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giovedì 30 novembre 2017

(Gio) WE, Bolla! del 30/11/2017

Buon giovedì a tutti! Innanzitutto permettetemi di darmi una pacca sulla spalla da sola per la lungimiranza con la quale sono corsa a vedere Detroit prima che lo eliminassero dalla programmazione (l'uscita savonese è stata palesemente uno sbaglio a cui hanno rimediato in men che non si dica). Comunque. Natale si avvicina e cominciano blockbuster e camurrìe... ma qualcosa di salvabile, anzi, estremamente desiderabile, c'è eccome!! ENJOY!

Assassinio sull'Orient Express
Reazione a caldo: Immancabile!!
Bolla, rifletti!: Già sarei andata a vederlo per il cast all-star ma la cosa più bella è questa: sarò l'unica persona al mondo a godermi il film dall'inizio alla fine in quanto a) non ho mai letto il libro di Agata Christie e soprattutto b) ho visto il film originale da piccolissima e NON RICORDO UNA CIPPA!! Potrò divertirmi anche col whodunnit, yeaaah!! *__*

Gli eroi del Natale
Reazione a caldo: Ma che è?
Bolla, rifletti!: Non chiedetemi perché al telegiornale lo abbiano spacciato per film Disney quando la produzione è Sony/Columbia. Giovani, si capisce dal disegno che non c'entra la Casa del Topo e che questa è una cretinata natalizia della peggior specie!

Daddy's Home 2
Reazione a caldo: Eh?
Bolla, rifletti!: Non ho nemmeno visto il primo e, sinceramente, questo lo guarderei solo per la presenza di John Lithgow. Magari a casa, eh.

Smetto quando voglio - Ad Honorem
Reazione a caldo: Finalmente!!!
Bolla, rifletti!: Lo aspetto con ansia dalla fine di Masterclass, ché io a Sibilia e ai suoi scappati di casa laureati voglio benissimo. Speriamo sia una conclusione degna!

Anche il cinema d'élite tiene il passo delle uscite pregevoli questa settimana!

Happy End
Reazione a caldo: Wow!
Bolla, rifletti!: Un film di Haneke va visto a prescindere, anche se non ho capito bene di cosa parli (dramma borghese ripreso da vari dispositivi moderni, proposto al pubblico i medias res?). Il problema sono i soliti orari maffissimi e limitati del Filmstudio, oltre alla presenza di mille altri film da vedere...

mercoledì 29 novembre 2017

Flatliners: Linea mortale (2017)

Dopo avergli tirato pacco con Auguri per la tua morte non potevo non tornare al cinema con l'amico Ale in occasione di Flatliners: Linea mortale (Flatliners), diretto dal regista Niels Arden Oplev e remake di Linea Mortale. Qualche SPOILER opportunamente segnalato in un paragrafo a parte!


Trama: cinque studenti di medicina tentano un esperimento che consentirà loro di morire temporaneamente e sbirciare nell'aldilà. Tornati alla vita di tutti i giorni, tutto sembra andare per il meglio, almeno finché i ragazzi non cominciano a venire perseguitati da terrificanti allucinazioni...



