Ci ho messo un po' ma alla fine anche io sono riuscita ad andare a vedere il controverso La cura dal benessere (A Cure for Wellness), diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Gore Verbinski.
Trama: un giovane affarista americano viene mandato in Svizzera per recuperare l'amministratore delegato della ditta per cui lavora, recatosi in una sorta di centro benessere e mai più tornato in patria. Dopo un incidente, il ragazzo è costretto a rimanere nel centro e comincia a testimoniare avvenimenti inquietanti...
La cura dal benessere è un film bellissimo. No, davvero, non scherzo, anche se so che lo stanno massacrando tutti. Dal punto di vista della regia, della scenografia, del montaggio e della fotografia (la stessa, "acquatica", di The Ring) è davvero un balsamo per gli occhi. Non c'è un solo fotogramma che non possa venire utilizzato per una lezione di cinema, tanta è la ricerca della perfezione di Verbinski, che non spreca neppure un movimento di macchina e rifugge sdegnato la sciatteria e l'approssimazione tipica dei blockbuster americani. Dalla sequenza iniziale, con quel treno che si riflette sulla sua stessa superficie creando un'effetto straniante e vertiginoso, all'incubo all'interno della camera di privazione sensoriale, dalla comparsa di Hannah, che cattura lo sguardo di Lockhart e ricompare ad ogni curva del sentiero, alla panoramica dei corpi sospesi, dall'incubo mortale della madre alle allucinazioni del protagonista: in La cura dal benessere tutto è realizzato per compiacere l'occhio dello spettatore, per "curarlo", quasi, dalla bruttura di buona parte del cinema di genere americano (qualcuno ha detto found footage?), e non c'è un solo fotogramma che non mi sia piaciuto, persino durante il finale tanto criticato da tutti, un trionfo di barocchismi che corteggia allegramente il kitsch e che col resto del film sta come i cavoli a merenda, neanche fosse la versione in acido de Il fantasma dell'opera. Cito una pellicola a caso, visto che in quel momento una voce nella mia testa si è messa a strillare "The Phaaaantomoftheoperaisheeeeeere, inside mymiiiiind!!!", ma fondamentalmente la bellezza visiva di La cura dal benessere spalanca al cinefilo mediamente esperto un mondo di ricordi ed omaggi. I richiami allo Shutter Island di Scorsese sono continui e quasi sfacciati ma Verbinski si permette di saccheggiare persino il Sorrentino di Youth - La giovinezza, il Kubrick di Arancia Meccanica, il Del Toro di Crimson Peak, atmosfere alla Suspiria (e forse non è un caso vista la presenza di Mia Goth) e persino echi di Mario Bava e Lucio Fulci, giusto per non farsi mancare nulla. Sarebbe semplice criticare il regista per quelle che potrebbero risultare mere scopiazzature, ma la verità è che lo stile de La cura dal benessere riesce a fondere tutti questi elementi e a crearne uno nuovo, perfetto proprio per questo tipo di film e per la storia che vuole raccontare... il problema di questa pellicola, però, è proprio la trama in sé, talmente zeppa di buchi che ad un certo punto ho sentito odore di groviera.
Qui comincia l'inevitabile stroncatura de La cura dal benessere, ahimé. Al quale non riesco comunque a voler male sia per un paio di scene capaci di far impallidire le torture più efferate di Hostel (diciamo che quando hanno cominciato a volare denti e anguille ho smesso di guardare lo schermo) sia per la capacità di tenere desta l'attenzione dello spettatore durante la prima metà del film, non fosse che ad un certo punto ho capito l'arcano alla base della trama e allo stesso tempo il tutto ha smesso di avere senso. Per citare uno dei cinque/sei articoli americani che ho scorso tentando di trovare delle spiegazioni logiche, La cura dal benessere "tratta gli spettatori come imbecilli" ed è assolutamente vero. HIC SUNT SPOILER, quindi non leggete e saltate oltre il pezzo bianGo. Il "mistero" di Hannah e Volmer, soprattutto quello di lei, è facilmente intuibile dal momento in cui la vecchia appassionata di storia racconta a Lockhart dei vecchi proprietari della struttura. Verbinski e company si impegnano a disseminare indizi, ribadendoli anche più volte tra fotografie antiche, parassitelli che nuotano nell'ottima acqua del centro benessere, ciondoli, sciacquoni che titillano, ragazzine speciali, cruciverba, maschere di carne, laboratori nascosti... eppure, con tutto questo, Lockhart non capisce un Pazzo. Niente. Imbecille fino alla fine, con tutti i campanelli d'allarme che avrebbero dovuto farlo salire sul primo treno e portar via le suole da lì il giorno stesso in cui è arrivato. Se il mistero "base" viene svelato, non si capisce però perché diamine ad un certo punto i degenti siano costretti ad inghiottire anguille e, soprattutto, perché non si ricordino della cosa una volta usciti dalla terrificante "camera del prelievo". Cioé, io capisco che l'acqua porta gli ospiti della struttura a stare male e conseguentemente a rimanere nel centro benessere per curarsi ma COSA sfruttano Volmer e soci per far loro il lavaggio del cervello e renderli degli zombi decerebrati? Soprattutto, una volta infilata nel corpo del malcapitato una bulaccata di anguille, queste ultime che fine fanno? Vengono espulse goccia a goccia assieme ai fluidi vitali del paziente grazie sempre agli abominevoli macchinari per poi venire raccolte in forma liquida all'interno delle boccette azzurre che sanno, non a caso, di pesce e sudore? Ma soprattutto, perché nel 2017 gli abitanti di un paesino Svizzero, peraltro servito da treni e brulicante turisti, dovrebbero ancora vivere nel terrore di un duecentenario sfigurato quando basterebbe imitare i contadini dell'800 e dare fuoco (di nuovo) a lui e alla sua struttura o, mal che vada, spifferare tutto allo sprovveduto turista di turno? Vista la miseria in cui vivono i quattro gatti del paese non credo Volmer gli passi dei soldi... FINE SPOILER Peccato per quest'abbondanza di buchi logici e per il fatto che vengano spalmati in una durata che risulta in questo modo infinita, perché come ho detto il film è visivamente bellissimo e Dane DeHaan, con la sua faccetta naturalmente odiosa, è un perfetto protagonista, più che altro la perfetta incarnazione dell'uomo d'affari moderno, uno al quale servirebbe davvero una bella cura per non crepare d'infarto anzitempo. E poi, Jason Isaacs è sempre un bell'uomo anche quando non indossa la parrucca bionda, quindi i miei soldi non sono stati spesi invano.
Del regista e co-sceneggiatore Gore Verbinski ho già parlato QUI. Dane DeHaan (Lockhart), Jason Isaacs (Volmer) e Carl Lumbly (Wilson) li trovate invece ai rispettivi link.
Mia Goth interpreta Hannah. Inglese, ha partecipato a film come Nymphomaniac - Volume 2 ed Everest. Ha 24 anni e tre film in uscita, tra cui il remake di Suspiria.
Non l'ho mai visto ma ho letto che La cura dal benessere ha parecchi punti in comune con Gli orrori del castello di Norimberga quindi provate a recuperarlo (io lo farò) e, se il film di Verbinski vi fosse piaciuto, aggiungete The Wicker Man e Rosemary's Baby. ENJOY!
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venerdì 31 marzo 2017
giovedì 30 marzo 2017
(Gio) WE, Bolla! del 30/03/2017
Buon giovedì a tutti! L'uscita della settimana è senza dubbio Ghost in the Shell, il resto va dalla fuffa all'imbarazzante, almeno a Savona... ENJOY!
La verità, vi spiego, sull'amore
Classe Z
Il permesso - 48 ore fuori
Ghost in the Shell
Al cinema d'élite continuano a ridare Elle quindi andatelo a vedere se ancora non lo avete fatto!
La verità, vi spiego, sull'amore
Reazione a caldo: Anche no, grazie.
Bolla, rifletti!: Basterebbe anche solo la locandina che mostra Ambra Angiolini con in bocca un ciuccio ma aggiungo che ormai le pseudo-commedie "drammatiche" a base di donne frustrate e bambini hanno rotto le palle.Classe Z
Reazione a caldo: Giusto, perché sotto la Z non c'è nulla...
Bolla, rifletti!: Mix tra L'attimo fuggente e Assassination Classroom ma senza un Korosensei da uccidere. Cito da MyMovies: "Un film che reinventa l'universo scolastico italiano attingendo alle sitcom televisive e alle commedie cinematografiche americane." Uccidetemi ora, vi prego.Il permesso - 48 ore fuori
Reazione a caldo: MioDDio...
Bolla, rifletti!: Amendola a fare il carcerato ci sta, sarebbe l'unico motivo valido per andare a vedere questo film. Il resto... Gesù. Gianduiotto Argentero che imita Brad Pitt in Fight Club, gli altri due protagonisti con una dizione che mi ha fatto venire voglia di tagliarmi le vene a metà trailer ("PuzzoHdiGGaleraH"). Brrrrividi.Ghost in the Shell
Reazione a caldo: Grazie, Signore grazie, graaazieee!!!
Bolla, rifletti!: Almeno UN film valido. UNO. Probabilmente gli sceneggiatori avranno semplificato tantissimo la trama di questo cult dell'animazione nipponica trasposto in live action ma chissene, sembra abbastanza figo da meritare una visione!Al cinema d'élite continuano a ridare Elle quindi andatelo a vedere se ancora non lo avete fatto!
mercoledì 29 marzo 2017
Life - Non oltrepassare il limite (2017)
Inaspettatamente, sono riuscita a convincere il Bolluomo e domenica sono andata a vedere Life - Non oltrepassare il limite (Life), diretto nel 2017 dal regista Daniel Espinosa.
Trama: degli scienziati all'interno della Stazione Spaziale Internazionale recuperano dei campioni da Marte e scoprono che, all'interno di essi, c'è un organismo vivente. L'entusiasmo spinge loro e la gente sulla Terra a battezzare l'organismo Calvin ma presto la creatura tanto amata si rivela un essere pericolosissimo...
Credevo che un film come Life avrebbe terrorizzato il Bolluomo, invece quella che per buona parte della pellicola s'è coperta gli occhi sono stata io. Intendiamoci, Life non fa paura, non nel senso canonico di un horror, però se, come a me, l'idea di una navicella spaziale con tutti gli annessi e connessi ("nello spazio nessuno può sentirti urlare" ma non puoi nemmeno respirare, scappare, toglierti le tute, dare fuoco alla creatura, spararti un colpo in testa per fuggire alla camurrìa, ecc. ecc.) vi causa l'occlusione temporanea delle vie respiratorie, allora troverete pane per i vostri denti. Fermo restando, ovviamente, che alla fine del primo tempo mi sono girata verso Mirco e gli ho predetto per filo e per segno non solo lo sviluppo della trama ma anche il finale, con tanto di totogol azzeccato di chi sarebbe sopravvissuto o meno e persino dell'ordine in cui gli scienziati avrebbero incontrato il loro destino. Life, in soldoni, è un emulo di Alien che si porta dietro la solita morale affermata in calce dal titolo italiano, ovvero "la scienza è bella e buona quanto volete ma senza esagerare", nella fattispecie "se una cosa ti sembra morta non stare tanto lì a menartela e lasciala morta, ci sarà un motivo"; andando più in profondità, la pellicola cerca, a mio avviso senza successo, di offrire un punto di vista alternativo relativamente alla percezione del comportamento del parassita alieno, proponendolo non come malvagio ma semplicemente come intenzionato a sopravvivere ad ogni costo. Da qui la lotta tra scienziati e alieno, un reciproco "tentativo di sopravvivenza", con l'aggravante dell'impedire a tutti i costi che la vita, quella sulla Terra, venga messa in pericolo da un eventuale ingresso della creatura nell'atmosfera terrestre e quindi sul pianeta. A differenza di altri film, gli scienziati diventano quindi pedine sacrificabili per un bene maggiore, ché va bene festeggiare (con tanto di interviste ai bambini terrestri, che carini!) per l'arrivo di Calvin, alieno tenerino monocellulare, ma quando quest'ultimo diventa una sorta di bestiaccia tentacoluta i nostri eroi possono anche rimanersene lassù, grazie e arrivederci, per lo spazio profondo basta girare a destra.
