Shuri, dovrebbe tornare sia nel succitato Infinity War ed essere tra i protagonisti dell'imminente Ready Player One; altro volto conosciuto è quello di Sterling K. Brown, alias N'Jobu, che in American Crime Story era l'avvocato Christopher Darden. In tempi non sospetti, ovvero negli anni '90, Wesley Snipes avrebbe voluto interpretare Pantera Nera e aveva realizzato persino uno script; l'attore avrebbe voluto che la storia fosse interamente ambientata in Africa mentre il regista legato al progetto, John Singleton, preferiva l'America dei movimenti civili, inoltre il nome Black Panther era ancora troppo legato all'omonimo gruppo di attivisti, così non se n'è fatto nulla e nel frattempo Wesley Snipes è diventato troppo vecchio per il ruolo. Oltre a Wesley Snipes ci sono altri attori che hanno sperato di diventare Pantera Nera e quasi tutti sono poi finiti ad interpretare altri personaggi nel MCU, come Djimon Hounsou (Korath nel primo Guardiani della Galassia) ed Anthony Mackie, diventato Falcon al posto di Michael B. Jordan, che aveva fatto il provino per il ruolo e invece è diventato Killmonger. Manca solo John Boyega all'appello, considerato per il ruolo di T'Challa ma ancora fuori dal MCU per ora. Per quel che riguarda i registi, invece, la prima a cui era stato proposto di lavorare a Black Panther è stata Ava DuVernay, che si è ritirata dal progetto per divergenze creative ma è rimasta a lavorare con la Disney per l'imminente Nelle pieghe del tempo. Dopo tutto questo infoporn passiamo alle cose serie, ovvero alla CONTINUITY! T'Challa, assieme al padre T'Chaka, è comparso per la prima volta in Captain America: Civil War (e tornerà assieme a quasi tutti gli eroi nel pluricitato Avengers: Infinity War); nello stesso film era comparso anche l'agente Everett Ross mentre per la prima apparizione di Ulysses Klaue bisogna risalire all'anno precedente con Avengers: Age of Ultron. Apparentemente, quindi, per godere appieno di Black Panther avreste da recuperare solo tre film... ma non scherziamo, ecco l'elenco completo delle pellicole che compongono il MCU, per una volta in ORDINE CRONOLOGICO: Captain America: Il primo vendicatore, Iron Man, Iron Man 2, L'incredibile Hulk, Thor (qui aggiungete di nuovo Captain America: Il primo vendicatore), The Avengers, Iron Man 3, Thor: The Dark World, Captain America: The Winter Soldier, Guardiani della Galassia, Guardiani della Galassia vol. 2, Avengers: Age of Ultron, Ant - Man, Doctor Strange, Captain America: Civil War, Spider-Man: Homecoming e Thor: Ragnarok. ENJOY!
domenica 25 febbraio 2018
Il filo nascosto (2017)
La mia frenetica rincorsa ai recuperi pre-Notte degli Oscar è quasi arrivata a conclusione. Giovedì sera sono andata a vedere Il filo nascosto (Phantom Thread), diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Paul Thomas Anderson e candidato a sei premi Oscar (Miglior Film, Miglior Regia, Daniel Day-Lewis Miglior Attore Protagonista, Lesley Manville Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Colonna Sonora Originale e Migliori Costumi).
Trama: Reynolds Woodcock è uno stilista inglese di fama internazionale, la cui vita è scandita da regole ferree dalle quali dipende la sua serenità d'animo. Un giorno però lo stilista incontra la giovane Alma, che ne diventa musa e amante, e i saldi pilastri della sua esistenza cominciano a vacillare...
Come ho scritto su Facebook, sconcertata dopo la visione de Il filo nascosto: "non so cosa ho visto ma Daniel Day-Lewis è un mostro e ho riso tantissimo. Lodi ad Anderson". Questo è un agilissimo riassunto delle sensazioni provocate dalla visione dell'ultimo film di Paul Thomas Anderson e, ahimé, anche l'ultimo di Daniel Day-Lewis in veste di attore. Potrei concludere qui il post perché francamente mi sento un po' in difficoltà a parlare di una pellicola così semplice a livello di trama ma anche complessa per quel che riguarda i rapporti che uniscono i pochi personaggi, così dettagliata e sontuosa a livello di regia, divinamente recitata e con una colonna sonora tra le più interessanti sentite quest'anno. Mi sento inadeguata come durante la stesura del post de La forma dell'acqua, tuttavia non mi muove lo stesso amore provato per Del Toro, quindi la faccenda si fa ancora più difficile. Intanto, potrei prendere in prestito una frase letta su internet che condivido in toto e partire da lì. "Il filo nascosto è un film sulla grandezza realizzato dai più grandi". Questa definizione, in qualche modo, mi rassicura e chi ha visto Il filo nascosto capirà perché. In questo momento, non me ne vogliano gli estimatori di Anderson, Day-Lewis e tutto il cucuzzaro, mi sento come Alma. La grezza, pasticciona, semplice Alma, che viene scelta come musa (e collaboratrice, e amante) da uno stilista davanti al quale tutti si inchinano, trattato come un delicatissimo cristallo di Boemia da una sorella che ormai sa come gestire e talvolta persino prevedere tutte le sue idiosincrasie, così da rendergli la vita creativa il più piacevole possibile. Alma, nella sua ignoranza e nella sua ferrea volontà di essere donna prima ancora che bambolina da vestire, riesce ad avvicinarsi al nucleo umano del Genio di Woodcock più di chiunque altro e allo stesso tempo a ridimensionare l'uomo che le sta davanti facendo saltare all'occhio dello spettatore la fondamentale natura ridicola delle sue fissazioni. Dal canto suo, Woodcock si lascia trasportare dall'imprevedibilità di Alma pur temendola, desideroso di venire protetto e sollevato dalle responsabilità del lavoro, come faceva un tempo la defunta mammà, ma anche terrorizzato dal pericolo insito in una donna che talvolta mostra di non avere rispetto per il Genio creativo e, appunto, la Grandezza del suo amato, stufa di venire equiparata ad una delle tante sartine che bazzicano la magione dello stilista. E appunto, io mi sento come Alma. Non ho voglia di venire sopraffatta dalla gigantesca bravura di tutti i coinvolti riducendomi al rango di spettatore pigolante che si mette in un angolo chinando il capo all'urlo di "E' un BEL regista! E' un santo! Un apostolo!" (semicit.) sciorinando solo delle lodi sperticate perché, appunto, durante Il filo nascosto ho riso. Parecchio.
Mentre Anderson catturava il mio occhio con splendidi giri di macchina, con quelle pazzesche riprese durante le corse in auto, con maestosi primi piani non solo dei volti ma dei dettagli di mani, fili, tessuti, aghi, stoffe, pizzi e tutto ciò che concorre alla creazione di un abito meraviglioso; mentre Daniel Day-Lewis regalava al mondo l'ultima prova della sua bravura di attore, annullandosi in un personaggio scomodo ed insopportabile ma oh, tremendamente affascinante, in un trionfo di sguardi carichi di gelido biasimo, gesti controllati e sfuriate da antologia (il breve monologo sulla definizione di "chic" mi ha stesa); mentre Lesley Manville e Vicky Krieps duettavano con l'attore più grande del mondo, l'una speculare modello di caustica freddezza e professionalità, terzo incomodo tra i peggiori esistenti al mondo, l'altra fragile ragazza che nasconde nello sguardo la mente perversa di un serial killer e la freddezza di Machiavelli; mentre il chitarrista dei Radiohead mi avvolgeva con melodie raffinate in perfetto stile anni '50 e il mio intero essere veniva trascinato all'interno del mondo di Woodcock, reso ancor più perfetto e realistico da fotografia, montaggio e costumi; mentre tutto questo accadeva io riuscivo solo a pensare "Belin, ma Woodcock è praticamente un incrocio tra Furio e Raniero con la spocchia di un lord inglese". Tac, eccolo lì il senso del ridicolo, la chiave per non temere più l'ultima fatica di Anderson e arrivare a "ridimensionarla" e volerle bene come a un film "normale" nonostante, appunto, la sua Grandezza. Perché, a differenza di quanto mi sarei aspettata, Il filo nascosto mette in scena una storia d'amore che è prima di tutto una storia di reciproca, difficilissima comprensione nonché una battaglia tra volontà ferree, una lotta sussurrata ma appassionante ambientata nel luogo più improbabile di sempre (il tavolo da cucina, attenzione, non l'atelier!), che regala non solo momenti di altissima ilarità a base di rumori fastidiosi ma anche twist inaspettati che scoperchiano abissi di follia insospettabili. E' intrattenimento elevato ad arte che richiede molta pazienza ma da un sacco di soddisfazione, come quando si arriva ad avere tra le mani un vestito che ci siamo cuciti da soli (ne so qualcosa, giuro) oppure quando si riesce a trovare la chiave del cuore di un'altra persona e, per estensione, della propria vita... anche quando questa chiave è come minimo peculiare. Diciamo così. Altro non ho da aggiungere, andate a vedere Il filo nascosto e godetevelo!
Del regista e sceneggiatore Paul Thomas Anderson ho già parlato QUI. Daniel Day-Lewis (Reynolds Woodcock) e Brian Gleeson (Dr. Robert Hardy) li trovate invece ai rispettivi link.
Vicky Krieps interpreta Alma. Nata in Lussemburgo, ha partecipato a film come Hanna, Anonymous e Colonia. Ha 35 anni e un film in uscita, Quello che non uccide.
Lesley Manville interpreta Cyril. Inglese, ha partecipato a film come Il segreto di Vera Drake, A Christmas Carol, Womb, Turner e Maleficent. Ha 62 anni.
Se Il filo nascosto vi fosse piaciuto recuperate The Master, Rebecca - La prima moglie e L'inganno. ENJOY!
Trama: Reynolds Woodcock è uno stilista inglese di fama internazionale, la cui vita è scandita da regole ferree dalle quali dipende la sua serenità d'animo. Un giorno però lo stilista incontra la giovane Alma, che ne diventa musa e amante, e i saldi pilastri della sua esistenza cominciano a vacillare...
