Dopo dieci anni ho rivisto grazie a Netflix il film Monster House, diretto nel 2006 dal regista Gil Kenan. E siccome buona parte del film è ambientata ad Halloween colgo l'occasione per augurarvi un meraviglioso 31 ottobre, con menzione a parte e un augurio specialissimo a Giulia de La collezionista di biglietti!!
Trama: DJ è un ragazzino curioso che passa le giornate ad osservare il vicino di casa, un anziano e rabbioso signore che impedisce a chiunque di avvicinarsi alla sua dimora. Proprio per colpa di un contrasto con DJ, l'uomo viene un giorno portato via dall'ambulanza e la casa priva di guardiano si rivela pericolosamente viva e famelica...
Correva l'anno 2006 e la Bolla Australiana si fiondava al cinema spinta dalla pubblicità e dalle recensioni entusiaste piovute addosso a Monster House, per uscire dal cinema ovviamente galvanizzata, nonostante le difficoltà linguistiche e l'assenza di sottotitoli. Undici anni dopo posso dire che Monster House, anche visto in italiano su uno schermo piccino, non ha perso verve e che rimane un piccolo gioiellino d'animazione, nonché un esempio di come si possa realizzare un ottimo film horror per ragazzi. Non lasciatevi infatti ingannare dall'utilizzo dell'animazione (o, meglio, della motion capture): Monster House sarà anche, e ci mancherebbe, privo di sangue, torture o violenze gratuite ma E' comunque un horror, non una belinata edulcorata per venire incontro ai bisogni dei più piccini. Inoltre, grazie a numi tutelari come Steven Spielberg e Robert Zemeckis è un horror per ragazzi dalle atmosfere molto anni '80 e la sceneggiatura racchiude molti degli stilemi di pellicole quali Scuola di mostri, Goonies, Non aprite quel cancello, per non parlare poi dei richiami a Poltergeist - Demoniache presenze (è un caso che Gil Kenan sia finito a dirigere quell'inutile remake? Noi del Bollalmanacco pensiamo di no!) o all'onnipresente Stephen King (omaggiato più volte durante il film). I protagonisti di Monster House sono tre ragazzini normalissimi e anche un po' sfigati, ai quali capita di venire "toccati" dal sovrannaturale proprio durante una tranquilla vigilia di Halloween in cui il personaggio principale, DJ, viene lasciato solo dai genitori. Nel corso del film, DJ, Timballo e Jenny non si trovano solo ad avere a che fare con la casa infestata del titolo ma anche e soprattutto con l'idea di mortalità, con la consapevolezza che gli adulti non saranno sempre lì a togliere le castagne dal fuoco per loro (se mai ci sono stati), che le persone sono molto più complesse di come appaiono, che crescere non significa abbandonare banalmente i passatempi d'infanzia bensì diventare consapevoli di noi stessi e degli altri pur continuando a fare "dolcetto o scherzetto" con gli amici scemi. Il tutto mentre una casa senziente e maligna cerca di divorarli, dopo che per anni l'inquietante padrone ha terrorizzato il vicinato con divieti d'accesso, urla e soprusi, senza contare che persino la babysitter e il suo ragazzo sono cattivissimi con DJ. Insomma, disagio e brividi a palate, il che rende Monster House non proprio adattissimo a un pubblico di bambini piccoli.
Le atmosfere cupe del cartone vengono appena mitigate da un umorismo nero e da battute che starebbero bene in una commedia per adulti eppure c'è anche spazio per almeno un momento di sincera commozione; anche lì, è un sentimento che probabilmente non tutti i giovani spettatori potranno capire poiché mescola dolore, rabbia, desiderio di vendetta e amore e offre il fianco a delle considerazioni molto tristi ed inquietanti, inusuali per un cartone animato. A fronte di tutte queste particolarità, bisogna dire che la confezione di questo gioiellino è altrettanto preziosa. Primo film dalla sceneggiatura originale ad essere stato girato quasi interamente con la tecnica della motion capture (Zemeckis, qui produttore, aveva già realizzato nel 2004 Polar Express), porta sullo schermo personaggi dall'aspetto caricaturale ma gradevole e, soprattutto, delle animazioni già molto fluide. L'aspetto horror è interamente racchiuso nel sembiante della casa e viene reso non solo grazie all'incredibile accuratezza con cui gli animatori hanno dotato l'edificio di caratteristiche antropomorfe ma anche ad un valido uso di luci, ombre e inquadrature, interamente derivate dalla tradizione horror: la casa di Amityville è la prima che salta alla mente ma ci sono anche echi raimiani negli alberi del giardino, che si animano nemmeno fossimo in un Evil Dead qualsiasi. Purtroppo, agli Academy Award del 2007 gli è stato preferito Happy Feet (pur diretto da un George Miller probabilmente drogato, per carità!), a dimostrazione di come qualunque cosa vagamente in odore di horror venga guardata ancora con sospetto dai maledetti vecchiacci dell'Academy; altra cosa che mi stupisce, sul web di Monster House si parla poco ed è un peccato perché è una pellicola ottimamente scritta e realizzata, che meriterebbe un ripescaggio e miglior considerazione!
Del regista Gil Kenan ho già parlato QUI. Steve Buscemi (Neddercracker), Catherine O'Hara (Mamma), Fred Willard (Papà), Maggie Gyllenhaal (Zee), Jason Lee (Punk), Kevin James (Agente Landers) e Kathleen Turner (Constance) li trovate invece ai rispettivi link.
La doppiatrice della bambinetta all'inizio, l'attrice Ryan Newman, sarebbe poi finita a fare la figlia di Fin Sheperd nel terzo e quarto capitolo della saga Sharknado mentre il doppiatore originale di Freak è Jon Heder, alias Napoleon Dynamite. In fase di realizzazione la sceneggiatura è stata tagliata e modificata in un paio di punti: in particolare, per ottenere un PG rating si è dovuto fare uscire dalle fondamenta della casa le vittime inghiottite durante il film (più o meno per lo stesso motivo due bulletti che DJ attira consapevolmente nella casa per usarli come esche non sono stati inseriti nella pellicola) mentre il fatto che Punk e Freak fossero parte dello stesso gruppo musicale è semplicemente stato lasciato fuori dalla pellicola. Detto questo, se Monster House vi fosse piaciuto recuperate ParaNorman, Coraline e la porta magica e magari anche Scuola di mostri. ENJOY!
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martedì 31 ottobre 2017
domenica 29 ottobre 2017
Gli orrori del castello di Norimberga (1972)
Documentandomi durante la stesura del post su La cura dal benessere è venuto fuori che la figura del villain principale potrebbe essere vagamente assimilabile a quella del "barone sanguinario" de Gli orrori del castello di Norimberga, diretto nel 1972 dal regista Mario Bava. Non poteva non scattare il recupero automatico...
Trama: l'erede di un nobile casato austriaco torna nella terra dei suoi avi ed evoca volutamente il crudele barone Otto Von Kleist, vittima della maledizione di una strega e condannato a venire resuscitato tra atroci sofferenze. Il barone ricomincia subito a mietere vittime e il suo erede cerca così di rimediare al danno fatto...
Allora, cominciamo col dire che Gli orrori del castello di Norimberga c'entra davvero poco con La cura dal benessere, sia per l'aspetto visivo che per quello legato alla trama o alla figura del Barone, tuttavia è davvero un bellissimo film e sono contenta di averlo recuperato, colmando così un'ulteriore lacuna legata al grande Mario Bava. Ad essere sinceri, la trama che sta alla base de Gli orrori del castello di Norimberga non è nulla di che, è poco più di un canovaccio gotico zeppo, almeno sul finale, di passaggi poco chiari ed ingenuità... perdonatemi, quindi, se la prima parte del post sarà simile alle prese in giro che riservo solitamente agli horror italici di serie Z. In pratica, un americanotto di belle speranze torna nella terra dei suoi avi per comprovare l'autenticità di una pergamena contenente una maledizione che dovrebbe far tornare in vita il Barone Sanguinario del titolo americano. I motivi che spingono il giovane sono "altamente scientifici", in quanto costui vorrebbe poter parlare col suo antenato e scoprire quale sarebbe l'aspetto di un morto resuscitato, e il proposito non si leverà dalla sua testolina neppure dopo che il Barone risorto avrà cominciato ad impilare (o impAlare) cadaveri negli ameni boschetti austriaci perché, insomma, "è un'occasione unica". Che poi il bel Peter non abbia praticamente occasione di parlare col Barone in quanto la creatura resuscitata ha per il belino di fare conversazione, interessato solo ad ammazzare gente, è un altro paio di maniche, così come è chiaro che il protagonista si sia laureato grazie ai soldi visto che non brilla per intelletto e combina un casino dopo l'altro giusto per spiccare davanti ai begli occhi della giovane Eva. Costei a un certo punto, non sto a dirvi quando, finisce in un altro film, probabilmente un porno, e comincia a simulare un malore che a me è sembrato molto simile a un mezzo orgasmo; la cosa farebbe pensare che Eva sia dotata di poteri psichici ma viene lasciata cadere così com'è arrivata e l'aspetto esoterico della questione viene passato ad una medium che non sa bene cosa voglia fare della vita e, soprattutto!, ad una bimbetta talmente sapiente da far invidia a Detective Conan. Quanto al finale delirante... beh, per come l'ho interpretato io è una botta di fortuna incredibile, visto che la strega, evocata dalla medium, si è guardata bene dal dire a Eva e Peter come uccidere il barone e come utilizzare un importantissimo amuleto, quindi tutto è bene quel che finisce bene e più non dimandare.
Per fortuna, nonostante la storia un po' sfilacciata e piena di momenti perplimenti, l'impianto visivo imbastito da Bava è talmente bello da commuovere. Il regista innanzitutto ignora qualsiasi soluzione facile e riempie lo schermo di inquadrature riprese da angolazioni particolari, ribaltamenti di prospettiva, intensi primi piani, prospettive illusorie (il modo in cui sembra che la medium sia in fiamme senza neppure l'ausilio di un effetto speciale dovrebbe fare vergognare il 90% dei registi viventi) e movimenti di macchina tra il vertiginoso e l'ipnotico, al punto che per l'intero minutaggio di pellicola si ha l'impressione di avere davanti un quadro semovente. Alla bellezza della composizione dell'immagine si accompagnano una fotografia dai colori brillanti (e lo so che il sangue sembra finto ma è bellissimo anche quello) che non perde efficacia nelle scene più buie, all'interno delle quali l'illuminazione risulta assai naturale, delle scenografie mozzafiato (lo studio della medium è davvero splendido, interessante per la mescolanza di elementi esoterici ed etnici) e dei costumi che... no, non esiste un aggettivo, sappiate che avrei voluto l'intero guardaroba di Elke Sommer, pur non potendomelo permettere fisicamente. Oltre alla Sommer, di una bellezza incredibile benché leggermente cagnussa nei momenti più "horror", il film è graziato da un altro terzetto di personaggi femminili capaci di rimanere impressi nella mente dello spettatore, in primis la piccola Nicoletta Elmi, con quel faccino lentigginoso e i capelli rossi, ma anche medium e strega sono molto evocative e raffinate. Meno bene i personaggi maschili: Joseph Cotten ruba la scena con o senza trucco ma Massimo Girotti e, soprattutto, Antonio Cantafora sono tanto belli quanto privi di carisma, il che non va bene soprattutto per Cantafora, che dovrebbe essere il protagonista ma si fa rubare la scena dalla Sommer e da Cotten. A parte questi trascurabili difettucci, se amate il gotico italiano e la regia dell'immenso Bava non potete proprio lasciarvi scappare Gli orrori del castello di Norimberga, nemmeno se La cura dal benessere vi ha fatto schifo come al 90% degli spettatori!
Del regista Mario Bava ho già parlato QUI mentre Joseph Cotten, che interpreta il Barone Otto Von Kleist, lo trovate QUA.
Elke Sommer (vero nome Elke Schletz) interpreta Eva Arnold. Tedesca, ha partecipato a film come Intrigo a Stoccolma, Lisa e il diavolo, La casa dell'esorcismo e a serie come Fantasilandia e Love Boat. Ha 77 anni.
Massimo Girotti interpreta il Dr. Karl Hummel. Marchigiano, ha partecipato a film come I pirati della Malesia, Le due tigri, Ossessione, Spartaco, Senso, Ultimo tango a Parigi, Il mostro, La finestra di fronte e a serie come I promessi sposi. E' morto nel 2003, all'età di 84 anni.
Antonio Cantafora interpreta Peter Kleist. Calabrese, ha partecipato a film come Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, Noi non siamo angeli, Dèmoni 2... l'incubo ritorna, Vacanze di Natale '90, A spasso nel tempo, Il cartaio e a serie come Elisa di Rivombrosa. Ha 73 anni.
Nicoletta Elmi interpreta Gretchen Hummel. Nata a Roma, la ricordo per film come Reazione a catena, Il mostro è in tavola... Barone Frankenstein, Profondo rosso e Dèmoni, inoltre ha partecipato alla serie I ragazzi della 3a C. Ha 53 anni e ora fa la logopedista.
Trama: l'erede di un nobile casato austriaco torna nella terra dei suoi avi ed evoca volutamente il crudele barone Otto Von Kleist, vittima della maledizione di una strega e condannato a venire resuscitato tra atroci sofferenze. Il barone ricomincia subito a mietere vittime e il suo erede cerca così di rimediare al danno fatto...