Tornando un attimo più seri, il reale difetto di Life è che sembra girato e scritto da due team differenti, il che è strano perché effettivamente gli sceneggiatori sono due (gli stessi, peraltro, che hanno scritto Deadpool e Benvenuti a Zombieland, da loro mi sarei aspettata un po' più di umorismo e originalità) ma il regista è uno. L'inizio è davvero bellissimo, soprattutto perché Daniel Espinosa riesce a realizzare delle sequenze spaziali realmente mozzafiato, con panoramiche della Terra, corpi fluttuanti all'esterno, addirittura un'introduzione dove il cielo trapunto di stelle sembra in realtà un abisso nero brulicante di orridi insetti luminosi, o almeno questa è l'impressione che mi ha dato; arditi giri di macchina da presa danno allo spettatore l'idea di trovarsi all'interno della Stazione Spaziale, a gravitare senza peso assieme ai protagonisti, mentre le prime due morti sono un trionfo di sapiente regia, montaggio serrato e scrittura furba, con la tensione che si taglia letteralmente col coltello. Nella seconda parte del film pare invece che tutti abbiano messo il pilota automatico e si siano limitati ad omaggiare Alien nel modo più incolore possibile e, quel che è peggio, almeno una sequenza è stata scritta e realizzata in maniera talmente confusa che né io né Mirco siamo riusciti a capire cosa diamine stesse accadendo (SPOILER: nello specifico, quando arriva il modulo da Terra e il giapponese ci si infila sperando di trovare aiuto, solo per finire nelle grinfie del polpo Calvin. Tra le urla, il casino e la fotografia virata in rosso non ho mica capito se il polpo s'è mangiato l'equipaggio di terra, se l'equipaggio non è mai esistito e me lo sono immaginato io oppure se è successo tutt'altro. Mah.). Quando dico tutti, ovviamente, intendo anche gli attori, con Jake Gyllenhaal che normalmente adoro messo lì a fare bene non si sa cosa, se il dottore, il pilota o il misantropo, vittima di una fissità facciale che avrei attribuito giusto a Ryan Reynolds, non a lui. A momenti è più espressivo l'alieno Calvin, con la sua faccetta da cobra/polpo, il che è tutto dire. In sintesi, credo che Life sia un po' l'esempio di come si possano sprecare una storia, un regista e un cast con moltissimo potenziale e probabilmente è una pellicola che può piacere giusto ai neofiti o a chi cerca un "horror"/sci-fi blando, così da poter dormire serenamente la notte. Aspettando Alien Covenant può anche andar bene!
Di Hiroyuki Sanada (Sho Murakami), Ryan Reynolds (Rory Adams), Rebecca Ferguson (Miranda North) e Jake Gyllenhaal (David Jordan) ho parlato ai rispettivi link.
Daniel Espinosa è il regista della pellicola. Svedese, ha diretto film come Safe House - Nessuno è al sicuro e Child 44 - Il bambino n.44. Anche produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e due film in uscita.
Ryan Reynolds avrebbe voluto interpretare David Jordan ma ha dovuto ripiegare su un ruolo di comprimario perché già impegnato nelle riprese di The Hitman's Bodyguard, film che dovrebbe uscire ad agosto negli States. Detto questo, se Life vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Alien e aggiungete Leviathan. ENJOY!
Trama: degli scienziati all'interno della Stazione Spaziale Internazionale recuperano dei campioni da Marte e scoprono che, all'interno di essi, c'è un organismo vivente. L'entusiasmo spinge loro e la gente sulla Terra a battezzare l'organismo Calvin ma presto la creatura tanto amata si rivela un essere pericolosissimo...
Credevo che un film come Life avrebbe terrorizzato il Bolluomo, invece quella che per buona parte della pellicola s'è coperta gli occhi sono stata io. Intendiamoci, Life non fa paura, non nel senso canonico di un horror, però se, come a me, l'idea di una navicella spaziale con tutti gli annessi e connessi ("nello spazio nessuno può sentirti urlare" ma non puoi nemmeno respirare, scappare, toglierti le tute, dare fuoco alla creatura, spararti un colpo in testa per fuggire alla camurrìa, ecc. ecc.) vi causa l'occlusione temporanea delle vie respiratorie, allora troverete pane per i vostri denti. Fermo restando, ovviamente, che alla fine del primo tempo mi sono girata verso Mirco e gli ho predetto per filo e per segno non solo lo sviluppo della trama ma anche il finale, con tanto di totogol azzeccato di chi sarebbe sopravvissuto o meno e persino dell'ordine in cui gli scienziati avrebbero incontrato il loro destino. Life, in soldoni, è un emulo di Alien che si porta dietro la solita morale affermata in calce dal titolo italiano, ovvero "la scienza è bella e buona quanto volete ma senza esagerare", nella fattispecie "se una cosa ti sembra morta non stare tanto lì a menartela e lasciala morta, ci sarà un motivo"; andando più in profondità, la pellicola cerca, a mio avviso senza successo, di offrire un punto di vista alternativo relativamente alla percezione del comportamento del parassita alieno, proponendolo non come malvagio ma semplicemente come intenzionato a sopravvivere ad ogni costo. Da qui la lotta tra scienziati e alieno, un reciproco "tentativo di sopravvivenza", con l'aggravante dell'impedire a tutti i costi che la vita, quella sulla Terra, venga messa in pericolo da un eventuale ingresso della creatura nell'atmosfera terrestre e quindi sul pianeta. A differenza di altri film, gli scienziati diventano quindi pedine sacrificabili per un bene maggiore, ché va bene festeggiare (con tanto di interviste ai bambini terrestri, che carini!) per l'arrivo di Calvin, alieno tenerino monocellulare, ma quando quest'ultimo diventa una sorta di bestiaccia tentacoluta i nostri eroi possono anche rimanersene lassù, grazie e arrivederci, per lo spazio profondo basta girare a destra.
Tornando un attimo più seri, il reale difetto di Life è che sembra girato e scritto da due team differenti, il che è strano perché effettivamente gli sceneggiatori sono due (gli stessi, peraltro, che hanno scritto Deadpool e Benvenuti a Zombieland, da loro mi sarei aspettata un po' più di umorismo e originalità) ma il regista è uno. L'inizio è davvero bellissimo, soprattutto perché Daniel Espinosa riesce a realizzare delle sequenze spaziali realmente mozzafiato, con panoramiche della Terra, corpi fluttuanti all'esterno, addirittura un'introduzione dove il cielo trapunto di stelle sembra in realtà un abisso nero brulicante di orridi insetti luminosi, o almeno questa è l'impressione che mi ha dato; arditi giri di macchina da presa danno allo spettatore l'idea di trovarsi all'interno della Stazione Spaziale, a gravitare senza peso assieme ai protagonisti, mentre le prime due morti sono un trionfo di sapiente regia, montaggio serrato e scrittura furba, con la tensione che si taglia letteralmente col coltello. Nella seconda parte del film pare invece che tutti abbiano messo il pilota automatico e si siano limitati ad omaggiare Alien nel modo più incolore possibile e, quel che è peggio, almeno una sequenza è stata scritta e realizzata in maniera talmente confusa che né io né Mirco siamo riusciti a capire cosa diamine stesse accadendo (SPOILER: nello specifico, quando arriva il modulo da Terra e il giapponese ci si infila sperando di trovare aiuto, solo per finire nelle grinfie del polpo Calvin. Tra le urla, il casino e la fotografia virata in rosso non ho mica capito se il polpo s'è mangiato l'equipaggio di terra, se l'equipaggio non è mai esistito e me lo sono immaginato io oppure se è successo tutt'altro. Mah.). Quando dico tutti, ovviamente, intendo anche gli attori, con Jake Gyllenhaal che normalmente adoro messo lì a fare bene non si sa cosa, se il dottore, il pilota o il misantropo, vittima di una fissità facciale che avrei attribuito giusto a Ryan Reynolds, non a lui. A momenti è più espressivo l'alieno Calvin, con la sua faccetta da cobra/polpo, il che è tutto dire. In sintesi, credo che Life sia un po' l'esempio di come si possano sprecare una storia, un regista e un cast con moltissimo potenziale e probabilmente è una pellicola che può piacere giusto ai neofiti o a chi cerca un "horror"/sci-fi blando, così da poter dormire serenamente la notte. Aspettando Alien Covenant può anche andar bene!
Di Hiroyuki Sanada (Sho Murakami), Ryan Reynolds (Rory Adams), Rebecca Ferguson (Miranda North) e Jake Gyllenhaal (David Jordan) ho parlato ai rispettivi link.
Daniel Espinosa è il regista della pellicola. Svedese, ha diretto film come Safe House - Nessuno è al sicuro e Child 44 - Il bambino n.44. Anche produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e due film in uscita.
Ryan Reynolds avrebbe voluto interpretare David Jordan ma ha dovuto ripiegare su un ruolo di comprimario perché già impegnato nelle riprese di The Hitman's Bodyguard, film che dovrebbe uscire ad agosto negli States. Detto questo, se Life vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Alien e aggiungete Leviathan. ENJOY!
martedì 28 marzo 2017
La tartaruga rossa (2016)
Esce oggi in tutta Italia e in poche sale per i soliti, maledetti tre giorni, La tartaruga rossa (La Tortue Rouge), diretto e co-sceneggiato nel 2016 dal regista Michael Dudok de Wit e co-prodotto dallo Studio Ghibli.
Trama: naufragato su un isola deserta, un uomo cerca di riprendere il mare a bordo di una zattera ma viene ostacolato da un'enorme tartaruga rossa e puntualmente ricacciato a riva.
Un lungometraggio delizioso e commovente come La tartaruga rossa merita di essere visto a cuor leggero, con lo spettatore pronto a gustarsi questo racconto per immagini senza sapere troppo della trama o senza che qualcuno ci abbia ricamato sopra, quindi il mio post sarà brevissimo. La tartaruga rossa è una favola e, come tale, veicola dei valori universali ai quali chiunque potrà dare il peso che riterrà opportuno; sicuramente, per alcuni il film di Michael Dudok de Wit sarà una cretinata della peggior specie dove "non succede nulla" o con una storia troppo semplice, per altri diventerà probabilmente un capolavoro senza tempo, una pellicola da custodire nel cuore e mostrare ai propri bimbi. Personalmente, sono stata rapita dalla delicatezza con la quale è stato portato sullo schermo il ciclo della vita con tutti i suoi alti e bassi e le sue brutture, necessario contrappasso di tanti momenti meravigliosi e felici; ho amato i colori naturali utilizzati nel lungometraggio, capaci di fondersi l'uno con l'altro come se i realizzatori dei fondali avessero dovuto realizzare dei quadri piuttosto che un prodotto cinematografico; mi è piaciuto il mix di stile franco-belga (il personaggio principale ha gli occhi a spillo come Tin Tin) e giapponese (la tartaruga sembra uscita da un ukiyo-e e i granchiolini mi hanno ricordato tantissimo i makkuro kurosuke de Il mio vicino Totoro), in grado di rendere le sequenze fantasiose, poetiche e realistiche allo stesso tempo, con i protagonisti talmente espressivi che non sono serviti dialoghi per trasmettere le loro emozioni allo spettatore (sì, sono particolarmente esagerata ma quando il naufrago si vergogna di avere picchiato la tartaruga ho pianto tantissimo. E il finale, vabbé, mi ha devastata). In contrasto con un concetto di animazione che predilige sempre più la computer graphic e i prodotti di rapido consumo atti a fruttare miliardi in marketing e gadget, La tartaruga rossa è un coraggioso esempio di Cinema elevato davvero a forma d'arte, qualcosa che parla al pubblico attraverso un linguaggio universale fatto di immagini in movimento, colori, suoni naturali e musica di cui tutti possono godere, a qualsiasi latitudine, e anche solo per questo meriterebbe di essere distribuito per ben più di tre miseri giorni. Voi cercate di non farvelo scappare, mi raccomando.
Michael Dudok de Wit è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Olandese, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto corti animati quali The Monk and the Fish e Father and Daughter (vincitore dell'Oscar come miglior corto animato). Anche animatore, ha 64 anni.
Se La tartaruga rossa vi fosse piaciuto recuperate La canzone del mare e Ponyo sulla scogliera. ENJOY!