Come ho scritto su Facebook, sconcertata dopo la visione de Il filo nascosto: "non so cosa ho visto ma Daniel Day-Lewis è un mostro e ho riso tantissimo. Lodi ad Anderson". Questo è un agilissimo riassunto delle sensazioni provocate dalla visione dell'ultimo film di Paul Thomas Anderson e, ahimé, anche l'ultimo di Daniel Day-Lewis in veste di attore. Potrei concludere qui il post perché francamente mi sento un po' in difficoltà a parlare di una pellicola così semplice a livello di trama ma anche complessa per quel che riguarda i rapporti che uniscono i pochi personaggi, così dettagliata e sontuosa a livello di regia, divinamente recitata e con una colonna sonora tra le più interessanti sentite quest'anno. Mi sento inadeguata come durante la stesura del post de La forma dell'acqua, tuttavia non mi muove lo stesso amore provato per Del Toro, quindi la faccenda si fa ancora più difficile. Intanto, potrei prendere in prestito una frase letta su internet che condivido in toto e partire da lì. "Il filo nascosto è un film sulla grandezza realizzato dai più grandi". Questa definizione, in qualche modo, mi rassicura e chi ha visto Il filo nascosto capirà perché. In questo momento, non me ne vogliano gli estimatori di Anderson, Day-Lewis e tutto il cucuzzaro, mi sento come Alma. La grezza, pasticciona, semplice Alma, che viene scelta come musa (e collaboratrice, e amante) da uno stilista davanti al quale tutti si inchinano, trattato come un delicatissimo cristallo di Boemia da una sorella che ormai sa come gestire e talvolta persino prevedere tutte le sue idiosincrasie, così da rendergli la vita creativa il più piacevole possibile. Alma, nella sua ignoranza e nella sua ferrea volontà di essere donna prima ancora che bambolina da vestire, riesce ad avvicinarsi al nucleo umano del Genio di Woodcock più di chiunque altro e allo stesso tempo a ridimensionare l'uomo che le sta davanti facendo saltare all'occhio dello spettatore la fondamentale natura ridicola delle sue fissazioni. Dal canto suo, Woodcock si lascia trasportare dall'imprevedibilità di Alma pur temendola, desideroso di venire protetto e sollevato dalle responsabilità del lavoro, come faceva un tempo la defunta mammà, ma anche terrorizzato dal pericolo insito in una donna che talvolta mostra di non avere rispetto per il Genio creativo e, appunto, la Grandezza del suo amato, stufa di venire equiparata ad una delle tante sartine che bazzicano la magione dello stilista. E appunto, io mi sento come Alma. Non ho voglia di venire sopraffatta dalla gigantesca bravura di tutti i coinvolti riducendomi al rango di spettatore pigolante che si mette in un angolo chinando il capo all'urlo di "E' un BEL regista! E' un santo! Un apostolo!" (semicit.) sciorinando solo delle lodi sperticate perché, appunto, durante Il filo nascosto ho riso. Parecchio.
Mentre Anderson catturava il mio occhio con splendidi giri di macchina, con quelle pazzesche riprese durante le corse in auto, con maestosi primi piani non solo dei volti ma dei dettagli di mani, fili, tessuti, aghi, stoffe, pizzi e tutto ciò che concorre alla creazione di un abito meraviglioso; mentre Daniel Day-Lewis regalava al mondo l'ultima prova della sua bravura di attore, annullandosi in un personaggio scomodo ed insopportabile ma oh, tremendamente affascinante, in un trionfo di sguardi carichi di gelido biasimo, gesti controllati e sfuriate da antologia (il breve monologo sulla definizione di "chic" mi ha stesa); mentre Lesley Manville e Vicky Krieps duettavano con l'attore più grande del mondo, l'una speculare modello di caustica freddezza e professionalità, terzo incomodo tra i peggiori esistenti al mondo, l'altra fragile ragazza che nasconde nello sguardo la mente perversa di un serial killer e la freddezza di Machiavelli; mentre il chitarrista dei Radiohead mi avvolgeva con melodie raffinate in perfetto stile anni '50 e il mio intero essere veniva trascinato all'interno del mondo di Woodcock, reso ancor più perfetto e realistico da fotografia, montaggio e costumi; mentre tutto questo accadeva io riuscivo solo a pensare "Belin, ma Woodcock è praticamente un incrocio tra Furio e Raniero con la spocchia di un lord inglese". Tac, eccolo lì il senso del ridicolo, la chiave per non temere più l'ultima fatica di Anderson e arrivare a "ridimensionarla" e volerle bene come a un film "normale" nonostante, appunto, la sua Grandezza. Perché, a differenza di quanto mi sarei aspettata, Il filo nascosto mette in scena una storia d'amore che è prima di tutto una storia di reciproca, difficilissima comprensione nonché una battaglia tra volontà ferree, una lotta sussurrata ma appassionante ambientata nel luogo più improbabile di sempre (il tavolo da cucina, attenzione, non l'atelier!), che regala non solo momenti di altissima ilarità a base di rumori fastidiosi ma anche twist inaspettati che scoperchiano abissi di follia insospettabili. E' intrattenimento elevato ad arte che richiede molta pazienza ma da un sacco di soddisfazione, come quando si arriva ad avere tra le mani un vestito che ci siamo cuciti da soli (ne so qualcosa, giuro) oppure quando si riesce a trovare la chiave del cuore di un'altra persona e, per estensione, della propria vita... anche quando questa chiave è come minimo peculiare. Diciamo così. Altro non ho da aggiungere, andate a vedere Il filo nascosto e godetevelo!
Del regista e sceneggiatore Paul Thomas Anderson ho già parlato QUI. Daniel Day-Lewis (Reynolds Woodcock) e Brian Gleeson (Dr. Robert Hardy) li trovate invece ai rispettivi link.
Vicky Krieps interpreta Alma. Nata in Lussemburgo, ha partecipato a film come Hanna, Anonymous e Colonia. Ha 35 anni e un film in uscita, Quello che non uccide.
Lesley Manville interpreta Cyril. Inglese, ha partecipato a film come Il segreto di Vera Drake, A Christmas Carol, Womb, Turner e Maleficent. Ha 62 anni.
Se Il filo nascosto vi fosse piaciuto recuperate The Master, Rebecca - La prima moglie e L'inganno. ENJOY!
venerdì 23 febbraio 2018
The Disaster Artist (2017)
Come avrete già intuito dal post su The Room, oggi parlerò di The Disaster Artist, diretto nel 2017 dal regista James Franco e tratto dal libro omonimo di Greg Sestero e Tom Bissell, candidato all'Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale.
Trama: il giovane Greg, attore di belle speranze, viene attirato dalla carismatica figura di Tommy Wiseau, anch'egli desideroso di diventare attore ma assolutamente NON portato per intraprendere la carriera. Nonostante tutto, i due diventano amici e decidono di realizzare il loro film, The Room, senza immaginare che l'opera verrà consacrata ai posteri come il Quarto potere dei film brutti.
Il mondo del cinema è davvero un universo a parte dove può succedere di tutto. Ci sono film oggettivamente belli che magari la gente dimentica dopo due o tre giorni, ci sono i capolavori che vengono riconosciuti subito, quelli che ci mettono anni per ottenere questo status, le robe orrende che giustamente vengono subito stroncate e condannate all'oblio... e poi ci sono film come The Room. The Room è una schifezza diretta coi piedi, scritta da un pazzo, "recitata" da cani maledetti se mai ne sono esistiti, eppure con gli anni è diventata un cult, un'aberrazione talmente affascinante e con un background così assurdo da raccogliere attorno a sé miriadi di adepti persino tra gli addetti ai lavori. Qui casca l'asino, ovvero James Franco, attore/regista/sceneggiatore talmente folle da scegliere di realizzare un docupic interamente dedicato alla creazione di The Room e alle due figure che si nascondono dietro di essa, Tommy Wiseau e Greg Sestero. Quest'ultimo, furbone matricolato alla faccia del suo aspetto da "bambolino", ha pensato bene di scrivere un libro autobiografico per cavalcare l'inaspettato successo postumo del Quarto potere dei film brutti e consacrarlo ancor più ad imperitura memoria, libro all'interno del quale viene raccontata la genesi dell'amicizia tra lui e Wiseau e tutti gli assurdi dettagli della produzione, realizzazione e distribuzione di The Room, un "dietro le quinte" che Franco ripropone (romanzandolo parecchio) con un amore tangibile, cercando di raccontare una storia molto umana piuttosto che mettere alla berlina i coinvolti o scavare nel torbido. Lo spettatore viene così portato a condividere il punto di vista di Greg Sestero, ragazzo dalla faccia pulita e dalle limitate doti di attore, che si ritrova suo malgrado a dover arginare la debordante personalità di Tommy Wiseau, uomo dalle origini sconosciute, di età indefinita e zeppo di soldi che compensa la sua assoluta incapacità attoriale (assieme a quella relazionale) con una totale mancanza di vergogna e percezione di sé. La strana amicizia tra i due nasce nel segno di James Dean e si accende dell'entusiasmo di Wiseau, che propone a Greg di condividere un appartamento a Los Angeles e da lì partire per realizzare i rispettivi sogni; purtroppo, mentre Greg comincia piano piano ad ottenere delle piccole parti e trova persino una bella fidanzata, Tommy viene scoraggiato da più parti e rimane sempre più solo, al punto da arrivare quasi a rinunciare, almeno finché Greg, per consolarlo e spronarlo, non propone incautamente di realizzare un film tutto loro. Il resto, come si suol dire, è storia. Una storia non sempre bella, certo, anche perché l'inadeguatezza di Tommy si trasforma in quattro e quattr'otto in arroganza e cattiveria sul set, alimentata da frustrazione personale e dalla convinzione di essere un genio incompreso, mentre persino Greg a un certo punto perde la pazienza e decide di lasciare Wiseau al suo destino, vergognandosi di avere partecipato ad un film condannato in partenza ad essere un flop.
Il bello di The Disaster Artist è proprio questa sua capacità di raccontare la storia di una persona VERAMENTE strana dotata di un sogno irrealizzabile, qualcosa di fruibile anche da chi The Room non l'ha mai visto. Il disagio di Greg si avverte palpabile per tutto il film, così come il suo desiderio di non ferire Tommy e di sostenere comunque l'amico che nonostante tutto lo ha aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo; allo stesso modo, Wiseau sarebbe da prendere a schiaffi per la sua tracotanza e testardaggine ma spesso suscita anche sentimenti di tristezza e pietà, ché non dev'essere facile essere troppo weird persino per Hollywood e venire etichettati come "cattivi" solo per il proprio aspetto quando invece si vorrebbe recitare nei panni dell'eroe. Per chi invece ha visto The Room, il film di Franco assume una valenza ancora diversa e porta non solo a guardare con maggiore indulgenza agli enormi difetti dell'opera di esordio di Wiseau, ma anche a capirne la natura di "comfort zone", di universo a sé stante dove Tommy poteva non solo essere protagonista ma anche raccontare la sua storia, il suo desiderio di essere eroe buono ed incompreso, avere il controllo di qualcosa dal quale la macchina di Hollywood lo avrebbe sempre tenuto fuori. Ecco che allora il folle desiderio di perfezione assoluta (emblematica la scena in cui Tommy umilia l'attrice che interpreta Lisa davanti a tutti), il fastidio di venire criticato da persone palesemente più competenti di lui, la necessità di distinguersi dagli altri in ogni modo possibile e immaginabile diventano comprensibili, benché non giustificabili, e lo spettatore comincia a sentirsi come Greg, un po' in colpa per quelle sensazioni di vergogna, disgusto e ilarità provate guardando The Room. E anche se il trionfo raccontato sul finale non c'è mai stato, perché la natura involontariamente comica di The Room è stata riconosciuta solo in seguito, grazie alle già citate proiezioni di mezzanotte, c'è della soddisfazione (perversa?) nel veder celebrare una creatura ambigua come Wiseau in tutta la sua gloria, assistendo alle risate e alle urla di una platea in visibilio per cotanta trashissima sfacciataggine. E questo, se permettete, è l'unico vero difetto di The Disaster Artist, perché rischia di spingere la gente a guardare un film che, lungi dal divertire, fa soltanto cadere le balle da quanto è noioso.