Avevo concluso il post su Linea mortale, classico sovrannaturale anni '90, con queste parole: "Forse Linea mortale è uno di quei film che effettivamente abbisognava di una rinfrescata, soprattutto a livello di trama e personaggi, tuttavia temo che l'imminente remake possa soffrire anche di mancanza di originalità per quel che riguarda la messa in scena e la regia, mentre degli attori nuovi salvo solo Ellen Page, la cui presenza mi farebbe sperare in una svolta più "femminista" della faccenda. Staremo a vedere." Siccome del maiale (ovvero del Bollalmanacco) non si butta via niente, ho deciso che comincerò proprio da qui a parlare di Flatliners, remake aggiornato, riveduto e corretto del film di Schumacher. A livello di trama e personaggi cambia poco e cambia molto. Abbiamo sempre gli studenti di medicina che tentano di squarciare il velo che separa l'aldilà dall'aldiqua ma stavolta le motivazioni, almeno all'inizio, sono molto più "innocenti" rispetto all'originale, più spirituali e meno scientifiche; il personaggio di Ellen Page non è spregiudicato ed amorale come quello di Kiefer Sutherland (non a caso tratti del carattere di quest'ultimo confluiscono in un altro protagonista), assomiglia più alla vecchia Julia Roberts, e lo stesso vale per tutto il codazzo di dottorini sbarbatelli, assai lontani dalla cupezza dei loro "zii" e, va detto, molto meno esperti. L'atmosfera iniziale è quella goliardica e svagata di un teen horror, con caratteri ben definiti che fanno quello che ci si aspetta da loro marciando ignari verso la risoluzione sovrannaturale, e la sceneggiatura si permette persino di citare Limitless, aggiungendo altre motivazioni, oltre alla mera fascinazione, per affrontare un esperimento pericolosissimo. Il resto è preso pari pari da Linea mortale e vengono giusto aggiornate le "colpe" dei singoli personaggi onde aumentare di una tacca l'aspetto horror della pellicola e giustificare una presenza di jump scare di cui l'originale difettava. Se Schumacher giocava d'atmosfera, scegliendo con cura luci ed ambientazioni, Niels Arden Oplev si affida, ben più pigramente, al make up di banalissimi spettri che compaiono alle spalle degli attori, figure che scivolano nell'ombra, spaventi telefonati almeno 20 minuti prima ed espedienti narrativi un po' deludenti (ah, per l'aspetto femminista lasciamo perdere: le tre donne servono a giustificare più storie d'amore e un paio di scene di sesso, punto). Il bello di Flatliners è che non siamo più costretti a vedere un uomo di vent'anni pestato a sangue da un ragazzino di dieci ma è anche vero che la sceneggiatura è ben più facilona, moralista e pure un po' paracula rispetto a trent'anni fa. Se non avete ancora visto il film saltate al paragrafo successivo.


SPOILER:
Tolto che a me 'sta storia delle colpe da scontare ha sempre fatto un po' storcere il naso in quanto trovo assurda la possibilità di venire perseguitati dagli spiriti di persone ancora vive, gli sgallettati anni '90 avevano dalla loro l'innocenza di aver compiuto "cose brutte" da bambini: Sutherland che aveva ammazzato involontariamente l'amichetto, Bacon che aveva preso in giro una ragazzina, il padre della Roberts che si era suicidato dopo essere stato visto dalla figlia mentre si drogava in bagno, l'unico "colpevole" adulto era Baldwin che però, diciamolo, si limitava a portarsi a letto delle donne senza far troppo mistero di essere un porco recidivo e cornificatore. Sceme loro, mi vien da dire. La versione 2017 prevede invece la presenza di stronzi da primato e l'unica a rimetterci, paradossalmente, è quella che ha causato un incidente involontariamente. Lasciando perdere il povero cretino che ha abbandonato una ragazza incinta (lei è morta? Il bambino è morto? No. E allora cosa rompono le balle?), le due grazie che, rispettivamente, hanno a) rovinato la vita alla compagna di scuola spedendo a laqualunque foto che la ritraevano nuda e b) ucciso un paziente ed insabbiato la cosa ALTERANDO i risultati dell'autopsia meritano sputi, schiaffi, insulti e morte, altro che "devi perdonare te stesso". Ma che moralismo orribile, mi volete dire davvero che utilizzare un cellulare alla guida è un crimine peggiore di cyberbullismo e incompetenza medica aggravata da stronzaggine?
FINE SPOILER