Trama: naufragato su un isola deserta, un uomo cerca di riprendere il mare a bordo di una zattera ma viene ostacolato da un'enorme tartaruga rossa e puntualmente ricacciato a riva.
Un lungometraggio delizioso e commovente come La tartaruga rossa merita di essere visto a cuor leggero, con lo spettatore pronto a gustarsi questo racconto per immagini senza sapere troppo della trama o senza che qualcuno ci abbia ricamato sopra, quindi il mio post sarà brevissimo. La tartaruga rossa è una favola e, come tale, veicola dei valori universali ai quali chiunque potrà dare il peso che riterrà opportuno; sicuramente, per alcuni il film di Michael Dudok de Wit sarà una cretinata della peggior specie dove "non succede nulla" o con una storia troppo semplice, per altri diventerà probabilmente un capolavoro senza tempo, una pellicola da custodire nel cuore e mostrare ai propri bimbi. Personalmente, sono stata rapita dalla delicatezza con la quale è stato portato sullo schermo il ciclo della vita con tutti i suoi alti e bassi e le sue brutture, necessario contrappasso di tanti momenti meravigliosi e felici; ho amato i colori naturali utilizzati nel lungometraggio, capaci di fondersi l'uno con l'altro come se i realizzatori dei fondali avessero dovuto realizzare dei quadri piuttosto che un prodotto cinematografico; mi è piaciuto il mix di stile franco-belga (il personaggio principale ha gli occhi a spillo come Tin Tin) e giapponese (la tartaruga sembra uscita da un ukiyo-e e i granchiolini mi hanno ricordato tantissimo i makkuro kurosuke de Il mio vicino Totoro), in grado di rendere le sequenze fantasiose, poetiche e realistiche allo stesso tempo, con i protagonisti talmente espressivi che non sono serviti dialoghi per trasmettere le loro emozioni allo spettatore (sì, sono particolarmente esagerata ma quando il naufrago si vergogna di avere picchiato la tartaruga ho pianto tantissimo. E il finale, vabbé, mi ha devastata). In contrasto con un concetto di animazione che predilige sempre più la computer graphic e i prodotti di rapido consumo atti a fruttare miliardi in marketing e gadget, La tartaruga rossa è un coraggioso esempio di Cinema elevato davvero a forma d'arte, qualcosa che parla al pubblico attraverso un linguaggio universale fatto di immagini in movimento, colori, suoni naturali e musica di cui tutti possono godere, a qualsiasi latitudine, e anche solo per questo meriterebbe di essere distribuito per ben più di tre miseri giorni. Voi cercate di non farvelo scappare, mi raccomando.
Michael Dudok de Wit è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Olandese, è al suo primo lungometraggio ma ha diretto corti animati quali The Monk and the Fish e Father and Daughter (vincitore dell'Oscar come miglior corto animato). Anche animatore, ha 64 anni.
Se La tartaruga rossa vi fosse piaciuto recuperate La canzone del mare e Ponyo sulla scogliera. ENJOY!
domenica 26 marzo 2017
Sadako vs Kayako (2016)
Spinta dal recupero “ringiano” mi sono resa conto di non avere mai visto un potenziale capolavoro come Sadako vs Kayako (貞子 VS 伽椰子), diretto nel 2016 dal regista Kouji Shiraishi. Preparate la braghetta di ricambio!… oppure no? Cercherò di non fare spoiler ma non garantisco.
Trama: due ragazze acquistano un videoregistratore e all’interno trovano il video maledetto di Sadako, che le condannerebbe a morire due giorni dopo la visione. Nello stesso periodo, una studentessa del liceo si trasferisce accanto alla casa maledetta da Kayako e Toshio e comincia ad avere terribili visioni…
Sadako vs Kayako mette uno contro l’altro gli spiriti rancorosi più stronzi del Giappone, nonché i più conosciuti all’estero. Sulla carta, lo scontro avrebbe dovuto essere epico e spaventoso, in realtà Kouji Shiraishi, anche sceneggiatore, ha buttato tutto in supercazzola creando una trama talmente pretestuosa che il ridicolo involontario è sempre lì, in agguato come Sadako, Kayako e il terribile Toshio, non dimentichiamoci del pargolo gatto. L’incontro/scontro tra le due entità arriva infatti solo poco prima del finale, diciamo negli ultimi dieci minuti, il resto della pellicola è realizzato come due film distinti che vengono proiettati a turno e ogni segmento possiede ovviamente le caratteristiche della rispettiva saga: da una parte abbiamo quindi persone a dir poco dementi che perpetrano la maledizione di Sadako spargendo video inquietanti a destra e a manca per poi cercare l’aiuto di improbabili esorcisti, dall’altra abbiamo persone altrettanto cretine che varcano la soglia di “casa Kayako” con i pretesti più assurdi. Se, tanto quanto, la videocassetta anonima è un po’ difficile da evitare (ma vivendo in Giappone io getterei via qualunque video che non fosse propriamente etichettato, questo va detto, altro che!) non ha senso infatti che le case accanto ad un edificio dichiaratamente maledetto vengano vendute o affittate, soprattutto quando le finestre sono poste dirimpetto a quest’ultimo, né che a chiudere il cancello della casa di Kayako ci sia un filo di ferro sottile e nient’altro. L’idea finale poi, quella che porta allo scontro del titolo, è talmente fuori dal mondo che non sto nemmeno a parlarne, un mero pretesto per introdurre gli assurdi personaggi del medium fighètto e della sua piccola assistente cieca, due tizi che promettono "fenomenali poteri cosmici" e che invece sono due quaquaraqua della peggior specie. A dire il vero, persino lo scontro in sé mi ha fatta piegare dalle risate, con Kayako che emette una versione accelerata del suo tipico verso strozzato mentre Sadako si limita a fissarla con l'"occhio maledetto" (ma da quando non bisogna fissare Sadako nell'occhio? Mah) intanto che i presenti strillano come se non avessero un domani e il povero Toshio col suo gatto stanno a fare da semplici spettatori delle evidenti difficoltà deambulatorie delle due mostrE. Ma alla fine, direte voi, chi ha vinto?
Sullo scontro finale non mi pronuncio ma, parlando di braghetta macchiata, per me vince e vincerà sempre Kayako. La parte di film dedicata a Ju-On è l'unica che sono riuscita a prendere sul serio, claustrofobica, cupa e cattiva come i primi film giapponesi della saga, e ammetto di avere smesso di respirare in un paio di occasioni; d'altronde, la casa di Kayako e Toshio è un luogo terribile che non lascia scampo e i due spettri, che già fanno paura di per sé, compaiono nei luoghi più improbabili, trascinando i malcapitati nel buio o peggio e per fortuna stavolta sembrano non avere la facoltà di saltare da un'abitazione all'altra. La parte dedicata a Sadako non sarebbe malaccio, se non fosse che la maledizione si manifesta in modo strano, ovvero spingendo le vittime al suicidio, quindi lo spirito inquieto si vede davvero poco e anche il video, meno spaventoso rispetto ad altre versioni, viene centellinato. E' esilarante invece il momento dedicato all'esorcismo, soprattutto grazie ad attori che non temono il ridicolo involontario e forniscono una versione assai particolare di una sacerdotessa giapponese tutta schiaffi e violenza, veicolo di una delle testate più clamorose della storia del cinema, mentre purtroppo un'ottima idea di sceneggiatura viene lasciata cadere come se fosse un evento di importanza risibile. In generale comunque, a parte la mia natura di rompipalle che ormai fatica a rimanere nascosta, come film Sadako vs Kayako fa il suo lavoro ed intrattiene; a chi non è abituato all'horror nipponico potrebbe sembrare una pellicola di una lentezza esorbitante e, ribadisco, i momenti ironici si sprecano, eppure rispetto alla media si è cercato di utilizzare attori non totalmente anonimi e, anzi, per quanto riguarda la protagonista della parte dedicata a Ju-On, l'esorcista e i due spiritisti, sono stati messi in campo dei caratteristi ben definiti, capaci di vivacizzare la pellicola. Se vi piace il genere e se volete sapere come andrà a finire lo scontro, recuperatelo senza indugio!
Di Masanobu Andou, che interpreta il medium Kyozo, ho già parlato QUI.
Kouji Shiraishi è il regista e sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Noroi: The Curse, Carved e Grotesque. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni e un film in uscita.
Siccome si parla di virus in relazione a Sadako è lecito presumere che Sadako vs Kayako sia ambientato nell'"universo alternativo" legato a The Spiral piuttosto che a Ring 2, e che quindi sia un sequel sia di The Spiral che di Sadako 3D e Sadako 3D 2. Per quanto riguarda Ju-On (arrivato ormai al settimo capitolo se contiamo anche Ju-On: Rancore di cui il primo Ju-On è il remake), Sadako vs Kayako potrebbe non collocarsi dopo Ju-On 2, Ju-On: Black Ghost e Ju-On: White Ghost perché nel frattempo sono usciti anche Ju-On: The Beginning of the End e Ju-On: The Final Curse, i reboot della saga, quindi potrebbe fare fede a questi piuttosto che agli originali ma non avendoli visti non posso esserne sicura. Nel frattempo che mi documento, se Sadako vs Kayako vi fosse piaciuto roba da recuperare ne avete! ENJOY!
Trama: due ragazze acquistano un videoregistratore e all’interno trovano il video maledetto di Sadako, che le condannerebbe a morire due giorni dopo la visione. Nello stesso periodo, una studentessa del liceo si trasferisce accanto alla casa maledetta da Kayako e Toshio e comincia ad avere terribili visioni…
Sadako vs Kayako mette uno contro l’altro gli spiriti rancorosi più stronzi del Giappone, nonché i più conosciuti all’estero. Sulla carta, lo scontro avrebbe dovuto essere epico e spaventoso, in realtà Kouji Shiraishi, anche sceneggiatore, ha buttato tutto in supercazzola creando una trama talmente pretestuosa che il ridicolo involontario è sempre lì, in agguato come Sadako, Kayako e il terribile Toshio, non dimentichiamoci del pargolo gatto. L’incontro/scontro tra le due entità arriva infatti solo poco prima del finale, diciamo negli ultimi dieci minuti, il resto della pellicola è realizzato come due film distinti che vengono proiettati a turno e ogni segmento possiede ovviamente le caratteristiche della rispettiva saga: da una parte abbiamo quindi persone a dir poco dementi che perpetrano la maledizione di Sadako spargendo video inquietanti a destra e a manca per poi cercare l’aiuto di improbabili esorcisti, dall’altra abbiamo persone altrettanto cretine che varcano la soglia di “casa Kayako” con i pretesti più assurdi. Se, tanto quanto, la videocassetta anonima è un po’ difficile da evitare (ma vivendo in Giappone io getterei via qualunque video che non fosse propriamente etichettato, questo va detto, altro che!) non ha senso infatti che le case accanto ad un edificio dichiaratamente maledetto vengano vendute o affittate, soprattutto quando le finestre sono poste dirimpetto a quest’ultimo, né che a chiudere il cancello della casa di Kayako ci sia un filo di ferro sottile e nient’altro. L’idea finale poi, quella che porta allo scontro del titolo, è talmente fuori dal mondo che non sto nemmeno a parlarne, un mero pretesto per introdurre gli assurdi personaggi del medium fighètto e della sua piccola assistente cieca, due tizi che promettono "fenomenali poteri cosmici" e che invece sono due quaquaraqua della peggior specie. A dire il vero, persino lo scontro in sé mi ha fatta piegare dalle risate, con Kayako che emette una versione accelerata del suo tipico verso strozzato mentre Sadako si limita a fissarla con l'"occhio maledetto" (ma da quando non bisogna fissare Sadako nell'occhio? Mah) intanto che i presenti strillano come se non avessero un domani e il povero Toshio col suo gatto stanno a fare da semplici spettatori delle evidenti difficoltà deambulatorie delle due mostrE. Ma alla fine, direte voi, chi ha vinto?