Per il resto, The Disaster Artist è tanta roba, a partire soprattutto da James Franco. Il suo annullamento all'interno del personaggio di Wiseau è da antologia, con quel terrificante accento europeo (pardon, di New Orleans) strascicato e la fisicità tracotante; perfettamente in bilico tra commedia e tragedia, il Wiseau di Franco colpisce nei momenti più esilaranti del film ma tocca il cuore in quelli più seri ed "introspettivi" e dispiace che l'attore sia stato tenuto fuori dalla corsa agli Oscar per l'ennesimo scandalo a sfondo sessuale perché, ora come ora, tra lui e Gary Oldman avrei delle serie difficoltà a scegliere un vincitore. Ma non c'è solo questo, perché Franco merita il plauso anche e soprattutto per il modo certosino con cui ha ricostruito alla perfezione la maggior parte delle scene (s)cult di The Room, alcune inserite nel film, altre utilizzate nei titoli di coda per fare un confronto con le sequenze originali, con risultati da lasciare a bocca aperta. Molto bravo anche il fratello Dave, che normalmente viene relegato a ruoli di belloccio inespressivo e che qui riesce a reggere la scena senza farsi troppo eclissare dal più carismatico James, creando così una sorta di equilibrio all'interno delle varie sequenze, e intelligente l'utilizzo di buona parte della solita combriccola di Franco, con gli amici di sempre ingaggiati per ruoli più o meno importanti (mi ha fatto molto piacere vedere l'adorato Rogen, nei panni del cinico Sandy, sottolineare gli stessi difetti di "anatomia sessuale" che ho evidenziato io nel post su The Room). In buona sostanza, The Disaster Artist merita di finire in un'ideale Top 5 di film visti in preparazione della notte degli Oscar e vi consiglio di correre a vederlo, cercando possibilmente un cinema che lo proietti in v.o. altrimenti lasciate pure perdere, ché l'interpretazione di Franco si aggiudica un buon 60% di merito per la riuscita del film.
Del regista James Franco, che interpreta anche Tommy Wiseau/Johnny, ho già parlato QUI. Dave Franco (Greg Sestero/Mike), Seth Rogen (Sandy), Zac Efron (Dan/Chris R), Josh Hutcherson (Philip/Denny), Sharon Stone (Iris Burton), Bob Odenkirk (insegnante Stanislavsky), Tommy Wiseau (Henry, MI RACCOMANDO NON OSATE ALZARVI PRIMA DELLA FINE DEI TITOLI DI CODA!!!!), Zoey Deutch (Bobbi), Judd Apatow (produttore di Hollywood), Christopher Mintz - Plasse (Sid), Jason Mitchell (Nate) e Greg Sestero (Agente di casting) li trovate invece ai rispettivi link.
Ari Graynor interpreta Juliette, ovvero "Lisa". Americana, ha partecipato a film come Mystic River, Whip It e a serie quali I Soprano, Veronica Mars, CSI - Miami e Numb3rs; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie The Cleveland Show, I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, ha 35 anni e un film in uscita.
Alison Brie interpreta Amber. Americana, ha partecipato a film come Scream 4, The Post e a serie quali Hannah Montana e GLOW; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Robot Chicken, American Dad!, Bojack Horseman e nel film The Lego Movie. Anche produttrice, ha 36 anni.
Megan Mullally interpreta Mrs. Sestero. Americana, meravigliosa Karen Walker della serie Will & Grace, ha partecipato a film come Che cosa aspettarsi quando si aspetta e ad altre serie quali La signora in giallo, Frasier, Innamorati pazzi, Una famiglia del terzo tipo, How I Met Your Mother e 30 Rock; inoltre ha doppiato episodi di Batman e il film Hotel Transylvania 2. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 60 anni.
Melanie Griffith interpreta Jean Shelton. Americana, la ricordo per film come Omicidio a luci rosse, Una donna in carriera, Il falò delle vanità, Lolita e Pazzi in Alabama, inoltre ha partecipato a serie quali Starsky & Hutch, Miami Vice, Nip/Tuck e ha anche doppiato episodi di Robot Chicken e il film Stuart Little 2. Anche produttrice, ha 61 anni.
Nei panni di loro stesse compaiono star di Hollywood come Ike Barinholtz, Kevin Smith, Keegan-Michael Kay, Adam Scott, Danny McBride, Kristen Bell, J.J. Abrams, Lizzy Caplan, Bryan Cranston e Dylan Minnette; in particolare, da Barinholtz alla Caplan si tratta di veri fan di The Room, che spiegano perché il film di Wiseau li affascini ancora oggi. Sono invece rimasti fuori dal film i camei di Zach Braff e Jim Parson. Se The Disaster Artist vi fosse piaciuto recuperate OVVIAMENTE The Room, aspettate l'uscita di Best F(r)iends (il film scritto da Greg Sestero dopo aver visto The Disaster Artist, che riunisce finalmente lui e Tommy Wiseau) e aggiungete Ed Wood. ENJOY!
Trama: il giovane Greg, attore di belle speranze, viene attirato dalla carismatica figura di Tommy Wiseau, anch'egli desideroso di diventare attore ma assolutamente NON portato per intraprendere la carriera. Nonostante tutto, i due diventano amici e decidono di realizzare il loro film, The Room, senza immaginare che l'opera verrà consacrata ai posteri come il Quarto potere dei film brutti.
Il mondo del cinema è davvero un universo a parte dove può succedere di tutto. Ci sono film oggettivamente belli che magari la gente dimentica dopo due o tre giorni, ci sono i capolavori che vengono riconosciuti subito, quelli che ci mettono anni per ottenere questo status, le robe orrende che giustamente vengono subito stroncate e condannate all'oblio... e poi ci sono film come The Room. The Room è una schifezza diretta coi piedi, scritta da un pazzo, "recitata" da cani maledetti se mai ne sono esistiti, eppure con gli anni è diventata un cult, un'aberrazione talmente affascinante e con un background così assurdo da raccogliere attorno a sé miriadi di adepti persino tra gli addetti ai lavori. Qui casca l'asino, ovvero James Franco, attore/regista/sceneggiatore talmente folle da scegliere di realizzare un docupic interamente dedicato alla creazione di The Room e alle due figure che si nascondono dietro di essa, Tommy Wiseau e Greg Sestero. Quest'ultimo, furbone matricolato alla faccia del suo aspetto da "bambolino", ha pensato bene di scrivere un libro autobiografico per cavalcare l'inaspettato successo postumo del Quarto potere dei film brutti e consacrarlo ancor più ad imperitura memoria, libro all'interno del quale viene raccontata la genesi dell'amicizia tra lui e Wiseau e tutti gli assurdi dettagli della produzione, realizzazione e distribuzione di The Room, un "dietro le quinte" che Franco ripropone (romanzandolo parecchio) con un amore tangibile, cercando di raccontare una storia molto umana piuttosto che mettere alla berlina i coinvolti o scavare nel torbido. Lo spettatore viene così portato a condividere il punto di vista di Greg Sestero, ragazzo dalla faccia pulita e dalle limitate doti di attore, che si ritrova suo malgrado a dover arginare la debordante personalità di Tommy Wiseau, uomo dalle origini sconosciute, di età indefinita e zeppo di soldi che compensa la sua assoluta incapacità attoriale (assieme a quella relazionale) con una totale mancanza di vergogna e percezione di sé. La strana amicizia tra i due nasce nel segno di James Dean e si accende dell'entusiasmo di Wiseau, che propone a Greg di condividere un appartamento a Los Angeles e da lì partire per realizzare i rispettivi sogni; purtroppo, mentre Greg comincia piano piano ad ottenere delle piccole parti e trova persino una bella fidanzata, Tommy viene scoraggiato da più parti e rimane sempre più solo, al punto da arrivare quasi a rinunciare, almeno finché Greg, per consolarlo e spronarlo, non propone incautamente di realizzare un film tutto loro. Il resto, come si suol dire, è storia. Una storia non sempre bella, certo, anche perché l'inadeguatezza di Tommy si trasforma in quattro e quattr'otto in arroganza e cattiveria sul set, alimentata da frustrazione personale e dalla convinzione di essere un genio incompreso, mentre persino Greg a un certo punto perde la pazienza e decide di lasciare Wiseau al suo destino, vergognandosi di avere partecipato ad un film condannato in partenza ad essere un flop.
Il bello di The Disaster Artist è proprio questa sua capacità di raccontare la storia di una persona VERAMENTE strana dotata di un sogno irrealizzabile, qualcosa di fruibile anche da chi The Room non l'ha mai visto. Il disagio di Greg si avverte palpabile per tutto il film, così come il suo desiderio di non ferire Tommy e di sostenere comunque l'amico che nonostante tutto lo ha aiutato ad entrare nel mondo dello spettacolo; allo stesso modo, Wiseau sarebbe da prendere a schiaffi per la sua tracotanza e testardaggine ma spesso suscita anche sentimenti di tristezza e pietà, ché non dev'essere facile essere troppo weird persino per Hollywood e venire etichettati come "cattivi" solo per il proprio aspetto quando invece si vorrebbe recitare nei panni dell'eroe. Per chi invece ha visto The Room, il film di Franco assume una valenza ancora diversa e porta non solo a guardare con maggiore indulgenza agli enormi difetti dell'opera di esordio di Wiseau, ma anche a capirne la natura di "comfort zone", di universo a sé stante dove Tommy poteva non solo essere protagonista ma anche raccontare la sua storia, il suo desiderio di essere eroe buono ed incompreso, avere il controllo di qualcosa dal quale la macchina di Hollywood lo avrebbe sempre tenuto fuori. Ecco che allora il folle desiderio di perfezione assoluta (emblematica la scena in cui Tommy umilia l'attrice che interpreta Lisa davanti a tutti), il fastidio di venire criticato da persone palesemente più competenti di lui, la necessità di distinguersi dagli altri in ogni modo possibile e immaginabile diventano comprensibili, benché non giustificabili, e lo spettatore comincia a sentirsi come Greg, un po' in colpa per quelle sensazioni di vergogna, disgusto e ilarità provate guardando The Room. E anche se il trionfo raccontato sul finale non c'è mai stato, perché la natura involontariamente comica di The Room è stata riconosciuta solo in seguito, grazie alle già citate proiezioni di mezzanotte, c'è della soddisfazione (perversa?) nel veder celebrare una creatura ambigua come Wiseau in tutta la sua gloria, assistendo alle risate e alle urla di una platea in visibilio per cotanta trashissima sfacciataggine. E questo, se permettete, è l'unico vero difetto di The Disaster Artist, perché rischia di spingere la gente a guardare un film che, lungi dal divertire, fa soltanto cadere le balle da quanto è noioso.