La previsione che ho azzeccato, ma ci voleva davvero poco, è che mi sarei trovata davanti un film poco interessante dal punto di vista della regia e della scenografia. Le visioni dei protagonisti sono moscerelle e banali, più volte la cinepresa mostra la soggettiva di un volo rapido oppure spazia in ambienti lugubri dove la presenza della CGI fa paura più di tutto quello che si può nascondere nelle ombre, tuttavia ho molto apprezzato la scelta di ambientare l'esperimento in un luogo luminosissimo ed asettico, in aperto contrasto col salone gotico utilizzato da Schumacher (la cui estetica, peraltro, sottolineava anche l'aspetto religioso della vicenda, totalmente assente dal remake). Gli attori, per carità, fanno il loro lavoro. Quello di Courtney non è il ruolo più memorabile di Ellen Page né quello più significativo, ma l'attrice è indubbiamente la migliore del mucchio ed è l'unica capace di toccare il cuore dello spettatore nell'angosciante flashback a metà pellicola; Diego Luna e Nina Dobrev sono meno peggio di quanto avessi pensato, l'alchimia tra i due c'è e la seconda ha la resting bitch face perfetta per il personaggio aristocratico e competitivo di Marlo, mentre James Norton e, soprattutto, Kiersey Clemons (ma solo a me ricorda una Jessica Alba "colorata"?) sono due gatti di marmo messi lì per far numero e istigare lo spettatore all'odio verso coloro che interpretano, un po' come succedeva con Baldwin negli anni '90 ma senza il simpatico Oliver Platt a fare da spalla. C'è da dire che a me non ha mai fatto impazzire già Linea Mortale, quindi la rilettura di Niels Areden Oplev e compagnia, sempre prodotta da Michael Douglas e benedetta dalla presenza di un Kiefer Sutherland imbiancato ma comunque figo, non mi ha fatto né caldo né freddo: ho visto di molto meglio ma ho visto anche di molto peggio quindi non mi sento di consigliarlo o meno. Fate un po' quel che volete ma ricordate che in sala c'è Detroit e giovedì escono Assassinio sull'Orient Express, Smetto quando voglio: Ad Honorem, l'ultimo film di Haneke, Seven Sisters, persino Riccardo va all'inferno. 'nuff said...



Del regista Niels Arden Oplev ho già parlato QUI. Ellen Page (Courtney), Diego Luna (Rey), Nina Dobrev (Marlo) e Kiefer Sutherland (Dr. Barry Wolfson) li trovate invece ai rispettivi link.


Ovviamente, se Flatliners: Linea mortale vi fosse piaciuto consiglio il recupero di Linea mortale. ENJOY!



martedì 28 novembre 2017

Detroit (2017)

Nonostante la distribuzione scarsa è arrivato miracolosamente a Savona Detroit, l'ultimo film della regista Kathryn Bigelow. Visto il bene che ne diceva Alessandra non potevo assolutamente lasciarmelo scappare e ora mi ritrovo a non sapere cosa scrivere di uno dei film più belli dell'anno.


Trama: Nel luglio del 1967 le tensioni razziali a Detroit hanno ormai dato origine a violenza, incendi, razzie e persino omicidi, al punto che persino l'esercito è dovuto scendere in campo. In questo clima di follia e terrore, un gruppo di persone viene bloccato dalla polizia all'interno del Motel Algiers, dove si consuma uno degli episodi più neri della storia americana...