Allora, cominciamo col dire che Gli orrori del castello di Norimberga c'entra davvero poco con La cura dal benessere, sia per l'aspetto visivo che per quello legato alla trama o alla figura del Barone, tuttavia è davvero un bellissimo film e sono contenta di averlo recuperato, colmando così un'ulteriore lacuna legata al grande Mario Bava. Ad essere sinceri, la trama che sta alla base de Gli orrori del castello di Norimberga non è nulla di che, è poco più di un canovaccio gotico zeppo, almeno sul finale, di passaggi poco chiari ed ingenuità... perdonatemi, quindi, se la prima parte del post sarà simile alle prese in giro che riservo solitamente agli horror italici di serie Z. In pratica, un americanotto di belle speranze torna nella terra dei suoi avi per comprovare l'autenticità di una pergamena contenente una maledizione che dovrebbe far tornare in vita il Barone Sanguinario del titolo americano. I motivi che spingono il giovane sono "altamente scientifici", in quanto costui vorrebbe poter parlare col suo antenato e scoprire quale sarebbe l'aspetto di un morto resuscitato, e il proposito non si leverà dalla sua testolina neppure dopo che il Barone risorto avrà cominciato ad impilare (o impAlare) cadaveri negli ameni boschetti austriaci perché, insomma, "è un'occasione unica". Che poi il bel Peter non abbia praticamente occasione di parlare col Barone in quanto la creatura resuscitata ha per il belino di fare conversazione, interessato solo ad ammazzare gente, è un altro paio di maniche, così come è chiaro che il protagonista si sia laureato grazie ai soldi visto che non brilla per intelletto e combina un casino dopo l'altro giusto per spiccare davanti ai begli occhi della giovane Eva. Costei a un certo punto, non sto a dirvi quando, finisce in un altro film, probabilmente un porno, e comincia a simulare un malore che a me è sembrato molto simile a un mezzo orgasmo; la cosa farebbe pensare che Eva sia dotata di poteri psichici ma viene lasciata cadere così com'è arrivata e l'aspetto esoterico della questione viene passato ad una medium che non sa bene cosa voglia fare della vita e, soprattutto!, ad una bimbetta talmente sapiente da far invidia a Detective Conan. Quanto al finale delirante... beh, per come l'ho interpretato io è una botta di fortuna incredibile, visto che la strega, evocata dalla medium, si è guardata bene dal dire a Eva e Peter come uccidere il barone e come utilizzare un importantissimo amuleto, quindi tutto è bene quel che finisce bene e più non dimandare.
Per fortuna, nonostante la storia un po' sfilacciata e piena di momenti perplimenti, l'impianto visivo imbastito da Bava è talmente bello da commuovere. Il regista innanzitutto ignora qualsiasi soluzione facile e riempie lo schermo di inquadrature riprese da angolazioni particolari, ribaltamenti di prospettiva, intensi primi piani, prospettive illusorie (il modo in cui sembra che la medium sia in fiamme senza neppure l'ausilio di un effetto speciale dovrebbe fare vergognare il 90% dei registi viventi) e movimenti di macchina tra il vertiginoso e l'ipnotico, al punto che per l'intero minutaggio di pellicola si ha l'impressione di avere davanti un quadro semovente. Alla bellezza della composizione dell'immagine si accompagnano una fotografia dai colori brillanti (e lo so che il sangue sembra finto ma è bellissimo anche quello) che non perde efficacia nelle scene più buie, all'interno delle quali l'illuminazione risulta assai naturale, delle scenografie mozzafiato (lo studio della medium è davvero splendido, interessante per la mescolanza di elementi esoterici ed etnici) e dei costumi che... no, non esiste un aggettivo, sappiate che avrei voluto l'intero guardaroba di Elke Sommer, pur non potendomelo permettere fisicamente. Oltre alla Sommer, di una bellezza incredibile benché leggermente cagnussa nei momenti più "horror", il film è graziato da un altro terzetto di personaggi femminili capaci di rimanere impressi nella mente dello spettatore, in primis la piccola Nicoletta Elmi, con quel faccino lentigginoso e i capelli rossi, ma anche medium e strega sono molto evocative e raffinate. Meno bene i personaggi maschili: Joseph Cotten ruba la scena con o senza trucco ma Massimo Girotti e, soprattutto, Antonio Cantafora sono tanto belli quanto privi di carisma, il che non va bene soprattutto per Cantafora, che dovrebbe essere il protagonista ma si fa rubare la scena dalla Sommer e da Cotten. A parte questi trascurabili difettucci, se amate il gotico italiano e la regia dell'immenso Bava non potete proprio lasciarvi scappare Gli orrori del castello di Norimberga, nemmeno se La cura dal benessere vi ha fatto schifo come al 90% degli spettatori!
Del regista Mario Bava ho già parlato QUI mentre Joseph Cotten, che interpreta il Barone Otto Von Kleist, lo trovate QUA.
Elke Sommer (vero nome Elke Schletz) interpreta Eva Arnold. Tedesca, ha partecipato a film come Intrigo a Stoccolma, Lisa e il diavolo, La casa dell'esorcismo e a serie come Fantasilandia e Love Boat. Ha 77 anni.
Massimo Girotti interpreta il Dr. Karl Hummel. Marchigiano, ha partecipato a film come I pirati della Malesia, Le due tigri, Ossessione, Spartaco, Senso, Ultimo tango a Parigi, Il mostro, La finestra di fronte e a serie come I promessi sposi. E' morto nel 2003, all'età di 84 anni.
Antonio Cantafora interpreta Peter Kleist. Calabrese, ha partecipato a film come Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno, Noi non siamo angeli, Dèmoni 2... l'incubo ritorna, Vacanze di Natale '90, A spasso nel tempo, Il cartaio e a serie come Elisa di Rivombrosa. Ha 73 anni.
Nicoletta Elmi interpreta Gretchen Hummel. Nata a Roma, la ricordo per film come Reazione a catena, Il mostro è in tavola... Barone Frankenstein, Profondo rosso e Dèmoni, inoltre ha partecipato alla serie I ragazzi della 3a C. Ha 53 anni e ora fa la logopedista.
Per il ruolo del Barone erano stati contattati Vincent Price, che ha direttamente rifiutato, e Ray Milland, che era impossibilitato a recarsi nei luoghi delle riprese; per la cronaca, il film è stato girato nel castello di Burg Kreuzenstein, a nord di Vienna, usato anche nel pessimo L'ultimo dei templari. Detto questo, se Gli orrori del castello di Norimberga vi fosse piaciuto recuperate I tre volti della paura, I vampiri e La maschera del demonio. ENJOY!
venerdì 27 ottobre 2017
1922 (2017)
Non ne avete ancora abbastanza di Stephen King, vero? Meglio! Perché su Netflix è uscito in questi giorni 1922, diretto dal regista Zak Hilditch e tratto dal racconto omonimo del Re, contenuto nella raccolta Notte buia, niente stelle.
Trama: l'agricoltore Wilfred James uccide la moglie, con l'aiuto del figlio Henry, per una questione legata all'eredità di un terreno. L'omicidio però genera una reazione a catena di sventure...
Notte buia, niente stelle è al momento la raccolta kinghiana con più chance di venire "completata", con un totale di tre racconti su quattro adattati per il piccolo schermo. Di queste tre opere, A Good Marriage era una schifezzuola televisiva delle peggiori, Big Driver era salvato dalla bella interpretazione di Maria Bello, 1922 è, al momento, cugino degli splendidi adattamenti che ci sono toccati in sorte nel corso di questo glorioso anno (e no, Torre Nera, non sto parlando con te!), forse perché la storia di partenza era già abbastanza angosciante di suo. Più "gotico rurale" che horror, se vogliamo proprio utilizzare delle etichette, 1922 racconta la lenta discesa all'inferno di un figlio della campagna e dell'epoca in cui vive, un uomo che ha due soli punti fermi: il terreno e l'erede al quale lasciarlo. Wilfred è un uomo duro, apparentemente privo di emozioni, quasi bovino nella sua testardaggine, che si è ritrovato in moglie (probabilmente per un errore di gioventù) una donna altrettanto arida, testarda ma, a differenza sua, disgustata all'idea di rimanere per sempre confinata in una fattoria. In una società dove le mogli devono sottostare ai mariti, essere umili e remissive, Arlette è incredibilmente moderna, sogna una vita in città, dove mantenersi con un'attività propria, e parla di divorzio ed avvocati, di vendite e progresso. Non c'è affetto tra i due, la cosa è palese, e a farne le spese è il figlio quattordicenne Henry, che diventa per lei strumento di ricatto e ulteriore pungolo per ferire Wilfred, mentre per quest'ultimo incarna il futuro, un futuro in cui il ragazzo perpetuerà l'eredità del padre, rimanendo legato per sempre agli sterminati campi di grano del Nebraska e ai "valori" della terra. E di fronte a una madre che minaccia di allontanarlo da amici e fidanzata e un padre che si dimostra invece disponibile a garantirgli una sicura routine, cosa potrà mai scegliere un povero quattordicenne che non ha mai visto il mondo? E' qui che si sviluppa l'infido piano di Wilfred, apparentemente scemo e stundaio ma subdolo come pochi, il quale riesce ad insinuarsi nel cuore, nelle paure e nell'innocenza del figlio fino a convincerlo che l'unica soluzione praticabile per vivere "felici per sempre" è proprio uccidere Arlette. L'orrore Kinghiano, la banalità del male, al loro apice. E ovviamente, come in ogni opera del Re che si rispetti, chi lascia entrare il male in casa sua è condannato ad sprofondare nell'abisso, lentamente ma inesorabilmente.
Lento e inesorabile è anche il ritmo della pellicola di Zak Hilditch, che non ha fretta di arrivare al dunque ma si prende tutto il tempo di costruire atmosfere, intessere destini nefasti, lasciare che il maledetto grano nebraskiano incomba sullo spettatore e che lo sguardo di Thomas Jane riempia lo schermo, ora pensoso, ora affilato come una lama, ora colmo di terrore, confusione e infine rassegnazione. Thomas Jane è il cuore pulsante dell'intera operazione. A nulla varrebbero la fedeltà al testo e la personalità con cui Zak Hilditch è riuscito ad evitare il compitino di routine se l'attore nativo del Maryland non si fosse accollato gli scomodi panni di Wilfred e quell'accento da palla da baseball in bocca che rende quasi impossibile la fruizione del film senza sottotitoli; c'è gente che adora Joel Edgerton e il suo abbonamento a ruoli di villico taciturno, ebbene nella mia modesta opinione io sono convinta che Thomas Jane si mastichi Edgerton e lo sputi perché la sua interpretazione non si limita all'ottuso e burbero silenzio ma viene arricchita da acume sottile, perfidia vendicativa, noncuranza nel manipolare un povero figlio ingenuo. 1922 si concentra quindi essenzialmente sulla figura di Wilfred e sulla fisicità di Thomas Jane, lasciando gli altri personaggi (e conseguentemente gli altri attori) un po' in ombra e centellinando gli aspetti puramente horror o sovrannaturali, cosa che in effetti già accadeva nel racconto. Non pensate quindi di guardare 1922 e di passare una serata coi nervi a fior di pelle, pronti a saltare sulla sedia sconvolti dai jump scare: quello del film è un orrore sottile, dove al massimo vi capiterà di provare disgusto se non amate i ratti, inquietudine all'idea di una casa popolata da fantasmi e, soprattutto, un senso di ineluttabile angoscia che non ha bisogno né di effetti speciali né di sequenze al cardiopalma. Per tutti questi motivi 1922 mi è piaciuto molto e, anche se è in grado di camminare con le sue gambe, mi ha fatto tornare la voglia di rileggere il racconto da cui è tratto, giusto per festeggiare i 70 anni di Stephen King. Ah, un avvertimento che nulla toglie alla bellezza della pellicola: se non amate le violenze sugli animali e vedere bestie sofferenti vi turba più di qualsiasi altra cosa, state lontani da questo film, mi raccomando.
Del regista e sceneggiatore Zak Hilditch ho già parlato QUI. Thomas Jane (Wilfred James) e Neal McDonough (Harlan Cotterie) li trovate invece ai rispettivi link.
Molly Parker interpreta Arlette James. Canadese, ha partecipato a film come Il prescelto, American Pastoral e a serie quali Nightmare Cafe, Oltre i limiti, Highlander, Sentinel, Six Feet Under, Dexter e House of Cards. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 45 anni e un film in uscita.
Dylan Schmid, che interpreta Henry, è stato il giovane Baelfire di C'era una volta e ha partecipato anche a Horns, tratto dal romanzo di Joe Hill. Se 1922 vi fosse piaciuto leggetevi il racconto, ovviamente. ENJOY!
Trama: l'agricoltore Wilfred James uccide la moglie, con l'aiuto del figlio Henry, per una questione legata all'eredità di un terreno. L'omicidio però genera una reazione a catena di sventure...
Notte buia, niente stelle è al momento la raccolta kinghiana con più chance di venire "completata", con un totale di tre racconti su quattro adattati per il piccolo schermo. Di queste tre opere, A Good Marriage era una schifezzuola televisiva delle peggiori, Big Driver era salvato dalla bella interpretazione di Maria Bello, 1922 è, al momento, cugino degli splendidi adattamenti che ci sono toccati in sorte nel corso di questo glorioso anno (e no, Torre Nera, non sto parlando con te!), forse perché la storia di partenza era già abbastanza angosciante di suo. Più "gotico rurale" che horror, se vogliamo proprio utilizzare delle etichette, 1922 racconta la lenta discesa all'inferno di un figlio della campagna e dell'epoca in cui vive, un uomo che ha due soli punti fermi: il terreno e l'erede al quale lasciarlo. Wilfred è un uomo duro, apparentemente privo di emozioni, quasi bovino nella sua testardaggine, che si è ritrovato in moglie (probabilmente per un errore di gioventù) una donna altrettanto arida, testarda ma, a differenza sua, disgustata all'idea di rimanere per sempre confinata in una fattoria. In una società dove le mogli devono sottostare ai mariti, essere umili e remissive, Arlette è incredibilmente moderna, sogna una vita in città, dove mantenersi con un'attività propria, e parla di divorzio ed avvocati, di vendite e progresso. Non c'è affetto tra i due, la cosa è palese, e a farne le spese è il figlio quattordicenne Henry, che diventa per lei strumento di ricatto e ulteriore pungolo per ferire Wilfred, mentre per quest'ultimo incarna il futuro, un futuro in cui il ragazzo perpetuerà l'eredità del padre, rimanendo legato per sempre agli sterminati campi di grano del Nebraska e ai "valori" della terra. E di fronte a una madre che minaccia di allontanarlo da amici e fidanzata e un padre che si dimostra invece disponibile a garantirgli una sicura routine, cosa potrà mai scegliere un povero quattordicenne che non ha mai visto il mondo? E' qui che si sviluppa l'infido piano di Wilfred, apparentemente scemo e stundaio ma subdolo come pochi, il quale riesce ad insinuarsi nel cuore, nelle paure e nell'innocenza del figlio fino a convincerlo che l'unica soluzione praticabile per vivere "felici per sempre" è proprio uccidere Arlette. L'orrore Kinghiano, la banalità del male, al loro apice. E ovviamente, come in ogni opera del Re che si rispetti, chi lascia entrare il male in casa sua è condannato ad sprofondare nell'abisso, lentamente ma inesorabilmente.