Per il resto, The Disaster Artist è tanta roba, a partire soprattutto da James Franco. Il suo annullamento all'interno del personaggio di Wiseau è da antologia, con quel terrificante accento europeo (pardon, di New Orleans) strascicato e la fisicità tracotante; perfettamente in bilico tra commedia e tragedia, il Wiseau di Franco colpisce nei momenti più esilaranti del film ma tocca il cuore in quelli più seri ed "introspettivi" e dispiace che l'attore sia stato tenuto fuori dalla corsa agli Oscar per l'ennesimo scandalo a sfondo sessuale perché, ora come ora, tra lui e Gary Oldman avrei delle serie difficoltà a scegliere un vincitore. Ma non c'è solo questo, perché Franco merita il plauso anche e soprattutto per il modo certosino con cui ha ricostruito alla perfezione la maggior parte delle scene (s)cult di The Room, alcune inserite nel film, altre utilizzate nei titoli di coda per fare un confronto con le sequenze originali, con risultati da lasciare a bocca aperta. Molto bravo anche il fratello Dave, che normalmente viene relegato a ruoli di belloccio inespressivo e che qui riesce a reggere la scena senza farsi troppo eclissare dal più carismatico James, creando così una sorta di equilibrio all'interno delle varie sequenze, e intelligente l'utilizzo di buona parte della solita combriccola di Franco, con gli amici di sempre ingaggiati per ruoli più o meno importanti (mi ha fatto molto piacere vedere l'adorato Rogen, nei panni del cinico Sandy, sottolineare gli stessi difetti di "anatomia sessuale" che ho evidenziato io nel post su The Room). In buona sostanza, The Disaster Artist merita di finire in un'ideale Top 5 di film visti in preparazione della notte degli Oscar e vi consiglio di correre a vederlo, cercando possibilmente un cinema che lo proietti in v.o. altrimenti lasciate pure perdere, ché l'interpretazione di Franco si aggiudica un buon 60% di merito per la riuscita del film.
Del regista James Franco, che interpreta anche Tommy Wiseau/Johnny, ho già parlato QUI. Dave Franco (Greg Sestero/Mike), Seth Rogen (Sandy), Zac Efron (Dan/Chris R), Josh Hutcherson (Philip/Denny), Sharon Stone (Iris Burton), Bob Odenkirk (insegnante Stanislavsky), Tommy Wiseau (Henry, MI RACCOMANDO NON OSATE ALZARVI PRIMA DELLA FINE DEI TITOLI DI CODA!!!!), Zoey Deutch (Bobbi), Judd Apatow (produttore di Hollywood), Christopher Mintz - Plasse (Sid), Jason Mitchell (Nate) e Greg Sestero (Agente di casting) li trovate invece ai rispettivi link.
Ari Graynor interpreta Juliette, ovvero "Lisa". Americana, ha partecipato a film come Mystic River, Whip It e a serie quali I Soprano, Veronica Mars, CSI - Miami e Numb3rs; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie The Cleveland Show, I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, ha 35 anni e un film in uscita.
Alison Brie interpreta Amber. Americana, ha partecipato a film come Scream 4, The Post e a serie quali Hannah Montana e GLOW; come doppiatrice, ha lavorato nelle serie Robot Chicken, American Dad!, Bojack Horseman e nel film The Lego Movie. Anche produttrice, ha 36 anni.
Megan Mullally interpreta Mrs. Sestero. Americana, meravigliosa Karen Walker della serie Will & Grace, ha partecipato a film come Che cosa aspettarsi quando si aspetta e ad altre serie quali La signora in giallo, Frasier, Innamorati pazzi, Una famiglia del terzo tipo, How I Met Your Mother e 30 Rock; inoltre ha doppiato episodi di Batman e il film Hotel Transylvania 2. Anche produttrice e sceneggiatrice, ha 60 anni.
Melanie Griffith interpreta Jean Shelton. Americana, la ricordo per film come Omicidio a luci rosse, Una donna in carriera, Il falò delle vanità, Lolita e Pazzi in Alabama, inoltre ha partecipato a serie quali Starsky & Hutch, Miami Vice, Nip/Tuck e ha anche doppiato episodi di Robot Chicken e il film Stuart Little 2. Anche produttrice, ha 61 anni.
Nei panni di loro stesse compaiono star di Hollywood come Ike Barinholtz, Kevin Smith, Keegan-Michael Kay, Adam Scott, Danny McBride, Kristen Bell, J.J. Abrams, Lizzy Caplan, Bryan Cranston e Dylan Minnette; in particolare, da Barinholtz alla Caplan si tratta di veri fan di The Room, che spiegano perché il film di Wiseau li affascini ancora oggi. Sono invece rimasti fuori dal film i camei di Zach Braff e Jim Parson. Se The Disaster Artist vi fosse piaciuto recuperate OVVIAMENTE The Room, aspettate l'uscita di Best F(r)iends (il film scritto da Greg Sestero dopo aver visto The Disaster Artist, che riunisce finalmente lui e Tommy Wiseau) e aggiungete Ed Wood. ENJOY!
giovedì 22 febbraio 2018
(Gio)WE, Bolla! del 22/02/2018
Buon giovedì a tutti!! Ormai manca pochissimo alla fatidica notte degli Oscar e la distribuzione italiana cerca di fare del suo meglio per accontentare gli appassionati... fallendo miseramente, almeno a Savona, ché The Disaster Artist non si è visto nemmeno col lanternino. Nonostante questo, domani pubblicherò la mia recensione del bellissimo film di James Franco e stasera invece... ENJOY!
Il filo nascosto
Sconnessi
Al cinema d'élite si danno ai recuperi (ma ancora niente Guadagnino. Mah).
Final Portrait - L'arte di essere amici
Il filo nascosto
Reazione a caldo: ... si va a vedere questo!
Bolla, rifletti!: Ultimo film (almeno, così dice l'attore) di Daniel Day Lewis prima di ritirarsi dalle scene, credo varrebbe la pena di vederlo anche solo per questo ma dalla sua ha anche un trailer intrigante, sei nomination agli Oscar e la regia di Paul Thomas Anderson. Fingers crossed e speriamo che stasera non nevichi, così potrò andarlo a vedere subito!Sconnessi
Reazione a caldo: Ma magari!
Bolla, rifletti!: Ennesima tirata all'italiana contro lo strapotere dei social network e la dipendenza dalle tecnologie, dopo Perfetti sconosciuti e Beata ignoranza. Mi spiace ma anche se c'è Stefano Fresi questo lo salto a pié pari!Al cinema d'élite si danno ai recuperi (ma ancora niente Guadagnino. Mah).
Final Portrait - L'arte di essere amici
Reazione a caldo: Boh.
Bolla, rifletti!: Anche solo per gli attori coinvolti e per il regista bisognerebbe guardarlo, anche perché a me i biopic piacciono parecchio. Non conosco tuttavia la figura dell'artista Alberto Giacometti, quindi mi piacerebbe prima documentarmi, poi magari recuperare il film (anche perché questa settimana devo onorare l'appuntamento con Black Panther. Sorry, Stanley).mercoledì 21 febbraio 2018
The Room (2003)
Siccome questa settimana dovrebbe uscire in tutta Italia The Disaster Artist ho scelto consapevolmente (e grazie all'eclettico Giuseppe de Il buio in sala) di recuperare The Room, film scritto, diretto e interpretato nel 2003 da Tommy Wiseau, considerato a ragione "il Quarto Potere dei film brutti". Brace yourselves.
Trama (?): Johnny e Lisa stanno insieme da sette anni e sono prossimi al matrimonio ma lei è innamorata di Mark, migliore amico di Johnny, e vorrebbe lasciarlo. I nodi vengono al pettine lentamente ma inesorabilmente...
The Room è un film squisitamente brutto, tanto da rasentare il sublime. Non è IL film più brutto che abbia mai visto, anche perché al confronto de Il Bosco 1 o In the Market è un capolavoro di trama, regia, montaggio e recitazione, però è talmente malfatto e sciatto che ci si chiede come cazzarola abbia potuto venire distribuito prima e celebrato poi con un film interamente dedicato alla sua gestazione. Dei retroscena non mi sono preoccupata, ché in settimana guarderò The Disaster Artist e voglio conservare il gusto della sorpresa, quindi parlerò esclusivamente di The Room e di tutto ciò che rende esilarante la visione di questa poottanata con la P maiuscola (che, non a caso, è diventata un midnight cult con un manuale di partecipazione non dissimile da quello di The Rocky Horror Picture Show). In pratica The Room è la celebrazione dell'uomo Wiseau attraverso l'assunto "le donne sono tutte tsoccole". Nel corso della pellicola il povero Johnny, uomo dalle fattezze orrende ma comunque buono, di quella bontà idiota che lo porta a fare spallucce sia quando la fidanzata lo percula sia quando il ritardato vicino di casa adolescente (interpretato, per inciso, dall'attore più vecchio del cast dopo Wiseau) ammette di esserne innamorato (manco fosse figa. Ci torniamo, tranquilli), viene cornificato e vilipeso a più riprese dalla bionda Lisa, donnaccia calcolatrice che si scopa il suo migliore amico pur facendosi mantenere da Johnny, anelando a libertà, uomini migliori, vita bella perché lei "merita di più". L'intero film segue quindi un pattern regolare e pregno di significato, riassumibile in questo schema: Lisa tromba con Johnny - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica - Lisa tromba con Mark nonostante lui inizialmente non sia molto convinto - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica - Lisa tromba con Johnny - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica che le consigliano di non mollarlo in quanto poco etico (lui la mantiene, lei probabilmente non lavora perché troppo gnocca per farlo) - Lisa tromba con Mark nonostante lui non sia ancora convintissimo - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica che, insomma, si stanno un po' stufando di 'sta manfrina e cominciano a darle della bagassa frusta, mettendola in guardia sul possibile esito finale del film e, di fatto, spoilerando la degna conclusione di The Room, invano. Per rendere più vario questo circolo infinito, il Wiseau sceneggiatore introduce momenti zeppi di "patros" inserendo attimi di vero crime drama dove il vicino di casa ritardato rischia di venire ucciso per colpa de LaDDroga e altri in cui, alternativamente, i personaggi vanno a fare footing oppure si passano una palla da football, a volte anche vestiti col frac, senza motivo, mentre come Godot aspettano un imminente party per il compleanno di Johnny.