Mettiamo subito le carte in tavola. Non ho la competenza tecnica né le conoscenze necessarie a parlare come si deve di un film come Detroit (Ce le ha Lucia però e vi invito a leggere il suo post QUI, su Il Giorno degli Zombi). Non mi sento in grado di spiegare perché mi è sembrato che Kathryn Bigelow "dirigesse come un uomo", come se le registe donne dovessero per forza di cose essere dei fiori delicati capaci solo di realizzare film da salotti per bene, eppure mi sono ritrovata spesso a pensare "Cristo, questa donna ha le palle". Ha le palle e la facoltà di annullare il gender, se mi si passa il termine ormai stra-abusato, e anche il genere, ché Detroit è una di quelle pellicole impossibili da etichettare: dramma storico è una definizione troppo restrittiva, visto che la Bigelow fin dall'inizio si inoltra nei territori del war movie, del documentario, del torture porn, dell'horror, persino del legal drama, in una chiosa finale talmente asciutta e definitiva da avere lo stesso effetto di un pugnale conficcato nel petto dello spettatore già abbastanza provato. La Bigelow è una donna che non ha paura di prendere la cinepresa, anzi, più cineprese, ed entrare nel cuore dell'azione, creando tensione anche solo inquadrando un gesto, uno sguardo, una strada vuota che a poco a poco si riempie di gente incazzata, una mano che scende a palpeggiare annullando in un momento tutta la dignità di una persona; è una donna capace di gestire al meglio sia le scene corali sia quelle individuali, la bellezza di un paio di numeri musicali assolutamente necessari così come il crudo orrore di una pistola puntata alla tempia per scherzo, l'allegria di una serata come tante e la tensione costante appena fuori da un'oasi apparentemente felice. Ecco, la tensione. Detroit è impastato di tensione, è una bomba pronta ad esplodere sempre, anche nei momenti apparentemente più tranquilli, è un film che dura quasi tre ore eppure fila via liscio come se fossero solo una. Non che alla fine lo spettatore non le senta tutte, anzi. Proprio per questo costante clima di terrore e paranoia presente in ogni singola scena, Detroit annichilisce chi ha il coraggio di affrontarlo con un terrificante "effetto Diaz" di cui in molti, sicuramente, avranno già parlato, eppure secondo me la Bigelow riesce ad andare ancora oltre Vicari e non solo per quel che riguarda la pura tecnica. Laddove Diaz raccontava un incubo vicino nel tempo e nei luoghi, quindi "fresco" e comprensibile da chiunque avesse un minimo di sensibilità umana (ciò non vale per te, povero coglione, che hai urlato "dovevano dargliene di più"), Detroit presuppone uno sforzo ulteriore a cui va incontro giusto un minimo d'introduzione necessaria a fare capire come negli anni '60 la città che da il titolo al film fosse una zona di guerra fatta e finita.


Kathryn Bigelow, donna, bianca, classe 1951, annulla tempo e differenze di razza e classe sociale per raccontare un dramma universale concretizzato in un eclatante, vergognoso episodio di violenza, razzismo e paranoia che assurge a simbolo di un disagio ben più grande e diffuso. Non segna un solco per terra, dividendo buoni da cattivi (ché la stupidità ed arroganza di molte delle "vittime" è palese, così come la necessità di un controllo militare all'interno di una situazione incontrollabile e il ricorso all'uso della violenza "istintiva" da persone poste sotto un regime di stress continuo terrorizzate per la propria vita) ma con poche sequenze ci introduce nelle vite di tutti i coinvolti, tratteggiando psicologie e situazioni personali senza incappare nel dramma tout court o nel didascalismo a tutti i costi; anzi, la sequenza iniziale, a onor del vero, è anche illusoria in quanto da ad intendere allo spettatore ignorante una risoluzione positiva della vicenda, un vento di cambiamento che in realtà non è mai arrivato, non per quelle persone almeno. E così, io spettatrice donna, bianca, classe 1981, sono finita a ritrovarmi nei panni di un manipolo di ragazzi di colore colpevoli solo, come ho detto sopra, di essere giovani e stupidi, di un omone colpevole solo di voler la pace a tutti i costi pur essendo in una situazione di palese svantaggio e di due ragazze convinte di vivere un'epoca di libertà anche sessuale e che invece si sono trovate davanti dei burini sadici; mi sono sentita impotente davanti a chi impugna una pistola e ha un distintivo, impotente come chi viene trattato come un criminale e sfidato a compiere gesti da criminale perché "negro", ché tanto prima o poi verrò beccato in flagranza di reato quindi tanto vale farlo subito. Ho subito lo schifo di umiliazioni verbali e corporali, ho desiderato lasciare la sala per non vedere e l'immedesimazione è aumentata ancora di più perché mi muoveva lo stesso desiderio di quei poveri cristi messi al muro, ho sperimentato l'orrore definitivo di non veder riconosciuta giustizia in quanto davanti a me non c'erano "miei pari" ma semplicemente un branco di bifolchi razzisti (che porco schifo spero guardino il film e si vergognino in saecula saeculorum se sono ancora vivi e non sottoterra dopo una vita di sofferenze come invece mi auguro); ho visto sogni infranti, la paura di tornare a vivere ancora, la necessità di abbandonare casa, amici e lavoro per paura di finire ammazzati o peggio. Soprattutto, anche davanti all'onestà di una didascalia che sottolinea la natura di ricostruzione romanzata dell'intera vicenda, ho amato la Bigelow per aver reso in qualche modo giustizia a persone realmente esistite e finite quasi nel dimenticatoio, il modo in cui attraverso un film ha cercato di a trasmettere allo spettatore anche una minima parte della sofferenza e della paura che sicuramente hanno ammorbato i loro ultimi istanti di vita. Potrei aggiungere due righe sugli attori, tutti bravissimi (Poulter è terrificante, roba da causare incubi la notte, ma è difficile dimenticare lo sguardo di Algee Smith o l'incredulità di John Boyega) ma sinceramente, come ho scritto all'inizio, scrivere di Detroit per me è molto difficile. Succede, quando un film ti entra sotto la pelle e ti manda all'aria cuore, stomaco e cervello trascinandoti in un vortice di paura, rabbia, frustrazione, vergogna e pena infinita.


