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giovedì 31 luglio 2014

Il WE, Bolla! del diludendo (31/07/2014)

Il multisala savonese è ovviamente ancora chiuso. Poco danno, direte voi, è estate. Fai dell'altro, non andare al cinema. Il problema è che ho, letteralmente, una scimmia sulle spalle e non mi scende perché delle uniche DUE uscite settimanali ce n'era una che avrei assolutamente voluto vedere... ENJOY!!


Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie
Inaspettatamente il primo film, L'alba del pianeta delle scimmie, mi era piaciuto moltissimo. Non era un capolavoro e aveva i suoi difetti ma anche un cuore. E il Cesare di Andy Serkis era una delle scimmie più espressive mai viste al cinema. Sono stra-convinta che Apes Revolution non potrà che essere inferiore, tuttavia avrei tanto voluto guardarlo per godere ancora una volta della bravura di questo grandissimo attore e per scoprire come se la passano le scimmie e gli umani sopravvissuti al virus ma probabilmente fino all'anno prossimo ciccia!! 

Mario Bava Day: Sei donne per l'assassino (1964)


Oggi la blogosfera unita festeggia un regista italiano tra i più amati, ovvero il buon Mario Bava. Orgoglio nostrano in più di un senso visto che, nonostante si sia poi insediato a Roma, il regista è nato a Sanremo, in Liguria, nel 1914. Quindi, per ribadire l'innegabile supremazia ligure, ho deciso di guardare Sei donne per l'assassino, diretto da Mario Bava nel 1964.


Trama: un assassino comincia ad uccidere le modelle che lavorano in un atelier di moda. Tra droga, ricatti e misteriosi diari il mistero si fa sempre più fitto...



Pur amando l'horror e, relativamente, il giallo all'italiana, di Mario Bava avevo visto solo La maschera del demonio e I tre volti della paura. Convinta com'ero di non avere altro che questi due film in casa ho inveito contro i blogger che se li sono accaparrati (scherzo, vi lovvo!) quando a un tratto ho rinvenuto in mezzo alla polvere questo Sei donne per l'assassino, che mai avevo visto prima d'oggi. Male, molto male!! Intanto shame on me perché la pellicola di Bava è praticamente la Bibbia a cui si è rifatto ogni altro regista intenzionato a girare gialli, Dario Argento in primis (le inquadrature iniziali di Sei donne per l'assassino mi hanno ricordato un sacco Suspiria), poi perché il film in questione è veramente bello e, per quanto al giorno d'oggi risulti zeppo di cliché che possono fare sorridere, riesce ad intrattenere dall'inizio alla fine. Il canovaccio è piuttosto esile: le sei donne del titolo (le ho contate, sono proprio sei!!) vengono uccise una ad una da un killer letteralmente senza volto. Ovviamente, il divertimento sta innanzitutto nello scoprire l'identità dell'assassino, cosa che sono riuscita a fare poco dopo aver passato la prima metà del film, e nell'assistere ai fantasiosi modi in cui il bruto fa scempio delle povere fotomodelle: niente di troppo gore, per carità, ma l'utilizzo di un triplo uncino e di una stufa fanno il loro effetto anche dopo 40 anni, senza contare il gusto sadico con cui Bava indugia sui volti sofferenti e sfigurati delle belle fanciulle. Neanche a dirlo, le motivazioni finali dell'assassino sono risibili e anche troppo esagerate, equivalgono al bruciare un nido di calabroni scagliando una bomba atomica nel circondario ma così è, il pubblico dell'epoca non aveva bisogno di grandi motivi e cervellotiche spiegazioni ed era molto meno smaliziato di quanto potremmo essere noi. Sei donne per l'assassino quindi potrebbe essere un giallo come tanti... se non fosse che la mano dell'Autore si riconosce eccome.


Sei donne per l'assassino, infatti, è innanzitutto bello visivamente, fin dai quei titoli di testa accompagnati da un'accattivante e sculettosa melodia (Bossa nova? di musica ci acchiappo proprio poco...). Il regista ci conduce per mano all'interno di un'atelier dove il lusso e la decadenza imperano e dove il salotto principale è popolato da inquietanti manichini dai colori accesi (il rosso e il blu la fanno da padroni) sui quali la macchina da presa indugia spesso e volentieri, mostrando alternativamente questi pupazzi privi di vita e le fotomodelle, quasi a voler precorrere il loro destino e a mostrarcele altrettanto frivole e vuote. Il primo omicidio, così come quelli che seguono, è il perfetto manuale dei codici del Giallo all'italiana, con l'assassino che si confonde tra le ombre di tempestosi boschi solitari o compare e scompare come un fantasma all'interno di case abbandonate dalle architetture impossibili mentre la povera vittima si aggira sempre più inquieta e perduta... ed è più la tensione provata nell'attesa del colpo inferto a scuotere lo spettatore rispetto all'assassinio in sé. Altrettanto interessanti sono le carrellate sui possibili colpevoli durante la sfilata, durante la quale lo sguardo di tutti i personaggi (uno più sospetto dell'altro, ovviamente) è attirato da una borsetta nera contenente il diario della prima vittima che a un certo punto sparisce, una bella sequenza girata apposta per trarre in inganno lo spettatore, così come molti altri dettagli inseriti nel corso di alcune scene chiave girate in modo da mettere la pulce nell'orecchio anche ai più scafati... e, alla fine, credetemi, tutto tornerà alla perfezione, come il meccanismo di un orologio svizzero. Si può sicuramente trovare un difetto a Sei donne per l'assassino ed è il livello altalenante della bravura degli interpreti, ma anche così nella pellicola predominano una tale cura, qualità e stile che su questo dettaglio si può benissimo sorvolare.. ed è per questo che Mario Bava merita il nostro e mille altri omaggi!

A tal proposito, i festeggiamenti continuano su questi blog... ENJOY!

Whiterussian 
Montecristo
Director's cult
Non c'è paragone
Scrivenny
La fabbrica dei sogni
Obsidian
Recensioni Ribelli



mercoledì 30 luglio 2014

All Cheerleaders Die (2013)

Siccome Lucia e Silvia, tra tutte e due, mi hanno fatto salire la scimmia, una di queste sere ho deciso di guardare All Cheerleaders Die, diretto e sceneggiato nel 2013 da Lucky McKee e Chris Sivertson e remake del loro omonimo film del 2001.


Trama: Maddie cerca di mettere zizzania tra le cheerleaders e i giocatori di football del liceo ma il gioco le sfugge di mano e la questione si complica tra morti, sangue e magia...


Credo che se avessi visto All Cheerleaders Die ai tempi delle scuole superiori sarei uscita di testa, cominciando a vestirmi da darkettona, acquistando una telecamera portatile o cercando di penetrare i segreti delle pietre e dei cristalli. Per fortuna di anni ne ho 33 e posso solo dire che All Cheerleaders Die è l'horror più dannatamente "giusto", divertente ed esaltante che abbia visto quest'anno e mi dispiace per roba più seria ma finirà dritto nelle prime cinque posizioni di un'eventuale classifica di fine 2014. Prendete la sciocca e spocchiosa cattiveria di due capisaldi (e lo ribadisco: CA-PI-SAL-DI!!) come Ragazze a Beverly Hills e Mean Girls, aggiungeteci l'inevitabile richiamo per adolescenti maschi medi consistente nel binomio baci saffici/cheerleader che già serpeggiava allegro ne Il corpo di Jennifer, non dimenticate l'horror di un tipico teen slasher alla Scream e infine un pizzico della magia di Giovani Streghe e avrete un'idea di cosa sia questo All Cheerleaders Die, una pellicola dove può davvero succedere tutto e il contrario di tutto, zeppa di twist e trovate geniali che riescono ad rendere freschi e frizzanti anche i cliché di cui è infarcita. Lucky McKee e Chris Sivertson, infatti, non si fanno scrupolo nel cambiare registro e spiazzare lo spettatore ogni volta che possono, tenendolo sulla corda con misteri e motivazioni che verranno svelati al momento giusto o richiamati brutalmente alla memoria nel caso ce li fossimo dimenticati: All Cheerleaders Die è una storia di amicizia, vendetta, tradimento, amore, pregiudizi e disperazione, che mette l'uno contro l'altro due "branchi" di animali, cani e cagne (bitches, come si chiamano tra loro le Cheerleader), ognuno stupidamente in lotta per la supremazia all'interno del variegato bestiario studentesco americano, pieno di regole e convenzioni discriminatorie. La rabbiosa ribellione di una persona, che inserisce all'interno della perfetta comunione tra giocatori e cheerleader l'elemento estraneo e "pensante", da il via ad una serie di eventi che porterà tutti i coinvolti a mostrare il loro vero volto, con risultati inaspettati anche per gli stessi protagonisti, che scopriranno a loro spese che non è tutto oro quello che luccica.