La cosa più esilarante di The Room, tolta la sciatteria di una scenografia limitata a due ambienti dove nessuno chiude la porta d'ingresso di casa, sequenze non perfettamente a fuoco, altre in cui la luce aumenta o diminuisce senza un perché, il green screen fasullo per simulare il panorama dal tetto e personaggi che cambiano attore nel giro di un paio di scene (Peter a un certo punto sparisce e i suoi dialoghi vengono messi in bocca a un perfetto sconosciuto...) è la combinazione mortale tra dialoghi insulsi e interpreti cagnacci. Purtroppo stavolta non ho segnato sul solito quadernino le frasi scult ma la punta di diamante (al di là dell'ormai iconica "I did not hit her, it's not true! It's bullshit! I did not hit her! I did not.. oh, hi Mark!") sono le domande ripetute settanta volte, lo small talk mentre la gente si incontra a base di "allora, cosa mi racconti? Mah, niente di nuovo, tu? Ah, niente di nuovo" reiterato per almeno dieci minuti, l'incredibile eccesso di drama quando la situazione si fa critica, con Lisa che piange disperata domandando al ragazzino "che tipo di soldi??" avrebbe chiesto in prestito all'unico criminale presente nel film (criminale che, per inciso, "è già in galera". Maccosa? Ce lo hanno portato Johnny e Mark a braccetto?) mentre poco prima, davanti alla madre che confessa di avere il cancro, la stessa Lisa risponde con un "e vabbé ma ormai di cancro si guarisce" prima di cambiare argomento. Altra cosa splendida è l'ignoranza di ogni regola relativa alla consecutio temporum, con un registratore piazzato tre/quattro giorni prima che, nonostante questo, incide su nastro solo un dialogo accorso telefonicamente un paio di minuti prima che Johnny tiri fuori la cassetta dal mangianastri (indovinate un po'? Ma certo, il nastro è già riavvolto alla perfezione, praticamente vergine), ma fosse solo questo. A un certo punto Lisa comincia a rassettare per il party già nominato in precedenza e tutto darebbe a intendere che la sequenza successiva possa essere quella della festa, ipotesi avvalorata dal fatto che tutti gli uomini del cast sono vestiti da sera... invece no, era una supercazzola e Lisa il giorno dopo è ancora lì che rassetta in vista del party di fidanzamento. Ah no, la festa è per il compleanno di Johnny, errore mio. No, aspettate, plot twist: si celebra la gravidanza di Lisa! Ma da quando Lisa è incinta? Quando ne hanno parlato con Johnny? E di chi è il bamb...? No, niente, "lasciamo perdere", era l'ennesima turpe macchinazione della tsoccola Lisa, che cade nel dimenticatoio dopo un secondo, tanto quanto la presenza del criminale drogato. Aiuto.
La consecutio temporum isterica tocca anche la caratterizzazione dei personaggi. Non tanto Lisa e Johnny, lei sempre coerente nel suo essere bagassa (nonché volpe: vedere l'escamotage col quale si libera degli ospiti per credere...) e lui nel suo essere clueless, lamentoso e malbecciato, quanto più che altro Mark. Il biondone nel giro di trenta secondi passa dal riprendere Lisa in quanto "migliore amico di Johnny" a copularsela, millantare disinteresse nei confronti della fanciulla prima di arrivare quasi a buttare giù dal tetto un amico che gli consiglia di mollarla per non fare del male a Johnny, per poi concludere con un bel cat fight (ché di scazzottata non si può parlare) col protagonista perché quest'ultimo ha cominciato a "sospettare". In tutto questo, come se non bastasse, l'orripilante, mostruoso Wiseau adora farsi vedere ignudo mentre copula la chiattissima attrice che interpreta Lisa, la donna dai capezzoli più grandi del mondo. Per ben due volte, in un tripudio di rose a gambo lungo, candele, acqua che scroscia, lenzuola e veli, i due si rotolano nel letto con una terrificante canzonetta romantica in sottofondo, sequenze lunghe come la quaresima in cui lui fa sesso appena un po' scostato, così che si veda sempre almeno una sisa di lei, e appena un po' più "su" rispetto a dove dovrebbe essere il montarozzo cespuglioso di Lisa, dando così l'illusione di infilare il malloppetto ciccioso ad altezza stomaco; anatomicamente ignorante è anche il prestante Mark, che sicuramente sarà più bello di Wiseau (anche Nosferatu lo è, graziearca**o) ma pure lui invece di "pistonare" con movimento pelvico sceglie di rotolare su Lisa, destra e sinistra, destra e sinistra. C'è da meravigliarsi che a un certo punto lei dica "Johnny mi fa schifo e se Mark non mi ama cazzumene, ne trovo un altro"? No, ovvio. E non dovete nemmeno meravigliarvi quando vi dico che The Room VA visto almeno una volta, non solo per mero gusto dell'orrido ma anche per testimoniare la follia di un uomo brutto come la morte, incapace di recitare, dirigere, scrivere eppure talmente ricco da avere realizzato un film solo per esserne protagonista e venire perculato dai posteri nei secoli a venire. Alla faccia del Disaster Artist!
Tommy Wiseau è il regista e sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Johnny. Polacco, ha partecipato a film come Samurai Cop 2: Deadly Vengeance, The Disaster Artist e Best F(r)iends. Anche produttore e costumista, ha 63 anni e due film in uscita.
Greg Sestero interpreta Mark. Americano, ha partecipato a film come Gattaca - La porta dell'universo, Patch Adams, Retro Puppet Master, Best F(r)iends, The Disaster Artist e a serie quali Nash Bridges. Anche produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e un film in uscita.
Wiseau avrebbe voluto che Johnny fosse un vampiro e aveva anche cominciato ad informarsi su come realizzare una scena che ne avrebbe manifestato la reale natura, ovvero quella in cui la macchina del protagonista si sarebbe librata nell'aria da un tetto. SFORTUNATAMENTE non se n'è fatto nulla e Johnny è rimasto un semplice essere umano. Nel 2016 a qualche genio è venuto in mente di realizzare la web serie in quattro puntate The Room Actors: Where Are They Now?, un mockumentary che racconta i destini fittizi di tutti i protagonisti del Quarto Potere dei film brutti. Se The Room vi fosse piac... no, ok, se avete interesse a documentarvi su questo capolavoro del trash recuperatela e aggiungete The Disaster Artist. ENJOY!
Trama (?): Johnny e Lisa stanno insieme da sette anni e sono prossimi al matrimonio ma lei è innamorata di Mark, migliore amico di Johnny, e vorrebbe lasciarlo. I nodi vengono al pettine lentamente ma inesorabilmente...
The Room è un film squisitamente brutto, tanto da rasentare il sublime. Non è IL film più brutto che abbia mai visto, anche perché al confronto de Il Bosco 1 o In the Market è un capolavoro di trama, regia, montaggio e recitazione, però è talmente malfatto e sciatto che ci si chiede come cazzarola abbia potuto venire distribuito prima e celebrato poi con un film interamente dedicato alla sua gestazione. Dei retroscena non mi sono preoccupata, ché in settimana guarderò The Disaster Artist e voglio conservare il gusto della sorpresa, quindi parlerò esclusivamente di The Room e di tutto ciò che rende esilarante la visione di questa poottanata con la P maiuscola (che, non a caso, è diventata un midnight cult con un manuale di partecipazione non dissimile da quello di The Rocky Horror Picture Show). In pratica The Room è la celebrazione dell'uomo Wiseau attraverso l'assunto "le donne sono tutte tsoccole". Nel corso della pellicola il povero Johnny, uomo dalle fattezze orrende ma comunque buono, di quella bontà idiota che lo porta a fare spallucce sia quando la fidanzata lo percula sia quando il ritardato vicino di casa adolescente (interpretato, per inciso, dall'attore più vecchio del cast dopo Wiseau) ammette di esserne innamorato (manco fosse figa. Ci torniamo, tranquilli), viene cornificato e vilipeso a più riprese dalla bionda Lisa, donnaccia calcolatrice che si scopa il suo migliore amico pur facendosi mantenere da Johnny, anelando a libertà, uomini migliori, vita bella perché lei "merita di più". L'intero film segue quindi un pattern regolare e pregno di significato, riassumibile in questo schema: Lisa tromba con Johnny - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica - Lisa tromba con Mark nonostante lui inizialmente non sia molto convinto - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica - Lisa tromba con Johnny - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica che le consigliano di non mollarlo in quanto poco etico (lui la mantiene, lei probabilmente non lavora perché troppo gnocca per farlo) - Lisa tromba con Mark nonostante lui non sia ancora convintissimo - Lisa parla male di Johnny con madre/migliore amica che, insomma, si stanno un po' stufando di 'sta manfrina e cominciano a darle della bagassa frusta, mettendola in guardia sul possibile esito finale del film e, di fatto, spoilerando la degna conclusione di The Room, invano. Per rendere più vario questo circolo infinito, il Wiseau sceneggiatore introduce momenti zeppi di "patros" inserendo attimi di vero crime drama dove il vicino di casa ritardato rischia di venire ucciso per colpa de LaDDroga e altri in cui, alternativamente, i personaggi vanno a fare footing oppure si passano una palla da football, a volte anche vestiti col frac, senza motivo, mentre come Godot aspettano un imminente party per il compleanno di Johnny.
La cosa più esilarante di The Room, tolta la sciatteria di una scenografia limitata a due ambienti dove nessuno chiude la porta d'ingresso di casa, sequenze non perfettamente a fuoco, altre in cui la luce aumenta o diminuisce senza un perché, il green screen fasullo per simulare il panorama dal tetto e personaggi che cambiano attore nel giro di un paio di scene (Peter a un certo punto sparisce e i suoi dialoghi vengono messi in bocca a un perfetto sconosciuto...) è la combinazione mortale tra dialoghi insulsi e interpreti cagnacci. Purtroppo stavolta non ho segnato sul solito quadernino le frasi scult ma la punta di diamante (al di là dell'ormai iconica "I did not hit her, it's not true! It's bullshit! I did not hit her! I did not.. oh, hi Mark!") sono le domande ripetute settanta volte, lo small talk mentre la gente si incontra a base di "allora, cosa mi racconti? Mah, niente di nuovo, tu? Ah, niente di nuovo" reiterato per almeno dieci minuti, l'incredibile eccesso di drama quando la situazione si fa critica, con Lisa che piange disperata domandando al ragazzino "che tipo di soldi??" avrebbe chiesto in prestito all'unico criminale presente nel film (criminale che, per inciso, "è già in galera". Maccosa? Ce lo hanno portato Johnny e Mark a braccetto?) mentre poco prima, davanti alla madre che confessa di avere il cancro, la stessa Lisa risponde con un "e vabbé ma ormai di cancro si guarisce" prima di cambiare argomento. Altra cosa splendida è l'ignoranza di ogni regola relativa alla consecutio temporum, con un registratore piazzato tre/quattro giorni prima che, nonostante questo, incide su nastro solo un dialogo accorso telefonicamente un paio di minuti prima che Johnny tiri fuori la cassetta dal mangianastri (indovinate un po'? Ma certo, il nastro è già riavvolto alla perfezione, praticamente vergine), ma fosse solo questo. A un certo punto Lisa comincia a rassettare per il party già nominato in precedenza e tutto darebbe a intendere che la sequenza successiva possa essere quella della festa, ipotesi avvalorata dal fatto che tutti gli uomini del cast sono vestiti da sera... invece no, era una supercazzola e Lisa il giorno dopo è ancora lì che rassetta in vista del party di fidanzamento. Ah no, la festa è per il compleanno di Johnny, errore mio. No, aspettate, plot twist: si celebra la gravidanza di Lisa! Ma da quando Lisa è incinta? Quando ne hanno parlato con Johnny? E di chi è il bamb...? No, niente, "lasciamo perdere", era l'ennesima turpe macchinazione della tsoccola Lisa, che cade nel dimenticatoio dopo un secondo, tanto quanto la presenza del criminale drogato. Aiuto.