Lento e inesorabile è anche il ritmo della pellicola di Zak Hilditch, che non ha fretta di arrivare al dunque ma si prende tutto il tempo di costruire atmosfere, intessere destini nefasti, lasciare che il maledetto grano nebraskiano incomba sullo spettatore e che lo sguardo di Thomas Jane riempia lo schermo, ora pensoso, ora affilato come una lama, ora colmo di terrore, confusione e infine rassegnazione. Thomas Jane è il cuore pulsante dell'intera operazione. A nulla varrebbero la fedeltà al testo e la personalità con cui Zak Hilditch è riuscito ad evitare il compitino di routine se l'attore nativo del Maryland non si fosse accollato gli scomodi panni di Wilfred e quell'accento da palla da baseball in bocca che rende quasi impossibile la fruizione del film senza sottotitoli; c'è gente che adora Joel Edgerton e il suo abbonamento a ruoli di villico taciturno, ebbene nella mia modesta opinione io sono convinta che Thomas Jane si mastichi Edgerton e lo sputi perché la sua interpretazione non si limita all'ottuso e burbero silenzio ma viene arricchita da acume sottile, perfidia vendicativa, noncuranza nel manipolare un povero figlio ingenuo. 1922 si concentra quindi essenzialmente sulla figura di Wilfred e sulla fisicità di Thomas Jane, lasciando gli altri personaggi (e conseguentemente gli altri attori) un po' in ombra e centellinando gli aspetti puramente horror o sovrannaturali, cosa che in effetti già accadeva nel racconto. Non pensate quindi di guardare 1922 e di passare una serata coi nervi a fior di pelle, pronti a saltare sulla sedia sconvolti dai jump scare: quello del film è un orrore sottile, dove al massimo vi capiterà di provare disgusto se non amate i ratti, inquietudine all'idea di una casa popolata da fantasmi e, soprattutto, un senso di ineluttabile angoscia che non ha bisogno né di effetti speciali né di sequenze al cardiopalma. Per tutti questi motivi 1922 mi è piaciuto molto e, anche se è in grado di camminare con le sue gambe, mi ha fatto tornare la voglia di rileggere il racconto da cui è tratto, giusto per festeggiare i 70 anni di Stephen King. Ah, un avvertimento che nulla toglie alla bellezza della pellicola: se non amate le violenze sugli animali e vedere bestie sofferenti vi turba più di qualsiasi altra cosa, state lontani da questo film, mi raccomando.
Del regista e sceneggiatore Zak Hilditch ho già parlato QUI. Thomas Jane (Wilfred James) e Neal McDonough (Harlan Cotterie) li trovate invece ai rispettivi link.
Molly Parker interpreta Arlette James. Canadese, ha partecipato a film come Il prescelto, American Pastoral e a serie quali Nightmare Cafe, Oltre i limiti, Highlander, Sentinel, Six Feet Under, Dexter e House of Cards. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 45 anni e un film in uscita.
Dylan Schmid, che interpreta Henry, è stato il giovane Baelfire di C'era una volta e ha partecipato anche a Horns, tratto dal romanzo di Joe Hill. Se 1922 vi fosse piaciuto leggetevi il racconto, ovviamente. ENJOY!
giovedì 26 ottobre 2017
(Gio)WE, Bolla! del 26/10/2017
Buon giovedì a tutti! Passata l'euforia da It? Ma manco per sogno! Ricordandovi che il 31 ottobre è Halloween e che al cinema riproporranno per l'occasione Shining di Stanley Kubrick (anche a Savona!) vediamo un po' cos'è arrivato dalle mie parti... ENJOY!
Thor: Ragnarok
Terapia di coppia per amanti
Vittoria e Abdul
La ragazza della nebbia
Anche al cinema d'élite c'è profumo d'India...
Il palazzo del Viceré
Thor: Ragnarok
Reazione a caldo: MEH.
Bolla, rifletti!: Di tutte le serie cinematografiche Marvel quella di Thor è quella che preferisco meno, il secondo capitolo in particolare è stata una ciofeca abominevole. L'arrivo di Taika Waititi, uomo che apprezzo molto, potrebbe imprimere più personalità al franchise ma chi l'ha visto ha parlato di gigantesca supercazzola dai toni comici quindi già tremo...Terapia di coppia per amanti
Reazione a caldo: Uff...
Bolla, rifletti!: Che palle. Questo per Sermonti andrei a vederlo ma perché affiancargli Ambra Angiolini? Perché? Io quella non la sopporto da tempi immemori...Vittoria e Abdul
Reazione a caldo: L'inglesità che mette a posto le cose!
Bolla, rifletti!: Ho un debole per la monarchia britannica e la presenza di Judi Dench mi invoglia ancora di più ad andare a scoprire questa storia vera che ancora non conoscevo. Speriamo non l'abbiano troppo romanzata...La ragazza della nebbia
Reazione a caldo: Mistero!
Bolla, rifletti!: Non ho letto il romanzo da cui è tratto (che novità...) ma a pelle mi intriga, soprattutto il trailer è molto inquietante. Bisogna solo vedere se lo terranno abbastanza perché io riesca a vederlo, anche perché la settimana prossima si preannuncia zeppa di impegni!Anche al cinema d'élite c'è profumo d'India...
Il palazzo del Viceré
Reazione a caldo: Sì, questa è la settimana della monarchia britannica...
Bolla, rifletti!: Vittoria e Abdul racconta dell'amicizia tra la monarca e un suo servo indiano, Il palazzo del Viceré ci mostra cosa ne è stato dell'India dopo la morte della regina Vittoria, con Gillian Anderson ospite speciale. Da recuperare anche questo, direi!mercoledì 25 ottobre 2017
Shakma - La scimmia che uccide (1990)
L'ho trovato, finalmente. Dopo mesi l'ho trovato. E con Shakma - La scimmia che uccide (Shakma), diretto nel 1990 dai registi Hugh Parks e Tom Logan, la mia follia estiva per i monkey horror può definirsi conclusa, anche se siamo quasi a novembre.
Trama: un gruppo di studenti di medicina si riunisce all'interno del politecnico per fare un gioco di ruolo ma non sanno che il babbuino Shakma, reso folle e rabbioso da degli esperimenti, si è liberato e vaga per l'edificio, assetato di sangue...
Perché mi sono incaponita così tanto con Shakma - La scimmia che uccide? Perché, dopo aver pensato erroneamente per anni che Link fosse il mio film preferito a tema scimmie pazze, quello che avrò visto cento volte in TV da ragazzina, guardandolo qualche mese fa ho capito di non averlo mai visto in vita mia e, tolto Monkey Shines in partenza, rimaneva solo Shakma come ultima pellicola della triade scimmiesca anni '80-'90. Ricordavo corridoi, porte chiuse, scimmie che vi sbattevano contro, sangue e computer e in effetti, qualche sera fa, questo è quello che è passato sullo schermo della mia TV, con mia somma gioia. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Ehm... no. Perché Shakma fa veramente pena, pietà e compassione e giusto una bambina degli anni '80 avrebbe potuto goderselo fino a fissarlo nella mente come film cult. Shakma non è solo diretto male e recitato peggio, è pure incommensurabilmente stupido, persino per gli standard di un "horror" di serie z. Da qui in poi ci saranno spoiler come se piovessero ma chissene. Il motivo barbino che porta le vittime di Shakma a chiudersi in un politecnico è l'idea di giocarvi all'interno un RPG a tema fantasy (!!), cosa che già di per sé fa ridere i polli. Non paghi, gli sceneggiatori hanno deciso di dotare il master (un sottoutilizzato Roddy McDowall) di un programmino sminchio girante su DOS ma capace di seguire tutti i giocatori all'interno dell'edificio benché gli stessi siano dotati soltanto di un walkie talkie e, ovviamente, è palese che i coinvolti avessero giusto una vaga infarinatura di giochi di ruolo (forse per sentito dire...) perché la sessione ludica consiste nel girare a caso per le stanze, risolvere sciocchi indovinelli e chiedere "chiavi" al master, con l'obiettivo di raggiungere la principessa (della quale poi parlerò) chiusa all'ultimo piano dell'edificio. In tutto questo, c'è un tizio costretto a fare il "cattivo" che non ha nessun interesse a giocare ma sta lì a perder tempo cercando di far fallire il gioco per poter correre dalla fidanzata. E poi, ovviamente, c'è la scimmia, che dovrebbe essere la punta di diamante horror del film e venire applaudita per lo scempio perpetrato nei confronti di un'umanità così scema... il problema è che un babbuino vero lo puoi utilizzare al massimo per un campo medio e per farlo sembrare aggressivo l'unica cosa che puoi fargli fare è costringerlo a gettarsi contro porte chiuse nascondendo una babbuina in calore dietro le stesse, così che gli spettatori confondano arrunchio sessuale per rabbia. True story.
Di fatto, per sopravvivere alla furia di Shakma sarebbe bastato che i personaggi rimanessero nascosti dietro le porte e aspettassero il lunedì così che il politecnico si riempisse di gente e possibili soccorritori. Invece, davanti a una scimmia che non sa aprire le porte i geni del male scelgono generosamente di andarle incontro, uscendo e abbandonando il loro comodo rifugio; di più, uno di loro si prende anche il tempo di sistemare i cadaveri dei compagni caduti e persino il lusso di NON chiedere soccorso alla polizia pur avendo un telefono in mano e il 911 già in linea. Sulla tizia che lancia forchette all'esterno per attirare l'attenzione di una tizia in macchina con l'autoradio a manetta sorvolo, non ce la posso fare. Ma torniamo a Shakma. Avrete ormai capito che per la maggior parte del tempo il babbuino attacca le porte con eccitaz... ehm.. rabbia. Quel chiulo rossissimo è palese sintomo di rabbia, e che cavolo. Quando poi c'è necessità di mostrare sangue o di gettare acido in faccia agli incauti ecco che subentra un ottimo pupazzone peloso da scuotere alla bisogna, oppure qualche povero attore infilato in un caldissimo costume da babbuino, probabilmente la stessa attrice che hanno utilizzato per interpretare la principessa in pericolo, chissà. Avevo promesso di tornare sulla principessa, tale Ari Meyers, forse l'aspetto più inquietante del film. Questa tizia dovrebbe recitare la parte di una ragazzina ma in realtà pare una vecchia affetta da nanismo e il rapporto tra lei e quello che vorrebbe diventasse il suo cavaliere è a dir poco ambiguo; lì per lì pensavo che lui ne fosse innamorato, invece il bel tomo (lo stesso, inespressivo belinone biondo di Laguna blu per la cronaca) ha una tresca con un'altra ed è solo la ragazzina a provare un sentimento verso costui, sentimento esplicato attraverso un orrido travestimento da... odalisca? Ballerina di un qualche varietà italiano anni '80? Skipper prostituta? Non è dato sapere. Insomma, altro che bei ricordi d'infanzia, Shakma è una schifezza di proporzioni epiche, cazziata persino dal Bolluomo che ha finalmente esclamato: "Ma perché mi fai vedere 'sti film brutti?". Ingrato. E io che lo faccio perché so quanto gli piacciono le scimmie!!
Di Roddy McDowall, che interpreta Sorenson, ho già parlato QUI.
Hugh Parks è il regista della pellicola. Probabilmente americano, ha diretto altri film a me sconosciuti di cui uno, Bikini College, arrivato sulle TV italiane. Anche produttore, di lui non si conosce l'età e non si trovano foto. Meglio dunque parlare del co-regista Tom Logan, sessantaquattrenne americano che ha a sua volta diretto Bikini College e anche altra roba sconosciuta mai arrivata nel nostro Paese. Anche produttore, sceneggiatore, attore e compositore, ha ben due film in uscita.
Christopher Atkins interpreta Sam. Americano, conosciuto come "il manzo di Laguna Blu" (madonna che tristezza di film...) ha partecipato ad altre pellicole come Uccelli 2 - La paura, Detective Extralarge: Miami Killer, Laguna blu: Il risveglio e a serie quali Dallas e CSI: Scena del crimine. Anche sceneggiatore e produttore, ha 56 anni e ben sei film in uscita.
Amanda Wyss interpreta Tracy. Americana, conosciuta come la Tina di Nightmare - Dal profondo della notte, ha partecipato ad altre pellicole come Fuori di testa, Silverado e a serie quali Highlander, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, ER Medici in prima linea, Streghe, Cold Case, Dexter e CSI: Scena del crimine. Ha 57 anni e ben cinque film in uscita.
Se Shakma - La scimmia che uccide (distribuito in Italia sul mercato home video anche col titolo Shakma - Morire per gioco) vi fosse piaciuto recuperate Monkey Shines - Esperimento nel terrore e Link. ENJOY!
Trama: un gruppo di studenti di medicina si riunisce all'interno del politecnico per fare un gioco di ruolo ma non sanno che il babbuino Shakma, reso folle e rabbioso da degli esperimenti, si è liberato e vaga per l'edificio, assetato di sangue...