Sullo scontro finale non mi pronuncio ma, parlando di braghetta macchiata, per me vince e vincerà sempre Kayako. La parte di film dedicata a Ju-On è l'unica che sono riuscita a prendere sul serio, claustrofobica, cupa e cattiva come i primi film giapponesi della saga, e ammetto di avere smesso di respirare in un paio di occasioni; d'altronde, la casa di Kayako e Toshio è un luogo terribile che non lascia scampo e i due spettri, che già fanno paura di per sé, compaiono nei luoghi più improbabili, trascinando i malcapitati nel buio o peggio e per fortuna stavolta sembrano non avere la facoltà di saltare da un'abitazione all'altra. La parte dedicata a Sadako non sarebbe malaccio, se non fosse che la maledizione si manifesta in modo strano, ovvero spingendo le vittime al suicidio, quindi lo spirito inquieto si vede davvero poco e anche il video, meno spaventoso rispetto ad altre versioni, viene centellinato. E' esilarante invece il momento dedicato all'esorcismo, soprattutto grazie ad attori che non temono il ridicolo involontario e forniscono una versione assai particolare di una sacerdotessa giapponese tutta schiaffi e violenza, veicolo di una delle testate più clamorose della storia del cinema, mentre purtroppo un'ottima idea di sceneggiatura viene lasciata cadere come se fosse un evento di importanza risibile. In generale comunque, a parte la mia natura di rompipalle che ormai fatica a rimanere nascosta, come film Sadako vs Kayako fa il suo lavoro ed intrattiene; a chi non è abituato all'horror nipponico potrebbe sembrare una pellicola di una lentezza esorbitante e, ribadisco, i momenti ironici si sprecano, eppure rispetto alla media si è cercato di utilizzare attori non totalmente anonimi e, anzi, per quanto riguarda la protagonista della parte dedicata a Ju-On, l'esorcista e i due spiritisti, sono stati messi in campo dei caratteristi ben definiti, capaci di vivacizzare la pellicola. Se vi piace il genere e se volete sapere come andrà a finire lo scontro, recuperatelo senza indugio!
Di Masanobu Andou, che interpreta il medium Kyozo, ho già parlato QUI.
Kouji Shiraishi è il regista e sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come Noroi: The Curse, Carved e Grotesque. Anche sceneggiatore e attore, ha 43 anni e un film in uscita.
Siccome si parla di virus in relazione a Sadako è lecito presumere che Sadako vs Kayako sia ambientato nell'"universo alternativo" legato a The Spiral piuttosto che a Ring 2, e che quindi sia un sequel sia di The Spiral che di Sadako 3D e Sadako 3D 2. Per quanto riguarda Ju-On (arrivato ormai al settimo capitolo se contiamo anche Ju-On: Rancore di cui il primo Ju-On è il remake), Sadako vs Kayako potrebbe non collocarsi dopo Ju-On 2, Ju-On: Black Ghost e Ju-On: White Ghost perché nel frattempo sono usciti anche Ju-On: The Beginning of the End e Ju-On: The Final Curse, i reboot della saga, quindi potrebbe fare fede a questi piuttosto che agli originali ma non avendoli visti non posso esserne sicura. Nel frattempo che mi documento, se Sadako vs Kayako vi fosse piaciuto roba da recuperare ne avete! ENJOY!
venerdì 24 marzo 2017
The Ring 3 (2017)
Samara, icona horror del nuovo millennio, è tornata con The Ring 3 (Rings), diretto dal regista F. Javier Gutiérrez. Potevo forse perderla?
Trama: nonostante siano passati anni e la tecnologia del videoregistratore sia ormai obsoleta, il video maledetto di Samara continua a mietere vittime. Quando la videocassetta passa nelle mani di Gabriel, professore universitario, la maledizione comincia però ad assumere una forma diversa...
Prima di vedere The Ring 3 sarebbe opportuno che lo spettatore recuperasse Rings. Come ho già raccontato QUI, Rings era un corto di raccordo tra The Ring e The Ring 2, dove si raccontava di come la maledizione del video si fosse diffusa a macchia d'olio soprattutto tra i giovani liceali, i quali si passavano a vicenda la cassetta, la guardavano e poi trovavano un'altra vittima a cui appiopparla, creando di fatto una sorta di "società segreta" legata al mito della ragazzina omicida. Non è un caso che The Ring 3 in originale riprenda il titolo di questo corto: l'inizio della pellicola parte da una situazione assai simile a quella che apriva The Ring 2 e il resto del film (o meglio, il primo tempo) rinnova l'idea di società segreta, con un gruppo di studenti universitari che decidono di studiare il fenomeno Samara mettendo a repentaglio le proprie vite e sfruttando la tecnologia per duplicare il video ancora più velocemente (niente più videocassette, viva i file su MAC o PC!). Neanche a dirlo, la spettrale mocciosa decide a un certo punto di punire tanta stupidità e cambia le regole del gioco in un modo che ovviamente non spoilero ma che si traduce nell'ennesimo percorso di scoperta del passato di Samara, tra citazioni ai primi due film e ulteriori retroscena svelati, secondo un pattern già tracciato nel lontano 2002. Il risultato, come potete immaginare, è una noia terribile. Chi, come me, conosce a menadito i primi due remake (o è stato talmente scemo da recuperarli in funzione dell'uscita del terzo capitolo della saga, riempendosi già il cervello di Samare assortite) riuscirà infatti a prevedere ogni singola scena e risvolto della trama almeno un quarto d'ora prima che vengano "rivelati" al pubblico e, diciamoci la verità, il video maledetto ha ormai fatto il suo tempo. Sempre uguale, ormai datato quanto il sembiante di Samara e la sua mania di sbucare dai televisori o da un pozzo ubicato nelle vicinanze, in quindici anni persino il modo "scattoso" con cui si sposta lo spettro ha smesso di mettere ansia, basta piazzare una mano davanti agli occhi al momento opportuno e voilà, paura svanita.
La regia di Gutiérrez è senza infamia né lode. Il regista spagnolo ricerca le belle immagini, è vero, per esempio quando la pioggia comincia a scorrere all'insù sull'enorme vetrata dell'appartamento di Gabriel ma anche lui, poveraccio, è costretto a rispettare i canoni della saga e a mostrare sempre le stesse cose; ancor peggio, pur avendo tra le mani una sequenza iniziale potenzialmente esaltantissima, è riuscito ad ammosciarla a tal punto che sarebbe meglio riguardarsi Final Destination e persino Snakes on a Plane per togliersi l'amaro di bocca. C'è, a dire il vero, una novità rappresentata da SPOOOILER un video nuovo FINE SPOILER ma anche lì lo spettatore scafato rischia di mettersi a ridere e, ancora peggio, di intuire il twist finale nonostante ben due personaggi omettano (chissà perché visto che la rivelazione era presente nel trailer, complimenti per la furbata!) di rivelare una cosa importantissima alla protagonista, attirandosi le spernacchiate di chi nel frattempo aveva già capito tutto. Siccome ho nominato questi due personaggi, converrebbe scrivere qualche riga sugli attori. Mentre i giovani protagonisti fanno il loro lavoro senza attirarsi lodi o insulti, quelli che saltano all'occhio sono ovviamente due "mostri sacri televisivi" come Vincent D'Onofrio e Johnny Galecki (anche se fa specie definire il povero D'Onofrio "televisivo" ma vorrei vedere chi, ultimamente, ricorda qualcosa fatto da lui che non sia Daredevil). L'apparizione del primo suona come un simpatico contrappasso al ruolo di Wilson Fisk, visto che gli tocca interpretare un cieco, inoltre l'attore risulta sempre bravo e convincente, sul secondo stenderei un velo pietoso e mi limiterei a consigliargli di rimanere confinato nell'orbita di The Big Bang Theory, ché se la sua idea di personaggio ambiguo si riduce ad una monoespressività intervallata da un "fessurizzare di iridi" (come si diceva ad Extremelot) tanti auguri per un'eventuale carriera in ambito drammatico! E quindi, diludendo? Sì, tantissimo. Io che torno a casa dopo avere visto The Ring 3 e non mi metto neppure a correre per raggiungere l'ingresso a mezzanotte e mezza ha del surreale. Purtroppo si prospettano sequel infiniti, addirittura in sostituzione dell'annuale episodio di Paranormal Activity, ed è questa la vera maledizione di Samara!!!
Di Vincent D'Onofrio, che interpreta Burke, ho già parlato QUI.
F. Javier Gutiérrez è il regista della pellicola. Spagnolo, ha diretto solo un altro film prima di Rings, ovvero Before the Fall. Anche produttore e sceneggiatore, ha 44 anni.
Johnny Galecki interpreta Gabriel. Universalmente conosciuto come il Dr. Leonard Hofstadter di The Big Bang Theory, ha partecipato a film come Mr. Bean - L'ultima catastrofe, So cosa hai fatto, Vanilla Sky e ad altre serie quali Pappa e ciccia e My Name is Earl; come doppiatore, ha lavorato in American Dad! e I Griffin. Nato in Belgio, anche produttore e sceneggiatore, ha 42 anni.
Matilda Anna Ingrid Lutz, che interpreta Julia, era tra i protagonisti dell'ultimo film di Muccino, L'estate addosso. Rick Baker, responsabile del makeup dei primi due film, ha partecipato a The Ring 3 con un cameo che però è stato alla fine tagliato. Detto questo, se The Ring 3 vi fosse piaciuto recuperate i prequel The Ring, The Ring 2 e, se vi va, tutte le cosine giapponesi legate alla saga originale che ho nominato QUI. ENJOY!
Trama: nonostante siano passati anni e la tecnologia del videoregistratore sia ormai obsoleta, il video maledetto di Samara continua a mietere vittime. Quando la videocassetta passa nelle mani di Gabriel, professore universitario, la maledizione comincia però ad assumere una forma diversa...
Prima di vedere The Ring 3 sarebbe opportuno che lo spettatore recuperasse Rings. Come ho già raccontato QUI, Rings era un corto di raccordo tra The Ring e The Ring 2, dove si raccontava di come la maledizione del video si fosse diffusa a macchia d'olio soprattutto tra i giovani liceali, i quali si passavano a vicenda la cassetta, la guardavano e poi trovavano un'altra vittima a cui appiopparla, creando di fatto una sorta di "società segreta" legata al mito della ragazzina omicida. Non è un caso che The Ring 3 in originale riprenda il titolo di questo corto: l'inizio della pellicola parte da una situazione assai simile a quella che apriva The Ring 2 e il resto del film (o meglio, il primo tempo) rinnova l'idea di società segreta, con un gruppo di studenti universitari che decidono di studiare il fenomeno Samara mettendo a repentaglio le proprie vite e sfruttando la tecnologia per duplicare il video ancora più velocemente (niente più videocassette, viva i file su MAC o PC!). Neanche a dirlo, la spettrale mocciosa decide a un certo punto di punire tanta stupidità e cambia le regole del gioco in un modo che ovviamente non spoilero ma che si traduce nell'ennesimo percorso di scoperta del passato di Samara, tra citazioni ai primi due film e ulteriori retroscena svelati, secondo un pattern già tracciato nel lontano 2002. Il risultato, come potete immaginare, è una noia terribile. Chi, come me, conosce a menadito i primi due remake (o è stato talmente scemo da recuperarli in funzione dell'uscita del terzo capitolo della saga, riempendosi già il cervello di Samare assortite) riuscirà infatti a prevedere ogni singola scena e risvolto della trama almeno un quarto d'ora prima che vengano "rivelati" al pubblico e, diciamoci la verità, il video maledetto ha ormai fatto il suo tempo. Sempre uguale, ormai datato quanto il sembiante di Samara e la sua mania di sbucare dai televisori o da un pozzo ubicato nelle vicinanze, in quindici anni persino il modo "scattoso" con cui si sposta lo spettro ha smesso di mettere ansia, basta piazzare una mano davanti agli occhi al momento opportuno e voilà, paura svanita.