La consecutio temporum isterica tocca anche la caratterizzazione dei personaggi. Non tanto Lisa e Johnny, lei sempre coerente nel suo essere bagassa (nonché volpe: vedere l'escamotage col quale si libera degli ospiti per credere...) e lui nel suo essere clueless, lamentoso e malbecciato, quanto più che altro Mark. Il biondone nel giro di trenta secondi passa dal riprendere Lisa in quanto "migliore amico di Johnny" a copularsela, millantare disinteresse nei confronti della fanciulla prima di arrivare quasi a buttare giù dal tetto un amico che gli consiglia di mollarla per non fare del male a Johnny, per poi concludere con un bel cat fight (ché di scazzottata non si può parlare) col protagonista perché quest'ultimo ha cominciato a "sospettare". In tutto questo, come se non bastasse, l'orripilante, mostruoso Wiseau adora farsi vedere ignudo mentre copula la chiattissima attrice che interpreta Lisa, la donna dai capezzoli più grandi del mondo. Per ben due volte, in un tripudio di rose a gambo lungo, candele, acqua che scroscia, lenzuola e veli, i due si rotolano nel letto con una terrificante canzonetta romantica in sottofondo, sequenze lunghe come la quaresima in cui lui fa sesso appena un po' scostato, così che si veda sempre almeno una sisa di lei, e appena un po' più "su" rispetto a dove dovrebbe essere il montarozzo cespuglioso di Lisa, dando così l'illusione di infilare il malloppetto ciccioso ad altezza stomaco; anatomicamente ignorante è anche il prestante Mark, che sicuramente sarà più bello di Wiseau (anche Nosferatu lo è, graziearca**o) ma pure lui invece di "pistonare" con movimento pelvico sceglie di rotolare su Lisa, destra e sinistra, destra e sinistra. C'è da meravigliarsi che a un certo punto lei dica "Johnny mi fa schifo e se Mark non mi ama cazzumene, ne trovo un altro"? No, ovvio. E non dovete nemmeno meravigliarvi quando vi dico che The Room VA visto almeno una volta, non solo per mero gusto dell'orrido ma anche per testimoniare la follia di un uomo brutto come la morte, incapace di recitare, dirigere, scrivere eppure talmente ricco da avere realizzato un film solo per esserne protagonista e venire perculato dai posteri nei secoli a venire. Alla faccia del Disaster Artist!
Tommy Wiseau è il regista e sceneggiatore della pellicola, inoltre interpreta Johnny. Polacco, ha partecipato a film come Samurai Cop 2: Deadly Vengeance, The Disaster Artist e Best F(r)iends. Anche produttore e costumista, ha 63 anni e due film in uscita.
Greg Sestero interpreta Mark. Americano, ha partecipato a film come Gattaca - La porta dell'universo, Patch Adams, Retro Puppet Master, Best F(r)iends, The Disaster Artist e a serie quali Nash Bridges. Anche produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e un film in uscita.
Wiseau avrebbe voluto che Johnny fosse un vampiro e aveva anche cominciato ad informarsi su come realizzare una scena che ne avrebbe manifestato la reale natura, ovvero quella in cui la macchina del protagonista si sarebbe librata nell'aria da un tetto. SFORTUNATAMENTE non se n'è fatto nulla e Johnny è rimasto un semplice essere umano. Nel 2016 a qualche genio è venuto in mente di realizzare la web serie in quattro puntate The Room Actors: Where Are They Now?, un mockumentary che racconta i destini fittizi di tutti i protagonisti del Quarto Potere dei film brutti. Se The Room vi fosse piac... no, ok, se avete interesse a documentarvi su questo capolavoro del trash recuperatela e aggiungete The Disaster Artist. ENJOY!
martedì 20 febbraio 2018
La forma dell'acqua - The Shape of Water (2017)
Dopo tanto penare, venerdì anche io sono riuscita a vedere lo splendido La forma dell'acqua (The Shape of Water), diretto e co-sceneggiato nel 2017 dal regista Guillermo Del Toro e pronto a portare a casa ben 13 Oscar (Miglior Regia, Miglior Film, Sally Hawkins Miglior Attrice Protagonista, Richard Jenkins Miglior Attore Non Protagonista, Octavia Spencer Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Colonna Sonora Originale, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia, Migliori Costumi, Miglior Montaggio Sonoro, Miglior Missaggio Sonoro, Miglior Montaggio e Miglior Scenografia). Vi avviso, sarà un post strano ma anche privo di spoiler!
Trama: Elisa Esposito, donna delle pulizie muta, lavora in un complesso governativo e lì si imbatte in una misteriosa creatura anfibia con la quale sviluppa un rapporto d'amicizia che a poco a poco diventa affetto...
Per la prima volta quest'anno mi trovo in difficoltà a parlare di un film. La forma dell'acqua è così bello e poetico che mettere in parole le sensazioni suscitate durante la visione sarebbe non solo triviale, ma addirittura offensivo. Se fossi brava a disegnare come le migliaia di artisti che hanno tributato omaggio all'ultimo lavoro di Del Toro avrei già affidato alla matita i miei pensieri ma, anche lì, verrebbe fuori qualcosa di indecente. Mi vien da ridere, perché la scena più bella de La forma dell'acqua, quella che mi ha commossa a tradimento, è proprio quella in cui la muta Elisa si ritrova a traboccare di così tanto amore che solo il canto potrebbe esprimerlo adeguatamente, e la donna è costretta a rifugiarsi in un sogno splendido dove ogni impedimento viene cancellato e l'amore prende la forma del desiderio e della speranza. Potessi anche io manifestare un sogno su questo blog, sarebbe quello di creare qualcosa di altrettanto bello, per ringraziare Del Toro di aver riportato al Cinema la Bellezza e la semplicità di una storia d'amore vecchia come il mondo. Invece, posso solo scrivere due robe raffazzonate.
Grazie a Guillermo per avermi incantata, lasciata lì davanti allo schermo col sorriso ebete di chi assiste a uno spettacolo meraviglioso per la prima volta. La sala, le poltrone e gli altri spettatori non esistevano più, c'erano solo la mano di Mirco a stringere la mia, i colori vintage di un appartamento al tempo stesso "povero" ma caldo, il fascino di un cinema quasi abbandonato, l'aspetto umidiccio e dimesso di una struttura governativa che tanto moderna non è, la bellezza senza tempo di vecchi film passati in televisione, gli stessi capaci di far sognare spettatori ben più innocenti e smaliziati di noi. L'elemento dell'acqua, per me affascinante ma anche fonte di terrore, da che ero bambina, reso con un'amore senza forma, mi ha fatto venire voglia di seguire col dito le gocce di pioggia sui vetri, di addormentarmi in una stanza sommersa, mi ha fatta sentire avvolta di dolcezza per la prima volta da che vado al cinema. L'idea folle che una creatura mezza uomo e mezza pesce potesse risultare forte, fiera e addirittura bella ai miei occhi, proprio io che se qualcosa è privo di pelliccia provo istantaneo ribrezzo, solo Del Toro poteva renderla realtà. Quindi, ancora una volta, grazie.
Grazie a Guillermo per aver creato una Bella che bella non è. Sally Hawkins ha, e lo scrivo senza paura di essere banale o retorica, quel fascino e quella bellezza che le vengono da dentro. Io mi sono innamorata di Elisa Esposito, del suo sguardo franco e privo di limiti, dell'apparente fragilità che nasconde una forza immensa, del suo modo di mostrarsi naturalmente schiva e dei suoi atteggiamenti da bambina ma anche di donna, una donna che è anche e soprattutto desiderio e carne, porca miseria, altro che amori platonici! La speranza è sempre quella che a vincere l'Oscar sia Frances McDormand ma la statuetta del mio cuore l'ha già vinta la Hawkins, commuovendomi fino alle lacrime durante il suo accorato "discorso", per la testardaggine disperata con la quale cerca di aprire gli occhi all'amico Giles, provando ad essere "vista" da lui per la prima volta, nonostante l'amicizia che li lega da tempo. La sofferenza vomitata da Elisa mi ha colpita al cuore ancora più della storia d'amore tra lei e il Gill-Man, perché è una sensazione più profonda, che ho provato spesso nella vita, un senso di incompletezza avvalorato dall'idea di essere imperfetti e per questo invisibili, nonostante la presenza di amici comprensivi.
Ah, a tal proposito, grazie Guillermo per il grandioso cast di comprimari. Richard Jenkins avrei voluto abbracciarlo di continuo, magari dopo essermi fatta due risate con Octavia Spencer. Ti hanno accusato di essere "buonista", forse perché gli amici di Elisa sono un gay e una nera, entrambi reietti ed entrambi fulcro di un paio di scene in cui la loro condizione di esseri umani viene messa in discussione? Mah, visti i tempi, ti direi che sequenze simili sono necessarie per ricordare alle persone queste "banalità buoniste". Sarà proprio lo stesso buonismo che ti ha permesso di realizzare un personaggio di merda ma sfaccettato come quello di Michael Shannon? Il gigante dai piedi di argilla, talmente sicuro delle sue posizioni razziste, misogine e maschiliste da dover consultare un manuale di autoaffermazione per andare avanti, così marcio dentro da non accorgersi di stare perdendo addirittura dei pezzi del suo stesso corpo? O forse sarà colpa di una spia russa con un cuore, l'unico personaggio, per inciso, per il quale finalmente ricorderò il trasformista Michael Stuhlbarg finché avrò vita? Sarà colpa di Doug Jones, che mastica gatteenee e uccide esseri umani ma ha anche un cuore, un'anima e forse anche uno Schwanzstuck di tutto rispetto nonostante sia "solo" un'attore infilato in una tuta di gomma? Ma posso dire chissenefrega della cVitica? Per una volta che un film mi fa uscire dal cinema felice, con gli occhi lacrimanti e il cuore zeppo di immagini bellissime, canticchiando le splendide melodie che le rendono ancora più indimenticabili, pervasa dal fuoco sacro dell'arte che ancora non mi fa smettere di disegnare Elisa e il suo amore anfibio su ogni superficie scrivibile... beh, c'è una sola cosa che resta da dire. Grazie, Guillermo, ancora, ancora e ancora. E in bocca al Gill-Man per il 4 marzo!
Del regista e co-sceneggiatore Guillermo Del Toro ho già parlato QUI. Michael Shannon (Richard Strickland), Richard Jenkins (Giles), Octavia Spencer (Zelda Fuller), Michael Stuhlbarg (Dr. Robert Hoffstetler) e Doug Jones (Uomo Anfibio) li trovate invece ai rispettivi link.
Sally Hawkins interpreta Elisa Esposito. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, Jane Eyre, Grandi speranze, Blue Jasmine, Godzilla, Paddington e Paddington 2. Anche sceneggiatrice, ha 42 anni e un film in uscita, Godzilla - King of the Monsters.