Perché mi sono incaponita così tanto con Shakma - La scimmia che uccide? Perché, dopo aver pensato erroneamente per anni che Link fosse il mio film preferito a tema scimmie pazze, quello che avrò visto cento volte in TV da ragazzina, guardandolo qualche mese fa ho capito di non averlo mai visto in vita mia e, tolto Monkey Shines in partenza, rimaneva solo Shakma come ultima pellicola della triade scimmiesca anni '80-'90. Ricordavo corridoi, porte chiuse, scimmie che vi sbattevano contro, sangue e computer e in effetti, qualche sera fa, questo è quello che è passato sullo schermo della mia TV, con mia somma gioia. Tutto è bene quel che finisce bene, dunque? Ehm... no. Perché Shakma fa veramente pena, pietà e compassione e giusto una bambina degli anni '80 avrebbe potuto goderselo fino a fissarlo nella mente come film cult. Shakma non è solo diretto male e recitato peggio, è pure incommensurabilmente stupido, persino per gli standard di un "horror" di serie z. Da qui in poi ci saranno spoiler come se piovessero ma chissene. Il motivo barbino che porta le vittime di Shakma a chiudersi in un politecnico è l'idea di giocarvi all'interno un RPG a tema fantasy (!!), cosa che già di per sé fa ridere i polli. Non paghi, gli sceneggiatori hanno deciso di dotare il master (un sottoutilizzato Roddy McDowall) di un programmino sminchio girante su DOS ma capace di seguire tutti i giocatori all'interno dell'edificio benché gli stessi siano dotati soltanto di un walkie talkie e, ovviamente, è palese che i coinvolti avessero giusto una vaga infarinatura di giochi di ruolo (forse per sentito dire...) perché la sessione ludica consiste nel girare a caso per le stanze, risolvere sciocchi indovinelli e chiedere "chiavi" al master, con l'obiettivo di raggiungere la principessa (della quale poi parlerò) chiusa all'ultimo piano dell'edificio. In tutto questo, c'è un tizio costretto a fare il "cattivo" che non ha nessun interesse a giocare ma sta lì a perder tempo cercando di far fallire il gioco per poter correre dalla fidanzata. E poi, ovviamente, c'è la scimmia, che dovrebbe essere la punta di diamante horror del film e venire applaudita per lo scempio perpetrato nei confronti di un'umanità così scema... il problema è che un babbuino vero lo puoi utilizzare al massimo per un campo medio e per farlo sembrare aggressivo l'unica cosa che puoi fargli fare è costringerlo a gettarsi contro porte chiuse nascondendo una babbuina in calore dietro le stesse, così che gli spettatori confondano arrunchio sessuale per rabbia. True story.
Di fatto, per sopravvivere alla furia di Shakma sarebbe bastato che i personaggi rimanessero nascosti dietro le porte e aspettassero il lunedì così che il politecnico si riempisse di gente e possibili soccorritori. Invece, davanti a una scimmia che non sa aprire le porte i geni del male scelgono generosamente di andarle incontro, uscendo e abbandonando il loro comodo rifugio; di più, uno di loro si prende anche il tempo di sistemare i cadaveri dei compagni caduti e persino il lusso di NON chiedere soccorso alla polizia pur avendo un telefono in mano e il 911 già in linea. Sulla tizia che lancia forchette all'esterno per attirare l'attenzione di una tizia in macchina con l'autoradio a manetta sorvolo, non ce la posso fare. Ma torniamo a Shakma. Avrete ormai capito che per la maggior parte del tempo il babbuino attacca le porte con eccitaz... ehm.. rabbia. Quel chiulo rossissimo è palese sintomo di rabbia, e che cavolo. Quando poi c'è necessità di mostrare sangue o di gettare acido in faccia agli incauti ecco che subentra un ottimo pupazzone peloso da scuotere alla bisogna, oppure qualche povero attore infilato in un caldissimo costume da babbuino, probabilmente la stessa attrice che hanno utilizzato per interpretare la principessa in pericolo, chissà. Avevo promesso di tornare sulla principessa, tale Ari Meyers, forse l'aspetto più inquietante del film. Questa tizia dovrebbe recitare la parte di una ragazzina ma in realtà pare una vecchia affetta da nanismo e il rapporto tra lei e quello che vorrebbe diventasse il suo cavaliere è a dir poco ambiguo; lì per lì pensavo che lui ne fosse innamorato, invece il bel tomo (lo stesso, inespressivo belinone biondo di Laguna blu per la cronaca) ha una tresca con un'altra ed è solo la ragazzina a provare un sentimento verso costui, sentimento esplicato attraverso un orrido travestimento da... odalisca? Ballerina di un qualche varietà italiano anni '80? Skipper prostituta? Non è dato sapere. Insomma, altro che bei ricordi d'infanzia, Shakma è una schifezza di proporzioni epiche, cazziata persino dal Bolluomo che ha finalmente esclamato: "Ma perché mi fai vedere 'sti film brutti?". Ingrato. E io che lo faccio perché so quanto gli piacciono le scimmie!!
Di Roddy McDowall, che interpreta Sorenson, ho già parlato QUI.
Hugh Parks è il regista della pellicola. Probabilmente americano, ha diretto altri film a me sconosciuti di cui uno, Bikini College, arrivato sulle TV italiane. Anche produttore, di lui non si conosce l'età e non si trovano foto. Meglio dunque parlare del co-regista Tom Logan, sessantaquattrenne americano che ha a sua volta diretto Bikini College e anche altra roba sconosciuta mai arrivata nel nostro Paese. Anche produttore, sceneggiatore, attore e compositore, ha ben due film in uscita.
Christopher Atkins interpreta Sam. Americano, conosciuto come "il manzo di Laguna Blu" (madonna che tristezza di film...) ha partecipato ad altre pellicole come Uccelli 2 - La paura, Detective Extralarge: Miami Killer, Laguna blu: Il risveglio e a serie quali Dallas e CSI: Scena del crimine. Anche sceneggiatore e produttore, ha 56 anni e ben sei film in uscita.
Amanda Wyss interpreta Tracy. Americana, conosciuta come la Tina di Nightmare - Dal profondo della notte, ha partecipato ad altre pellicole come Fuori di testa, Silverado e a serie quali Highlander, La signora in giallo, Walker Texas Ranger, ER Medici in prima linea, Streghe, Cold Case, Dexter e CSI: Scena del crimine. Ha 57 anni e ben cinque film in uscita.
Se Shakma - La scimmia che uccide (distribuito in Italia sul mercato home video anche col titolo Shakma - Morire per gioco) vi fosse piaciuto recuperate Monkey Shines - Esperimento nel terrore e Link. ENJOY!
martedì 24 ottobre 2017
Brutti e cattivi (2017)
Un trailer accattivante e una sorta di rinnovata fiducia in un certo tipo di cinema italiano mi ha portata domenica scorsa in sala a vedere Brutti e cattivi, diretto e co-sceneggiato dal regista Cosimo Gomez.
Trama: una banda composta da freak porta a segno un colpo milionario in banca ma da quel momento cominciano rivalità e problemi...
Successi di pubblico e critica hanno giustamente portato agli onori della cronaca film come Lo chiamavano Jeeg Robot e Smetto quando voglio. Il comun denominatore di queste opere, al di là dell'accento romano dei protagonisti, è uno stile moderno di regia, montaggio e fotografia (che spesso rimanda ad opere d'oltreoceano), la presenza di antieroi spesso criminali, di un umorismo che non si limita alla scoreggia Boldiana e la contaminazione di generi. Dati gli incassi e le generali critiche positive, era solo questione di tempo prima che questo modello venisse sdoganato e riproposto da altri registi o autori desiderosi di cavalcare l'onda ed ecco quindi arrivare Brutti e cattivi, storia di un branco di freak criminali portata al cinema da Cosimo Gomez, alla sua prima prova come regista e sceneggiatore, ed Alex Infascelli, che lo ha affiancato nella stesura della sceneggiatura. Brutti e cattivi, diciamolo subito, non è nemmeno lontanamente parente né dei film citati sopra né, tantomeno, di un'opera dei Manetti Bros; sembra piuttosto il parto di qualcuno che vorrebbe ma non può/non riesce e che, spinto da eccessivo entusiasmo, ritiene che una scrittura raffazzonata, un'accozzaglia di avanzi di galera, un po' di sangue e qualche effetto speciale possano entusiasmare il pubblico e generare un film memorabile. Il problema di Brutti e cattivi però è che si concentra più sui "fatti" e sugli aspetti folkloristici della trama piuttosto che sui personaggi, i quali altro non sono che due o tre macchiette burine buttate lì, caratterizzati giusto dai loro difetti fisici. Simpatici oppure odiosi quanto volete ma non ce n'è uno col quale si simpatizzi un minimo e lo dimostra il fatto che per metà film il protagonista, il Papero di Santamaria, non si vede neppure ma nonostante questo il film prosegue comunque in tutta tranquillità. Prosegue, tra l'altro, malgrado Santamaria sia l'unico attore del mucchio. Non me ne vogliano i fan di Gomorra, che io purtroppo non ho mai guardato, ma Marco D'Amore sepolto sotto i rasta e costretto ad interpretare il tossico in botta ha dell'imbarazzante, e il nano Simoncino, assieme alla tizia senza braccia, hanno l'espressività di due blocchi di tufo mentre il resto del cast è probabilmente stato preso direttamente dalle strade alla periferia di Roma (salvo solo la dolce e sconosciuta Aline Belibi nei panni di Perla, personaggio decisamente inaspettato e a tratti commovente) e talvolta mi è risultato difficile proprio capire cosa dicessero, gli italiani più dei cinesi o dei russi.
Davanti ad una storia tutto sommato semplice, che potrebbe sfruttare il fascino innegabile dei freak o la loro natura "tribale", come insegnato da Tod Browning e persino da American Horror Story, ma si limita semplicemente ad utilizzare le menomazioni dei protagonisti come un mero escamotage per accentuare la natura weird del film, non è rimasto altro da fare per coinvolgere l'audience che pigiare sull'acceleratore dell'esagerato a tutti i costi. Ecco quindi che Papero e Ballerina scopano di lungo, il "Merda" ha un nome importante, il nano fa i video come i rapper americani (mulinelli, tizie col culo di fuori e riprese dal basso), la gente viene mutilata da malviventi senza scrupoli e il linguaggio è dei più scurrili sentiti ultimamente. Anzi, anche troppo, sinceramente. Che io a sentir dare continuamente della "negra" e della "troia" a una donna, anche per amor di fiction o di aderenza al sottobosco criminale, francamente un po' mi scogliono, ecco. Insomma, più che dai freak sono stata "disturbata" da altro guardando Brutti e cattivi, forse dal suo eccesso di maschilismo (non c'è una donna nel film che venga proposta in altro modo rispetto a "sistema di supporto vitale per la passera", per dirla alla Stephen King, nemmeno la Ballerina) o dal razzismo strisciante sconfinante anche un po' nello stereotipo populista, qualcosa che in una commedia non avrei voluto sentire. Si ride guardando Brutti e cattivi, è vero, ma è una risata spiacevole della quale ci si vergogna quasi e alla fine si rimane a guardare lo schermo pensando sì, carino, dai, ma... un po' scemo? Un po' "va bene, Santamaria ha trovato la sua strada con 'sti personaggi laidi però magari mettiamoci un contorno valido"? Un po' non so bene cosa? Ripensandoci, non avrei voluto scrivere una stroncatura ma questo è quello che è uscito, dunque probabilmente Brutti e cattivi non è un film da consigliare, neanche per quella vaga citazione a Nirvana di Salvatores. Molto meglio ripiegare su Ammore e malavita o attendere il terzo capitolo di Smetto quando voglio.
Di Claudio Santamaria, che interpreta il Papero, ho già parlato QUI.
Cosimo Gomez è il regista e co-sceneggiatore del film, alla sua prima esperienza da regista. Soprattutto scenografo, ha lavorato in pellicole come Il siero della vanità e serie come Che dio ci aiuti e A un passo dal cielo.
Giorgio Colangeli interpreta il Commissario Parisi. Nato a Roma, ha partecipato a film come Il divo, La banda dei Babbi Natale e a serie quali Linda e il brigadiere, Distretto di polizia, Braccialetti rossi e Tutto può succedere. Ha 68 anni e due film in uscita.
Marco D'Amore, che interpreta Giorgio Armani detto "Il merda", è uno dei protagonisti principali della serie Gomorra mentre Simoncino Simone Martucci, ovvero Plissé, è davvero un rapper. Detto questo, se Brutti e cattivi vi fosse piaciuto recuperate Smetto quando voglio, Smetto quando voglio - Masterclass e magari anche Freaks, vah. ENJOY!
Trama: una banda composta da freak porta a segno un colpo milionario in banca ma da quel momento cominciano rivalità e problemi...
Successi di pubblico e critica hanno giustamente portato agli onori della cronaca film come Lo chiamavano Jeeg Robot e Smetto quando voglio. Il comun denominatore di queste opere, al di là dell'accento romano dei protagonisti, è uno stile moderno di regia, montaggio e fotografia (che spesso rimanda ad opere d'oltreoceano), la presenza di antieroi spesso criminali, di un umorismo che non si limita alla scoreggia Boldiana e la contaminazione di generi. Dati gli incassi e le generali critiche positive, era solo questione di tempo prima che questo modello venisse sdoganato e riproposto da altri registi o autori desiderosi di cavalcare l'onda ed ecco quindi arrivare Brutti e cattivi, storia di un branco di freak criminali portata al cinema da Cosimo Gomez, alla sua prima prova come regista e sceneggiatore, ed Alex Infascelli, che lo ha affiancato nella stesura della sceneggiatura. Brutti e cattivi, diciamolo subito, non è nemmeno lontanamente parente né dei film citati sopra né, tantomeno, di un'opera dei Manetti Bros; sembra piuttosto il parto di qualcuno che vorrebbe ma non può/non riesce e che, spinto da eccessivo entusiasmo, ritiene che una scrittura raffazzonata, un'accozzaglia di avanzi di galera, un po' di sangue e qualche effetto speciale possano entusiasmare il pubblico e generare un film memorabile. Il problema di Brutti e cattivi però è che si concentra più sui "fatti" e sugli aspetti folkloristici della trama piuttosto che sui personaggi, i quali altro non sono che due o tre macchiette burine buttate lì, caratterizzati giusto dai loro difetti fisici. Simpatici oppure odiosi quanto volete ma non ce n'è uno col quale si simpatizzi un minimo e lo dimostra il fatto che per metà film il protagonista, il Papero di Santamaria, non si vede neppure ma nonostante questo il film prosegue comunque in tutta tranquillità. Prosegue, tra l'altro, malgrado Santamaria sia l'unico attore del mucchio. Non me ne vogliano i fan di Gomorra, che io purtroppo non ho mai guardato, ma Marco D'Amore sepolto sotto i rasta e costretto ad interpretare il tossico in botta ha dell'imbarazzante, e il nano Simoncino, assieme alla tizia senza braccia, hanno l'espressività di due blocchi di tufo mentre il resto del cast è probabilmente stato preso direttamente dalle strade alla periferia di Roma (salvo solo la dolce e sconosciuta Aline Belibi nei panni di Perla, personaggio decisamente inaspettato e a tratti commovente) e talvolta mi è risultato difficile proprio capire cosa dicessero, gli italiani più dei cinesi o dei russi.