La regia di Gutiérrez è senza infamia né lode. Il regista spagnolo ricerca le belle immagini, è vero, per esempio quando la pioggia comincia a scorrere all'insù sull'enorme vetrata dell'appartamento di Gabriel ma anche lui, poveraccio, è costretto a rispettare i canoni della saga e a mostrare sempre le stesse cose; ancor peggio, pur avendo tra le mani una sequenza iniziale potenzialmente esaltantissima, è riuscito ad ammosciarla a tal punto che sarebbe meglio riguardarsi Final Destination e persino Snakes on a Plane per togliersi l'amaro di bocca. C'è, a dire il vero, una novità rappresentata da SPOOOILER un video nuovo FINE SPOILER ma anche lì lo spettatore scafato rischia di mettersi a ridere e, ancora peggio, di intuire il twist finale nonostante ben due personaggi omettano (chissà perché visto che la rivelazione era presente nel trailer, complimenti per la furbata!) di rivelare una cosa importantissima alla protagonista, attirandosi le spernacchiate di chi nel frattempo aveva già capito tutto. Siccome ho nominato questi due personaggi, converrebbe scrivere qualche riga sugli attori. Mentre i giovani protagonisti fanno il loro lavoro senza attirarsi lodi o insulti, quelli che saltano all'occhio sono ovviamente due "mostri sacri televisivi" come Vincent D'Onofrio e Johnny Galecki (anche se fa specie definire il povero D'Onofrio "televisivo" ma vorrei vedere chi, ultimamente, ricorda qualcosa fatto da lui che non sia Daredevil). L'apparizione del primo suona come un simpatico contrappasso al ruolo di Wilson Fisk, visto che gli tocca interpretare un cieco, inoltre l'attore risulta sempre bravo e convincente, sul secondo stenderei un velo pietoso e mi limiterei a consigliargli di rimanere confinato nell'orbita di The Big Bang Theory, ché se la sua idea di personaggio ambiguo si riduce ad una monoespressività intervallata da un "fessurizzare di iridi" (come si diceva ad Extremelot) tanti auguri per un'eventuale carriera in ambito drammatico! E quindi, diludendo? Sì, tantissimo. Io che torno a casa dopo avere visto The Ring 3 e non mi metto neppure a correre per raggiungere l'ingresso a mezzanotte e mezza ha del surreale. Purtroppo si prospettano sequel infiniti, addirittura in sostituzione dell'annuale episodio di Paranormal Activity, ed è questa la vera maledizione di Samara!!!
Di Vincent D'Onofrio, che interpreta Burke, ho già parlato QUI.
F. Javier Gutiérrez è il regista della pellicola. Spagnolo, ha diretto solo un altro film prima di Rings, ovvero Before the Fall. Anche produttore e sceneggiatore, ha 44 anni.
Johnny Galecki interpreta Gabriel. Universalmente conosciuto come il Dr. Leonard Hofstadter di The Big Bang Theory, ha partecipato a film come Mr. Bean - L'ultima catastrofe, So cosa hai fatto, Vanilla Sky e ad altre serie quali Pappa e ciccia e My Name is Earl; come doppiatore, ha lavorato in American Dad! e I Griffin. Nato in Belgio, anche produttore e sceneggiatore, ha 42 anni.
Matilda Anna Ingrid Lutz, che interpreta Julia, era tra i protagonisti dell'ultimo film di Muccino, L'estate addosso. Rick Baker, responsabile del makeup dei primi due film, ha partecipato a The Ring 3 con un cameo che però è stato alla fine tagliato. Detto questo, se The Ring 3 vi fosse piaciuto recuperate i prequel The Ring, The Ring 2 e, se vi va, tutte le cosine giapponesi legate alla saga originale che ho nominato QUI. ENJOY!
giovedì 23 marzo 2017
(Gio)WE, Bolla! del 23/3/2017
Buon giovedì a tutti!! Troppa grazia quella di questa settimana, che prevede l'uscita di ben due horror (o quasi), entrambi giunti a Savona. Ottimo antidoto al troppo cinema italiano distribuito in questo periodo e, se vi capitasse, andate a vedere anche La tartaruga rossa, distribuito da martedì e per soli tre giorni nelle solite, pochissime sale fortunate. ENJOY!
Non è un paese per giovani
La cura dal benessere
Slam - Tutto per una ragazza
Life
Al cinema d'élite si buttano sul morbosetto...!
Elle
Non è un paese per giovani
Reazione a caldo: Ah sì perché il cinema invece...
Bolla, rifletti!: Odio profondo fin dal trailer, con due garzoncelli che decidono di emigrare a Cuba dove, chissà come mai, li aspetta la solita tipa sballona che probabilmente cambierà la loro vita per sempre. Aggiungeteci le canzoni dei Negramaro e avrete il quadro completo della camurrìa che mi prende ogni volta che ne comunicano l'uscita al cinema. La cura dal benessere
Reazione a caldo: Evviva!!!
Bolla, rifletti!: Non credevo che lo avrebbero dato, giuro. Probabilmente sarà un diludendo cosmico ma il trailer, a differenza di Non è un paese per giovani, tra anguille e visioni inquietanti mette i brividi e invoglia a guardarlo. Chissà cosa sarà 'sta benedetta cura DAL benessere... Martedì lo scoprirò!Slam - Tutto per una ragazza
Reazione a caldo: E due. Ma basta!
Bolla, rifletti!: Ok, sarò ancora più specifica: DETESTO il film generazionali italiani, quelli imperniati sui giovani, intendo. In primis, perché solitamente gli attori non sanno recitare nemmeno se li prendi a bastonate. A questo darei una chance solo per Marinelli ma è l'argomento in sé (genitori sedicenni) che proprio non mi ispira, oltre al fatto che è tratto da un romanzo di Nick Hornby, che detesto cortesemente.Life
Reazione a caldo: Incognita della settimana.
Bolla, rifletti!: Speriamo lo tengano un po' più dei canonici sette giorni, anche perché il bonus horror questa settimana lo spendo già e ho paura di intortare il Bolluomo per accompagnarmi a vedere questo Life. Le recensioni lo descrivono più terrificante di Alien e temo quindi di venire ricoperta di insulti per l'eventuale inganno... se qualcuno lo va a vedere mi dica QUANTO è pauroso, thanks!Al cinema d'élite si buttano sul morbosetto...!
Elle
Reazione a caldo: Visto e recensito QUI.
Bolla, rifletti!: Vi avverto, in breve: Elle non è un film per tutti. A me è piaciuto molto fino a poco oltre la metà, poi mi è un po' "scaduto", l'ho trovato inconcludente. Però lei è favolosa. mercoledì 22 marzo 2017
Wyrmwood - Road of the Dead (2014)
Secondo titolo horror distribuito a fine febbraio dalla Midnight Factory che, per l'occasione, balza nella terra dei canguri e tira fuori questo Wyrmwood - Road of the Dead (Wyrmwood), diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista Kiah Roache-Turner.
Trama: uno sciame di meteore trasforma gli esseri umani in zombi famelici. Barry, tra i pochi rimasti normali, dopo essere stato costretto ad uccidere la moglie e la figlia si allea con altri "sani" per liberare la sorella, presa in ostaggio dall'esercito...
Dopo aver letto l'interessante recensione de I 400 calci ero già pronta a non aspettarmi nulla da Wyrmwood, tranne forse un abominio incommensurabile. Ma, si sa, io i film li guardo senza essere troppo ferrata in materia di montaggio, fotografia e altre finezze simili, basta solo che l'incapacità registica non si traduca, per citare il post di Quantum Tarantino, in "un found footage in cui non succede un cazzo per un’ora e mezza salvo sporadici quanto evitabili spaventerelli e una rivelazione finale che generalmente fa cascare le braccia" (qualcuno ha detto The Gallows: L'esecuzione?). Oltretutto, a me l'approccio Aussie alle cose fa sempre tanta simpatia, anche quando si tratta di un approccio con un cuore più di canna che di panna, quindi non ho potuto non voler bene a Wyrmwood, pur con tutti i difetti che devo riconoscergli. La trama probabilmente è stata scritta per l'appunto su cartine che poi i coinvolti avranno riempito di fumo e consumato nel corso dei quattro anni serviti per completare il film: uno sciame di meteore trasforma gli esseri umani in zombi (almeno si immagina sia quella la causa, ché ovviamente non viene spiegato il motivo della zombanza) e gli unici a rimanere immuni da quello che probabilmente è un virus trasmesso non solo tramite i classici morsi ma anche per via aerea, sono coloro dotati di gruppo sanguigno A positivo. A questo canovaccio gli sceneggiatori hanno aggiunto tamarreide a palate, ibridando l'horror col road movie come i protagonisti fanno con le loro vetture corazzate alimentate ad alito di zombie (il perché le meteore privino di potere combustibile la benzina non ha senso così come ne è priva l'improvvisa trasformazione, in un giorno solo badate bene, dell'esercito australiano in un'accozzaglia di psicopatici decerebrati) e infilandoci anche scienziati pazzi, telepatia, tragici momenti di dolore familiare e, fortunatamente, anche umorismo, alcool e cannoni a palati, ché un film simile non lo si può prendere sul serio, dai.
Quindi Wyrmwood non aggiunge nulla di nuovo al mito dello zombie, se non la speranza che un giorno i nostri cari estinti possano convertirsi in una nuova forma di energia "pulita", tuttavia la pellicola risulta lo stesso molto divertente e inaspettatamente gradevole. Tra un attacco zombie, un barbecue e una scazzottata il ritmo non cala neppure per un secondo, nemmeno quando la faccenda si trasferisce sul piano "psichico", e tutto viene condito da abbondanza di sangue spalmato a palate nemmeno si trattasse di disgustosa gravy sauce sulle schnitzel, con aggiunta di miasmi verdastri che escono dalle bocche spalancate dei poveri morti viventi. Sarà che ormai The Walking Dead ha raggiunto livelli di bassezza inenarrabili e la noia nella blasonata serie regna sovrana ma mi sono ritrovata più volte a pensare "che figata, Rick e i suoi poracci a questi gli spicciano casa!": i dialoghi saranno banali quanto volete ma sono la quintessenza della rilassatezza e badassitudine Aussie ed è un piacere vedere i protagonisti accanirsi contro gli zombi e scambiare momenti di maschia strafottenza. Nota di merito al make up, a mio avviso molto ben fatto, e anche all'attrice Bianca Bradey la quale, in quanto unica eroina femmina nel film, se la crede davvero tantissimo, sia come arrampicatrice di travi prima che come incantatrice/regina degli zombi poi, anche se quegli occhietti bianchicci non si posso guardare, figlia mia. Insomma, probabilmente Wyrmwood farà inorridire chi apprezza i morti viventi di Romero e chi cerca un minimo di "sentimento" o profondità nel genere (credo anche chi pretende coerenza e verosimiglianza a tutti i costi, ahimé) ma in quanto prodotto realizzato con due dollari australiani e tanta amicizia è perfetto per passare una serata in lieta ignoranza. Fatecelo un pensierino!
Kiah Roache - Turner è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo e finora unico lungometraggio. Australiano, anche produttore e tecnico degli effetti speciali, ha 38 anni.
L'edizione DVD della Midnight Factory è composta da due dischi, uno col film e un altro con un buon numero di contenuti speciali (trailer, backstage, scene tagliate, interviste, produzione e post-produzione e il documentario I diari di Wyrmwood); non ho avuto modo di guardare la pellicola in italiano ma dai sottotitoli mi sembra che stavolta almeno l'adattamento sia valido anche se è sempre un problema riproporre un accento e un lessico particolare come quello australiano. Tornando a Wyrmwood, siccome le riprese avvenivano a tempo perso nei weekend, il film ci ha messo quattro anni per venire completato al punto che Yure Covich, l'attore che interpreta lo sfattone che incontra Barry all'inizio, ha dovuto abbandonare il set a causa di altri impegni e il suo personaggio (che avrebbe dovuto essere la spalla comica del protagonista) è stato eliminato dopo poche scene. Non temete: lo sfattone dovrebbe tornare, assieme ai personaggi di Barry e Brooke, e agli attori che li interpretano, nella serie Wyrmwood TV, spin-off televisivo del film, ancora in fase di scrittura quindi campa cavallo. O forse no, vista la velocità con la quale ne vengono sfornate decine al mese. Nell'attesa, se Wyrmwood vi fosse piaciuto recuperate Dead Snow, Dead Snow 2 e magari anche Shaun of the Dead. ENJOY!
Trama: uno sciame di meteore trasforma gli esseri umani in zombi famelici. Barry, tra i pochi rimasti normali, dopo essere stato costretto ad uccidere la moglie e la figlia si allea con altri "sani" per liberare la sorella, presa in ostaggio dall'esercito...