Non avendo visto la versione del 2001 non posso fare confronti tra originale e remake ma in questo All Cheerleaders Die ho molto apprezzato la colonna sonora "trendy" (immancabile in un teen horror che si rispetti!), la parsimonia con cui sono stati utilizzati gli effetti speciali, l'abbondanza di gore "sensato" e non baracconesco e, ovviamente, i dialoghi tipicamente GGiovani e zeppi di slang che non mancano di alleggerire ogni scena, anche quelle più cruente, lasciando che la pellicola danzi allegramente sul filo della supercazzola senza scadere nella farsa come, per esempio, quella grandissima schifezza di Nurse 3D. A tal proposito. Del trinomio horror, tette e culi a me, come donna, importa davvero poco. Però, se vogliamo proprio che eros e thanatos vadano a braccetto o se vogliamo mostrare delle bambolotte immerse nel sangue, bisogna che queste bambolotte siano davvero delle badass di prima categoria, roba alla Russ Meyers o alla Tarantino, non delle innominabili cagne come Paz De La Huerta, perché sarà proprio il loro carisma a rendere godibile anche la più stupida delle sceneggiature. In All Cheerleaders Die nessuna delle protagoniste vincerà mai un Oscar ma perlomeno sono espressive, ci mettono impegno e passione, non parlano come se avessero appena bevuto 70 gin lemon e corrono, ballano, picchiano... urlano. Cristo, come urlano. Sianoa Smit-McPhee strilla talmente tanto alla fine che non riuscivo a staccare gli occhi dallo schermo e la incitavo a dare un happy ending al film con il solo potere del suo urlo praticamente infinito. Così come incitavo la Stasey e tutte le altre Cheerleader a corcare di mazzate quei poveri gonzi buoni solo a calciare un pallone, sbavare sulle matricole e farsi grossi con i nerd sfigatelli che popolano i corridoi del liceo. McKee, Sivertson, scripta manent: voi avete detto "part one". E io aspetto una part two dove quel mostro uscito dalla tomba con l'occhio rosso come Terminator possa dare un nuovo significato alla parola vendetta!

Lucky McKee (vero nome Edward Lucky McKee) è co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come All Cheerleaders Die del 2001, May, The Woman e l'episodio Sick Girl della serie Masters of Horror. Anche attore, produttore e compositore, ha 39 anni.


Chris Sivertson è co-regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come All Cheerleaders Die del 2001, The Lost e Il nome del mio assassino. E' anche attore e produttore.


Caitlin Stasey (vero nome Caitlin Jean Stasey) interpreta Maddie. Australiana, ha partecipato a film come Il domani che verrà - The Tomorrow Series, I Frankenstein e alla soap australiana Neighbours. Ha 24 anni e un film in uscita.


Sianoa Smit-McPhee, che interpreta Leena, è sorella del Kodi Smith Mc-Phee che ha partecipato a Blood Story, Paranorman e The Congress. Detto questo, se All Cheerleaders Die vi fosse piaciuto provate a cercare la versione del 2001 e magari anche Scream, Giovani Streghe, Mean Girls, Ragazze a Beverly Hills e Jennifer's Body. ENJOY!


martedì 29 luglio 2014

Drag Me to Hell (2009)

Mercoledì scorso è ricominciata Notte Horror su Italia 1 o, meglio, una parvenza di. Ciò mi ha dato perlomeno l'occasione di guardare finalmente Drag Me To Hell, diretto e co-sceneggiato nel 2009 dal regista Sam Raimi.


Trama: Christine lavora in banca e spera di fare carriera. L'occasione le si presenta quando una vecchia zingara si rivolge a lei per ottenere la proroga del rimborso di un prestito e la ragazza, per mostrarsi inflessibile e capace agli occhi del capo, rifiuta di concedergliela. Purtroppo per Christine la zingara deciderà di vendicarsi scagliandole contro la maledizione della Lamia, un terribile demone..


Onestamente, dopo aver visto Il grande e potente Oz mi aspettavo che Drag Me to Hell fosse una stupidaggine incredibile, tutto effetti digitali e niente anima. Tutto pensavo tranne che mi sarei divertita come una matta guardandolo e che, complice anche il vento che imperversava fuori da casa mia, avrei persino avuto qualche difficoltà ad addormentarmi nel timore che la vecchia zingara o la Lamia venissero a farmi visita nottetempo. Nel corso di Drag Me to Hell, infatti, si ride e si salta sulla sedia, senza soluzione di continuità, le immagini disgustose e i momenti inquietanti non si contano ma vengono quasi sempre stemperati da una sana dose di grottesca ironia e situazioni al limite del paradossale, un po' come accadeva ne La casa 2 e ne L'armata delle tenebre. La vecchia zingara è sì un avversario ridicolo ma è anche temibile per la sua natura vendicativa, implacabile e sovrannaturale, che si fonde con l'iconografia tipica di un inferno cristiano fatto di demoni, fuoco e sembianti caprini (tutte cose che a me, a prescindere, mettono l'ansia), tuttavia l'aspetto che più mi ha colpita di Drag Me to Hell è stato in realtà la natura fondamentalmente poco positiva della protagonista. Christine è una ragazzetta di campagna che vuole fare la sofisticata, è piena di fisime, insicura, arrivista e profittatrice, le piacerebbe essere buona e cara ma è palese il disgusto che prova, istintivamente, nei confronti della zingara che le insozza l'ufficio, le ruba le caramelle e si toglie la dentiera sulla sua scrivania: la sua decisione di rifiutarle la proroga del rimborso del prestito è ambivalente, alimentata in primis dal desiderio di fare carriera ma anche da un inevitabile moto di razzismo ed irritazione. Christine, a dirla tutta, si merita la maledizione così come se la meritava il protagonista di L'occhio del male di Stephen King e se la meriterà ancor più da un certo punto del film in poi, quando deciderà di infrangere una delle regole non scritte del codice morale cinematografico, una cosa indegna che la metterà sullo stesso, squallido piano della zingara/Lamia.