Della regista Kathryn Bigelow ho già parlato QUI. John Boyega (Dismukes) e Anthony Mackie (Greene) li trovate invece ai rispettivi link.

Will Poulter interpreta Krauss. Inglese, ha partecipato a film come Le cronache di Narnia - Il viaggio del veliero, Revenant - Redivivo e War Machine. Anche sceneggiatore e produttore, ha 24 anni e un film in uscita.


Hannah Murray interpreta Julie. Inglese, ha partecipato a film come I segreti della mente, Womb, Dark Shadows e alla serie Il trono di spade. Ha 28 anni.


Jack Reynor interpreta Demens. Americano, ha partecipato a film come Macbeth e Sing Street. Anche produttore, ha 25 anni e tre film in uscita.


Se Detroit vi fosse piaciuto recuperate Diaz. ENJOY!




domenica 26 novembre 2017

Linea mortale (1990)

In occasione dell'uscita del remake ho deciso di riguardare Linea mortale (Flatliners), diretto nel 1990 dal regista Joel Schumacher.


Trama: un gruppo di studenti di medicina decide di indagare su cosa si nasconda nell'aldilà e, attraverso un pericoloso esperimento, alcuni di loro fermano il proprio battito cardiaco per pochi minuti, di fatto "morendo" prima di venire rianimati. Il ritorno alla vita, però, porta con sé degli strascichi inquietanti...


Linea mortale era uno di quei film che passavano spessissimo in TV quando ero ragazzina ed è figlio dell'ondata di storie sovrannaturali a base di visioni e spettri che imperversavano a fine anni '80. Inquietante ma non particolarmente sanguinolento o pauroso era perfetto per il brivido richiesto dagli spettatori televisivi occasionali e l'abbondanza di bei faccini famosi presenti nel cast probabilmente non guastava, eppure nonostante l'abbia sicuramente visto più di una volta non ricordavo moltissimo della pellicola, tranne forse la bellezza un po' zamarra di Sutherland e Bacon. In effetti, visto oggi Linea mortale ha tanti pregi quanti difetti e risulta un film "medio", forse un po' agée, nonostante parta da un presupposto interessante che, non sto scherzando, quando mi ritrovo a ragionarci su mi tiene sveglia per parecchio; i protagonisti del film vogliono capire cosa si nasconda dietro al velo che separa la vita dalla morte, se ci sono tunnel di luce o angeliche voci guida, mentre io quando ragiono sulla morte trovo difficile agguantare il concetto di "non pensare/esserci più" e della non-consapevolezza del buio, al punto che quando ci penso il mio cervello si ritrova bloccato in un loop, mi vengono i brividi e ciao, devo smettere altrimenti sai che ansia. Ma lasciamo perdere, torniamo a Linea mortale che è meglio. Ovviamente il film la fa più facile e questi bellissimi dottorini dal futuro radioso scoprono che nell'aldilà qualcosa c'è, qualcosa di diverso per ognuno di loro, qualcosa che i poveracci si camallano nell'aldiqua passando poi i giorni cercando di sfuggirgli. Ed è, paradossalmente, proprio l'elemento sovrannaturale/horror a risultarmi moscio dopo vent'anni, oltre che poco sensato, perché se ciò che comincia a perseguitare Sutherland e la Roberts ha un suo motivo per farlo e mette ancora i brividi, così non è per Kevin Bacon e William Baldwin, che tornano in vita portandosi dietro cose che con la morte hanno ben poco a che fare. Le allucinazioni di Baldwin in particolare, per quanto anticipate da una sequenza molto artistica, fanno davvero ridere i polli e danno l'idea di un personaggio (anzi due se contiamo anche la "spalla" Oliver Platt) che lo sceneggiatore non sapeva bene come gestire, inoltre tutte queste aggiunte perplimenti concorrono ad ammosciare il ritmo del film, che da metà in poi comincia a sembrare lunghissimo.