Davanti ad una storia tutto sommato semplice, che potrebbe sfruttare il fascino innegabile dei freak o la loro natura "tribale", come insegnato da Tod Browning e persino da American Horror Story, ma si limita semplicemente ad utilizzare le menomazioni dei protagonisti come un mero escamotage per accentuare la natura weird del film, non è rimasto altro da fare per coinvolgere l'audience che pigiare sull'acceleratore dell'esagerato a tutti i costi. Ecco quindi che Papero e Ballerina scopano di lungo, il "Merda" ha un nome importante, il nano fa i video come i rapper americani (mulinelli, tizie col culo di fuori e riprese dal basso), la gente viene mutilata da malviventi senza scrupoli e il linguaggio è dei più scurrili sentiti ultimamente. Anzi, anche troppo, sinceramente. Che io a sentir dare continuamente della "negra" e della "troia" a una donna, anche per amor di fiction o di aderenza al sottobosco criminale, francamente un po' mi scogliono, ecco. Insomma, più che dai freak sono stata "disturbata" da altro guardando Brutti e cattivi, forse dal suo eccesso di maschilismo (non c'è una donna nel film che venga proposta in altro modo rispetto a "sistema di supporto vitale per la passera", per dirla alla Stephen King, nemmeno la Ballerina) o dal razzismo strisciante sconfinante anche un po' nello stereotipo populista, qualcosa che in una commedia non avrei voluto sentire. Si ride guardando Brutti e cattivi, è vero, ma è una risata spiacevole della quale ci si vergogna quasi e alla fine si rimane a guardare lo schermo pensando sì, carino, dai, ma... un po' scemo? Un po' "va bene, Santamaria ha trovato la sua strada con 'sti personaggi laidi però magari mettiamoci un contorno valido"? Un po' non so bene cosa? Ripensandoci, non avrei voluto scrivere una stroncatura ma questo è quello che è uscito, dunque probabilmente Brutti e cattivi non è un film da consigliare, neanche per quella vaga citazione a Nirvana di Salvatores. Molto meglio ripiegare su Ammore e malavita o attendere il terzo capitolo di Smetto quando voglio.
Di Claudio Santamaria, che interpreta il Papero, ho già parlato QUI.
Cosimo Gomez è il regista e co-sceneggiatore del film, alla sua prima esperienza da regista. Soprattutto scenografo, ha lavorato in pellicole come Il siero della vanità e serie come Che dio ci aiuti e A un passo dal cielo.
Giorgio Colangeli interpreta il Commissario Parisi. Nato a Roma, ha partecipato a film come Il divo, La banda dei Babbi Natale e a serie quali Linda e il brigadiere, Distretto di polizia, Braccialetti rossi e Tutto può succedere. Ha 68 anni e due film in uscita.
Marco D'Amore, che interpreta Giorgio Armani detto "Il merda", è uno dei protagonisti principali della serie Gomorra mentre Simoncino Simone Martucci, ovvero Plissé, è davvero un rapper. Detto questo, se Brutti e cattivi vi fosse piaciuto recuperate Smetto quando voglio, Smetto quando voglio - Masterclass e magari anche Freaks, vah. ENJOY!
domenica 22 ottobre 2017
Il Bollodromo #42 - Le terrificanti avventure di Sabrina
Ci avviciniamo ad Halloween e dopo secoli torno a parlare di un mio vecchio ma costante amore: i fumetti! Sotto i riflettori oggi c'è l'inquietantissimo Le terrificanti avventure di Sabrina, edito da Edizioni BD, scritto da Roberto Aguirre-Sacasa e disegnato (e colorato) da Robert Hack. ENJOY!
Di cosa parla?
Vi è mai capitato di guardare Sabrina, vita da strega? Quello sciocchissimo telefilm tanto divertente, con la bionda Melissa Joan Hart che faceva la streghetta liceale e viveva felice con le zie Hilda, Zelda e l'orrido gatto animatronic Salem? Bene, non ne avevo idea ma Sabrina nasce come fumetto della Archie Comics (gli stessi di Archie e Riverdale, per intenderci) e siccome in questi ultimi anni c'è stato un revival dei personaggi delle varie serie, Aguirre-Sacasa e Hack hanno deciso di sviluppare una versione molto horror della strega adolescente. Le terrificanti avventure di Sabrina mantiene i personaggi conosciuti anche nella serie televisiva e il concetto di una strega mezzosangue cresciuta a Greendale ma in più ci sono riti satanici, patti col diavolo, succubi, cannibalismo, sacrifici umani, sangue e chi più ne ha più ne metta, insomma roba dannatamente seria.
Perché mi è piaciuto?
Ho 36 anni e leggo fumetti da un trentennio. Roba sotto gli occhi ne è passata e, nel tempo, ho imparato a diffidare del fumetto seriale americano per il semplice motivo che, salvo poche splendide eccezioni, anche quelle serie che mantengono per tutta la loro durata un unico disegnatore subiscono inevitabilmente un terrificante calo qualitativo per quel che riguarda le tavole oppure, ancor peggio, vengono dati in mano a fumettisti dallo stile completamente diverso dall'originale e spesso inguardabile. Le terrificanti avventure di Sabrina è composto al momento da un solo volume ma la qualità dei disegni di Robert Hack, dal sapore deliziosamente retrò e zeppi di chine "graffiate", è molto superiore alla media. Delle copertine originali ispirate a locandine di horror che hanno fatto la storia del Cinema non sto nemmeno a parlare, sono splendide. La storia, poi, è stata una bellissima sorpresa: colpi di scena a non finire, una vena horror degna di un film a tema satanico anni '70 e, soprattutto, una cattiveria incredibile unita al rispetto dell'iconografia di Sabrina e anche di Riverdale (ci sono inedite partecipazioni speciali di Archie e compari). Arrivati alla fine del volume si rimane col cuore in gola, sconvolti ma anche intrigati da una storia che farebbe invidia agli sceneggiatori di American Horror Story e che, soprattutto, riesce a mettere davvero paura, oltre a spingere il lettore a volerne di più.
E quindi?
E quindi non tentennate e acquistate Le terrificanti avventure di Sabrina, anche se non avete mai sentito parlare del personaggio visto che l'opera è tranquillamente fruibile anche dagli ignoranti in materia (io ne avrò vista qualche puntata e non ho mai letto i fumetti originali). L'unico difetto dell'albo è che la serie, in America, sta ancora proseguendo quindi probabilmente (conoscendo i ritmi dell'editoria italiana) non vedremo il secondo volume prima della fine del 2018 ma se avrete il coraggio di acquistare il primo numero e di addentrarvi nelle sue cupe pagine vi assicuro che non guarderete più Sabrina (e soprattutto le sue amorevoli zie!) nello stesso modo!
Di cosa parla?
Vi è mai capitato di guardare Sabrina, vita da strega? Quello sciocchissimo telefilm tanto divertente, con la bionda Melissa Joan Hart che faceva la streghetta liceale e viveva felice con le zie Hilda, Zelda e l'orrido gatto animatronic Salem? Bene, non ne avevo idea ma Sabrina nasce come fumetto della Archie Comics (gli stessi di Archie e Riverdale, per intenderci) e siccome in questi ultimi anni c'è stato un revival dei personaggi delle varie serie, Aguirre-Sacasa e Hack hanno deciso di sviluppare una versione molto horror della strega adolescente. Le terrificanti avventure di Sabrina mantiene i personaggi conosciuti anche nella serie televisiva e il concetto di una strega mezzosangue cresciuta a Greendale ma in più ci sono riti satanici, patti col diavolo, succubi, cannibalismo, sacrifici umani, sangue e chi più ne ha più ne metta, insomma roba dannatamente seria.
Perché mi è piaciuto?
Ho 36 anni e leggo fumetti da un trentennio. Roba sotto gli occhi ne è passata e, nel tempo, ho imparato a diffidare del fumetto seriale americano per il semplice motivo che, salvo poche splendide eccezioni, anche quelle serie che mantengono per tutta la loro durata un unico disegnatore subiscono inevitabilmente un terrificante calo qualitativo per quel che riguarda le tavole oppure, ancor peggio, vengono dati in mano a fumettisti dallo stile completamente diverso dall'originale e spesso inguardabile. Le terrificanti avventure di Sabrina è composto al momento da un solo volume ma la qualità dei disegni di Robert Hack, dal sapore deliziosamente retrò e zeppi di chine "graffiate", è molto superiore alla media. Delle copertine originali ispirate a locandine di horror che hanno fatto la storia del Cinema non sto nemmeno a parlare, sono splendide. La storia, poi, è stata una bellissima sorpresa: colpi di scena a non finire, una vena horror degna di un film a tema satanico anni '70 e, soprattutto, una cattiveria incredibile unita al rispetto dell'iconografia di Sabrina e anche di Riverdale (ci sono inedite partecipazioni speciali di Archie e compari). Arrivati alla fine del volume si rimane col cuore in gola, sconvolti ma anche intrigati da una storia che farebbe invidia agli sceneggiatori di American Horror Story e che, soprattutto, riesce a mettere davvero paura, oltre a spingere il lettore a volerne di più.
E quindi?
E quindi non tentennate e acquistate Le terrificanti avventure di Sabrina, anche se non avete mai sentito parlare del personaggio visto che l'opera è tranquillamente fruibile anche dagli ignoranti in materia (io ne avrò vista qualche puntata e non ho mai letto i fumetti originali). L'unico difetto dell'albo è che la serie, in America, sta ancora proseguendo quindi probabilmente (conoscendo i ritmi dell'editoria italiana) non vedremo il secondo volume prima della fine del 2018 ma se avrete il coraggio di acquistare il primo numero e di addentrarvi nelle sue cupe pagine vi assicuro che non guarderete più Sabrina (e soprattutto le sue amorevoli zie!) nello stesso modo!
venerdì 20 ottobre 2017
L'uomo di neve (2017)
Pur non avendo mai letto nulla di Jo Nesbø, il potere di Fassbender mi ha portata in sala per vedere L'uomo di neve (The Snowman), diretto dal regista Tomas Alfredson e tratto appunto dal romanzo omonimo dello scrittore norvegese. NO SPOILER, tranquilli.
Trama: Harry Hole, investigatore alcoolizzato, viene sfidato da un serial killer che firma i suoi delitti lasciando sulla scena del crimine un pupazzo di neve.
Come ho specificato all'inizio, di Jo Nesbø e del suo personaggio Harry Hole non so assolutamente nulla, quindi ho affrontato L'uomo di neve con lieta ignoranza, spinta da un trailer accattivante e sottilmente horror oltre che dalla presenza del bel Fassbender (che, per inciso, a un certo punto viene mostrato gratuitamente a torso nudo. Punto per lui!). Il nome Tomas Alfredson mi ha un po' spaventata, sono sincera. Dopo lo splendido Lasciami entrare il regista mi aveva annichilita con La talpa, formalmente ineccepibile e sontuoso ma anche una discreta mattonata sulle palle, siamo sinceri, e non so perché temevo che L'uomo di neve potesse seguire sentieri talpiani e tramortirmi sulla poltrona del cinema. Come sempre, la verità sta nel mezzo, almeno per quel che mi riguarda. L'uomo di neve non è un thriller dinamico zeppo di scene d'azione, non è neppure una pellicola dalla narrazione lineare o benedetta/maledetta da un bello spiegone prima della risoluzione finale, né un giallo dalla logica a prova di bomba; è, piuttosto, un film che si prende i suoi tempi e chiede allo spettatore molta attenzione, una certa sensibilità e, soprattutto, la disponibilità a seguire un percorso investigativo quasi "sottotono", privo di rivelazioni eclatanti o superdetective, zeppo di dettagli talvolta fuorvianti ma spesso importantissimi e, soprattutto, una vicenda che interseca un passato e un presente non separati da una linea netta e facilmente comprensibile. Il protagonista, Harry Hole, è sì dotato di un curriculum prestigioso ma è anche disilluso e piagato da un passato al quale si accenna appena, giusto in modo da fornirgli un minimo di profondità, e i suoi metodi investigativi non sono quelli geniali di uno Sherlock Holmes, quanto piuttosto quelli di un uomo taciturno ed introverso, che predilige l'osservazione e il silenzio allo sfoggio di intelligenza in grado di scioccare l'audience. La sua Watson, d'altra parte, è ancora più ambigua di lui benché molto più irruenta e la sua presenza punta a "sdoppiare" la trama, ramificando la rete di sospetti ed accuse così da impegnare lo spettatore nel più classico dei "whodunnit" mentre ci si domanda quanto marcio ci possa essere in Danim... Norvegia. Il pubblico paziente viene ripagato non solo da una storia cupa ed angosciante ma anche da un killer particolarmente efferato ed insidioso, silenzioso come i fiocchi di neve che cadono ogni volta in cui decide di agire e uccidere una donna "colpevole", e sapete bene quanto me che il rosso del sangue sul bianco della neve ci sta sempre molto bene.
