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martedì 3 dicembre 2019

Bollalmanacco On Demand: Dogtooth (2009)

Il Bollalmanacco On Demand di oggi, come richiesto in tempi non sospetti dall'adorabile Silvia, è Dogtooth (Kynodontas), diretto e co-sceneggiato nel dal regista Yorgos Lanthimos. Il prossimo film a richiesta sarà Il mistero del giardino di Compton House. ENJOY!


Trama: tre ragazzi vivono isolati dal mondo, all'interno di una villa, assieme al padre e alla madre, impossibilitati a uscire almeno finché uno dei loro canini non cadrà.



A inizio anno, quando la febbre per La favorita stava raggiungendo l'apice, nei vari gruppi cinèfili si diceva che ormai Lanthimos era asservito alle major e che nessuno poteva dirsi veramente fan del regista senza aver visto Kynodontas e Kinetta. Un po' per ridere, un po' per piacere, Silvia mi aveva allora chiesto di guardare Dogtooth (pardon, Kynodontas) e io dopo quasi un anno ci sono riuscita ed effettivamente, che diamine, sembra quasi di guardare i primi film di Lars Von Trier, con quel senso di rigore misto a sperimentazione che hanno solo i registi cervellotici ai loro esordi. Cervellotico, ma di una coerenza spaventosa, perché tutti i film di Lanthimos visti finora hanno questo inquietante fil rouge di anaffettività, di prevaricazione, di controllo dei sentimenti e dei comportamenti altrui, di perfezione impossibile e frustrata, di inevitabile violenza. Non fa eccezione Dogtooth, storia surreale di un'educazione casalinga portata all'estremo, dove un padre e una madre, nel tentativo di crescere i tre figli proteggendoli da qualsiasi influenza negativa, ne fanno dei disadattati e dei prigionieri, trattati alla stregua di cani da punire o ricompensare a seconda dei loro risultati e del comportamento. E' un'idea agghiacciante, resa sullo schermo da Lanthimos attraverso tanti microepisodi che formano una routine generale e molto più ampia, tra prove "fisiche" che temprano i tre ragazzi contro fantomatiche minacce esterne (in primis i gatti, poveri gatti) e sequenze di ordinaria follia familiare, che condannano i tre a non avere idea di come utilizzare determinate parole o a considerare come intrattenimento i filmini da loro stessi girati, il tutto pilotato da un padre inflessibile, l'unico a cui è permesso uscire di casa per andare al lavoro, mentre la madre accetta la reclusione consapevolmente, aiutando il marito nel folle progetto (l'intera sequenza della presunta gravidanza mi ha scioccata. Una parte di me voleva esplodere in risate isteriche, l'altra era ancora sconvolta dal gatto).


Come in ogni ambiente sterile e apparentemente controllato, è l'inserimento di un agente esterno a far crollare questa insana illusione di perfezione, già minata da istinti difficili da sedare, come le pulsioni sessuali di adolescenti sani, per quanto "innocenti"; da quel momento, tra i tre ragazzi senza nome comincia a spiccare la sorella maggiore, la prima (forse l'unica) a sviluppare lentamente una sorta di autocoscienza, la consapevolezza che fuori dal regno protetto costruito dai genitori c'è qualcosa di incomprensibile, forse pericoloso, ma libero, che non condanna le persone ad essere numeri senza consapevolezza, incapaci di sviluppare pensieri propri ed individuali. La spersonalizzazione dei tre ragazzi passa attraverso dialoghi surreali che a tratti farebbero ridere se non fosse così tragica la situazione, e attraverso il tono monocorde con i quali sono pronunciati, cosa che già avevo notato in Il sacrificio del cervo sacro, come se i personaggi di Lanthimos fossero sempre distaccati dalla realtà e da qualsiasi forma di sentimento. Eppure, nonostante questo gli attori sono bravissimi, per di più bisogna tenere conto che spesso vengono messi in condizione di mettere in scena situazioni spiacevoli e grottesche, che danno quasi l'idea di un film "sporco", "malato". Un contrasto non da poco con la simmetria maniacale delle inquadrature e la ricercatezza di alcune sequenze, unite alla luminosità di ambienti dove predominano il bianco o la luce del sole, nemmeno la prigione in cui sono rinchiusi i tre ragazzi fosse il paradiso contro un mondo esterno brullo e squallido, come dimostrano le poche scene "esterne" al contesto familiare dei tre, una scelta stilistica che solitamente non mi fa impazzire. Nonostante questo, Dogtooth mi è invece piaciuto molto ma è un film da prendere con tutte le cautele del caso. Ci sono infatti pochi episodi realmente violenti all'interno di una pellicola che perpetua  violenza psicologica dall'inizio alla fine, ma quei due episodi rischiano di segnarvi per un bel po' di tempo. Sono avvertiti animalisti e persone con la fobia del dentista. 


Del regista e co-sceneggiatore Yorgos Lanthimos ho già parlato QUI.


Angeliki Papoulia, che interpreta la figlia maggiore, è tornata a lavorare con Lanthimos in Alps e The Lobster. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto potreste recuperare la filmografia del regista, di certo non rimarrete delusi. ENJOY!

8 commenti:

  1. un film incredibilmente violento, non si dimentica facilmente una volta visto

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    1. Sì, più della violenza fisica è quella psicologica a colpire con forza.

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  2. Mi ha disturbato, ma così tanto che, pur riconoscendone i meriti, ho finito per odiarlo. Un Lanthimos che non ho digerito.

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    1. Addirittura odio? A me, fortunatamente, non è mai capitato con Lanthimos. Forse un po' di perplessità annoiata ai tempi di The Lobster.

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  3. Film geniale, che ha aperto una strada e consacrato un regista. E Lanthimos ha il merito di essere rimasto coerente con il suo cinema anche nei film successivi, una volta raggiunto il successo. Ma questo a mio avviso è il suo top.

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    1. Forse ho preferito Il sacrificio del cervo sacro ma lo stesso parliamo di grandissimo Cinema.

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  4. Mi manca ancora, ma penso di recuperarlo prima o poi ;)

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