Se La forma dell'acqua vi fosse piaciuto recuperate Il mostro della laguna nera, Il labirinto del fauno, Edward mani di forbice, La bella e la bestia e Scarpette rosse. ENJOY!
Trama: Elisa Esposito, donna delle pulizie muta, lavora in un complesso governativo e lì si imbatte in una misteriosa creatura anfibia con la quale sviluppa un rapporto d'amicizia che a poco a poco diventa affetto...
Per la prima volta quest'anno mi trovo in difficoltà a parlare di un film. La forma dell'acqua è così bello e poetico che mettere in parole le sensazioni suscitate durante la visione sarebbe non solo triviale, ma addirittura offensivo. Se fossi brava a disegnare come le migliaia di artisti che hanno tributato omaggio all'ultimo lavoro di Del Toro avrei già affidato alla matita i miei pensieri ma, anche lì, verrebbe fuori qualcosa di indecente. Mi vien da ridere, perché la scena più bella de La forma dell'acqua, quella che mi ha commossa a tradimento, è proprio quella in cui la muta Elisa si ritrova a traboccare di così tanto amore che solo il canto potrebbe esprimerlo adeguatamente, e la donna è costretta a rifugiarsi in un sogno splendido dove ogni impedimento viene cancellato e l'amore prende la forma del desiderio e della speranza. Potessi anche io manifestare un sogno su questo blog, sarebbe quello di creare qualcosa di altrettanto bello, per ringraziare Del Toro di aver riportato al Cinema la Bellezza e la semplicità di una storia d'amore vecchia come il mondo. Invece, posso solo scrivere due robe raffazzonate.
Grazie a Guillermo per avermi incantata, lasciata lì davanti allo schermo col sorriso ebete di chi assiste a uno spettacolo meraviglioso per la prima volta. La sala, le poltrone e gli altri spettatori non esistevano più, c'erano solo la mano di Mirco a stringere la mia, i colori vintage di un appartamento al tempo stesso "povero" ma caldo, il fascino di un cinema quasi abbandonato, l'aspetto umidiccio e dimesso di una struttura governativa che tanto moderna non è, la bellezza senza tempo di vecchi film passati in televisione, gli stessi capaci di far sognare spettatori ben più innocenti e smaliziati di noi. L'elemento dell'acqua, per me affascinante ma anche fonte di terrore, da che ero bambina, reso con un'amore senza forma, mi ha fatto venire voglia di seguire col dito le gocce di pioggia sui vetri, di addormentarmi in una stanza sommersa, mi ha fatta sentire avvolta di dolcezza per la prima volta da che vado al cinema. L'idea folle che una creatura mezza uomo e mezza pesce potesse risultare forte, fiera e addirittura bella ai miei occhi, proprio io che se qualcosa è privo di pelliccia provo istantaneo ribrezzo, solo Del Toro poteva renderla realtà. Quindi, ancora una volta, grazie.
Grazie a Guillermo per aver creato una Bella che bella non è. Sally Hawkins ha, e lo scrivo senza paura di essere banale o retorica, quel fascino e quella bellezza che le vengono da dentro. Io mi sono innamorata di Elisa Esposito, del suo sguardo franco e privo di limiti, dell'apparente fragilità che nasconde una forza immensa, del suo modo di mostrarsi naturalmente schiva e dei suoi atteggiamenti da bambina ma anche di donna, una donna che è anche e soprattutto desiderio e carne, porca miseria, altro che amori platonici! La speranza è sempre quella che a vincere l'Oscar sia Frances McDormand ma la statuetta del mio cuore l'ha già vinta la Hawkins, commuovendomi fino alle lacrime durante il suo accorato "discorso", per la testardaggine disperata con la quale cerca di aprire gli occhi all'amico Giles, provando ad essere "vista" da lui per la prima volta, nonostante l'amicizia che li lega da tempo. La sofferenza vomitata da Elisa mi ha colpita al cuore ancora più della storia d'amore tra lei e il Gill-Man, perché è una sensazione più profonda, che ho provato spesso nella vita, un senso di incompletezza avvalorato dall'idea di essere imperfetti e per questo invisibili, nonostante la presenza di amici comprensivi.
Ah, a tal proposito, grazie Guillermo per il grandioso cast di comprimari. Richard Jenkins avrei voluto abbracciarlo di continuo, magari dopo essermi fatta due risate con Octavia Spencer. Ti hanno accusato di essere "buonista", forse perché gli amici di Elisa sono un gay e una nera, entrambi reietti ed entrambi fulcro di un paio di scene in cui la loro condizione di esseri umani viene messa in discussione? Mah, visti i tempi, ti direi che sequenze simili sono necessarie per ricordare alle persone queste "banalità buoniste". Sarà proprio lo stesso buonismo che ti ha permesso di realizzare un personaggio di merda ma sfaccettato come quello di Michael Shannon? Il gigante dai piedi di argilla, talmente sicuro delle sue posizioni razziste, misogine e maschiliste da dover consultare un manuale di autoaffermazione per andare avanti, così marcio dentro da non accorgersi di stare perdendo addirittura dei pezzi del suo stesso corpo? O forse sarà colpa di una spia russa con un cuore, l'unico personaggio, per inciso, per il quale finalmente ricorderò il trasformista Michael Stuhlbarg finché avrò vita? Sarà colpa di Doug Jones, che mastica gatteenee e uccide esseri umani ma ha anche un cuore, un'anima e forse anche uno Schwanzstuck di tutto rispetto nonostante sia "solo" un'attore infilato in una tuta di gomma? Ma posso dire chissenefrega della cVitica? Per una volta che un film mi fa uscire dal cinema felice, con gli occhi lacrimanti e il cuore zeppo di immagini bellissime, canticchiando le splendide melodie che le rendono ancora più indimenticabili, pervasa dal fuoco sacro dell'arte che ancora non mi fa smettere di disegnare Elisa e il suo amore anfibio su ogni superficie scrivibile... beh, c'è una sola cosa che resta da dire. Grazie, Guillermo, ancora, ancora e ancora. E in bocca al Gill-Man per il 4 marzo!
Del regista e co-sceneggiatore Guillermo Del Toro ho già parlato QUI. Michael Shannon (Richard Strickland), Richard Jenkins (Giles), Octavia Spencer (Zelda Fuller), Michael Stuhlbarg (Dr. Robert Hoffstetler) e Doug Jones (Uomo Anfibio) li trovate invece ai rispettivi link.
Sally Hawkins interpreta Elisa Esposito. Inglese, ha partecipato a film come Non lasciarmi, Jane Eyre, Grandi speranze, Blue Jasmine, Godzilla, Paddington e Paddington 2. Anche sceneggiatrice, ha 42 anni e un film in uscita, Godzilla - King of the Monsters.
Se La forma dell'acqua vi fosse piaciuto recuperate Il mostro della laguna nera, Il labirinto del fauno, Edward mani di forbice, La bella e la bestia e Scarpette rosse. ENJOY!
Alla fine ci ho provato, Guillermo. E ancora grazie!! |
domenica 18 febbraio 2018
Shut In (2016)
Come buona parte dei film potenzialmente interessanti distribuiti in Italia, anche Shut In, diretto nel 2016 dal regista Farren Blackburn, non era arrivato a Savona e riesco dunque a parlarne solo ora. Occhio agli spoiler, qualcosina c'è!
Trama: dopo un terribile incidente d'auto in cui è morto il marito, la psichiatra infantile Mary si ritrova sola ad occuparsi del figliastro adolescente, ridotto a un vegetale. Col tempo arriva ad affezionarsi a Sam, un suo piccolo paziente sordomuto, ma in una fredda notte di tempesta il piccolo scompare senza lasciare traccia e Mary comincia ad avvertire una strana presenza in casa...
Shut In è un thriller ben costruito d'impostazione "classica", interamente imperniato sul senso di claustrofobica reclusione originato dalla tremenda combinazione tempesta di neve/luogo isolato/donna sola. Apparentemente trattasi di pellicola assai scorretta in quanto fa ampio uso di topoi tipici della ghost story che puntano a sviare lo spettatore, convincendolo di avere a che fare con un'entità paranormale quando in realtà persino un cretino (a differenza della protagonista) capirebbe che il piccolo Sam si è infrattato in casa e gira nottetempo indisturbato facendola crepare di paura mentre tutti lo credono morto. Ho detto apparentemente, perché questo è solo lo strato superficiale di una trama che rivela un altro twist più inaspettato (anche se l'idea a me era balenata nella capoccia prima che venisse resa palese), rimandato e celato da un abile gioco di sceneggiatura che lascia cadere qualche indizio apparentemente insignificante e lo seppellisce prima che lo spettatore possa coglierlo riportando la sua attenzione sul pressante problema della scomparsa di Sam, sull'imminente "tempesta del secolo" e persino sugli approcci amorosi di un vicino di Mary. Insomma, abbastanza carne al fuoco da distrarre lo spettatore meno sensibile e meno avvezzo a questo genere di film ma, ciccio, a me non la si fa. Non completamente almeno.
C'è poco altro da dire onestamente su Shut In, un film gradevole che consente di passare una serata in preda ad un piacevole senso di tensione, e lo so che cito sempre quella Alta di Canale 5 ma più o meno l'effetto che danno queste pellicole, al netto del loro essere qualitativamente superiori, più curate dal punto di vista estetico e con attori di richiamo, è lo stesso. Personalmente sono anche rimasta MOLTO delusa dal sottoutilizzo di Jacob Tremblay, peraltro in un ruolo muto che nasconde quel vocino delizioso che si ritrova, e avrei voluto che la sua faccetta tenerella e un po' inquietante si vedesse molto di più (che brutta idea sfruttarlo per fare il morto quando, per esempio, quel faccia da ratto col testone che c'era in The Ring lo si ritrovava quasi in ogni inquadratura!!). Niente da dire invece su Naomi Watts, sempre elegante, bellissima e a suo agio in questi ruoli di mamma impanicata, e bravo anche Charlie Heaton, che segue il percorso tracciato da Daniel Radcliffe, Olwen Catherine Kelly e Alba Ribas candidandosi per un eventuale Oscar al miglior attore interpretante persona morta o vegetale, mentre il cast di contorno è, per l'appunto, solo di contorno o poco più (anche se David Cubitt l'è proprio un bell'ometto). In conclusione, se cercate quindi un film "tranquillo" nel suo essere thriller avete trovato la pellicola per passare una bella serata!
Di Naomi Watts (Mary), Oliver Platt (Dr. Wilson) e Jacob Tremblay (Sam) ho già parlato ai rispettivi link.
Farren Blackburn è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto episodi di serie quali Doctor Who, Daredevil e Iron Fist. Anche sceneggiatore, ha un film in uscita.
Charlie Heaton, ovvero Stephen, interpreta Jonathan Byers nella serie Stranger Things ed è pronto a tornare sul grande schermo come Samuel "Cannonball" Guthtrie nell'imminente New Mutants. Detto questo, se Shut In vi fosse piaciuto recuperate Somnia e magari anche Dream House. ENJOY!