Mi sono accorta che il post sta virando verso la stroncatura ma ho affermato all'inizio che i difetti del film si equivalgono ai pregi quindi parliamo un po' di questi ultimi, interamente legati ad un aspetto prettamente registico e scenografico. Per chi apprezza lo stile gotico-zamarro del Joel Schumacher anni '90 (ve li ricordate i suoi Batman? No, vero? Forse è meglio così...) qui c'è da essere felici. Innanzitutto, gli ambienti universitari dove si muovono i protagonisti sono realizzati con un'interessante commistione tra profano/scientifico e sacro/artistico, pieni di statue di angeli che paiono voler testimoniare il lavoro "blasfemo" dei dottori e di vetrate che ricordano molto il laboratorio di Frankenstein; seconda cosa, le luci molto cariche, quasi al neon, che squarciano l'oscurità in cui spesso si trovano i protagonisti, non sono messe a mo' di mera decorazione ma acquisiscono un significato particolare che solo proseguendo nella visione del film risulterà chiaro. Probabilmente nel tempo le visioni ultraterrene sono diventate un po' kitsch ma le sequenze in cui vengono a poco a poco rivelati l'incubo di Nelson e il passato traumatico di Rachel mettono ancora oggi una discreta ansia e sono girate molto bene. Gli anni passati non hanno nuociuto neppure al carisma degli interpreti, nonostante l'orrore di capigliature che definire inguardabili sarebbe poco. Kiefer Sutherland, Kevin Bacon e Julia Roberts sono bellissimi e, ognuno a modo suo, "maledetti", col primo dotato di un carisma invidiabile e uno sguardo che rende il suo personaggio borderline e spesso ambiguo; i tre vengono affiancati da un Oliver Platt che, pur nei panni di poco carismatico benché simpatico cicciottello, si fa ricordare volentieri mentre il già citato William Baldwin è di una tristezza incredibile, nonostante sia senza dubbio perfetto per il ruolo di tombeur de femmes. Forse Linea mortale è uno di quei film che effettivamente abbisognava di una rinfrescata, soprattutto a livello di trama e personaggi, tuttavia temo che l'imminente remake possa soffrire anche di mancanza di originalità per quel che riguarda la messa in scena e la regia, mentre degli attori nuovi salvo solo Ellen Page, la cui presenza mi farebbe sperare in una svolta più "femminista" della faccenda. Staremo a vedere. Nel frattempo, un recupero dell'originale non fa male anche se ci sono film più iconici per gli anni '90.


Del regista Joel Schumacher ho già parlato QUI. Kiefer Sutherland (Nelson Wright), Julia Roberts (Dr. Rachel Mannus), Kevin Bacon (David Labraccio), Oliver Platt (Randy Steckle) e Hope Davis (Anne Coldren) li trovate invece ai rispettivi link.

William Baldwin interpreta Joe Hurley. Quarto rampollo della famiglia Baldwin, ha partecipato a film come Nato il quattro luglio, Fuoco assassino, Sliver, The Broken Key e a serie quali 30 Rock e MacGyver. Anche produttore e stuntman, ha 54 anni e cinque film in uscita.