La vena horror percepita nel trailer viene sviluppata anche nel film. Di nuovo, non si tratta di un'atmosfera horror scioccante, bensì qualcosa di sottile e capace di mettere brividi di inquietudine. Spesso, guardando L'uomo di neve, ho pensato che Dario Argento ci sarebbe andato a nozze (anche perché il povero Val Kilmer sembra Adrien Brody in Giallo. Il problema è che Brody era truccato, Kilmer è così al naturale, giusto Cielo...) ma l'approccio del regista italiano e quello di Alfredson non avrebbero potuto essere più diversi; le bufere di neve, l'oscurità e soprattutto l'abbondanza di vetrate e finestre prive di imposte, così che chiunque possa vedere cosa accade all'interno delle case svedesi, sono elementi che uniti provocano un tremendo senso di vulnerabilità, fanno sentire nudi davanti all'occhio nascosto del killer e dei suoi macabri pupazzetti di neve, eppure Alfredson gioca di sottrazione piuttosto che far saltare le coronarie agli astanti con qualche morte grandguignolesca preceduta da vetri spaccati o labirintiche fughe nell'oscurità. Prendiamo il killer, per esempio: figura oscura e mai mostrata non dico in viso ma quasi nemmeno a figura intera, "l'uomo di neve" uccide fuori campo ma allo spettatore vengono mostrati comunque i risultati delle sue azioni e se le fucilate in pieno volto appaiono finte come i soldi del Monopoli, così non è per gli arti che vengono recisi e dati in pasto ai pennuti, che qui abbondano più che in altri film. E poi, quei meravigliosi paesaggi innevati, santo Cielo, cosa non sono. Quelle grandiose panoramiche ad abbracciare ponti sospesi nel vuoto, montagne, sterminate distese di neve, laghi ghiacciati, paesini arroccati, il tutto splendidamente fotografato, instillano nel cuore dello spettatore mediterraneo un senso di straniamento, un'istintiva ritrosia (al cinema eravamo dieci persone: una si è infilata il maglione, altri due la giacca, due dietro di me hanno cominciato a starnutire come ascari e io, arrivata a casa, mi sono infilata sotto il plaid) e una desolazione infinita, al punto che questi personaggi costretti a vivere in zone simili appaiono, erroneamente, freddi come il paesaggio che li circonda. Il killer, con tutte le sue discutibili motivazioni, sembra quasi voler scuotere le coscienze addormentate dal gelo, i sentimenti trattenuti, lo sguardo triste di un Fassbender perfetto, persino il glamour raffinato e quasi regale di persone che sotto l'eleganza della neve fanno cose turpi, nascondendo segreti e perversioni. Il problema de L'uomo di neve, che leggo stroncato da più parti, forse è proprio quello di essere troppo "trattenuto" per il pubblico medio mentre invece Alfredson si riconferma maestro nel trasformare l'ovattato terrore nascosto nella neve in qualcosa che colpisce e fa sanguinare. E ora scusate ma dopo tutto questo parlare di gelo ho proprio bisogno di una cioccolata calda!
Del regista Tomas Alfredson ho già parlato QUI. Michael Fassbender (Harry Hole), Rebecca Ferguson (Katrine Bratt), Chloë Sevigny (Sylvia Ottersen e Anne Pedersen), Charlotte Gainsbourg(Rakel), J. K. Simmons (Arve Støp), James D'Arcy (Filip Becker), Toby Jones (Investigatore Svensson) e David Dencik (Idar Vetlesen) li trovate invece ai rispettivi link.
Val Kilmer interpreta Gert Rafto. Americano, lo ricordo per film come Top gun, Willow, The Doors, Una vita al massimo, Batman Forever, Heat - La sfida, L'isola perduta, Spiriti nelle tenebre e Déjà vu - Corsa contro il tempo, inoltre ha partecipato a serie quali Numb3rs e lavorato come doppiatore per Il principe d'Egitto e serie come Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 58 anni e un film in uscita.
L'uomo di neve avrebbe dovuto originariamente venir diretto da Martin Scorsese ma il regista alla fine è rimasto solo come produttore. Detto questo, se L'uomo di neve vi fosse piaciuto recuperate magari Seven. ENJOY!
Trama: Harry Hole, investigatore alcoolizzato, viene sfidato da un serial killer che firma i suoi delitti lasciando sulla scena del crimine un pupazzo di neve.
Come ho specificato all'inizio, di Jo Nesbø e del suo personaggio Harry Hole non so assolutamente nulla, quindi ho affrontato L'uomo di neve con lieta ignoranza, spinta da un trailer accattivante e sottilmente horror oltre che dalla presenza del bel Fassbender (che, per inciso, a un certo punto viene mostrato gratuitamente a torso nudo. Punto per lui!). Il nome Tomas Alfredson mi ha un po' spaventata, sono sincera. Dopo lo splendido Lasciami entrare il regista mi aveva annichilita con La talpa, formalmente ineccepibile e sontuoso ma anche una discreta mattonata sulle palle, siamo sinceri, e non so perché temevo che L'uomo di neve potesse seguire sentieri talpiani e tramortirmi sulla poltrona del cinema. Come sempre, la verità sta nel mezzo, almeno per quel che mi riguarda. L'uomo di neve non è un thriller dinamico zeppo di scene d'azione, non è neppure una pellicola dalla narrazione lineare o benedetta/maledetta da un bello spiegone prima della risoluzione finale, né un giallo dalla logica a prova di bomba; è, piuttosto, un film che si prende i suoi tempi e chiede allo spettatore molta attenzione, una certa sensibilità e, soprattutto, la disponibilità a seguire un percorso investigativo quasi "sottotono", privo di rivelazioni eclatanti o superdetective, zeppo di dettagli talvolta fuorvianti ma spesso importantissimi e, soprattutto, una vicenda che interseca un passato e un presente non separati da una linea netta e facilmente comprensibile. Il protagonista, Harry Hole, è sì dotato di un curriculum prestigioso ma è anche disilluso e piagato da un passato al quale si accenna appena, giusto in modo da fornirgli un minimo di profondità, e i suoi metodi investigativi non sono quelli geniali di uno Sherlock Holmes, quanto piuttosto quelli di un uomo taciturno ed introverso, che predilige l'osservazione e il silenzio allo sfoggio di intelligenza in grado di scioccare l'audience. La sua Watson, d'altra parte, è ancora più ambigua di lui benché molto più irruenta e la sua presenza punta a "sdoppiare" la trama, ramificando la rete di sospetti ed accuse così da impegnare lo spettatore nel più classico dei "whodunnit" mentre ci si domanda quanto marcio ci possa essere in Danim... Norvegia. Il pubblico paziente viene ripagato non solo da una storia cupa ed angosciante ma anche da un killer particolarmente efferato ed insidioso, silenzioso come i fiocchi di neve che cadono ogni volta in cui decide di agire e uccidere una donna "colpevole", e sapete bene quanto me che il rosso del sangue sul bianco della neve ci sta sempre molto bene.
La vena horror percepita nel trailer viene sviluppata anche nel film. Di nuovo, non si tratta di un'atmosfera horror scioccante, bensì qualcosa di sottile e capace di mettere brividi di inquietudine. Spesso, guardando L'uomo di neve, ho pensato che Dario Argento ci sarebbe andato a nozze (anche perché il povero Val Kilmer sembra Adrien Brody in Giallo. Il problema è che Brody era truccato, Kilmer è così al naturale, giusto Cielo...) ma l'approccio del regista italiano e quello di Alfredson non avrebbero potuto essere più diversi; le bufere di neve, l'oscurità e soprattutto l'abbondanza di vetrate e finestre prive di imposte, così che chiunque possa vedere cosa accade all'interno delle case svedesi, sono elementi che uniti provocano un tremendo senso di vulnerabilità, fanno sentire nudi davanti all'occhio nascosto del killer e dei suoi macabri pupazzetti di neve, eppure Alfredson gioca di sottrazione piuttosto che far saltare le coronarie agli astanti con qualche morte grandguignolesca preceduta da vetri spaccati o labirintiche fughe nell'oscurità. Prendiamo il killer, per esempio: figura oscura e mai mostrata non dico in viso ma quasi nemmeno a figura intera, "l'uomo di neve" uccide fuori campo ma allo spettatore vengono mostrati comunque i risultati delle sue azioni e se le fucilate in pieno volto appaiono finte come i soldi del Monopoli, così non è per gli arti che vengono recisi e dati in pasto ai pennuti, che qui abbondano più che in altri film. E poi, quei meravigliosi paesaggi innevati, santo Cielo, cosa non sono. Quelle grandiose panoramiche ad abbracciare ponti sospesi nel vuoto, montagne, sterminate distese di neve, laghi ghiacciati, paesini arroccati, il tutto splendidamente fotografato, instillano nel cuore dello spettatore mediterraneo un senso di straniamento, un'istintiva ritrosia (al cinema eravamo dieci persone: una si è infilata il maglione, altri due la giacca, due dietro di me hanno cominciato a starnutire come ascari e io, arrivata a casa, mi sono infilata sotto il plaid) e una desolazione infinita, al punto che questi personaggi costretti a vivere in zone simili appaiono, erroneamente, freddi come il paesaggio che li circonda. Il killer, con tutte le sue discutibili motivazioni, sembra quasi voler scuotere le coscienze addormentate dal gelo, i sentimenti trattenuti, lo sguardo triste di un Fassbender perfetto, persino il glamour raffinato e quasi regale di persone che sotto l'eleganza della neve fanno cose turpi, nascondendo segreti e perversioni. Il problema de L'uomo di neve, che leggo stroncato da più parti, forse è proprio quello di essere troppo "trattenuto" per il pubblico medio mentre invece Alfredson si riconferma maestro nel trasformare l'ovattato terrore nascosto nella neve in qualcosa che colpisce e fa sanguinare. E ora scusate ma dopo tutto questo parlare di gelo ho proprio bisogno di una cioccolata calda!
Del regista Tomas Alfredson ho già parlato QUI. Michael Fassbender (Harry Hole), Rebecca Ferguson (Katrine Bratt), Chloë Sevigny (Sylvia Ottersen e Anne Pedersen), Charlotte Gainsbourg(Rakel), J. K. Simmons (Arve Støp), James D'Arcy (Filip Becker), Toby Jones (Investigatore Svensson) e David Dencik (Idar Vetlesen) li trovate invece ai rispettivi link.
Val Kilmer interpreta Gert Rafto. Americano, lo ricordo per film come Top gun, Willow, The Doors, Una vita al massimo, Batman Forever, Heat - La sfida, L'isola perduta, Spiriti nelle tenebre e Déjà vu - Corsa contro il tempo, inoltre ha partecipato a serie quali Numb3rs e lavorato come doppiatore per Il principe d'Egitto e serie come Robot Chicken. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 58 anni e un film in uscita.
L'uomo di neve avrebbe dovuto originariamente venir diretto da Martin Scorsese ma il regista alla fine è rimasto solo come produttore. Detto questo, se L'uomo di neve vi fosse piaciuto recuperate magari Seven. ENJOY!
giovedì 19 ottobre 2017
(Gio) WE, Bolla! del 19/10/2017
Buon giovedì a tutti!! Oggi è il giorno in cui esce IT in tutta Italia, finalmente. Non dovrebbero, di regola, esistere altri film perché la pellicola di Muschietti è splendida e dovete andarla a vedere tutti. Ma se non amate l'horror potreste volere dell'altro, quindi guardiamo un po' cosa c'è... ENJOY!
It
Brutti e cattivi
Vita da giungla: alla riscossa!
La battaglia dei sessi
Al cinema d'élite hanno evidentemente rinunciato a Madre!...
Una donna fantastica
It
Reazione a caldo: Lo splendore!
Bolla, rifletti!: Tutto quello che penso del film, senza spoiler, lo trovate QUA. Se l'avete visto (o quando lo vedrete) passate a lasciare un commento sotto il post, non mi stancherei mai di parlare di It!!Brutti e cattivi
Reazione a caldo: Ahò, pare Frodo!
Bolla, rifletti!: Sono settimane che vedo il trailer e, non so, il nano travestito da Freddy Krueger mi fa ridere. Non sarà di sicuro il nuovo Lo chiamavano Jeeg Robot ma bravo Santamaria che si sta riciclando in questi assurdi ruoli da coatto cartoonesco.Vita da giungla: alla riscossa!
Reazione a caldo: Ma che è?
Bolla, rifletti!: Ma smettetela, che è sta schifezza franzosa tratta dall'ennesima serie TV che guardano i bimbi d'oggi, notoriamente privi di gusto estetico e figli di genitori privi di polso? Ai miei tempi papà mi imponeva il telegiornale, altro che balle!La battaglia dei sessi
Reazione a caldo: Hm, sembra carino!
Bolla, rifletti!: Ultimamente sto rivalutando Steve Carell e, visti i tempi che corrono, un film sul confronto tra uomini e donne potrebbe portare seriamente a riflettere qualcuno dei troppi trogloditi ancora presenti sul pianeta Terra. Magari la settimana prossima...Al cinema d'élite hanno evidentemente rinunciato a Madre!...
Una donna fantastica
Reazione a caldo: Anche questo non sembra male però...
Bolla, rifletti!: Prodotto da Pablo Larraín, il film parrebbe la storia di sogni infranti e segrete speranze legate ad un amore particolare, con ovvi riferimenti ad un Paese per certi aspetti difficile come il Cile. Segno come possibile recupero!mercoledì 18 ottobre 2017
It (2017)
Domani uscirà l'attesissimo It diretto da Andy Muschietti. Ne parlo oggi, in quanto ho avuto l'onore di vederlo un mese fa a Praga, con un post rigorosamente SPOILER FREE. Se non vi fidate e quindi non volete leggere quanto segue sappiate almeno questo: It è un film splendido, che merita di essere visto sul grande schermo, pena la persecuzione eterna di Pennywise.