Dopo aver letto l'interessante recensione de I 400 calci ero già pronta a non aspettarmi nulla da Wyrmwood, tranne forse un abominio incommensurabile. Ma, si sa, io i film li guardo senza essere troppo ferrata in materia di montaggio, fotografia e altre finezze simili, basta solo che l'incapacità registica non si traduca, per citare il post di Quantum Tarantino, in "un found footage in cui non succede un cazzo per un’ora e mezza salvo sporadici quanto evitabili spaventerelli e una rivelazione finale che generalmente fa cascare le braccia" (qualcuno ha detto The Gallows: L'esecuzione?). Oltretutto, a me l'approccio Aussie alle cose fa sempre tanta simpatia, anche quando si tratta di un approccio con un cuore più di canna che di panna, quindi non ho potuto non voler bene a Wyrmwood, pur con tutti i difetti che devo riconoscergli. La trama probabilmente è stata scritta per l'appunto su cartine che poi i coinvolti avranno riempito di fumo e consumato nel corso dei quattro anni serviti per completare il film: uno sciame di meteore trasforma gli esseri umani in zombi (almeno si immagina sia quella la causa, ché ovviamente non viene spiegato il motivo della zombanza) e gli unici a rimanere immuni da quello che probabilmente è un virus trasmesso non solo tramite i classici morsi ma anche per via aerea, sono coloro dotati di gruppo sanguigno A positivo. A questo canovaccio gli sceneggiatori hanno aggiunto tamarreide a palate, ibridando l'horror col road movie come i protagonisti fanno con le loro vetture corazzate alimentate ad alito di zombie (il perché le meteore privino di potere combustibile la benzina non ha senso così come ne è priva l'improvvisa trasformazione, in un giorno solo badate bene, dell'esercito australiano in un'accozzaglia di psicopatici decerebrati) e infilandoci anche scienziati pazzi, telepatia, tragici momenti di dolore familiare e, fortunatamente, anche umorismo, alcool e cannoni a palati, ché un film simile non lo si può prendere sul serio, dai.
Quindi Wyrmwood non aggiunge nulla di nuovo al mito dello zombie, se non la speranza che un giorno i nostri cari estinti possano convertirsi in una nuova forma di energia "pulita", tuttavia la pellicola risulta lo stesso molto divertente e inaspettatamente gradevole. Tra un attacco zombie, un barbecue e una scazzottata il ritmo non cala neppure per un secondo, nemmeno quando la faccenda si trasferisce sul piano "psichico", e tutto viene condito da abbondanza di sangue spalmato a palate nemmeno si trattasse di disgustosa gravy sauce sulle schnitzel, con aggiunta di miasmi verdastri che escono dalle bocche spalancate dei poveri morti viventi. Sarà che ormai The Walking Dead ha raggiunto livelli di bassezza inenarrabili e la noia nella blasonata serie regna sovrana ma mi sono ritrovata più volte a pensare "che figata, Rick e i suoi poracci a questi gli spicciano casa!": i dialoghi saranno banali quanto volete ma sono la quintessenza della rilassatezza e badassitudine Aussie ed è un piacere vedere i protagonisti accanirsi contro gli zombi e scambiare momenti di maschia strafottenza. Nota di merito al make up, a mio avviso molto ben fatto, e anche all'attrice Bianca Bradey la quale, in quanto unica eroina femmina nel film, se la crede davvero tantissimo, sia come arrampicatrice di travi prima che come incantatrice/regina degli zombi poi, anche se quegli occhietti bianchicci non si posso guardare, figlia mia. Insomma, probabilmente Wyrmwood farà inorridire chi apprezza i morti viventi di Romero e chi cerca un minimo di "sentimento" o profondità nel genere (credo anche chi pretende coerenza e verosimiglianza a tutti i costi, ahimé) ma in quanto prodotto realizzato con due dollari australiani e tanta amicizia è perfetto per passare una serata in lieta ignoranza. Fatecelo un pensierino!
Kiah Roache - Turner è il regista e co-sceneggiatore della pellicola, al suo primo e finora unico lungometraggio. Australiano, anche produttore e tecnico degli effetti speciali, ha 38 anni.
L'edizione DVD della Midnight Factory è composta da due dischi, uno col film e un altro con un buon numero di contenuti speciali (trailer, backstage, scene tagliate, interviste, produzione e post-produzione e il documentario I diari di Wyrmwood); non ho avuto modo di guardare la pellicola in italiano ma dai sottotitoli mi sembra che stavolta almeno l'adattamento sia valido anche se è sempre un problema riproporre un accento e un lessico particolare come quello australiano. Tornando a Wyrmwood, siccome le riprese avvenivano a tempo perso nei weekend, il film ci ha messo quattro anni per venire completato al punto che Yure Covich, l'attore che interpreta lo sfattone che incontra Barry all'inizio, ha dovuto abbandonare il set a causa di altri impegni e il suo personaggio (che avrebbe dovuto essere la spalla comica del protagonista) è stato eliminato dopo poche scene. Non temete: lo sfattone dovrebbe tornare, assieme ai personaggi di Barry e Brooke, e agli attori che li interpretano, nella serie Wyrmwood TV, spin-off televisivo del film, ancora in fase di scrittura quindi campa cavallo. O forse no, vista la velocità con la quale ne vengono sfornate decine al mese. Nell'attesa, se Wyrmwood vi fosse piaciuto recuperate Dead Snow, Dead Snow 2 e magari anche Shaun of the Dead. ENJOY!
martedì 21 marzo 2017
John Wick - Capitolo 2 (2017)
Dopo l'entusiasmo generato dal primo capitolo potevo non andare a vedere John Wick - Capitolo 2 (John Wick: Chapter 2), nuovamente diretto da Chad Stahelski?
Trama: finita la mattanza del primo capitolo John Wick cerca di ritirarsi a vita privata ma viene richiamato in attività dal camorrista Santino D'Antonio, deciso a scalare i vertici della criminalità mondiale...
Nel 2014 John Wick era stata una bella sorpresa, un action anni '80 tamarro al punto giusto, con un protagonista sufficientemente duro ed inespressivo e alcune finezze di fondo che facevano venire voglia di averne di più. Il di più è arrivato tre anni dopo, con un film che mostra John Wick ancora incazzato nero per la morte della moglie e dell'amato cagnussu (e basta, santo cielo!), ancora desideroso di pace e ancora circondato da gente che lo rivorrebbe in azione a tutti i costi. Stavolta la sceneggiatura, se tale la si può definire, scava maggiormente all'interno di quel mondo organizzato di assassini e criminali che era la parte più affascinante del primo capitolo: apprendiamo infatti (o forse lo dicevano già in John Wick ma chi se lo ricorda...) che il mondo è governato da una sorta di cosca criminale internazionale, un G7 del crimine tipo, un'organizzazione ancora diversa da quella che gestisce l'Hotel Continental ma ad essa strettamente legata. Questi due gruppi, ai quali bisogna aggiungerne un terzo che richiama molto i Morlock degli X-Men, evitano di pestarsi i piedi a vicenda grazie ad un ferreo codice fatto di regole che non bisognerebbe infrangere, pena la scomunica e la perdita non solo della vita ma anche e soprattutto di protezione e privilegi. In base ad una di queste regole, John Wick è costretto ad accettare di "rientrare nel giro" quando il camorrista Santino D'Antonio (nome meno banale e pizzaspaghettimandolino no?) gli chiede di ammazzare la sorella Gianna presentandogli un cosiddetto pegno, sorta di patto suggellato all'epoca in cui John voleva andare in pensione e passare la vita con l'amata moglie. Altro non aggiungerò sulla trama, ché tanto il succo è riassumibile, da qui in poi, in "John Wick spara in testa a laGGente" con pochissime varianti, tra le quali una molto interessante in cui l'intera New York si trasforma in un covo di assassini e le incursioni in un Hotel Continental che, se volete il mio parere, meriterebbe un film a parte con Ian McShane e Franco Nero come protagonisti assoluti. Rileggendo ciò che ho scritto finora mi sono resa conto di suonare poco entusiasta ma il fatto è che stavolta, nonostante la presenza di molti momenti ridicoli (la sparatoria silenziosa è esilarante, della pretestuosissima sequenza iniziale non voglio neppure parlare altrimenti scoppio a ridere), l'atmosfera generale è troppo seria e alcune scene d'azione ripetitive.
Non mi reputo un'esperta di film action zamarri o di "cinema di menare" (probabilmente se volete leggere una recensione competente di John Wick 2 dovete andare QUI), per carità, ma mi è sembrato che John Wick - Capitolo 2 riciclasse spesso e volentieri gli stessi stunt, con intere e lunghissime sequenze in cui Keanu Reeves, quando non ammazza alla prima i ventordici nemici che gli si parano davanti sbucando da ogni dove, li atterra con un paio di mosse di sottomissione rotolanti e poi li secca con un headshot ben piazzato. Questa routine si ripropone due o tre volte e sinceramente preferisco soluzioni un po' più fantasiose, che magari contemplino armi improprie particolari come una matita, un'automobile, pistole utilizzate a mo' di mattoni da lanciare, ecc. ecc. Di fatto, l'unica sequenza memorabile è quella sul finale, interamente ambientata in un labirinto di specchi e luci al neon che permette al regista di giocare un po' con prospettive e macchina da presa, oltre all'emozionante conclusione, che si svolge davanti allo splendido angelo della Bethesda Fountain in Central Park (location che grazie ad Angels in America mi smuove sempre un desiderio irrazionale di trovarmi lì in contemplazione), il resto francamente puzza un po' di già visto e gli attori non aiutano. Keanu Reeves fa John Wick e va bene, da lui mi aspetto una performance granitica, ma Riccardo Scamarcio è semplicemente imbarazzante, un blocco di tufo imbolsito, monoespressivo e autodoppiatosi con la verve di un paramecio (nulla credo rispetto al vedere quel gianduia di Luca Argentero che imita il Brad Pitt di Fight Club nell'imminente Il permesso, cercate il trailer poi ne riparliamo); non va meglio a Claudia Gerini, che ricordavo splendida e brillante e che invece mi si è riproposta col volto tumefatto da probabili ritocchi estetici nei panni di un'improbabile e moscia femme fatale, mentre perlomeno a tenere alto il buon nome del Cinema italiano ci pensa il già citato Franco Nero che, assieme a Ian McShane, interpreta l'unico personaggio davvero memorabile del film. Ribadisco: nel terzo John Wick ESIGO che il ruolo degli Hotel Continental sia preponderante perché tra assassini invulnerabili e tamarreide stavolta vince la fredda ed elegantissima burocrazia, mi spiace.
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Riccardo Scamarcio (Santino D'Antonio), Ian McShane (Winston), Claudia Gerini (Gianna D'Antonio), Laurence Fishburne (Bowery King), John Leguizamo (Aurelio), Franco Nero (Julius), Peter Serafinowicz (Sommelier), David Patrick Kelly (Charlie) e Peter Stormare (Abram) li trovate invece ai rispettivi link.
Common (vero nome Lonnie Rashid Lynn) interpreta Cassian. Americano, più conosciuto come rapper che come attore, ha partecipato a film come Wanted - Scegli il tuo destino, Comic Movie, Now You See Me - I maghi del crimine, Selma - La strada della libertà, Suicide Squad e ha doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttore, ha 45 anni e cinque film in uscita.
Lo avevo intuito dal finale ed è quasi certo che John Wick sarà una trilogia, quindi aspettatevi il ritorno di Keanu Reeves nei panni dell'eroe titolare tra qualche anno, magari con Samuel L. Jackson che, a quanto pare, muore dalla voglia di partecipare. Nell'attesa, se John Wick - Capitolo 2 vi fosse piaciuto recuperate John Wick e aggiungete Deadpool così da farvi due vere risate. ENJOY!
Trama: finita la mattanza del primo capitolo John Wick cerca di ritirarsi a vita privata ma viene richiamato in attività dal camorrista Santino D'Antonio, deciso a scalare i vertici della criminalità mondiale...