Linea Mortale è stato il film che ha fatto innamorare Julia Roberts e Kiefer Sutherland, un fidanzamento durato due o tre anni e rotto dall'attrice che poi avrebbe sposato un altro; e pensare che al posto di Sutherland avrebbe dovuto esserci Val Kilmer e in quello della Roberts una giovane Nicole Kidman. Storie d'amore a parte, se Linea mortale vi fosse piaciuto, nell'attesa di vedere se Flatliners - Linea mortale sia meglio o peggio dell'originale, recuperate L'uomo senza ombra, Ghost - Fantasma e Allucinazione perversa. ENJOY!

venerdì 24 novembre 2017

American Assassin (2017)

E' uscito ieri in tutta Italia American Assassin, diretto dal regista Michael Cuesta e tratto dal romanzo L'assassino americano di Vince Flynn, film che dal trailer mi attirava molto ma...


Trama: dopo la morte della fidanzata per mano dei terroristi, l'unico scopo di Mitch Rapp diventa assassinarne quanti più possibile. Viene così notato dalla CIA e affidato al veterano Stan Hurley, che cerca di preparare il ragazzo in vista della prima missione...



Dopo anni dovrei avere imparato che c'è da stare attenti quando alcuni attori creduti "scomparsi" tornano prepotentemente alla ribalta perché non sempre è tutto oro quello che luccica. Prendiamo per esempio Michael Keaton, ultimamente protagonista di tantissime pellicole dopo una stasi durata più o meno un decennio: da Birdman in poi lo si è visto in film molto interessanti come Il caso Spotlight e The Founder e persino in un film Marvel come Spiderman: Homecoming ed è sempre stata una gioia ritrovarlo, almeno per me. Tuttavia avrei dovuto ricordare che gli attori, giustamente, cavalcano l'onda finché possono e non è detto che incappino sempre nel progetto o nel personaggio giusti, soprattutto quando si ritrovano per le mani una sovrabbondanza di richieste: questo, ahimé, è il caso di American Assassin, film irritante e perplimente a più livelli, con un Michael Keaton sottotono e costretto nel ruolo dell'ex Navy Seals ringhiante alle prese con una sorta di superuomo autodidatta. Un tizio di venticinque o trent'anni, per dire, che il giorno prima ha come massima preoccupazione quella di pucciarsi nelle calde acque di Ibiza e il giorno dopo, studiando credo dei manuali su internet, diventa esperto di arti marziali a livello Goku, esperto di pistole a livello Jigen ed esperto di lingue a livello Douglas Ramsey (e questa la capiscono in pochi), fino ad essere in grado di arrivare DA SOLO ad uccidere alti esponenti di un'organizzazione simil-Isis. La CIA, galvanizzata da cotanta "americanitudine", invece di chiuderlo in cella e gettar via la chiave lo arruola e lo affida al tipico istruttore degli action USA, quello che dispensa al 50% saggi consigli riassumibili in un paio di frasi fatte da duro e al 50% mena come un fabbro ferraio e tortura psicologicamente, tanto per accattivarsi la simpatia del protagonista che (e non avevo dubbi), nonostante i suoi colleghi si siano magari fatti un addestramento militare lungo decenni, è il migliore di tutti perché "agisce fuori dagli schemi anche se così facendo mette a repentaglio la vita dei suoi compagni". Maronna cheppalle. Ovviamente quel vago barlume di riflessione globale che pareva esserci nel trailer è solo la scusa per introdurre una spy story un po' più violenta del normale, non viene mai messa in discussione la positività degli americani, nonostante la presenza di personaggi vagamente ambigui, perché il nemico si nasconde in Paesi misteriosi e lontani quali Russia, Iran, ecc. ecc. Insomma, sono tornati gli anni '80.