Tra uno spavento e un rigurgito, una battuta sarcastica e sangue che schizza, una capra che parla e una seduta spiritica, lo spettatore assiste alla versione 2.0 di un vecchio tipico film di Raimi che, neanche a dirlo, si autocita dall'inizio alla fine e mette in piedi un fumettone che sicuramente può fare storcere il naso agli horroromani tout-court ma che alla fine tanto male non è. Certo, alcuni effetti speciali fanno un po' ridere i polli e sarebbero andati benissimo nella pura artigianalità negli anni '80, mentre nel 2000 risentono di tutta la freddezza della CGI (e mi riferisco soprattutto alla caduta dell'incudine con conseguente schizzo di sangue e cervella, tra l'altro tutto virato in grigio nell'edizione passata in TV) e la prima parte è sicuramente più interessante della seconda, il cui momento clou è una di quelle banalissime, per quanto agitate, sedute spiritiche che ormai mi sono venute a nausea, però come visione disimpegnata ed estiva Drag Me to Hell è perfetto. Perfetto anche il cast, con la simpatica faccetta della bionda Alison Lohman che risulta per l'intera pellicola una credibilissima ragazza della porta accanto e con la professionalità di tutti i caratteristi del caso, chiamati ad interpretare delle macchiette in grado di offrire alternativamente spunti folkloristici o semplice appoggio così da rendere la protagonista più tridimensionale. Drag Me to Hell, quindi, è l'esempio perfetto di come anche i film "supercazzola", se affrontati con rilassatezza, amore per il genere e passione da parte di regista e autori, possano diventare non dico dei capolavori ma sicuramente delle pellicole gradevoli e in grado di farsi perdonare ogni difetto. Se non l'avete ancora fatto recuperatelo, vi divertirete!


Del regista e co-sceneggiatore Sam Raimi, che compare durante la seduta spiritica nei panni di uno dei fantasmi, ho già parlato qui mentre Justin Long, che interpreta Clay, lo trovate qua.

Alison Lohman (vero nome Alison Marion Lohman) interpreta Christine. Americana, ha partecipato a film come Big Fish - Le storie di una vita incredibile, La leggenda di Beowulf e ha doppiato la versione USA di Nausicaa della Valle del vento. Ha 35 anni.


Dileep Rao interpreta Rham Jas. Americano, ha partecipato a film come Avatar e Inception. Ha 41 anni e un film in uscita.


David Paymer (vero nome David Charles Paymer) interpreta Mr. Jacks. Americano, ha partecipato a film come L'aereo più pazzo del mondo... sempre più pazzo, Howard e il destino del mondo, Scappo dalla città - La vita, l'amore e le vacche, 4 fantasmi per un sogno, Scappo dalla città 2, Get Shorty, Mumford, Ocean's Thirteen e a serie come Happy Days, Saranno famosi, I Jefferson, Il mio amico Arnold, Moonlightning, Ghost Whisperer e My Name is Earl. Anche regista e produttore, ha 60 anni.


Ellen Page avrebbe dovuto interpretare Christine ma ha rinunciato per partecipare ad un altro film. Molly Cheek, che interpreta la madre di Clay, era già stata mamma di Jim nella serie di film American Pie. L'onnipresente Ted Raimi invece ha uno strano cameo, lo si sente infatti parlare con Justin Long nei panni di un dottore ma non lo si vede mai in faccia, ahimé, mentre Bruce Campbell non è riuscito a fare la sua solita apparizione perché impegnato con le riprese della serie Burn Notice. A proposito di Bruce Campbell, nel corso di Drag Me to Hell i riferimenti ai tre film legati a La casa si sprecano e il perché è presto detto: la sceneggiatura del film (che Raimi avrebbe voluto fosse un remake de La notte del demonio, solo che non è riuscito ad aggiudicarsi i diritti) era già pronta ai tempi de L'armata delle tenebre ma Sam Raimi ha scelto di dedicarsi ad altri progetti. Per concludere, se Drag Me to Hell vi fosse piaciuto recuperate questa famigerata trilogia, il già citato L'occhio del male e Sospesi nel tempo. ENJOY!

domenica 27 luglio 2014

Il Bollospite: Splatters - Gli schizzacervelli (1992)

Qualche giorno fa la simpatica (e saputa, non dimentichiamolo!) Arwen Lynch del blog La fabbrica dei sogni mi ha proposto una recensione a quattro mani di Splatters - Gli schizzacervelli (Braindead), diretto e co-sceneggiato nel 1992 da Peter Jackson. Potevo quindi farmi sfuggire l'occasione? Assolutamente no! A cominciare questo viaggio nella folle mente del regista neozelandese sarà Arwen in persona, dopodiché troverete anche la opinione e, come se non bastasse, l'intero post potrete leggerlo anche su La fabbrica dei sogni. Quindi... ENJOY!


Trama: Lionel, uomo sulla trentina sottomesso alla madre, trova l'amore della sua vita in Paquita. Purtroppo la relazione si complica quando madre, morsa da una rarissima Scimmia-ratto, comincia a trasformarsi in uno zombie...



Il punto di vista di Arwen...

Avevo letto in giro che Splatters gli schizzacervelli fosse il film più splatter e gore mai realizzato, quando uscì al cinema sull'onda del successo di un altro film di Peter Jackson; il bellissimo Creature del cielo, lo devo dire, per molto tempo e prima che Robydick mi battezzasse con Fulci e Romero, avevo tenuto alla larga questo genere, perchè vedere viscere e sangue a litri mi impressionava, però come sempre succede quando mi avvicino a un genere nuovo, la curiosità prende sempre il sopravvento sulla paura, e lo devo dire, ci sono scene da scompisciare, scene da pelle d'oca, come la Bolla, anche io prediligevo un genere di horror un po' diverso ma la vena umoristica e demenziale di questo film sono irresistibili, molto più del capolavoro La Casa di Sam Raimi, qui Peter Jackson porta alle estreme conseguenze un film dalla trama bizzarra e scompisciata dove tutto è grottesco e portato al limite.
Il film è una commedia horror demenziale che non perde mai il suo fine, i pesonaggi sono bizzarri, abbiamo Lionel, succube di una mamma che grazie al morso di una scimmia diventa uno zombie, che infetterà qualsiasi persone le si avvicini, e cadranno tutti come le pedine del domino, attivando una reazione a catena di difficile risoluzione, il film peraltro è ricchissimo di metafore facendo una satira grottesca e sopra le righe sui rapporti madri/figli, il bello di questo film, è proprio questo.
Tutto è portato all'estremo, all'esagerazione, il colpo di genio di Peter Jackson, ancora lontano dai fasti che lo porteranno a vincere il premio oscar, sta nel ben calibrare il tutto, riuscendo nell'ardua impresa di far ridere lo spettatore in un film horror/splatters, dimostrando non solo di fare qualcosa di nuovo e originale per i tempi, ma anche di innovare un genere piuttosto serioso e drammatico, con una vena goliardica mettendoci il suo senso dell'umorismo.
Si durante la visione mi sono divertita, e mi sono spaventata, e solo Peter Jackson, con il suo enorme talento, è capace di farlo.
Questo film chiude la trilogia splatters con cui Jackson ha cominciato la sua favolosa carriera, ringrazio l'amica Babol per aver accettato di recensirlo con me , ci tenevo a scrivere la recensione con lei perchè come me è una fanatica dell'horror, quindi chi meglio di lei per recensire Splatters?
Brainhead nell'originale ricordiamolo, in Italia hanno sempre il vizio di storpiare, ma va bene, a differenza di Babol, non avevo ancora visto il film, l'ho visionato diversi mesi fa, e devo dire che proprio questo è il momento giusto per recensirlo, dato che in estate di solito si guardano film horror.
Se non vi spaventate alla vista di 15 litri di sangue che sgorga, a vedere gente frullata o maciullata con un tosaerbe è il film giusto per voi, astenersi chi è sensibile alla vista del sangue, anche per poche gocce.
Film che, oltre ad essere a basso costo, la sua realizzazione è piuttosto artigianale.
Quando l'ho programmato per la visione avevo paura di vedere la solita buffonata che me l'avrebbe fatta fare sotto dalla paura, invece mi sono divertita, e non solo...m'ha dato una paura di quelle che non scorderò mai più nella mia vita, questo vuol dire che il film, in tutto il suo essere grottesco centra il bersaglio.
Peter Jackson non voleva fare un film serio, ma tutto sopra le righe, mettendoci anche una satira grottesca sulla famiglia, infatti chi non si metterebbe a ridere sul rapporto tra madre e figlio, chi non si piegherebbe in due dalle risate durante la festa che finisce in un bagno di sangue?
In sostanza, Splatters è un piccolo capolavoro, ormai entrato di diritto tra i miei cult movies di genere horror, e come si fa a non farlo entrare.
Se volete divertirvi anche con un horror è il film giusto per voi, se siete schizzinosi astenetevi, se amate i film demenziali e grotteschi mixate con litri di sangue a palate, e maciullamenti vari è il film giusto per voi, vi divertirete non poco, ma un mondo.