Trama: nella cittadina di Derry i bambini scompaiono o vengono ritrovati morti in circostanze misteriose. Un gruppo di ragazzini, uno dei quali ha perso il fratellino l'anno prima, scoprono che il responsabile è un mostro terrificante, capace di assumere le sembianze dei loro peggiori incubi...
Chi mi conosce sa che davanti a It non riesco ad essere obiettiva. Con tutti i suoi difetti, è il romanzo di Stephen King che ho amato di più, che rileggo da anni con piacere, che avrei sempre voluto vedere portato su grande schermo da un regista valido e da sceneggiatori capaci di non affondare dentro le mille e fischia pagine del libro, così da estrapolare ciò che di esso conta davvero. Nella fattispecie, al di là della figura di Pennywise sulla quale poi tornerò, il cuore di It (o meglio, di quelle parti del romanzo ambientate negli anni '50, condensate per comodità in una pellicola unica come già fatto da Tommy Lee Wallace nella miniserie del 1990) è il percorso di un gruppo di bambini costretti ad affrontare le tragedie della vita, le prese in giro dei loro coetanei, il mondo degli adulti, l'incombere della pubertà e, non ultima, tutta una serie di piccoli problemi magari sciocchi per i loro genitori e gli insegnanti ma assolutamente importanti ed insormontabili per questi ragazzini; personalmente, leggendo It ho sempre apprezzato di più i momenti in cui Beverly, Ben, Bill e gli altri si ritrovavano ad aver a che fare con tutti i problemi legati ai loro difetti fisici o le dinamiche familiari, alcune incredibilmente complesse, oppure quelli in cui la loro amicizia si rinsaldava in maniera "naturale", senza l'intervento di una Tartaruga o chissà quale altra forza magica, tra litigi infantili, primi amori o il desiderio di fare comunella per non soccombere ad un Henry Bowers sempre più imprevedibile e pericoloso. L'It di Muschietti mi ha dato tutto questo, ha messo il cuore davanti ad ogni cosa, persino davanti ai jump scare (che ci sono, tranquilli), ed è riuscito rendere reali ed indimenticabili almeno cinque personaggi su sette, ai quali aggiungo anche Henry Bowers, grazie all'aria stupidamente fragile di Nicholas Hamilton, un moccioso che vorrebbe fare il bulletto ma è destinato a finire vittima di problemi mentali più grandi di lui. Vedere il Club dei Perdenti prendere vita sullo schermo, a volte tratteggiato grazie a piccoli dettagli che solo chi ha letto il libro potrà apprezzare appieno (il modo in cui i ragazzi sistemano le biciclette, per esempio), altre grazie a dialoghi serrati e divertenti ma anche incredibilmente commoventi e rivelatori, mi ha riempito il cuore di gioia e gli occhi di lacrime, al punto che sul finale avrei voluto che la storia continuasse per vedere come sarebbero cresciuti QUESTI Perdenti, ben distanti dai bambocci monoespressivi della tanto celebrata serie degli anni '90, nonostante Stan e soprattutto Mike rimangano purtroppo un po' sullo sfondo. All'incredibile bellezza di una Beverly che sembra già ben più grande dei suoi coetanei, ferita nel profondo da una figura paterna molto ambigua prima ancora che violenta, si affiancano i problemi del "New Kid on the Block" cicciottello Ben, un Richie dalla logorrea incontrollabile, un Eddie che è più di una spalla per quest'ultimo e che finalmente riceve una storyline "materna" degna di questo nome, e soprattutto un Big Bill terrorizzato all'idea di non essere più nulla per i genitori distrutti dalla scomparsa del fratellino Georgie e quindi vero motore della storia, vero "capo" dei perdenti, l'unico dotato dell'incrollabile volontà di fare fuori Pennywise per riaffermare la propria esistenza prima ancora di vendicare il piccolo. A proposito, parliamo un po' di Pennywise, vah.
A quelli che "Tim Curry è l'unico vero Pennywise" (per quanto io adori comunque Tim, ci mancherebbe) rispondo citando le voci della Luna che ascolta Henry Bowers nel romanzo e dico "Ha-Ha ALL OVER you!!". Bill Skarsgard è la punta di diamante di un cast quasi perfetto, la sua voce mette letteralmente i brividi e quegli occhietti scompagnati già di suo sono la ciliegina sulla torta, che abbiano le iridi azzurre oppure gialle/rosse; è risaputo che l'attore abbia partecipato alle riprese solo all'ultimo, per ottenere dai giovani co-protagonisti delle reazioni di terrore più genuine possibili, ma sono lo stesso rimasta deliziata e sconvolta dalla faccia orripilata di Sophia Lillis durante il confronto con Pennywise nella casa di Neibolt Street, si vede proprio l'orrore negli occhi della ragazzina! L'idea di agghindare il buon vecchio Clown Ballerino come un pupazzo di fine '800 non solo è vincente ma si collega anche ai mille rimandi inseriti dagli sceneggiatori sul sanguinoso passato di Derry, cittadina all'interno della quale Pennywise campa da secoli uccidendo, depredando e spargendo il male sottile che influenza tutti gli abitanti; agghiacciante nel make-up più "mostruoso" ma anche in quello normale, il Pennywise di Skarsgard è dotato di un folle, infantile umorismo nero che lo rende ancora più inquietante di Tim Curry e anche di una sorta di "fascino" perverso, lo stesso che porta a fissare morbosamente qualcosa di disgustoso anche se razionalmente bisognerebbe distogliere lo sguardo. Aggiungo che Pennywise non è l'aspetto più agghiacciante del film, anzi. Muschietti osa l'inosabile e tocca gli intoccabili, infilando allegramente nella pellicola una sequenza pressoché ininterrotta di nefandezze assortite, alcune sbattute in faccia agli spettatori in un profluvio di gore, altre appena suggerite ma comunque da far accapponare la pelle, giocando tra l'altro in maniera subdola con chi conosce bene il libro e si aspettava alcune scene scioccanti (e NO, non sto parlando dell'"orgia". Quella non c'è, ma come può anche solo pensarlo la gente?). Anzi, nonostante adori il romanzo alla follia ho apprezzato la maggior parte dei cambiamenti, soprattutto per quel che riguarda le paure dei singoli Perdenti, alcune realizzate per esigenze di "spettacolo", come quella di Richie (ah ma Paul Bunyan è lì che osserva...), altre cambiate per offrire allo spettatore la possibilità di conoscere aspetti di Derry altrimenti impossibili da riportare su pellicola senza realizzare un girato di 40 ore.
Quindi l'It di Muschietti è un film perfetto, senza nemmeno un difettuccio? Ovviamente no, ma ciò non toglie che abbiamo davanti uno dei migliori adattamenti Kinghiani di sempre, almeno per quel che riguarda mezzo romanzo e si spera che il regista faccia il bis tra un paio d'anni, quando arriverà la seconda parte in cui i protagonisti si ritroveranno ad affrontare Pennywise con 27 anni in più sul groppone (cosa che viene spesso ironicamente citata nel film, per inciso). Tra i difetti della pellicola, salta all'occhio una scrittura frettolosa che ha reso Mike una figura bidimensionale, come se gli sceneggiatori non sapessero bene che farne. E' vero che l'"importanza" di Mike dovrebbe aumentare nel secondo capitolo e che molto di ciò che rendeva il ragazzino un outsider negli anni '50 probabilmente sarebbe suonato stridente in un film ambientato negli anni '80 però allo stesso modo ho trovato un po' deludente la sua presenza, anche perché Fukunaga con lui aveva fatto un lavoro migliore (vedi note in fondo). Così come ho trovato deludenti alcuni effetti speciali, con quel sapore di CG "finta" che già aveva inficiato la completa riuscita del lavoro precedente di Muschietti, Mama. A questi punti penso che il regista non sappia bene come connettere le riprese dal vero con gli effetti speciali più seri perché il resto del film è di una bellezza incredibile, ricco di sequenze omaggianti classici degli anni '80 che tuttavia non opprimono né stufano lo spettatore ormai saturo di questa voglia perenne di revival; in It è più una questione di atmosfera, il ritorno ai coming of age inseriti in un contesto horror/fantastico più che una rincorsa alla citazione d'annata, la riaffermazione del gruppo di ragazzini che tirano fuori le palle perché gli adulti hanno dimenticato di averle o non le hanno mai avute, troppo presi dai loro problemi per farsi carico degli "incubi" di un branco di mocciosi sfigati. Ecco, è questo che ho apprezzato maggiormente di It, al di là di tutte le idiozie assortite e faziose che si sono lette in rete: la volontà degli autori di omaggiare una storia bellissima CREANDONE una nuova, simile ma diversa, magari un pelino meno potente (pare che azzeccare il pre-finale sia piuttosto difficile ma d'altronde è risaputo che anche King non sia una cima a risolvere le sue stesse storie...) ma capace di coinvolgere tutti, sia gli amanti di Stephen King sia chi non ha mai nemmeno sentito parlare di It. Col Bolluomo accanto, stranieri in terra straniera, mi è sembrato che alla fine fossimo tutti pronti a prenderci per mano e prometterci di tornare, non tra 27 anni ma tra 2, per dare nuovamente fiducia a Muschietti e ai suoi collaboratori; nell'attesa, da brava loser/lover, io tornerò al cinema già domani, così da godermi per intero i dialoghi... sperando che l'adattamento e il doppiaggio italiani non facciano pena come al solito.
Del regista Andy Muschietti ho già parlato QUI mentre Bill Skarsgård, alias Pennywise, lo trovate QUA.
Jaeden Lieberher interpreta Bill Denbrough. Americano, ha partecipato a film come St. Vincent, Midnight Special e The Book of Henry, inoltre ha doppiato serie come American Dad!. Ha 14 anni e due film in uscita.
Nicholas Hamilton interpreta Henry Bowers. Australiano, lo ricordo per film come Captain Fantastic e La torre nera. Ha 17 anni e un film in uscita.
Jeremy Ray Taylor, che interpreta Ben, era già comparso in Ant-Man invece Jack Dylan Grazer, ovvero Eddie, ha partecipato ad uno degli episodi di Tales of Halloween e Owen Teague, alias Patrick Hockstetter, ha già fatto parte dell'universo Kinghiano grazie a quell'orrore di Cell. Anche Wyatt Oleff, che interpreta Stan, potrebbe non essere un volto nuovo per molti spettatori visto che è stato un giovane Peter Quill in Guardiani della galassia e un giovane Tremotino nella serie C'era una volta, mentre Finn Wolfhard, che interpreta Richie (e che è l'unico attore rimasto dopo che il film è passato da Cary Fukunaga ad Andy Muschietti), è ovviamente il Mike della serie Stranger Things; a tal proposito, i Duffer Brothers avrebbero voluto dirigere il film ma all'epoca delle prime fasi di produzione il loro nome era ancora poco conosciuto, quindi hanno dovuto "ripiegare" proprio su Stranger Things, uno dei migliori omaggi a King degli ultimi anni. Torno un attimo a parlare di attori dicendo che il piccolo Jackson Robert Scott, ovvero George Denbrough, dovrebbe tornare sullo schermo grazie al figlio di Stephen King, Joe Hill, in una serie TV (sempre diretta da Andy Muschietti) tratta dallo stupendo Locke & Key, dove il piccolino dovrebbe interpretare il dolce Bode Locke assieme a Megan Charpentier, che in It compare come Gret(t)a Bowie e nella serie TV dovrebbe essere invece Kinsey Locke. Passando a Pennywise, alla fine i due attori rimasti a contendersi il ruolo dopo l'abbandono di Will Poulter erano Hugo Weaving e Bill Skarsgård ma alla fine l'ha spuntata quest'ultimo in quanto Weaving non era in grado di offrire un'interpretazione che fosse anche infantile ed ironica ma faceva solo paura. Passando dagli attori ai registi/sceneggiatori, on line è disponibile lo script del 2014 scritto da Cary Fukunaga, immagino prima che lo stesso aggiungesse le scene controverse che lo hanno allontanato dal progetto (si parla di Henry Bowers che fa sesso con una capra ed eiacula su una torta di compleanno, della fusione di Stan e Richie in un personaggio di nome Richie Goldfarb, di un Pennywise nudo che si mostra ad una dei Padri Pellegrini, di una Beverly picchiata dagli amici del padre i quali, si dice, avrebbero fatto sesso con lei, del fatto che Pennywise avesse lasciato vivere Al Marsh solo per fargli molestare la figlia ogni sera e di Bowers e la sua gang che costringono delle ragazze a praticare loro sesso orale), ed è molto simile al film di Muschietti salvo per un paio di cose. Per esempio, Mike ha un ruolo ben più preponderante e il padre gli racconta dell'incendio al Punto Nero, l'"epica battaglia a sassate" diventa "l'epica battaglia con fuochi d'artificio", Al Marsh viene posseduto da It e cerca di violentare Beverly, Belch e Victor muoiono nelle fogne e la forma finale di It, così come un paio di visioni dei bambini, sono molto diverse (Stella marina coi tentacoli? Aiuto!); Muschietti è rimasto più legato al romanzo di King e avrebbe voluto inserire anche il rito del fumo nel quale Mike e Richie scoprono l'origine di It ma limiti di budget hanno purtroppo impedito la realizzazione della scena. E dopo questo infoporn praticamente infinito, mi duole informarvi che per It - Chapter II occorrerà aspettare il 2019, nel frattempo speriamo che molti degli attori che i bambini vorrebbero veder interpretare i perdenti da adulti esaudiscano le loro giovani controparti: sto parlando soprattutto con te, Jessica, ma potrebbero accettare anche Jake Gyllenhaal (Eddie), Joseph Gordon-Levitt (Stan), Chris Pratt (Ben) e Christian Bale (Bill), che dite? Il mio dreamcasting sarebbe però Casey Affleck (Stan), Ethan Embry (Ben), James Franco o Ryan Reynolds (Richie), Elijah Wood (Eddie), James McAvoy (Bill) e David Oyelowo (Mike), lascio solo Jessicona che sarebbe perfetta! ENJOY!