Trama: dopo un terribile incidente d'auto in cui è morto il marito, la psichiatra infantile Mary si ritrova sola ad occuparsi del figliastro adolescente, ridotto a un vegetale. Col tempo arriva ad affezionarsi a Sam, un suo piccolo paziente sordomuto, ma in una fredda notte di tempesta il piccolo scompare senza lasciare traccia e Mary comincia ad avvertire una strana presenza in casa...
Shut In è un thriller ben costruito d'impostazione "classica", interamente imperniato sul senso di claustrofobica reclusione originato dalla tremenda combinazione tempesta di neve/luogo isolato/donna sola. Apparentemente trattasi di pellicola assai scorretta in quanto fa ampio uso di topoi tipici della ghost story che puntano a sviare lo spettatore, convincendolo di avere a che fare con un'entità paranormale quando in realtà persino un cretino (a differenza della protagonista) capirebbe che il piccolo Sam si è infrattato in casa e gira nottetempo indisturbato facendola crepare di paura mentre tutti lo credono morto. Ho detto apparentemente, perché questo è solo lo strato superficiale di una trama che rivela un altro twist più inaspettato (anche se l'idea a me era balenata nella capoccia prima che venisse resa palese), rimandato e celato da un abile gioco di sceneggiatura che lascia cadere qualche indizio apparentemente insignificante e lo seppellisce prima che lo spettatore possa coglierlo riportando la sua attenzione sul pressante problema della scomparsa di Sam, sull'imminente "tempesta del secolo" e persino sugli approcci amorosi di un vicino di Mary. Insomma, abbastanza carne al fuoco da distrarre lo spettatore meno sensibile e meno avvezzo a questo genere di film ma, ciccio, a me non la si fa. Non completamente almeno.
C'è poco altro da dire onestamente su Shut In, un film gradevole che consente di passare una serata in preda ad un piacevole senso di tensione, e lo so che cito sempre quella Alta di Canale 5 ma più o meno l'effetto che danno queste pellicole, al netto del loro essere qualitativamente superiori, più curate dal punto di vista estetico e con attori di richiamo, è lo stesso. Personalmente sono anche rimasta MOLTO delusa dal sottoutilizzo di Jacob Tremblay, peraltro in un ruolo muto che nasconde quel vocino delizioso che si ritrova, e avrei voluto che la sua faccetta tenerella e un po' inquietante si vedesse molto di più (che brutta idea sfruttarlo per fare il morto quando, per esempio, quel faccia da ratto col testone che c'era in The Ring lo si ritrovava quasi in ogni inquadratura!!). Niente da dire invece su Naomi Watts, sempre elegante, bellissima e a suo agio in questi ruoli di mamma impanicata, e bravo anche Charlie Heaton, che segue il percorso tracciato da Daniel Radcliffe, Olwen Catherine Kelly e Alba Ribas candidandosi per un eventuale Oscar al miglior attore interpretante persona morta o vegetale, mentre il cast di contorno è, per l'appunto, solo di contorno o poco più (anche se David Cubitt l'è proprio un bell'ometto). In conclusione, se cercate quindi un film "tranquillo" nel suo essere thriller avete trovato la pellicola per passare una bella serata!
Di Naomi Watts (Mary), Oliver Platt (Dr. Wilson) e Jacob Tremblay (Sam) ho già parlato ai rispettivi link.
Farren Blackburn è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto episodi di serie quali Doctor Who, Daredevil e Iron Fist. Anche sceneggiatore, ha un film in uscita.
Charlie Heaton, ovvero Stephen, interpreta Jonathan Byers nella serie Stranger Things ed è pronto a tornare sul grande schermo come Samuel "Cannonball" Guthtrie nell'imminente New Mutants. Detto questo, se Shut In vi fosse piaciuto recuperate Somnia e magari anche Dream House. ENJOY!
sabato 17 febbraio 2018
25 indiscrete domande cinematografiche
Nominata da Marco de La stanza di Gordie e dal blog Stories., ho deciso di cimentarmi in questo giochino cinematografico zeppo di domande! Vado subito a cominciare, ENJOY!
01. Il personaggio cinematografico che vorresti essere: Leeloo de Il quinto elemento!
02. Genere che ami e genere che odi: Odio le storie di formazione a tema sportivo/danzereccio mentre adoro gli horror e i film biografici.
03. Preferisci i film in lingua originale o doppiati? Ora come ora in lingua originale ma adoro i vecchi doppiaggi dei film che ho amato, soprattutto quelli Disney.
04. L'ultimo film che hai comprato: Se non ricordo male Reanimator e Il labirinto del Diavolo in una bancarella dell'usato, è un po' che non compro più film.
05. Sei mai andato al cinema da solo? Sì, mi è capitato ancora recentemente con Morto Stalin se ne fa un altro.
06. Cosa ne pensi dei Blu-Ray? Che spesso sono un modo per spillare ulteriori soldi ai gonzi.
07. Che rapporto hai col 3D? Lo detesto, lo trovo inutile e mi provoca mal di testa.
08. Cosa rende un film uno dei tuoi preferiti? Il fatto che mi rimanga dentro per la vita e che mi emozioni tantissimo sul momento!
09. Preferisci vedere i film da solo o in compagnia? Al cinema in compagnia, a casa da sola, anche perché nel secondo caso mi viene spesso l'ansia di capire se il film che ho scelto piace al mio compagno di visione oppure no...
10. Ultimo film visto (al cinema, oppure no): Mentre sto scrivendo questo post Il rituale, su Netflix.
11. Un film che fa riflettere: Sicuramente L'attimo fuggente.
12. Un film che fa ridere: Frankenstein Junior mi fa sempre sbellicare.
13. Un film che fa piangere: Ne ho ben tre, campioni di lacrime assoluti, anzi quattro: Edward mani di forbice, Papà ho trovato un amico, Non lasciarmi e 7 minuti dopo la mezzanotte. Uh, e Arrival.
14. Un film orribile: Le notti proibite del marchese De Sade.
15. Un film che non hai visto perché ti sei addormentato: Ultimamente ce ne sono per così visto che ho la brutta abitudine di guardarli a letto ma l'unico che mi ha fatto dormire al cinema è stato Capote.
16. Un film che non hai visto perché stavi facendo le "cosacce": O si fanno le cosacce o si guardano i film, ecchecca'.
17. Il film più lungo che hai visto: Direi C'era una volta in America
18. Un film che ti ha deluso: Il GGG.
19. Un film che sai a memoria: Con Air. E non me ne vergogno. Poi ovviamente Robin Hood, Aladdin, La bella e la bestia e The Nightmare Before Christmas!
20. Un film che hai visto al cinema perché ti hanno trascinato: Non è mai successo, direi.
21. Un film più bello tratto da un libro? Le ali della libertà, Il miglio verde e Shining.
22. Il film più datato che hai visto? Credo Le voyage dans la Lune di Méliès.
23. Miglior Colonna Sonora: Se parliamo di colonne sonore originali una qualsiasi di Morricone, Edward mani di forbice, Il favoloso mondo di Amélie, quella di Arrival, ma anche quella di E tu vivrai nel terrore... l'aldilà. Per le non originali vince Tarantino.
24. Miglior Saga: Ritorno al futuro, che domande!
25. Miglior Remake: Probabilmente il migliore in assoluto è La cosa di Carpenter.
Ora dovrei nominare altri sette amici blogger per portare avanti il giochino ma facciamo così: siccome il meme in questione è già molto diffuso, chi ha voglia risponda nei commenti, a tutte le domande o a quelle che vi piacciono di più!
01. Il personaggio cinematografico che vorresti essere: Leeloo de Il quinto elemento!
02. Genere che ami e genere che odi: Odio le storie di formazione a tema sportivo/danzereccio mentre adoro gli horror e i film biografici.
03. Preferisci i film in lingua originale o doppiati? Ora come ora in lingua originale ma adoro i vecchi doppiaggi dei film che ho amato, soprattutto quelli Disney.
04. L'ultimo film che hai comprato: Se non ricordo male Reanimator e Il labirinto del Diavolo in una bancarella dell'usato, è un po' che non compro più film.
05. Sei mai andato al cinema da solo? Sì, mi è capitato ancora recentemente con Morto Stalin se ne fa un altro.
06. Cosa ne pensi dei Blu-Ray? Che spesso sono un modo per spillare ulteriori soldi ai gonzi.
07. Che rapporto hai col 3D? Lo detesto, lo trovo inutile e mi provoca mal di testa.
08. Cosa rende un film uno dei tuoi preferiti? Il fatto che mi rimanga dentro per la vita e che mi emozioni tantissimo sul momento!
09. Preferisci vedere i film da solo o in compagnia? Al cinema in compagnia, a casa da sola, anche perché nel secondo caso mi viene spesso l'ansia di capire se il film che ho scelto piace al mio compagno di visione oppure no...
10. Ultimo film visto (al cinema, oppure no): Mentre sto scrivendo questo post Il rituale, su Netflix.
11. Un film che fa riflettere: Sicuramente L'attimo fuggente.
12. Un film che fa ridere: Frankenstein Junior mi fa sempre sbellicare.
13. Un film che fa piangere: Ne ho ben tre, campioni di lacrime assoluti, anzi quattro: Edward mani di forbice, Papà ho trovato un amico, Non lasciarmi e 7 minuti dopo la mezzanotte. Uh, e Arrival.
14. Un film orribile: Le notti proibite del marchese De Sade.
15. Un film che non hai visto perché ti sei addormentato: Ultimamente ce ne sono per così visto che ho la brutta abitudine di guardarli a letto ma l'unico che mi ha fatto dormire al cinema è stato Capote.
16. Un film che non hai visto perché stavi facendo le "cosacce": O si fanno le cosacce o si guardano i film, ecchecca'.
17. Il film più lungo che hai visto: Direi C'era una volta in America
18. Un film che ti ha deluso: Il GGG.
19. Un film che sai a memoria: Con Air. E non me ne vergogno. Poi ovviamente Robin Hood, Aladdin, La bella e la bestia e The Nightmare Before Christmas!
20. Un film che hai visto al cinema perché ti hanno trascinato: Non è mai successo, direi.
21. Un film più bello tratto da un libro? Le ali della libertà, Il miglio verde e Shining.
22. Il film più datato che hai visto? Credo Le voyage dans la Lune di Méliès.
23. Miglior Colonna Sonora: Se parliamo di colonne sonore originali una qualsiasi di Morricone, Edward mani di forbice, Il favoloso mondo di Amélie, quella di Arrival, ma anche quella di E tu vivrai nel terrore... l'aldilà. Per le non originali vince Tarantino.
24. Miglior Saga: Ritorno al futuro, che domande!
25. Miglior Remake: Probabilmente il migliore in assoluto è La cosa di Carpenter.
Ora dovrei nominare altri sette amici blogger per portare avanti il giochino ma facciamo così: siccome il meme in questione è già molto diffuso, chi ha voglia risponda nei commenti, a tutte le domande o a quelle che vi piacciono di più!