... E quello della Bolla:

La prima volta che vidi Splatters - Gli schizzacervelli è stata, neanche a dirlo, in una puntata della vecchia Notte Horror e non avete idea di quanto ci rimasi male: quello non era un horror, era una ca**ata bella e buona! Preti e infermiere zombi (che, tra l'altro, se non ricordo male nella versione italiana parlano pure, tra un verso e l'altro), pargoletti deformi, scimmie-ratto, interi apparati interni semoventi e, per finire, una macellata finale più comica che disgustosa erano cose che, all'epoca, non concepivo in un horror, che in quanto tale avrebbe dovuto essere serio e pauroso. Questo già dovrebbe farvi capire quanto Peter Jackson (che già aveva firmato il sanguinosissimo Bad Taste/Fuori di testa) fosse incredibilmente avanti per quegli anni, visto che ora la contaminazione tra horror e commedia è talmente affermata che, spesso, anche nella più truce serietà spunta qualche supercazzola ad alleggerire il tutto... e dovrebbe farvi capire anche che, superato lo shock, una cosa simile non avrebbe potuto lasciarmi indifferente, tanto che la videocassetta di Splatters era stata comunque segretamente conservata e riguardata un altro paio di volte "per capire meglio" e poi perché, sinceramente, vedere un prete scagliarsi contro gli zombi come un novello Bruce Lee al grido di "Sono il ninja di Dio!!" mi aveva fatta sbellicare. La gentile proposta di Arwen è stata una scusa per riguardare Splatters dopo anni con un'ottica più "adulta" e meno legata ad eventuali pregiudizi, cosa che, finalmente, mi ha consentito di apprezzare al meglio questo incredibile, esilarante ed esageratissimo bagno di sangue, l'unico, a quanto pare, in grado di soddisfare l'atavica sete di gore del mio amato Eli Roth. Il che è tutto dire!
Da un punto di vista puramente gore diciamo che, in effetti, Peter Jackson non si fa mancare nulla. Se si togliessero, infatti, tutti gli elementi grotteschi dalla vicenda, si potrebbe tranquillamente dire che il regista neozelandese non abbia avuto pietà di  nulla e di nessuno, soprattutto dello spettatore, e che ogni dettaglio schifoso che possa mai venirvi in mente sicuramente riuscirete a trovarlo in Splatters: smembramenti, decapitazioni, gente frullata, cadaveri che esplodono, addirittura persone a cui vengono tirati fuori a forza dal corpo casse toraciche e l'intero apparato digerente (giuro. Tutto!!), nominatene uno e vedrete che Jackson ce l'avrà messo, senza contare che gli zombi fanno ridere sì ma sono anche pericolosissimi. L'inquietudine, invece, è stata completamente bandita da Splatters: tutto ruota infatti attorno alla triste vita di un loser soffocato da una madre che, da zombi, diventa ancora più opprimente e alla storia d'amore tra lui e l'immigrata Paquita. Le gag sull'argomento si sprecano, con questa vecchia rompipalle e cattivissima anche da viva il cui unico scopo è tenere il figlio a guinzaglio e farsi bella agli occhi della società, tanto che la prima parte è molto più divertente della seconda (e sinceramente, il pranzo a base di crema inglese è MOLTO più schifoso della tanto celebrata sequenza del tagliaerbe) che, per contro, tende ad essere ripetitiva: c'è un limite, infatti, anche alle urla e al sangue che posso sopportare e, arrivata alla fine di Splatters, mi sono sentita piena e devastata dal mal di testa, come se avessi mangiato tre cene di capodanno. Tra un'allegra belinata e l'altra quello che salta all'occhio è come la sceneggiatura sia un circolo perfetto che consente al protagonista Lionel di diventare finalmente un cavaliere (un po' come accadrà poi a Shaun in Shaun of the Dead), per quanto imbranato, senza macchia e senza paura, in grado di badare a sé stesso e agli altri e di tagliare letteralmente il cordone ombelicale che lo lega a mmadree: la rinascita del protagonista è sconvolgente e per nulla metaforica, vedere per credere! Gli effetti speciali sono ben fatti e, per quel che ne posso capire, uniscono stop motion, pupazzi e make up prostetico in un mix che, in alcune sequenze, risente un po' il peso del tempo (i fasti della WETA sono ancora lontani!) ma che nel complesso centra in pieno l'atmosfera esageratamente goliardica di Splatters che, per inciso, viene reso ancora più frizzante e simpatico dall'utilizzo di tanti bravi caratteristi sui quali spiccano la stronzissima Elizabeth Moody nei panni della madre e il dinoccolato Timothy Balme in quelli di Lionel. Quindi, se con questo caldo volete farvi una spensierata e rinfrescante doccia di sangue, visceri e quant'altro, avete trovato il film giusto!


Del regista e co-sceneggiatore Peter Jackson, che compare anche nei panni dell'assistente becchino, ho già parlato QUI.

La co-sceneggiatrice Fran Walsh fa una piccola comparsata come una delle mamme al parco; l'attrice Elizabeth Moody, che interpreta la madre di Lionel, è invece comparsa anche in Creature del cielo e nella versione estesa de Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello. Di Splatters - Gli schizzacervelli esistono svariate versioni più o meno uncut. Da quello che mi è dato capire, quella che ho io nel DVD italiano dovrebbe essere Braindead (versione inglese uncut) mancante, tuttavia, dell'inizio dove si vedono la bandiera Neozelandese e la Regina Elisabetta che cavalca sulle note di God Save the Queen. Detto questo, se Splatters - Gli schizzacervelli vi fosse piaciuto recuperate anche Shaun of the Dead, Black Sheep, Dellamorte Dellamore, Il giorno della bestia, La casa, La casa 2 e L'armata delle tenebre. ENJOY!


venerdì 25 luglio 2014

Una vita fa, con quei fumetti lì dove tutto è cominciato (e che non è mai finito!)

Qualche settimana fa sono stata contattata da La firma cangiante che mi ha chiesto di dare il mio contributo ad un post nostalgico creato dal blog Prima o poi. L'idea, e qui copio pedissequamente la presentazione de La firma, è "quella di recuperare quei fumetti, non necessariamente i primissimi, che ti han fatto diventare fumetto dipendente ancora oggi, quelli che ti hanno colpito e segnato, quelli che ancora ricordi e che vorresti ancora oggi tenere in mano". Ecco quindi il mio elenco, che sicuramente farà storcere il naso a più di un appassionato ma tant'è! ENJOY!

Le storie a bivi di Topolino
Come quasi tutti i bimbi che oggi hanno una trentina d'anni, il primo approccio col fumetto è arrivato grazie a Topolino, all'epoca coadiuvato da un Maurizio Nichetti in gran spolvero e dalla trasmissione Pista!. Purtroppo non ricordo delle storie specifiche (sicuramente le mie preferite prevedevano la presenza di Paperone o della macchina del tempo di Marlin e Zapotek!) ma quelle che vorrei rileggere a tutti i costi sono quelle cosiddette "a bivi", dove si potevano creare diverse trame e svariati finali!


