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venerdì 31 maggio 2024

Attachment (2022)

Oggi il tema della challenge Horror 52x24 era "Film danese", così ho scelto Attachment (Natten har øjne), diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Gabriel Bier Gislason.


Trama: Maja, attrice danese, si innamora di Leah, ragazza inglese di origine ebraiche. Quando quest'ultima ha un incidente, Maja decide di trasferirsi in Inghilterra, nella casa a due piani che Leah divide con la madre. La convivenza si rivelerà un incubo...


Attachment
è un film piccolino, sussurrato anche in quel poco di orrore che mostra, un'opera che sceglie di sfruttare un canovaccio tipico del genere per raccontare una storia di legami profondi, incomprensione e amore. Tutto parte dall'incontro tra Maja, attrice danese diventata famosa grazie ad una fortunata serie di video per bambini in cui interpreta un elfo natalizio, e Leah, studentessa londinese di origini ebraiche. Tra le due scatta un colpo di fulmine da manuale che sfocia in una rapida convivenza, finché un giorno Leah non si rompe una gamba proprio quando deve tornare a Londra per questioni di studio. Maja sceglie di accompagnarla ed è così che fa la conoscenza di Chana, la madre di Leah. Imbevuta di credenze religiose e morbosa nell'affetto che riserva alla figlia, Chana mette a dura prova la pazienza di Maja la quale, pur cercando di lottare con le unghie e con i denti per non perdere né la calma, né l'amore della sua vita, non può fare a meno di soccombere, lentamente, alle inquietanti stranezze che circondano la donna e che trasformano la casetta londinese in un claustrofobico antro di terribili segreti. I misteri legati a Chana vengono svelati a poco a poco, senza fretta, filtrati dal punto di vista diffidente di Maja, ragazza danese che di religione ebraica non sa nulla. A donarle un briciolo di conoscenza arriva lo strano zio di Leah, ma siccome l'intera trama del film è giocata sull'incomprensione e la distanza, sia culturale che linguistica, ogni indizio rischia di venire distorto dall'altro grande protagonista di Attachment, che viene citato proprio dal titolo. Attachment come legame affettivo ma anche attaccamento, in senso fisico e psicologico. Maja, rimasta sola dopo la morte della madre e priva di prospettive nella vita salvo un lavoro fastidioso, si lega a Leah con un affetto profondo e cieco, che non tiene conto di piccoli particolari dissonanti legati ai comportamenti della ragazza, designata come assoluta ancora di salvezza; Chana, immigrata danese convertitasi alla religione del marito e ancora considerata straniera dopo decenni, vive esclusivamente per il legame con la figlia la quale, soffocata da tante attenzioni, è diventata però incapace (o perlomeno restia) a ricambiarlo. In questo substrato di affetto troppo intenso, generato spesso dal terrore della perdita e dalla solitudine, prolifera così un male dalle radici antichissime, che si nutre di emozioni negative e che ha imparato da tempo a sfruttare le imperfezioni degli esseri umani per ingannarli e causare loro ancora più dolore.


Essendo un horror "umano", Attachment vive innanzitutto della bravura delle tre attrici protagoniste. L'alchimia tra Josephine Park ed Ellie Kendrick rende la coppia sullo schermo assai tenera e convincente, oltre che molto naturale per quanto riguarda le varie interazioni; nonostante la differenza d'età reale di 5 anni, le dinamiche sono quelle tra una donna "matura", comunque già verso la trentina se non di più, convinta che Leah sia l'ultima chance di combinare qualcosa nella vita, e una ragazza più giovane che del mondo conosce poco, vissuta a lungo sotto l'ala protettrice della madre. Quest'ultima, interpretata da Sofie Gråbøl, è una figura assai inquietante, che riesce a risultare contemporaneamente schiva e dura, e anche l'interazione tra la Park e la Gråbøl, in particolare nei momenti in cui le due donne si scontrano, è interessante e credibile. A completare il quadro ci pensa l'elemento comico di David Dencik e del suo zio Lev, una folata di leggerezza che non sfocia mai nella stupidità e consente allo spettatore occidentale e cattolico, poco avvezzo a tematiche legate alla religione ebraica, di capire qualcosa relativamente ai miti e alle leggende che la caratterizzano. Nonostante la struttura di Attachment, soprattutto sul finale, richiami i cliché di migliaia di altri horror, l'idea di parlare di ebraismo e non di cattolicesimo ha reso il film, almeno per me, più nuovo e coinvolgente, e ho apprezzato molto anche la scelta di non sfruttare jump scares o CGI, quanto piuttosto di lavorare d'atmosfera (molto belle anche le scenografie, elemento indispensabile visto che il film è girato in gran parte in interni), affidandosi a pochi effetti pratici e alla fisicità di Ellie Kendrick. Con tutte le schifezze che arrivano mensilmente sui vari servizi streaming italiani è un peccato che Attachment sia rimasto nel limbo nella non distribuzione, ma se vi capitasse di trovarlo guardatelo, perché è piccino ma delizioso.

Gabriel Bier Gislason è il regista e sceneggiatore della pellicola, al suo primo lungometraggio. Danese, ha 35 anni.


 

4 commenti:

  1. Film che vidi tempo fa, curiosamente nello stesso momento in cui qui uscì The Offering. Lì l'ambientazione dentro la cultura ebraica era più dirimente (però come noti verissimo che la religione e la lingua giocano un ruolo importante nel rappresentare incomprensioni e definire distanze). Attachmen lo ricordo diviso in tre parti; la prima per me più riuscita - delicata, dolce, divertita - poi una seconda che mostra più decisa le increspature di un rapporto (anche quello tra Chana e sua figlia o l'attachment di Chana col ricordo del marito) e una terza con la risoluzione dentro un finale più convenzionale.

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    1. Sì, The Offering era più totalizzante nel suo utilizzo della religione ebraica, ma anche qui l'ho trovata abbastanza fondamentale. Come te, ho apprezzato maggiormente lo studio iniziale sui personaggi, meno convenzionale del resto del film.

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  2. Sembra interessante, d'altra parte i danesi quando ci si mettono sanno inquietare come pochi, ma non sembra troppo semplice da trovare...

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    1. In realtà non è difficilissimo. Basta un po' di pensiero laterale.

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