Trama: nella cittadina di Derry i bambini scompaiono o vengono ritrovati morti in circostanze misteriose. Un gruppo di ragazzini, uno dei quali ha perso il fratellino l'anno prima, scoprono che il responsabile è un mostro terrificante, capace di assumere le sembianze dei loro peggiori incubi...
Chi mi conosce sa che davanti a It non riesco ad essere obiettiva. Con tutti i suoi difetti, è il romanzo di Stephen King che ho amato di più, che rileggo da anni con piacere, che avrei sempre voluto vedere portato su grande schermo da un regista valido e da sceneggiatori capaci di non affondare dentro le mille e fischia pagine del libro, così da estrapolare ciò che di esso conta davvero. Nella fattispecie, al di là della figura di Pennywise sulla quale poi tornerò, il cuore di It (o meglio, di quelle parti del romanzo ambientate negli anni '50, condensate per comodità in una pellicola unica come già fatto da Tommy Lee Wallace nella miniserie del 1990) è il percorso di un gruppo di bambini costretti ad affrontare le tragedie della vita, le prese in giro dei loro coetanei, il mondo degli adulti, l'incombere della pubertà e, non ultima, tutta una serie di piccoli problemi magari sciocchi per i loro genitori e gli insegnanti ma assolutamente importanti ed insormontabili per questi ragazzini; personalmente, leggendo It ho sempre apprezzato di più i momenti in cui Beverly, Ben, Bill e gli altri si ritrovavano ad aver a che fare con tutti i problemi legati ai loro difetti fisici o le dinamiche familiari, alcune incredibilmente complesse, oppure quelli in cui la loro amicizia si rinsaldava in maniera "naturale", senza l'intervento di una Tartaruga o chissà quale altra forza magica, tra litigi infantili, primi amori o il desiderio di fare comunella per non soccombere ad un Henry Bowers sempre più imprevedibile e pericoloso. L'It di Muschietti mi ha dato tutto questo, ha messo il cuore davanti ad ogni cosa, persino davanti ai jump scare (che ci sono, tranquilli), ed è riuscito rendere reali ed indimenticabili almeno cinque personaggi su sette, ai quali aggiungo anche Henry Bowers, grazie all'aria stupidamente fragile di Nicholas Hamilton, un moccioso che vorrebbe fare il bulletto ma è destinato a finire vittima di problemi mentali più grandi di lui. Vedere il Club dei Perdenti prendere vita sullo schermo, a volte tratteggiato grazie a piccoli dettagli che solo chi ha letto il libro potrà apprezzare appieno (il modo in cui i ragazzi sistemano le biciclette, per esempio), altre grazie a dialoghi serrati e divertenti ma anche incredibilmente commoventi e rivelatori, mi ha riempito il cuore di gioia e gli occhi di lacrime, al punto che sul finale avrei voluto che la storia continuasse per vedere come sarebbero cresciuti QUESTI Perdenti, ben distanti dai bambocci monoespressivi della tanto celebrata serie degli anni '90, nonostante Stan e soprattutto Mike rimangano purtroppo un po' sullo sfondo. All'incredibile bellezza di una Beverly che sembra già ben più grande dei suoi coetanei, ferita nel profondo da una figura paterna molto ambigua prima ancora che violenta, si affiancano i problemi del "New Kid on the Block" cicciottello Ben, un Richie dalla logorrea incontrollabile, un Eddie che è più di una spalla per quest'ultimo e che finalmente riceve una storyline "materna" degna di questo nome, e soprattutto un Big Bill terrorizzato all'idea di non essere più nulla per i genitori distrutti dalla scomparsa del fratellino Georgie e quindi vero motore della storia, vero "capo" dei perdenti, l'unico dotato dell'incrollabile volontà di fare fuori Pennywise per riaffermare la propria esistenza prima ancora di vendicare il piccolo. A proposito, parliamo un po' di Pennywise, vah.
A quelli che "Tim Curry è l'unico vero Pennywise" (per quanto io adori comunque Tim, ci mancherebbe) rispondo citando le voci della Luna che ascolta Henry Bowers nel romanzo e dico "Ha-Ha ALL OVER you!!". Bill Skarsgard è la punta di diamante di un cast quasi perfetto, la sua voce mette letteralmente i brividi e quegli occhietti scompagnati già di suo sono la ciliegina sulla torta, che abbiano le iridi azzurre oppure gialle/rosse; è risaputo che l'attore abbia partecipato alle riprese solo all'ultimo, per ottenere dai giovani co-protagonisti delle reazioni di terrore più genuine possibili, ma sono lo stesso rimasta deliziata e sconvolta dalla faccia orripilata di Sophia Lillis durante il confronto con Pennywise nella casa di Neibolt Street, si vede proprio l'orrore negli occhi della ragazzina! L'idea di agghindare il buon vecchio Clown Ballerino come un pupazzo di fine '800 non solo è vincente ma si collega anche ai mille rimandi inseriti dagli sceneggiatori sul sanguinoso passato di Derry, cittadina all'interno della quale Pennywise campa da secoli uccidendo, depredando e spargendo il male sottile che influenza tutti gli abitanti; agghiacciante nel make-up più "mostruoso" ma anche in quello normale, il Pennywise di Skarsgard è dotato di un folle, infantile umorismo nero che lo rende ancora più inquietante di Tim Curry e anche di una sorta di "fascino" perverso, lo stesso che porta a fissare morbosamente qualcosa di disgustoso anche se razionalmente bisognerebbe distogliere lo sguardo. Aggiungo che Pennywise non è l'aspetto più agghiacciante del film, anzi. Muschietti osa l'inosabile e tocca gli intoccabili, infilando allegramente nella pellicola una sequenza pressoché ininterrotta di nefandezze assortite, alcune sbattute in faccia agli spettatori in un profluvio di gore, altre appena suggerite ma comunque da far accapponare la pelle, giocando tra l'altro in maniera subdola con chi conosce bene il libro e si aspettava alcune scene scioccanti (e NO, non sto parlando dell'"orgia". Quella non c'è, ma come può anche solo pensarlo la gente?). Anzi, nonostante adori il romanzo alla follia ho apprezzato la maggior parte dei cambiamenti, soprattutto per quel che riguarda le paure dei singoli Perdenti, alcune realizzate per esigenze di "spettacolo", come quella di Richie (ah ma Paul Bunyan è lì che osserva...), altre cambiate per offrire allo spettatore la possibilità di conoscere aspetti di Derry altrimenti impossibili da riportare su pellicola senza realizzare un girato di 40 ore.
Quindi l'It di Muschietti è un film perfetto, senza nemmeno un difettuccio? Ovviamente no, ma ciò non toglie che abbiamo davanti uno dei migliori adattamenti Kinghiani di sempre, almeno per quel che riguarda mezzo romanzo e si spera che il regista faccia il bis tra un paio d'anni, quando arriverà la seconda parte in cui i protagonisti si ritroveranno ad affrontare Pennywise con 27 anni in più sul groppone (cosa che viene spesso ironicamente citata nel film, per inciso). Tra i difetti della pellicola, salta all'occhio una scrittura frettolosa che ha reso Mike una figura bidimensionale, come se gli sceneggiatori non sapessero bene che farne. E' vero che l'"importanza" di Mike dovrebbe aumentare nel secondo capitolo e che molto di ciò che rendeva il ragazzino un outsider negli anni '50 probabilmente sarebbe suonato stridente in un film ambientato negli anni '80 però allo stesso modo ho trovato un po' deludente la sua presenza, anche perché Fukunaga con lui aveva fatto un lavoro migliore (vedi note in fondo). Così come ho trovato deludenti alcuni effetti speciali, con quel sapore di CG "finta" che già aveva inficiato la completa riuscita del lavoro precedente di Muschietti, Mama. A questi punti penso che il regista non sappia bene come connettere le riprese dal vero con gli effetti speciali più seri perché il resto del film è di una bellezza incredibile, ricco di sequenze omaggianti classici degli anni '80 che tuttavia non opprimono né stufano lo spettatore ormai saturo di questa voglia perenne di revival; in It è più una questione di atmosfera, il ritorno ai coming of age inseriti in un contesto horror/fantastico più che una rincorsa alla citazione d'annata, la riaffermazione del gruppo di ragazzini che tirano fuori le palle perché gli adulti hanno dimenticato di averle o non le hanno mai avute, troppo presi dai loro problemi per farsi carico degli "incubi" di un branco di mocciosi sfigati. Ecco, è questo che ho apprezzato maggiormente di It, al di là di tutte le idiozie assortite e faziose che si sono lette in rete: la volontà degli autori di omaggiare una storia bellissima CREANDONE una nuova, simile ma diversa, magari un pelino meno potente (pare che azzeccare il pre-finale sia piuttosto difficile ma d'altronde è risaputo che anche King non sia una cima a risolvere le sue stesse storie...) ma capace di coinvolgere tutti, sia gli amanti di Stephen King sia chi non ha mai nemmeno sentito parlare di It. Col Bolluomo accanto, stranieri in terra straniera, mi è sembrato che alla fine fossimo tutti pronti a prenderci per mano e prometterci di tornare, non tra 27 anni ma tra 2, per dare nuovamente fiducia a Muschietti e ai suoi collaboratori; nell'attesa, da brava loser/lover, io tornerò al cinema già domani, così da godermi per intero i dialoghi... sperando che l'adattamento e il doppiaggio italiani non facciano pena come al solito.
Del regista Andy Muschietti ho già parlato QUI mentre Bill Skarsgård, alias Pennywise, lo trovate QUA.
Jaeden Lieberher interpreta Bill Denbrough. Americano, ha partecipato a film come St. Vincent, Midnight Special e The Book of Henry, inoltre ha doppiato serie come American Dad!. Ha 14 anni e due film in uscita.
Nicholas Hamilton interpreta Henry Bowers. Australiano, lo ricordo per film come Captain Fantastic e La torre nera. Ha 17 anni e un film in uscita.
Jeremy Ray Taylor, che interpreta Ben, era già comparso in Ant-Man invece Jack Dylan Grazer, ovvero Eddie, ha partecipato ad uno degli episodi di Tales of Halloween e Owen Teague, alias Patrick Hockstetter, ha già fatto parte dell'universo Kinghiano grazie a quell'orrore di Cell. Anche Wyatt Oleff, che interpreta Stan, potrebbe non essere un volto nuovo per molti spettatori visto che è stato un giovane Peter Quill in Guardiani della galassia e un giovane Tremotino nella serie C'era una volta, mentre Finn Wolfhard, che interpreta Richie (e che è l'unico attore rimasto dopo che il film è passato da Cary Fukunaga ad Andy Muschietti), è ovviamente il Mike della serie Stranger Things; a tal proposito, i Duffer Brothers avrebbero voluto dirigere il film ma all'epoca delle prime fasi di produzione il loro nome era ancora poco conosciuto, quindi hanno dovuto "ripiegare" proprio su Stranger Things, uno dei migliori omaggi a King degli ultimi anni. Torno un attimo a parlare di attori dicendo che il piccolo Jackson Robert Scott, ovvero George Denbrough, dovrebbe tornare sullo schermo grazie al figlio di Stephen King, Joe Hill, in una serie TV (sempre diretta da Andy Muschietti) tratta dallo stupendo Locke & Key, dove il piccolino dovrebbe interpretare il dolce Bode Locke assieme a Megan Charpentier, che in It compare come Gret(t)a Bowie e nella serie TV dovrebbe essere invece Kinsey Locke. Passando a Pennywise, alla fine i due attori rimasti a contendersi il ruolo dopo l'abbandono di Will Poulter erano Hugo Weaving e Bill Skarsgård ma alla fine l'ha spuntata quest'ultimo in quanto Weaving non era in grado di offrire un'interpretazione che fosse anche infantile ed ironica ma faceva solo paura. Passando dagli attori ai registi/sceneggiatori, on line è disponibile lo script del 2014 scritto da Cary Fukunaga, immagino prima che lo stesso aggiungesse le scene controverse che lo hanno allontanato dal progetto (si parla di Henry Bowers che fa sesso con una capra ed eiacula su una torta di compleanno, della fusione di Stan e Richie in un personaggio di nome Richie Goldfarb, di un Pennywise nudo che si mostra ad una dei Padri Pellegrini, di una Beverly picchiata dagli amici del padre i quali, si dice, avrebbero fatto sesso con lei, del fatto che Pennywise avesse lasciato vivere Al Marsh solo per fargli molestare la figlia ogni sera e di Bowers e la sua gang che costringono delle ragazze a praticare loro sesso orale), ed è molto simile al film di Muschietti salvo per un paio di cose. Per esempio, Mike ha un ruolo ben più preponderante e il padre gli racconta dell'incendio al Punto Nero, l'"epica battaglia a sassate" diventa "l'epica battaglia con fuochi d'artificio", Al Marsh viene posseduto da It e cerca di violentare Beverly, Belch e Victor muoiono nelle fogne e la forma finale di It, così come un paio di visioni dei bambini, sono molto diverse (Stella marina coi tentacoli? Aiuto!); Muschietti è rimasto più legato al romanzo di King e avrebbe voluto inserire anche il rito del fumo nel quale Mike e Richie scoprono l'origine di It ma limiti di budget hanno purtroppo impedito la realizzazione della scena. E dopo questo infoporn praticamente infinito, mi duole informarvi che per It - Chapter II occorrerà aspettare il 2019, nel frattempo speriamo che molti degli attori che i bambini vorrebbero veder interpretare i perdenti da adulti esaudiscano le loro giovani controparti: sto parlando soprattutto con te, Jessica, ma potrebbero accettare anche Jake Gyllenhaal (Eddie), Joseph Gordon-Levitt (Stan), Chris Pratt (Ben) e Christian Bale (Bill), che dite? Il mio dreamcasting sarebbe però Casey Affleck (Stan), Ethan Embry (Ben), James Franco o Ryan Reynolds (Richie), Elijah Wood (Eddie), James McAvoy (Bill) e David Oyelowo (Mike), lascio solo Jessicona che sarebbe perfetta! ENJOY!