Nel 2014 John Wick era stata una bella sorpresa, un action anni '80 tamarro al punto giusto, con un protagonista sufficientemente duro ed inespressivo e alcune finezze di fondo che facevano venire voglia di averne di più. Il di più è arrivato tre anni dopo, con un film che mostra John Wick ancora incazzato nero per la morte della moglie e dell'amato cagnussu (e basta, santo cielo!), ancora desideroso di pace e ancora circondato da gente che lo rivorrebbe in azione a tutti i costi. Stavolta la sceneggiatura, se tale la si può definire, scava maggiormente all'interno di quel mondo organizzato di assassini e criminali che era la parte più affascinante del primo capitolo: apprendiamo infatti (o forse lo dicevano già in John Wick ma chi se lo ricorda...) che il mondo è governato da una sorta di cosca criminale internazionale, un G7 del crimine tipo, un'organizzazione ancora diversa da quella che gestisce l'Hotel Continental ma ad essa strettamente legata. Questi due gruppi, ai quali bisogna aggiungerne un terzo che richiama molto i Morlock degli X-Men, evitano di pestarsi i piedi a vicenda grazie ad un ferreo codice fatto di regole che non bisognerebbe infrangere, pena la scomunica e la perdita non solo della vita ma anche e soprattutto di protezione e privilegi. In base ad una di queste regole, John Wick è costretto ad accettare di "rientrare nel giro" quando il camorrista Santino D'Antonio (nome meno banale e pizzaspaghettimandolino no?) gli chiede di ammazzare la sorella Gianna presentandogli un cosiddetto pegno, sorta di patto suggellato all'epoca in cui John voleva andare in pensione e passare la vita con l'amata moglie. Altro non aggiungerò sulla trama, ché tanto il succo è riassumibile, da qui in poi, in "John Wick spara in testa a laGGente" con pochissime varianti, tra le quali una molto interessante in cui l'intera New York si trasforma in un covo di assassini e le incursioni in un Hotel Continental che, se volete il mio parere, meriterebbe un film a parte con Ian McShane e Franco Nero come protagonisti assoluti. Rileggendo ciò che ho scritto finora mi sono resa conto di suonare poco entusiasta ma il fatto è che stavolta, nonostante la presenza di molti momenti ridicoli (la sparatoria silenziosa è esilarante, della pretestuosissima sequenza iniziale non voglio neppure parlare altrimenti scoppio a ridere), l'atmosfera generale è troppo seria e alcune scene d'azione ripetitive.
Non mi reputo un'esperta di film action zamarri o di "cinema di menare" (probabilmente se volete leggere una recensione competente di John Wick 2 dovete andare QUI), per carità, ma mi è sembrato che John Wick - Capitolo 2 riciclasse spesso e volentieri gli stessi stunt, con intere e lunghissime sequenze in cui Keanu Reeves, quando non ammazza alla prima i ventordici nemici che gli si parano davanti sbucando da ogni dove, li atterra con un paio di mosse di sottomissione rotolanti e poi li secca con un headshot ben piazzato. Questa routine si ripropone due o tre volte e sinceramente preferisco soluzioni un po' più fantasiose, che magari contemplino armi improprie particolari come una matita, un'automobile, pistole utilizzate a mo' di mattoni da lanciare, ecc. ecc. Di fatto, l'unica sequenza memorabile è quella sul finale, interamente ambientata in un labirinto di specchi e luci al neon che permette al regista di giocare un po' con prospettive e macchina da presa, oltre all'emozionante conclusione, che si svolge davanti allo splendido angelo della Bethesda Fountain in Central Park (location che grazie ad Angels in America mi smuove sempre un desiderio irrazionale di trovarmi lì in contemplazione), il resto francamente puzza un po' di già visto e gli attori non aiutano. Keanu Reeves fa John Wick e va bene, da lui mi aspetto una performance granitica, ma Riccardo Scamarcio è semplicemente imbarazzante, un blocco di tufo imbolsito, monoespressivo e autodoppiatosi con la verve di un paramecio (nulla credo rispetto al vedere quel gianduia di Luca Argentero che imita il Brad Pitt di Fight Club nell'imminente Il permesso, cercate il trailer poi ne riparliamo); non va meglio a Claudia Gerini, che ricordavo splendida e brillante e che invece mi si è riproposta col volto tumefatto da probabili ritocchi estetici nei panni di un'improbabile e moscia femme fatale, mentre perlomeno a tenere alto il buon nome del Cinema italiano ci pensa il già citato Franco Nero che, assieme a Ian McShane, interpreta l'unico personaggio davvero memorabile del film. Ribadisco: nel terzo John Wick ESIGO che il ruolo degli Hotel Continental sia preponderante perché tra assassini invulnerabili e tamarreide stavolta vince la fredda ed elegantissima burocrazia, mi spiace.
Del regista Chad Stahelski ho già parlato QUI. Keanu Reeves (John Wick), Riccardo Scamarcio (Santino D'Antonio), Ian McShane (Winston), Claudia Gerini (Gianna D'Antonio), Laurence Fishburne (Bowery King), John Leguizamo (Aurelio), Franco Nero (Julius), Peter Serafinowicz (Sommelier), David Patrick Kelly (Charlie) e Peter Stormare (Abram) li trovate invece ai rispettivi link.
Common (vero nome Lonnie Rashid Lynn) interpreta Cassian. Americano, più conosciuto come rapper che come attore, ha partecipato a film come Wanted - Scegli il tuo destino, Comic Movie, Now You See Me - I maghi del crimine, Selma - La strada della libertà, Suicide Squad e ha doppiato un episodio de I Simpson. Anche produttore, ha 45 anni e cinque film in uscita.
Lo avevo intuito dal finale ed è quasi certo che John Wick sarà una trilogia, quindi aspettatevi il ritorno di Keanu Reeves nei panni dell'eroe titolare tra qualche anno, magari con Samuel L. Jackson che, a quanto pare, muore dalla voglia di partecipare. Nell'attesa, se John Wick - Capitolo 2 vi fosse piaciuto recuperate John Wick e aggiungete Deadpool così da farvi due vere risate. ENJOY!
domenica 19 marzo 2017
La bella e la bestia (2017)
Non ce l'ho fatta ad aspettare. Con un misto di attesa e presagi di sventura, venerdì sono corsa a vedere La bella e la bestia (Beauty and the Beast), versione live action dell'omonimo capolavoro Disney diretto dal regista Bill Condon. E com'è quindi 'sto ennesimo remake?
Trama: Belle, atipica ragazza francese, finisce in un castello abitato da una Bestia e dai suoi servi, tutti trasformati in oggetti semoventi da una maledizione. Solo se la Bestia, un tempo principe viziato e crudele, riuscirà ad amare e ad essere riamato a sua volta la maledizione scomparirà ma il tempo stringe...
Non starò a parlare della storia de La Bella e la Bestia, in quanto il film di Bill Condon ne è una riproposta fedelissima con pochissime aggiunte irrilevanti alla comprensione della trama, qualche variante poco fastidiosa e un paio di canzoni in più: se volete una disamina completa del più bel film d'animazione mai realizzato dalla Disney la trovate QUI. Allo stesso modo, non starò a sottolineare come La bella e la bestia originale sia un capolavoro che questo live action non solo non supera (era palese e scontato) ma neppure raggiunge, anche se vorrei puntualizzare come le espressioni e i movimenti della Belle animata nei tre momenti chiave della pellicola (quando viene imprigionata dalla Bestia, quando è indecisa se lasciarlo al suo destino e quando sul finale si rende conto di amarlo) e, soprattutto, gli incredibili tocchi horror gotici di cui il film del 1991 è zeppo qui se li sono proprio sognati, privando la pellicola di gran parte del suo fascino. Fissate queste premesse, posso però solennemente dire che La bella e la bestia di Bill Condon è un gran bel film, più che altro è un gran bell'omaggio alla pellicola originale e in particolare alla sua anima musical, perfettamente rispettata. Molti hanno giustamente parlato di film inutile, ché qui non si parla di reinterpretazione quanto piuttosto di una riproposta quasi filologica di dialoghi, melodie (se ne può parlare, ché lo score dell'originale in determinati momenti topici era fenomenale, qui un po' meno), numeri musicali e persino inquadrature, con alcune sequenze prese pari pari dal film di Trousdale e Wise, quindi perché guardare questo quando esiste l'originale? Verissimo, per carità, questa è in effetti una domanda alla quale non so rispondere ma, al di là degli obiettivi prettamente economici della Disney, forse la scelta di un non fan tra l'uno e l'altro film dipende semplicemente dal gusto personale: c'è chi non ama l'animazione e chi magari preferisce un connubio di attori veri e personaggi creati in CGI per godersi la storia di Belle e la Bestia, chissà. Sta di fatto che in molti, me compresa, hanno applaudito alla fine de La bella e la bestia ed è lo stesso applauso che mi è scattato in automatico quando ero andata a vedere il musical originale a Milano, scaturito dalla sensazione di avere davanti un opera nuova che rispetta ciò che ho tanto amato e lo ripropone attraverso un mezzo diverso e magari più spettacolare e congeniale ad alcuni spettatori.
Spettacolare è infatti la definizione che calza meglio al nuovo La bella e la bestia, non a caso quasi un musical in tutto e per tutto. A differenza del ridondante, fastidiosissimo Cenerentola di Branagh, qui scenografi, costumisti e responsabili degli effetti speciali hanno dato il bianco: dalla creazione del vertiginoso castello della Bestia, agli splendidi abiti di Belle (lasciamo perdere l'iconico abito giallo/oro, che mi si è serrato lo stomaco per l'invidia al pensiero di come debba essersi sentita Emma Watson ad indossarlo, in generale è proprio la rivisitazione degli abiti "normali" di Belle ad essere splendida, arricchita da un gusto francese e bohemien tutto particolare), dalla stanza rococò dove viene rinchiusa Belle alla ricostruzione della taverna di Gaston, tutto è realizzato in maniera talmente ricca e allo stesso tempo "familiare" da far venire la pelle d'oca. Se vogliamo parlare dei numeri musicali, alla già citata canzone di Gaston mi sono trattenuta dal saltare sulla poltrona e mettermi a ballare, durante la sequenza del ballo la Bestia si profonde in un movimento talmente sensuale che ho pensato "ce n'è!", mentre il numero di Stia con noi è animato talmente bene che basterebbe anche solo quello per compensare il prezzo dell'inutile (e sottolineo inutile) 3D e aggiungo che fortunatamente tutte le creature generate al computer sono ben diverse dall'orripilio mostrato nei trailer e ben distanti dalle tremebonde lucertole di Cenerentola o le fatine di Maleficent (tolto che Mrs Bric con quegli occhietti inquietanti non mi è proprio piaciuta ma de gustibus). Favolosa anche la svolta gay di LeTont, una carta giocata quasi come inside joke eppure senza essere portata all'eccesso né coperta di ridicolo: il personaggio si distacca anzi dal ruolo di "scemo" mostrato nell'originale film Disney per diventare una specie di "coscienza" che Gaston tuttavia rifiuta, un diverso che non riesce a sostenere ciecamente il suo amato quando le azioni di quest'ultimo diventano troppo immorali anche per lui e vanno ad infrangere l'illusoria perfezione dell'apparenza del rozzo Capitano.
Detto questo, difetti ce ne sono, per carità. Non ho apprezzato la reiterazione di alcune cose, come per esempio la ricomparsa della fata sul finale (quasi un ripensamento di quest'ultima mentre invece nell'originale Disney i tempi della maledizione venivano rispettati), né le sgradevoli giustificazioni della natura viziata del Principe oppure il racconto della madre di Belle, evocato tra l'altro da una specie di teletrasporto magico a dir poco ridicolo, oltre che affatto funzionale ai fini della trama, e purtroppo le atmosfere horror del confronto tra la Bestia e Gaston (soprattutto il progressivo scambio di ruoli tra i due, che vede sul finale un Gaston mostruoso e una Bestia umanissima nel suo rassegnato dolore) sono andate completamente perdute, cosa gravissima. Passando all'adattamento italiano, ho trovato quello delle canzoni oltre il terrificante e solo la mia capacità di sostituire mentalmente ai testi nuovi quelli che adoro fin dall'età di 10 anni, chiudendo mente ed orecchie al nuovo abominio, mi ha salvata dall'orrore, nonostante qualche bestemmia sia comunque volata, non lo nego: la differenza tra i due adattamenti è impietosa e se è vero che quello attuale è più vicino all'inglese, ci sono momenti in cui la metrica non riesce a rispettare la melodia e il ritmo, senza contare che quello del 1991 era molto più delicato, adulto e fantasioso. Anche la voce nuova della Bestia fa accapponare la pelle ma fortunatamente la nuova canzone cantata dal personaggio, Evermore, è splendida sia in italiano che in inglese e nella nostra lingua ricorda molto i pezzi più belli ed intensi di Notre Dame De Paris, cosa che ha contribuito a rendermela ancora più gradita. L'unico difetto che non ho riscontrato è l'interpretazione di Emma Watson: credevo l'avrei odiata ma non è stato così e, nonostante il migliore del cast sia Luke Evans col suo favoloso Gaston (pur senza petto villoso), questa nuova Belle dallo sguardo fiero e volitivo mi è piaciuta davvero molto, soprattutto quando dimentica di rimettersi a posto la gonna e va in giro mostrando i mutandoni della nonna. Degna figlia di un inventore folle e smemorato! Quindi, in soldoni, La bella e la bestia del 1991 tutta la vita ma anche quello nuovo merita lodi e carezze invece di sputi ed ignominia.