Il Corriere dei Piccoli/Corrierino
Assieme a Topolino, immancabile in casa Bolla. Ovviamente ero una nerd snob già allora e mi facevano cordialmente SCHIFO i fumetti tratti dagli anime, quelli che aggiungevano i baloons ai fermo immagine, per capirci. Adoravo però i Ronfi, i Cuccioli, la Stefi, Sara dai capelli blu, il Conte Dacula (le storie tratte dai volumi USA, ovviamente, ché quelle disegnate da "artisti" nostrani erano imbarazzanti) e, soprattutto, il fantastico Zap! di Roberto Luciani, che a mio avviso dovrebbe venire ristampato da qualche santa casa editrice in volumetto e diffuso a tutte le nuove generazioni perché era a dir poco geniale.

L'immagine, unica disponibile in rete, l'ho trovata QUI
Il Giornalino
Il Giornalino era un giornale per beghine ma aveva alcuni fumetti che lévati ed è per questo che recuperavo gli arretrati dai miei cugini. Il primo, ovviamente, era Coccobill del grande Jacovitti, spesso accompagnato da Zorry Kid, che mi facevano piegare in due dalle risate. Poi, c'erano Pinky il coniglio rosa e Vita da cani, quest'ultimo scritto nientemeno che da Sclavi. Senza contare il mio amato Lucky Luke, Asterix e altri fumetti vari ed eventuali assai pregevoli (assieme ad illeggibili camurrìe che hanno segnato la mia infanzia come Nicoletta o Mitty. Orrore.)

Alan Ford n.53: Arsenico Lupon, assai galante e molto ladron
Il mio amore per Alan Ford e il gruppo TNT nasce con questa storia, letta durante una vacanza in Trentino assieme ai cugini più grandi. Le matte risate, i personaggi assurdi, il linguaggio aulico di Max Bunker mi hanno conquistata alla prima lettura e, ovviamente, appena ho avuto mezzi e soldini ho recuperato tutte le avventure del gruppo scritte e disegnate dal dinamico duo Magnus e Bunker. Giornalini fragilini che ormai non riesco nemmeno più ad aprire per paura di distruggerli com'è successo con lo storico TNT Gold (rubato a mio cugino!) che conteneva Una trappola per il gruppo TNT, Vuoi venire in crociera con me..? e Salvateci per favore grazie, che ho dai tempi delle superiori e che ormai sta in piedi per miracolo!


Dylan Dog n.27: Ti ho visto morire
Il mio primo Dylan Dog, acquistato durante una vacanza in Val D'Aosta ai tempi delle medie. Ricordo ancora il finale, con quelle maledette forbici conficcate in bocca... "Ghraghreghri..." AARGH!! Ovviamente, è stato amore a prima vista, che era già scoccato sempre grazie al cugino più grande, a cui avevo sicuramente scroccato Gente che scompare, con Hamlin e il maledetto Safarà!


L'epoca d'oro di Flash Gordon n.7
Almeno, spero sia questo il numero. Mi guarda dalla scrivania da almeno un anno, ancora fasciato, non ho il coraggio di aprirlo per paura di avere sbagliato uscita. Rammento infatti, da piccolissima, di essermi persa per mesi nelle per me incomprensibili avventure di questo biondone circondato da donnine, che cercava di fuggire dal pianeta Mongo (?) in sella a dei grifoni. Pur non capendo una mazza della trama adoravo i disegni e avrei dato l'anima per riuscire a disegnare quelle eleganti signore dai tratti finissimi. Sulla copertina di questo albo i grifoni ci sono ma ho davvero paura ad aprirlo, non sopporterei il diludendo.


Wolverine n.52
Sempre ai tempi delle medie passava in TV la serie Insuperabili X-Men. La Bolla si innamora (ovviamente!) di Wolverine e quando vede nell'edicola accanto alla spiaggia un intero albo a lui dedicato lo acquista... rimanendoci di tolla: "Questo non è il Wolverine del cartone animato! Perché c'è solo UNA storia di Wolverine? Chi è tutta sta gente? Non ci capisco una mazza!" Effettivamente, in quell'albo, che raccontava di come Logan si fosse vendicato di Matsu'o Tsurayaba dopo la morte dell'amata Mariko, c'era davvero poco del piattume infantile della serie televisiva e pochissimi X-Men, visto che il resto era occupato dalle a me sconosciute Excalibur ed Alpha Flight. Tuttavia, quella versione "adulta" di Wolverine mi aveva talmente intrippata che ho continuato ad acquistare la serie per anni, innamorandomi ovviamente anche della Excalibur di Alan Davis (Alpha Flight invece era illeggibile. Ugh.)


Execuzione
La fregatura dell'acquistare UNA sola serie mutante è che, prima o poi, arriva l'inevitabile crossover che ti costringerà a comprarle TUTTE. Era successo a me con la saga The Xcutioner's Song (in italiano Execuzione, appunto) che mi aveva letteralmente spalancato le porte del mondo mutante e di albi come la defunta X-Force, X-Men Deluxe e X-Men, costringendomi ad appassionarmi follemente al loro complicatissimo universo, che seguo ancora adesso.


Proteggi la mia Terra
Il mio primo manga "serio", letto ai tempi delle superiori. Non finirò mai di ringraziare Christian, che me lo prestò prima di partire per lo scambio in Danimarca e che poi mi regalò i primi due numeri, perché da allora non ho mai più letto nulla di altrettanto commovente, delicato ed avvincente. Purtroppo il recente seguito La luce della luna, scritto e disegnato sempre da Saki Hiwatari, non è nemmeno lontanamente parente.


Angel Sanctuary
Il capolavoro, per quanto ingenuo e "modaiolo", della mangaka Kaori Yuki, che non ha mai perso un colpo per tutta la durata della serie. Questa cupissima storia di angeli e demoni mi aveva presa talmente tanto da avermi costretta a creare uno schema, mensilmente aggiornato, di tutte le gerarchie celesti. Ogni tanto lo rileggo ed è sempre appassionante.


Nana
No, di Nana non voglio parlare o comincio a piangere e non la smetto più. La più bella opera di Ai Yazawa, incredibilmente umana e dolorosa, fatalmente interrotta proprio sul più bello (o sul più brutto, dipende dai punti di vista). Vivo sperando che la sensei si rimetta e lo concluda, così da poterlo rileggere tutto d'un fiato e tornare ad emozionarmi con Nana e Hachi.


Preacher
Il chiodo fisso durante la mia permanenza in Australia e la dimostrazione di quanto può essere subdolo ed ingiusto il panorama fumettistico italiano, dove le serie più belle possono arrivare in edicola per uno, due numeri in formato economico... e poi interrompersi senza un perché. Costringendo le lettrici in astinenza a riempire uno zaino con sette enormi volumi in lingua inglese più un artbook, come se non avessero già abbastanza roba da portarsi a casa dopo 9 mesi in terra straniera. Jayses!, come direbbe Cassidy!


giovedì 24 luglio 2014

Il WE, Bolla! del diludendo (24/7/2014)

Buon giovedì a tutti! Come i miei amici feisbucchiani sapranno, il multisala savonese è vergognosamente CHIUSO PER FERIE. Non ho parole che non siano bestemmie, quindi eviterò di riportarle qui. Per questo motivo, cambierò l'impostazione della rubrica, segnalando i film che sarei andata a vedere tra quelli usciti ieri e oggi, sperando di recuperarli presto o di trovare qualche anima pia che mi accompagni a vederli a Genova... ENJOY!


