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venerdì 23 luglio 2021

Fear Street Parte 3: 1666 (2021)

E fu così che giungemmo alla fine! Con un ritardo mostruoso ed irrispettoso ho recuperato anche Fear Street Parte 3: 1666, sempre diretto e co-sceneggiato da Leigh Janiak ed ispirato alla serie fi libri Fear Street di R.L.Stine. Come sarà finita?


Trama: Nel 1666, nel villaggio colonico abitato da Sarah Fier regna la pace, almeno finché una forza maligna non comincia a rovinare i raccolti e a far impazzire gli abitanti, scatenando una tremenda caccia alle streghe...


Fear Street: 1666
è la perfetta conclusione di una trilogia che non ha perso un colpo e che ha risvegliato la mia fiducia nei confronti dell'horror distribuito da Netflix, alzando l'asticella dei modelli a cui dovranno guardare, in futuro, i teen horror che vorranno rispettare l'intelligenza del loro target di riferimento. La storia di Fear Street fa un ulteriore passo indietro e ci porta, come da anticipazioni, all'anno in cui tutto è iniziato, con la fine dell'esistenza della strega Sarah Fier, impiccata dopo aver condannato la popolazione di Shadyside a una maledizione senza fine. Senza fare troppi spoiler, Fear Street: 1666 prende parecchio, come ispirazione e messa in scena, dal capolavoro di Eggers, The VVitch, almeno nella prima parte; una volta offerta al pubblico la soluzione di un enigma che ci portiamo dietro da due film, il tempo torna a scorrere e ci ritroviamo nel 1994, con un'atmosfera che non è più quella dello slasher à la Scream o, meglio, non solo, perché in gioco, oltre alla sopravvivenza dei singoli superstiti, c'è l'anima di un'intera città. La disparità tra la sfortunata, decadente Shadyside e la ricca Sunnyvale, accennata a mo' di rivalità distintiva nella prima parte e portata maggiormente sotto i riflettori in 1978, diventa la chiave del mistero della maledizione di Sarah Fier ed è la diretta discendente di un mondo ingiusto e bigotto, dove i reietti e i deboli non hanno modo di difendersi da un pregiudizio che diventa odio e da una classe dominante (che sia formata da ricchi uomini d'affari o da bifolchi, non fa differenza) che mira solo a mantenere un cieco status quo.


La rabbia e il senso di umiliazione e sconfitta che Deena riversava su Sam all'inizio di 1994, sensazioni messe da parte (giustamente) davanti al terrore concreto di vedersi spaccare la testa con un'accetta, diventano l'anima di Fear Street 1666, la molla che spinge i personaggi ad agire, alimentando in loro un bruciante desiderio di affermarsi e urlare al mondo che la diversità, di qualunque genere, non è necessariamente da condannare o ignorare e che invece, molto spesso, "il bene è male", soprattutto quando il sole splende sempre sullo stesso punto, senza apparente motivo. Sono molti i colpi al cuore che arrivano durante la visione di Fear Street 1666, perché nel frattempo siamo arrivati ad amare i personaggi in ogni loro (re)incarnazione e vederli sistematicamente messi in ginocchio e presi in giro fa quasi più male che vederli morire per mano di creature demoniache che non sono altro che una mera, pittoresca espressione di qualcosa di ancora più orribile ed insinuante. E' l'intero "baraccone" di Fear Street a distrarre, come le creature di cui sopra, a fornire una maschera commerciale e divertente a un'opera più coraggiosa di quanto appare ad un'occhiata distratta, che si spera riuscirà a parlare molto chiaramente al pubblico di ragazzi a cui si rivolge e infondere coraggio a molti degli spettatori, fornendo dei modelli di reietti forti e "veri", non infighettati alla bisogna, con i quali riconoscersi. Anche per questo la trilogia di Fear Street è una delle opere horror (e non solo) più interessanti e coerenti degli ultimi anni, oltre che un'operazione molto ambiziosa, che spero vivamente non offrirà il fianco alla serialità che la piattaforma impone (maledetta manina sui titoli di coda...), a rischio di privarsi di significati e anima. Al momento, Leigh Janiak ha realizzato un vero gioiellino e io non posso che unirmi alla folta schiera di chi le sarà eternamente grato!


Della regista e co-sceneggiatrice Leigh Janiak ho già parlato QUI. Sadie Sink (Constance/Ziggy Berman) e Gillian Jacobs (C. Berman) le trovate invece ai rispettivi link.


Randy Havens
, che interpreta George Fier, è il Mr. Clarke della serie Stranger Things. Ovviamente, se il film vi fosse piaciuto, recuperate Fear Street parte 1 e parte 2 e aggiungete The VVitch. ENJOY!

2 commenti:

  1. Nel 2021 venne dato alle stampe un libro piccino (non un libro piccolo), un volume di poco più di 200 pagine del sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos dal titolo “Il futuro comincia ora”; il pensiero espresso (provo a riassumerlo attraverso le sue parole) è che: “la dominazione moderna si fonda su tre pilastri: il capitalismo, il colonialismo, e il patriarcato; tutti basati sul concetto che la natura ci appartiene”. Ma come “cambiare il modo in cui vediamo la natura” prima che “quest’ultima inizierà a scrivere il lungo e doloroso epitaffio della vita umana sul pianeta”? Immaginando un futuro diverso. E Come? Attraverso l’utopia, un’utopia che si fondi “sulle classi e gruppi sociali etno-razziali e di genere esclusi dalla moderna dominazione”. E sempre nel 2021 Netflix licenziava questa trilogia di Leigh Janiak, Fear Street. Chi però tra noi dopo pochi minuti di visione non aveva pensato di trovarsi davanti all’ennesimo teen horror, uno slasher movie il quale non disdegnava neanche il colpo basso strizzando l’occhio anche a noi fruitori quarantenni con una bella spruzzata di effetto nostalgia (Josh/Benjamin Flores Jr. che dopo pochi minuti lo si vede conversare nella AOL Chat Room ascoltando Fear of the Dark degli Iron Maiden è un tuffo al cuore)? Beh, andando avanti col girato e coll’incedere delle settimane (disponibili così la parte II e III) la trilogia della regista americana si è denudata mostrandosi per quel che è: un progetto-utopia ambizioso nell’impianto quanto rivoluzionario nel messaggio (in questa parte III scopriamo come la narrazione sulla maledizione di Shadyside sia una costruzione posticcia che poggia su secoli di menzogne perpetrate dall’autorità e, che saranno gli ultimi - i reietti come scrivi - i “gruppi sociali etno-razziali e di genere esclusi dalla moderna dominazione” a rompere il maleficio e rovesciare lo status quo).
    È da sempre abusato il mantra riguardo il cinema horror come genere reazionario confondendo grammatica con poetica, forma con sostanza; ma il cinema horror è invero il genere che meglio si confà per interrogare il nostro io interiore; ancora: indagare il presente e il quotidiano, scavare il terreno sociale della comunità nella quale ci muoviamo e, come l'archeologo fa col passato, portare in superfice e illuminare quell'angolo sperduto, segreto dove si dibattono paure e turbamenti. Ricordava Galeano: “L'utopia è là nell'orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l'orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l'utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare”. Come ci spinge a fare il cinema horror. Buon Halloween.

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    1. Un po' in ritardo, ché gli ultimi giorni della Spooky Season mi hanno vista un po' impegnata, ma buon Halloween anche a te.
      E grazie per questa riflessione interessantissima, che mi ha fatto venire voglia di riguardare la trilogia di Fear Street (troppo presto dimenticata, colpevolmente) e recuperare il libriccino che hai nominato a inizio commento!

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