Di Emma Watson (Belle), Luke Evans (Gaston), Ewan McGregor (Lumière), Ian McKellen (Tokins), Emma Thompson (Mrs. Bric) e Stanley Tucci (Maestro Cadenza) ho già parlato ai rispettivi link.
Bill Condon è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come L'inferno nello specchio (Candyman 2), Demoni e dei, The Twilight Saga - Breaking Dawn parte I e II e Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto. Anche sceneggiatore (ha vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale di Uomini e dei), produttore e attore, ha 62 anni.
Dan Stevens interpreta Bestia. Inglese, favoloso David Haller in Legion, ha partecipato anche alla serie Downton Abbey. Anche produttore, ha 35 anni e cinque film in uscita.
Kevin Kline interpreta Maurice. Americano, lo ricordo per film come La scelta di Sophie, Il grande freddo, Un pesce di nome Wanda (che gli è valso l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista), Bolle di sapone, Charlot - Chaplin, Creature selvagge, Tempesta di ghiaccio, In & Out, Sogno di una notte di mezza estate e Wild Wild West; inoltre, ha prestato la voce per film come Il gobbo di Notre Dame. Anche regista, ha 70 anni.
Gugu Mbatha-Raw interpreta Spolverina. Inglese, ha partecipato a film come Free State of Jones, Miss Sloane e a serie quali Doctor Who e Black Mirror. Ha 34 anni e quattro film in uscita.
Josh Gad, che interpreta LeTont, è la voce originale del pupazzo Olaf di Frozen. A Ryan Gosling era stato offerto il ruolo della Bestia ma ha rifiutato per partecipare a La La Land; Emma Watson ha invece fatto il contrario, preferendo essere Belle invece di recitare nel film di Chazelle. Ian McKellen è invece ritornato sui suoi passi visto che, nel 1991, aveva rinunciato a doppiare Tokins. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate La bella e la bestia originale e al massimo anche quello di Christophe Gans. ENJOY!
Trama: Belle, atipica ragazza francese, finisce in un castello abitato da una Bestia e dai suoi servi, tutti trasformati in oggetti semoventi da una maledizione. Solo se la Bestia, un tempo principe viziato e crudele, riuscirà ad amare e ad essere riamato a sua volta la maledizione scomparirà ma il tempo stringe...
Non starò a parlare della storia de La Bella e la Bestia, in quanto il film di Bill Condon ne è una riproposta fedelissima con pochissime aggiunte irrilevanti alla comprensione della trama, qualche variante poco fastidiosa e un paio di canzoni in più: se volete una disamina completa del più bel film d'animazione mai realizzato dalla Disney la trovate QUI. Allo stesso modo, non starò a sottolineare come La bella e la bestia originale sia un capolavoro che questo live action non solo non supera (era palese e scontato) ma neppure raggiunge, anche se vorrei puntualizzare come le espressioni e i movimenti della Belle animata nei tre momenti chiave della pellicola (quando viene imprigionata dalla Bestia, quando è indecisa se lasciarlo al suo destino e quando sul finale si rende conto di amarlo) e, soprattutto, gli incredibili tocchi horror gotici di cui il film del 1991 è zeppo qui se li sono proprio sognati, privando la pellicola di gran parte del suo fascino. Fissate queste premesse, posso però solennemente dire che La bella e la bestia di Bill Condon è un gran bel film, più che altro è un gran bell'omaggio alla pellicola originale e in particolare alla sua anima musical, perfettamente rispettata. Molti hanno giustamente parlato di film inutile, ché qui non si parla di reinterpretazione quanto piuttosto di una riproposta quasi filologica di dialoghi, melodie (se ne può parlare, ché lo score dell'originale in determinati momenti topici era fenomenale, qui un po' meno), numeri musicali e persino inquadrature, con alcune sequenze prese pari pari dal film di Trousdale e Wise, quindi perché guardare questo quando esiste l'originale? Verissimo, per carità, questa è in effetti una domanda alla quale non so rispondere ma, al di là degli obiettivi prettamente economici della Disney, forse la scelta di un non fan tra l'uno e l'altro film dipende semplicemente dal gusto personale: c'è chi non ama l'animazione e chi magari preferisce un connubio di attori veri e personaggi creati in CGI per godersi la storia di Belle e la Bestia, chissà. Sta di fatto che in molti, me compresa, hanno applaudito alla fine de La bella e la bestia ed è lo stesso applauso che mi è scattato in automatico quando ero andata a vedere il musical originale a Milano, scaturito dalla sensazione di avere davanti un opera nuova che rispetta ciò che ho tanto amato e lo ripropone attraverso un mezzo diverso e magari più spettacolare e congeniale ad alcuni spettatori.
Spettacolare è infatti la definizione che calza meglio al nuovo La bella e la bestia, non a caso quasi un musical in tutto e per tutto. A differenza del ridondante, fastidiosissimo Cenerentola di Branagh, qui scenografi, costumisti e responsabili degli effetti speciali hanno dato il bianco: dalla creazione del vertiginoso castello della Bestia, agli splendidi abiti di Belle (lasciamo perdere l'iconico abito giallo/oro, che mi si è serrato lo stomaco per l'invidia al pensiero di come debba essersi sentita Emma Watson ad indossarlo, in generale è proprio la rivisitazione degli abiti "normali" di Belle ad essere splendida, arricchita da un gusto francese e bohemien tutto particolare), dalla stanza rococò dove viene rinchiusa Belle alla ricostruzione della taverna di Gaston, tutto è realizzato in maniera talmente ricca e allo stesso tempo "familiare" da far venire la pelle d'oca. Se vogliamo parlare dei numeri musicali, alla già citata canzone di Gaston mi sono trattenuta dal saltare sulla poltrona e mettermi a ballare, durante la sequenza del ballo la Bestia si profonde in un movimento talmente sensuale che ho pensato "ce n'è!", mentre il numero di Stia con noi è animato talmente bene che basterebbe anche solo quello per compensare il prezzo dell'inutile (e sottolineo inutile) 3D e aggiungo che fortunatamente tutte le creature generate al computer sono ben diverse dall'orripilio mostrato nei trailer e ben distanti dalle tremebonde lucertole di Cenerentola o le fatine di Maleficent (tolto che Mrs Bric con quegli occhietti inquietanti non mi è proprio piaciuta ma de gustibus). Favolosa anche la svolta gay di LeTont, una carta giocata quasi come inside joke eppure senza essere portata all'eccesso né coperta di ridicolo: il personaggio si distacca anzi dal ruolo di "scemo" mostrato nell'originale film Disney per diventare una specie di "coscienza" che Gaston tuttavia rifiuta, un diverso che non riesce a sostenere ciecamente il suo amato quando le azioni di quest'ultimo diventano troppo immorali anche per lui e vanno ad infrangere l'illusoria perfezione dell'apparenza del rozzo Capitano.
Detto questo, difetti ce ne sono, per carità. Non ho apprezzato la reiterazione di alcune cose, come per esempio la ricomparsa della fata sul finale (quasi un ripensamento di quest'ultima mentre invece nell'originale Disney i tempi della maledizione venivano rispettati), né le sgradevoli giustificazioni della natura viziata del Principe oppure il racconto della madre di Belle, evocato tra l'altro da una specie di teletrasporto magico a dir poco ridicolo, oltre che affatto funzionale ai fini della trama, e purtroppo le atmosfere horror del confronto tra la Bestia e Gaston (soprattutto il progressivo scambio di ruoli tra i due, che vede sul finale un Gaston mostruoso e una Bestia umanissima nel suo rassegnato dolore) sono andate completamente perdute, cosa gravissima. Passando all'adattamento italiano, ho trovato quello delle canzoni oltre il terrificante e solo la mia capacità di sostituire mentalmente ai testi nuovi quelli che adoro fin dall'età di 10 anni, chiudendo mente ed orecchie al nuovo abominio, mi ha salvata dall'orrore, nonostante qualche bestemmia sia comunque volata, non lo nego: la differenza tra i due adattamenti è impietosa e se è vero che quello attuale è più vicino all'inglese, ci sono momenti in cui la metrica non riesce a rispettare la melodia e il ritmo, senza contare che quello del 1991 era molto più delicato, adulto e fantasioso. Anche la voce nuova della Bestia fa accapponare la pelle ma fortunatamente la nuova canzone cantata dal personaggio, Evermore, è splendida sia in italiano che in inglese e nella nostra lingua ricorda molto i pezzi più belli ed intensi di Notre Dame De Paris, cosa che ha contribuito a rendermela ancora più gradita. L'unico difetto che non ho riscontrato è l'interpretazione di Emma Watson: credevo l'avrei odiata ma non è stato così e, nonostante il migliore del cast sia Luke Evans col suo favoloso Gaston (pur senza petto villoso), questa nuova Belle dallo sguardo fiero e volitivo mi è piaciuta davvero molto, soprattutto quando dimentica di rimettersi a posto la gonna e va in giro mostrando i mutandoni della nonna. Degna figlia di un inventore folle e smemorato! Quindi, in soldoni, La bella e la bestia del 1991 tutta la vita ma anche quello nuovo merita lodi e carezze invece di sputi ed ignominia.
Di Emma Watson (Belle), Luke Evans (Gaston), Ewan McGregor (Lumière), Ian McKellen (Tokins), Emma Thompson (Mrs. Bric) e Stanley Tucci (Maestro Cadenza) ho già parlato ai rispettivi link.
Bill Condon è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come L'inferno nello specchio (Candyman 2), Demoni e dei, The Twilight Saga - Breaking Dawn parte I e II e Mr. Holmes - Il mistero del caso irrisolto. Anche sceneggiatore (ha vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale di Uomini e dei), produttore e attore, ha 62 anni.
Dan Stevens interpreta Bestia. Inglese, favoloso David Haller in Legion, ha partecipato anche alla serie Downton Abbey. Anche produttore, ha 35 anni e cinque film in uscita.
Kevin Kline interpreta Maurice. Americano, lo ricordo per film come La scelta di Sophie, Il grande freddo, Un pesce di nome Wanda (che gli è valso l'Oscar come Miglior Attore Non Protagonista), Bolle di sapone, Charlot - Chaplin, Creature selvagge, Tempesta di ghiaccio, In & Out, Sogno di una notte di mezza estate e Wild Wild West; inoltre, ha prestato la voce per film come Il gobbo di Notre Dame. Anche regista, ha 70 anni.
Gugu Mbatha-Raw interpreta Spolverina. Inglese, ha partecipato a film come Free State of Jones, Miss Sloane e a serie quali Doctor Who e Black Mirror. Ha 34 anni e quattro film in uscita.
Josh Gad, che interpreta LeTont, è la voce originale del pupazzo Olaf di Frozen. A Ryan Gosling era stato offerto il ruolo della Bestia ma ha rifiutato per partecipare a La La Land; Emma Watson ha invece fatto il contrario, preferendo essere Belle invece di recitare nel film di Chazelle. Ian McKellen è invece ritornato sui suoi passi visto che, nel 1991, aveva rinunciato a doppiare Tokins. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate La bella e la bestia originale e al massimo anche quello di Christophe Gans. ENJOY!