Anarchia - La notte del giudizio
In quanto seguito di La notte del giudizio, uno dei film che ho più apprezzato l'anno scorso, la voglia di vederlo c'è. In quanto seguito, per l'appunto, c'è anche il timore che sia una devastante belinata in grado di farmelo rimpiangere amaramente. Certo, meglio guardarlo col timore che non guardarlo affatto, ma tant'è.


2047 - Sights of Death
Con un cast in grado di far sciogliere in lacrime una tarantiniana come me (Rutger Hauer, Daryl Hannah, Danny Glover e Michael Madsen) questo filmaccio post-apocalittico sembrerebbe però anche post-tempo massimo: il regista, infatti, altri non è che quel nostrano Alessandro Capone, già regista di un trashone come Streghe e di robaccia televisiva come Distretto di polizia e I delitti del cuoco. Terribile, pertanto da recuperare assolutamente! Holy crap on a cracker!


mercoledì 23 luglio 2014

We Are What We Are (2010)

Estate, tempo di sagre ben poco vegetariane e grigliate di carnazza! Quindi va benissimo guardare una pellicola "a tema" come We Are What We Are (Somos lo que hay), diretta e sceneggiata nel 2010 dal regista Jorge Michel Grau.


Trama: quando il patriarca muore improvvisamente, una famiglia di cannibali composta da madre e tre figli deve cercare di sopravvivere...


We Are What We Are è un horror atipico che sfrutta la metafora del cannibalismo per raccontare il disfacimento di una famiglia e la lotta della tradizione contro i cambiamenti della società moderna. Pur non mancando di scene splatter o grottesche, comunque centellinate, la pellicola si concentra soprattutto sui rapporti tra i protagonisti e sulle loro inevitabili diversità nonché sul modo di vivere tipico di una comunità inevitabilmente retrograda e patriarcale dove è l'uomo l'unico a procurare alla famiglia cibo, denaro e sostentamento ma è anche, di solito, la principale causa di danni e scissioni: il padre di famiglia muore (in un centro commerciale tra l'altro, ambiente quasi totalmente estraneo al suo nucleo) a causa della sua insana passione per le prostitute e lascia i figli e la moglie in una situazione a dir poco disperata. Senza lavoro e senza idea di cosa, precisamente, si debba fare per mandare avanti la famiglia, il figlio maggiore Alfredo, debole, privo di nerbo e probabilmente diverso in più di un senso, si ritrova a dover gestire una madre e un fratello minore che lo odiano e una sorella che, palesemente, tra tutti sarebbe la più adatta a diventare il "capotribù", se solo non fosse nata donna. Attorno a questa strana famiglia si svolge una vita sociale fatta di violenza, soprusi, solitudine, corruzione (della polizia, che in We Are What We Are fa davvero una figura pessima), prostituzione e sfruttamento minorile, roba che al confronto il cannibalismo è davvero il male minore.


Ed effettivamente, il male minore di cui sopra viene spesso messo da parte in We Are What We Are, che è più dramma familiar-sociale che horror. Durante tutta la pellicola, infatti, viene costantemente nominato "Il Rito" che, si presuppone, sia il periodico sacrificio di un essere umano da mangiare in famiglia, tuttavia questo Rito viene messo in scena solo alla fine e quasi interamente al di fuori delle inquadrature, dopo che il povero Alfredo e la madre hanno fatto carte false per procurarsi la materia prima. Più che quello e l'accellerata finale, sinceramente, in We Are What We Are è da apprezzare la dinamica dei rapporti tra i membri della famiglia e il difficile passaggio dall'adolescenza all'età adulta, soprattutto grazie alla bravura degli attori coinvolti, a me tutti sconosciuti ma perfettamente in grado di incarnare i loro complessi personaggi. Su tutti, spiccano il "fratello maggiore" Francisco Barreiro e l'inquietante "sorella" Miriam Balderas, mentre il fratello minore sarebbe da prendere a ceffoni in quanto tipico stereotipo di galletto sudamericano tutto violenza e niente cervello, una delle tante ingenuità di una sceneggiatura che, per quanto interessante, mette purtroppo tanta carne al fuoco e soffre spesso e volentieri di pesanti cali di ritmo nei momenti che dovrebbero essere più concitati. Considerando, comunque, che la prima parte è molto interessante e che We Are What We Are è un'opera prima girata in un Paese che, ovviamente, fa Cinema in modo assai diverso da quello a cui molti di noi italiani siamo abituati, non posso fare altro che consigliarne la visione!

Jorge Michel Grau è il regista e sceneggiatore della pellicola. Messicano, ha diretto film come The ABCs of Death (episodio I is for Ingrown). Anche produttore, ha tre film in uscita.


Francisco Barreiro, che interpreta Alfredo, dovrebbe partecipare anche all'imminente ABCs of Death 2 il quale, purtroppo, non annovererà Grau tra i 26 registi coinvolti. Di We Are What We Are esiste anche l'omonimo remake del 2013, diretto da Jim Mickle, che tuttavia non ho ancora visto. Nel caso l'originale di Grau vi fosse piaciuto magari provate a recuperarlo... io sicuramente lo farò! ENJOY!

martedì 22 luglio 2014

Il fantasma del palcoscenico (1974)

Sembra che io stia facendo una maratona Brian De Palma ma non è così, giuro... anche se, effettivamente, oggi parlerò de Il fantasma del palcoscenico (Phantom of the Paradise), da lui diretto e sceneggiato nel 1974.


Trama: un compositore viene derubato della musica e dell'amore dal viscido produttore Swan. Sfigurato e ormai folle, giura vendetta contro il suo aguzzino...



Ma che meraviglioso delirio. Non esistono altre parole per descrivere Il fantasma del palcoscenico, un'esperienza visiva e uditiva come raramente se ne vedono al cinema, zeppo di quel fascino e quel kitsch tipici degli anni '70, un trionfo di scenografie e musiche e una delle più belle riletture sia del mito del Faust che del Fantasma dell'Opera, con un pizzico de Il ritratto di Dorian Gray e Il barile di Amontillado a rendere il tutto ancora più delirante. L'avrete capito: mi sono letteralmente (e tardivamente) innamorata del film di De Palma. E pensare che, probabilmente, se non avessi guardato Lupin e la pietra della saggezza col suo villain identico a Swan non mi sarebbe mai venuta la curiosità di recuperare Il fantasma del palcoscenico. Che, per inciso, è  più disturbante di un horror e più divertente di un musical. All'inizio non gli avrei dato due lire, con quegli emuli di Elvis che sculettano su un palcoscenico per poi venire sostituiti da, orrore!, quel William Finley che fino ad oggi associavo solamente a Le notti proibite del Marchese De Sade. Poi, come Swan, sono stata attirata dalla canzone che questo folle, dinoccolato attore canta accompagnato solo da un pianoforte e dalla piega decisamente grottesca che caratterizza tutta la prima parte della pellicola: il protagonista, infatti, viene umiliato in tutti i modi possibili e immaginabili mentre De Palma filma tutte le sue disgrazie come se stesse girando un film comico. E anche se noi spettatori, tra una risata e l'altra, siamo ben consapevoli di stare vivendo in realtà un dramma, il dramma del Fantasma e del Faust, il cambio di registro arriva così subitaneo e inaspettato che l'effetto è a dir poco scioccante. E che Fantasma sfigato che continua ad essere il protagonista, nonostante l'inquietante e futuristico look che lo fa assomigliare a un rapace! La sua Christine (che qui si chiama Phoenix e ci mette davvero poco a perdere l'innocenza!) non subisce affatto il fascino dell'"angelo della musica" bensì quello dell'ambiguo e disgustoso Swan, che è contemporaneamente carnefice e vittima del Fantasma, Faust e Diavolo, ladro di musica nella finzione e vero compositore nominato all'Oscar per le melodie de Il fantasma del palcoscenico.


