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martedì 27 aprile 2021

Minari (2020)

E' uscito ieri nei cinema riaperti (tranne a Savona, ovviamente, dove non ha riaperto una ralla) Minari, diretto e sceneggiato dal regista Lee Isaac Chung nel 2020 e accolto da 6 nomination (Miglior Film, Steven Yeun come Miglior Attore Protagonista, Miglior Regia, Yuh-Jung Youn come Miglior Attrice Non Protagonista nonché l'unica vincitrice, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Colonna Sonora Originale).


Trama: Negli anni '80, una famiglia di immigrati coreani si trasferisce in campagna, all'interno di un ex caravan trasformato in casa, e lì i suoi membri si ritrovano a dover affrontare una serie di problemi...


Anni fa, credo ormai almeno 10, un'amica dall'umorismo particolarmente spiccato mi regalò il libro Cinquanta lavori più schifosi del tuo, all'interno del quale scoprii l'esistenza del sessatore di pulcini, ovvero del povero cristo che si occupa di controllare se le dolci bestiole sono maschi o femmine. Avere per le mani tutto il giorno dei gialli piumini immagino potrebbe fare la felicità di qualcuno, non fosse che bisogna essere velocissimi e che, dopo un giorno, la poesia rischia di svanire, persa in un turbine di codine da fissare per otto ore di fila, inoltre è assai crudele il destino dei pulcini maschi, non tutti prescelti per poter crescere e spesso gettati in un tritacarne o peggio. Onestamente, non riuscirei a condannare animalini così piccoli a una morte precoce e non fatico a comprendere la speranza di Jacob, protagonista di Minari, di affrancarsi da questo genere di attività, anche se l'uomo non è certo spinto dalla pietà per i pulcini, quanto piuttosto dalla volontà di acquisire un po' di prestigio sociale dopo un'esistenza passata a soffrire nella povertà della Corea. Da qui nasce il dramma di Minari, storia di una famiglia alle prese con la durezza della vita di campagna, nella squallida provincia americana, all'interno di un ex caravan a cui hanno tolto le ruote per trasformarlo in una casa, bloccandolo in un terreno aspro e zeppo di sterpaglie che Jacob considera una specie di terra promessa da far diventare azienda agricola. Ma quel che Jacob desidera, agli occhi della moglie sono i capricci di un uomo egoista, che non tiene da conto i molti problemi pratici di una simile vita, problemi che rischiano di condannare la famiglia a un ulteriore isolamento e all'indigenza, cose che giustamente Monica avverte come una spada di Damocle sospesa sulle teste dei due bambini, soprattutto del piccolo David, affetto da una malattia cardiaca.  


Lee Isaac Chung
racconta quello che conosce meglio, prendendo spunto dalla sua infanzia, e si vede. Il filtro dei ricordi addolcisce molte cose e David è di una tenerezza inenarrabile (così come la nonna è un personaggio talmente sopra le righe che tutti vorremmo averla accanto), ma il regista non indulge in happy ending consolatori né offre allo spettatore una storia compiuta; il destino della famiglia di Jacob, che passa per esperienze non certo felici e quotidiane preoccupazioni quali povertà, malattia, senso di isolamento e paura per il futuro, rimane sospeso in un finale interamente dedicato al minari che dà il titolo al film, una pianta che cresce e si ramifica senza bisogno di troppe cure, regalando i suoi frutti a chi desidera coglierli, ricchi o poveri che siano. Il minari è una perfetta rappresentazione delle persone, che attecchiscono e si ramificano cercando di sopravvivere; c'è qualcuno tra noi che riesce a fruttificare, lasciando magari un segno tangibile nella storia (dell'umanità, della propria famiglia), ma in definitiva la maggior parte rimane lì, tranquilla, senza fare male a nessuno, in letterale balìa degli eventi. Un segno tangibile, almeno sullo spettatore, lo lasciano però senza dubbio le interpretazioni di Minari, tutte assai toccanti (Yeun non ha vinto l'Oscar ed era scontato ma lui e tutti gli altri attori sono perfetti, non solo la vincitrice Yuh-Jung Youn ma anche Yeri Han) e molte sequenze rischiano di rimanere impresse a lungo, come il confronto finale tra Jacob e la moglie, che mi ha annegata in un mare di lacrime alla faccia dei due isterici di Storia di un matrimonio, o quella in cui nonna consola un terrorizzato David, e anche la colonna sonora di Emile Mosseri è deliziosa, l'ideale per tenersi stretta l'atmosfera malinconica del film anche durante lo scorrere dei titoli di coda. 


Di Steven Yeun, che interpreta Jacob, ho già parlato QUI mentre Will Patton, che interpreta Paul, lo trovate QUA.

Lee Isaac Chung è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Munyurangabo, Lucky Life e Abigail Harm. Anche produttore, ha 43 anni.




6 commenti:

  1. Un film che infonde pace, armonia e dolcezza. Di questi tempi, tutte cose buone e giuste. Gli ho voluto molto bene. Era il mio preferito, dopo PYM.

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    1. Anche io gli ho voluto bene, davvero delizioso e in perfetto equilibrio tra dolcezza e amarezza.

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  2. Del lavoro del selezionatore di pulcini non sapevo niente, e preferivo non saperne niente.
    Quanto al film, con me è cresciuto dopo la visione, sarà che nel mentre mi ha ricordato tanto la bellezza di Tigertail, piccolo film Netflix di cui mi ero innamorata lo scorso anno.
    Impossibile non paragonarli anche se la nazionalità è diversa, ma alla fine, sono entrambi bellissimi.

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    1. Non selezionatore, cara, SESSATORE!!
      Tigertail non lo conosco, metto in lista, sempre che ci sia ancora su Netflix.

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  3. Che dirti Erica... sarà che invecchiando divento sempre meno sensibile, ma ho trovato questo film di una noia e di un'inconcludenza micidiali. Una vera martellata nelle p***e, parlando in francese. Onore alla vecchietta che ha vinto l'Oscar, ma per vedere questo film fino alla fine mi è servita una caraffa di caffè :)

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    1. Oh, che dire: un po' a me un po' a te! Io ho dovuto fare lo stesso con Una notte a Miami XDXD

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