De Palma canta la morte dell'amore e critica il sistema musicale ormai corrotto con una spietatezza disarmante. La bellezza di una "cantata" viene letteralmente devastata da un'industria che la vuole rock, urlata da villici strepponi con velleità da prima donna, un sistema che non accetta lo sfigato che canta col cuore ma gli preferisce la zoccoletta strafatta di droghe che magari non è capace di cantare ma può offrire il suo bel corpo ai produttori e agli spettatori. Spettatori, per inciso, che dell'artista amano sì la voce, la bellezza, il talento, ma anche la carne (non a caso la "star", novella Carlotta del film versione maschile, si chiama Beef) e il sangue tanto che, persi nel delirio della folla, arrivano a desiderare o accettare con gioia addirittura la morte fisica del loro mito, l'unica cosa che lo consacrerebbe ad imperitura immortalità. In un simile ambiente l'amore soffoca o diventa spettacolo, la vita di una persona vale quanto un soldo bucato e l'unico modo per sopravvivere è fingere o snaturarsi; la tragedia di Winslow, del Fantasma, nasce dal rifiuto di "commercializzarsi", dal giusto e testardo desiderio di aggrapparsi al suo orgoglio di artista e alla purezza dell'amore nutrito per Phoenix e la sua voce, l'unica in grado di cantare degnamente i sentimenti del protagonista, un desiderio che si infrange, inevitabilmente, contro lo strapotere dei soldi e del successo. William Finley manifesta bene questa tragica follia e la goffaggine del suo personaggio, con lo sguardo stralunato e i movimenti scoordinati di chi non sarà mai affascinante o famoso, neanche per sbaglio; dall'altra parte, Paul Williams è viscido, abietto e bruttissimo, un folletto malvagio tirato a lucido che incarna alla perfezione l'assurda piccineria del suo grottesco impero (o del suo Paradiso). Entrambi gli attori sono perfetti, così come perfette sono la delicata bellezza di Jessica Harper, le barocche scenografie (ad allestirle ha collaborato anche la futura Carrie Sissy Spacek, che aveva anche fatto il provino per il ruolo di Phoenix), il tipico split screen di De Palma, il trucco sgargiante, le coreografie, i costumi e le musiche che, se permettete, ora cercherò per poterle ascoltare fino ad averne nausea. Così come, molto probabilmente, riguarderò fino allo sfinimento Il fantasma del palcoscenico, un cult senza tempo che merita subitanea rivalutazione e recupero!!


Del regista e sceneggiatore Brian De Palma ho già parlato qui. William Finley (Winslow/Fantasma) e Jessica Harper (Phoenix) li trovate invece ai rispettivi link.

Paul Williams interpreta Swan. Americano, più famoso come compositore che come attore (sua, per esempio, la sigla di Love Boat o Evergreeen, che ha vinto l'Oscar ed è stata cantata da Barbara Streisand in E' nata una stella), ha partecipato a film come Ecco il film dei Muppet, The Doors, a serie come Love Boat, Fantasilandia, Il mio amico Ricky, Walker Texas Ranger, Beautiful e ha doppiato il Pinguino nelle serie Batman: The Animated Series e Batman - Cavaliere della notte. Anche sceneggiatore, ha 74 anni.


Gerrit Graham interpreta Beef. Americano, ha partecipato a film come Generazione Proteus, Baby Killer III, Scuola di polizia 6: La città è assediata, Balle spaziali 2: La vendetta, La bambola assassina 2, Il mio primo bacio e a serie come Dinasty, Starsky & Hutch, A-Team, Hazzard, Ai confini della realtà, Saranno famosi, Miami Vice, Dallas e Otto sotto un tetto; inoltre, ha doppiato alcuni episodi della serie Gargoyles. Anche sceneggiatore, ha 65 anni.


Un non accreditato Rod Sterling, famoso creatore della serie Ai confini della realtà, è la voce narrante all'inizio della pellicola. Sebbene Brian De Palma avesse scritto il ruolo di Winslow con William Finley in mente, gli studios erano quasi riusciti ad assegnarlo a Paul Williams, con Gerrit Graham nel ruolo di Swan e il melbrooksiano Peter Boyle in quello di Beef; fortunatamente, Boyle non era disponibile e Williams non si sentiva fisicamente adatto per incarnare il Fantasma, quindi tutto è tornato come nei piani originali! Per concludere, se Il fantasma del palcoscenico vi fosse piaciuto recuperate anche Il fantasma dell'opera del 2004, La piccola bottega degli orrori e, ovviamente, The Rocky Horror Picture Show. ENJOY!

lunedì 21 luglio 2014

Il Bollodromo: Angelize di Aislinn

Lo so cosa starete pensando. Che titolo idiota per questa rubrica. Che poi, rubrica. In verità è un po' che mi frulla per la testa l'idea di ritagliare, magari al lunedì (e non tutti, ché mica ho firmato un contratto), uno spazietto per parlare brevemente di cose che non siano il cinema. L'occasione per decidermi si è manifestata in questo libro scritto da Aislinn dal titolo Angelize, che ho comprato qualche mese fa durante la sua presentazione alla Feltrinelli di Savona. Per essere davvero sinceri, non credo di sapere recensire un libro quindi fidatevi, LEGGETELO. Se volete però che sia un po' più specifica, rimanete ancora con me. ENJOY!


Di cosa parla Angelize?
Come si evince dal titolo parla di Angeli o, meglio, di ibridi. Nel mondo di Aislinn, alcuni angeli puri hanno trovato il modo di reincarnarsi ed ottenere vita, sangue ed emozioni causando la morte degli esseri umani e costringendoli così a prendere il loro posto nelle schiere celesti. Solo che alcuni di questi umani "angelizzati", appunto, sono riusciti a riavere i propri corpi e tornare in vita (non vi dirò mai come) con tutte le conseguenze del caso.

Perché mi è piaciuto Angelize?
Perché è semplice ed avvincente. La storia scorre veloce ed incalzante pagina dopo pagina; finisce un capitolo e quello successivo inizia raccontando quello che è successo poco prima ad un altro personaggio, cosa che mi ha spinta letteralmente a divorare le parole scritte pensando continuamente "e adesso? e adesso che succede??" (stesse domande che mi sono posta alla fine, come ho detto all'autrice: per me Angelize avrebbe dovuto durare altre 300 pagine da tanto mi ha presa la storia!) Altro punto a favore, neanche a dirlo, sono i protagonisti. Dimenticate gli angeli iperfighi o gli aggettivi iperbolici alla Stephanie Meyers perché Rafael, Haniel ed Hesediel sono tre normalissime persone con pochi pregi e tanti difetti, non belli né maledetti, solo esseri umani che cercano di rifarsi una vita e approfittare della seconda occasione che è stata loro concessa. E non sarà facile per loro, ovviamente. Non tanto per tutte le implicazioni sovrannaturali della questione ma proprio perché abitudini, traumi, pregiudizi e naturali paure sono degli ostacoli enormi che spesso annullano il desiderio di cambiare anche quando le occasioni sono propizie. Proprio come nella vita vera, eh? Poi, certo, se ci mettono lo zampino degli odiosi Angeli e Lucifero, quel Lucifero che compare per pochissimo ma riesce a portarsi via un pezzo del cuore sanguinante del lettore, l'impresa si fa ancora più difficile.

E quindi?
E quindi Angelize è un libro da acquistare assolutamente e non solo perché Aislinn è italiana (il romanzo è ambientato a Milano), simpaticissima e l'amore per le sue creature traspare in ogni pagina ma anche perché nello sterminato universo della narrativa mondiale "di genere" è sempre più raro trovare un libro in grado di lasciare soddisfatti dall'inizio alla fine. E quest'autunno esce la seconda parte... vorrete mica arrivare impreparati all'appuntamento con gli Angeli?






domenica 20 luglio 2014

The Untouchables - Gli intoccabili (1987)

In questi giorni ho deciso di recuperare un classico, ovvero The Untouchables - Gli intoccabili (The Untouchables), diretto nel 1987 dal regista Brian De Palma, liberamente tratto dalla serie anni '50 Gli intoccabili, a sua volta basata sulla figura realmente esistita dell'agente Eliot Ness e della sua squadra del Dipartimento Proibizionismo di Chicago.


Trama: per contrastare lo strapotere di Al Capone e il contrabbando di alcoolici, l'agente Eliot Ness mette in piedi un quartetto di poliziotti al di sopra della legge, i cosiddetti "Intoccabili".



The Untouchables è uno di quei film che hanno passato in TV innumerevoli volte e che, ciò nonostante, non ero mai riuscita a guardare per intero, forse perché da ragazzina avevo idea che fosse troppo lungo e noioso. E' un vero peccato e me ne sono amaramente pentita visto che non mi capitava da tempo di vedere un film così ben fatto, dove la mano del regista risaltasse così tanto da eclissare qualsiasi altro elemento (persino due grandi nomi come Ennio Morricone Giorgio Armani), sceneggiatura e attori compresi. Eppure, è proprio così: la mano felice di De Palma riesce a trasformare un “semplice” gangster movie tratto da una serie televisiva di successo in un collage di sequenze emblematiche dove la tensione, fin dall'inizio, si taglia col coltello e rapisce lo spettatore lasciandolo col fiato sospeso a chiedersi cosa diamine accadrà dopo. Dalla prima, deflagrante scena che da il via alla lotta di Eliot Ness contro Al Capone, passando per l'inquietante soggettiva che segue Malone all'interno dell'appartamento, fino ad arrivare al tesissimo confronto finale in stazione (parodiato ovviamente in Una pallottola spuntata 33 1/3 - L'insulto finale), quando il tempo sembra non passare mai, tutti potrebbero essere i nemici e l'omaggio alla Corazzata Potemkin diventa un mirabile esempio di come bisognerebbe citare i grandi capolavori contestualizzandoli, tutte le sequenze sono un trionfo di tecnica registica e montaggio, all'interno delle quali ogni dialogo sarebbe inutile e ridondante. L'intera pellicola gravita attorno a questi momenti clou, a scene costruite senza lasciare nulla  al caso e, ovviamente, a momenti di incertezza assoluta ed improvvisa violenza che rendono The Untouchables ancora più avvincente.


Nonostante quello che ho detto all'inizio del post, comunque, sarebbe un delitto non citare quegli attori che incarnano dei protagonisti magari un po' stereotipati ma comunque impossibili da non amare. Kevin Costner, che non mi ha mai fatta impazzire senza una calzamaglia addosso, è un perfetto Eliot Ness, integerrimo poliziotto preso tra la sua salda intenzione di rispettare la legge e il suo bruciante desiderio di punire Al Capone per almeno uno dei suoi crimini; a fargli da degna spalla, rubandogli spesso la scena, c'è uno Sean Connery mattatore in un ruolo che sembra scritto apposta per lui e per il quale ha giustamente vinto l'Oscar come miglior attore non protagonista (anche se io quella “eSSCe” in lingua originale non la riesco a sentire, mi sembra di vedere un cartone animato di Svicolone!) e, soprattutto, Charles Martin Smith, che col suo personaggio di contabile trasformato in Untouchable riesce con pochissime battute ad entrare nelle simpatie dello spettatore. Robert De Niro col suo “sei solo chiacchiere e distintivo” e per il modo originale di giocare a baseball durante una cena è diventato a dir poco iconico ma, se devo essere sincera, il cattivo che mi ha veramente colpita è stato il terribile gangster con la faccia di Billy Drago, freddo, sanguinario e a dir poco inquietante, un babau che potrebbe comparirti alle spalle quando meno te l'aspetti! L'unica cosa che forse non ho molto apprezzato di The Untouchables, stranamente, sono le musiche di Ennio Morricone: a tratti le ho trovate inadatte all'atmosfera della pellicola, altre volte troppo “stereotipate” oppure inopportunamente allegre. Ciò è davvero strano perché adoro Morricone ma, sicuramente, si tratta solo di una percezione soggettiva che non mi impedisce di definire The Untouchables uno dei cult da vedere almeno una volta nella vita... anzi, anche più di una!


Del regista Brian De Palma ho già parlato qui. Sean Connery (Jim Malone), Andy Garcia (Agente George Stone/Giuseppe Petri), Robert De Niro (Al Capone) e Patricia Clarkson (Catherine Ness) li trovate invece ai rispettivi link.

Kevin Costner (vero nome Kevin Michael Costner) interpreta Eliot Ness. Sex symbol degli anni '80-'90, caduto in disgrazia fino a diventare testimonial del tonno Rio Mare, lo ricordo per film come Fandango, Silverado, L'uomo dei sogni, Balla coi lupi (che gli ha fatto vincere l'Oscar come regista e come miglior attore protagonista), JFK - Un caso ancora aperto, Robin Hood - Principe dei ladri, Guardia del corpo, Un mondo perfetto, Waterworld, L'uomo del giorno dopo e L'uomo d'acciaio. Anche produttore e regista, ha 59 anni e tre film in uscita.


Charles Martin Smith interpreta l'agente Oscar Wallace. Americano, ha partecipato a film come American Graffiti, American Graffiti 2, Herbie sbarca in Messico, Starman, Deep Impact e a serie come Ai confini della realtà, Oltre i limiti, X-Files, Ally McBeal e Kingdom Hospital. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 59 anni.


Billy Drago (vero nome Billy Eugene Burrows) interpreta Frank Nitti. Americano, ha partecipato a film come Tremors 4 - Agli inizi della leggenda, Le colline hanno gli occhi, Children of the Corn: Genesis e a serie come Moonlightning, Hunter, Walker Texas Ranger, Nash Bridges, X-Files, Streghe, Masters of Horror e Supernatural. Anche produttore e sceneggiatore, ha 69 anni e tre film in uscita.


In caso De Niro avesse rifiutato il ruolo di Al Capone, De Palma aveva già pronto Bob Hoskins come eventuale sostituto; la conferma di De Niro ha consentito a Hoskins di ricevere comunque, grazie ad una clausola del suo contratto, 200.000 dollari solo per il "disturbo". Mickey Rourke, Jack Nicholson ed Harrison Ford hanno invece direttamente rifiutato il ruolo di Eliott Ness (per il quale, tra l'altro, Giorgio Armani avrebbe voluto Don Johnson) mentre Andy Garcia era stato chiamato per quello di Frank Nitti. Per quanto riguarda le scene eliminate, il confronto finale tra Ness, Stone e gli scagnozzi di Capone nella stazione avrebbe dovuto svolgersi su un treno ma la Paramount riteneva che sarebbe diventata una scena troppo costosa; De Palma non si è perso d'animo e ha riciclato il progetto per la sequenza nel successivo Carlito's Way. E a proposito di progetti: da anni si vocifera che Brian De Palma abbia in progetto un prequel dal titolo The Untouchables: Capone Rising ma, al momento, non si hanno notizie in merito e forse è meglio così. Nel frattempo, se The Untouchables vi fosse piaciuto, vi consiglio di recuperare Era mio padre, Carlito's Way, Scarface, Quei bravi ragazzi, Donnie Brasco e Heat - La sfida. ENJOY!