Quello che purtroppo non è tornato, assieme agli anni '80, è la volontà di buttare tutto in supercazzola perché American Assassin è TREMENDAMENTE serio e cupo. Il film prende spunto da un terribile fatto di cronaca accaduto pochi anni fa e per tutta la sua durata, nonostante un finale da fantascienza (il Bolluomo non se ne capacitava) e le solite motivazioni risibili del villain (metà pellicola è ambientata in Italia. Quando scoprirete perché vi metterete le mani nei capelli...), non c'è mai un momento in cui gli sceneggiatori abbiano deciso di alleggerire un po' l'atmosfera o, Trump non voglia, mettere in dubbio le motivazioni o le azioni dei protagonisti; la puzza stantia di nazionalismo al limite del fascista e il clima di totale paranoia non si allentano nemmeno quando viene introdotto un alleato "esterno" perché, ovviamente, tale alleato viene comunque punito per aver tentato di fregare, seppure a fin di bene, gli emissari dello zio Sam. Cacca su di lui. Potrei aggiungere anche che la trama è così prevedibile che qualsiasi "colpo di scena" viene telefonato appena compare il personaggio ad esso legato (no, non si sono nemmeno sbattuti col casting) ma la cosa più stupida di tutte è che, oltre ad avere sprecato Michael Keaton per un ruolo adatto a qualsiasi caratterista specializzato in burini d'acciaio e avere messo un ragazzino senza carisma come protagonista nella speranza di poterlo riscritturare per i sequel, come lascia intendere il finale aperto, 'sta gente aveva per le mani Scott Adkins e niente, lo hanno fatto sparare un paio di volte e stop, niente botte ben coreografate, acrobazie o ultraviolenza godereccia. Avevano fatto peggio solo in Doctor Strange, che perlomeno era un film divertente da vedere. American Assassin è quindi solo una deprimente camurria dalle enormi ambizioni che nasconde un action dei più loffi mai girati, evitate di spenderci dei soldi, fosse anche per amore di Michael Keaton.


Del regista Michael Cuesta ho già parlato QUI. Michael Keaton (Stan Hurley) e Scott Adkins (Victor) li trovate invece ai rispettivi link.

Dylan O'Brien interpreta Mitch Rapp. Americano, ha partecipato a film come Maze Runner - Il labirinto, Maze Runner - La fuga e a serie quali Teen Wolf. Ha 26 anni e un film in uscita.


Sanaa Lathan interpreta Irene Kennedy. Americana, ha partecipato a film come Blade, Alien vs Predator, Contagion, Now You See Me 2 e a serie quali Otto sotto un tetto e Nip/Tuck; inoltre ha lavorato come doppiatrice nelle serie The Cleveland Show e I Griffin. Anche produttrice, ha 46 anni e un film in uscita.


Taylor Kitsch interpreta il Fantasma. Canadese, ha partecipato a film come Snakes on a Plane, X-Men - Le origini: Wolverine e a serie quali True Detective. Anche regista, sceneggiatore e produttore, ha 36 anni.


Il ruolo di Mitch Rapp era stato offerto a Chris Hemsworth, che ha dovuto rifiutare per impegni pregressi mentre per un certo periodo si erano fatti i nomi di Bruce Willis per il ruolo di Stan Hurley e di Antoine Fuqua come regista ma non è dato sapere perché alla fine i due sono rimasti fuori dal progetto. Progetto che si prospetta remunerativo, tra l'altro, visto che American Assassin potrebbe fungere da prequel in quanto primo di ben quindici libri, sempre scritti da Vince Flynn, aventi per protagonista Mitch Rapp. Ma speriamo di no, vah. Se, a differenza di quanto accaduto a me, American Assassin dovesse piacervi, recuperate Mission: Impossible e la serie dedicata a Jason Bourne. ENJOY!




giovedì 23 novembre 2017

(Gio)WE, Bolla! del 22/11/2017

Buon giovedì a tutti! Come al solito, se mi capita di saltare UNA settimana al cinema (magari dicendo al Bolluomo stanco "Ma tranquillo, Justice League lo guardiamo la prossima domenica!") rimango fregata perché quella dopo escono millemila film che vorrei vedere e allora al diavolo i supereroi... come in questo caso! ENJOY!

Detroit
Reazione a caldo: Evviva!!!
Bolla, rifletti!: Me ne aveva parlato mesi fa la fortunella Alessandra, che lo aveva visto in quanto ormai suddita della Regina Elisabetta, e ne aveva detto un gran bene. Chi sono quindi io per non darle retta e correre a vederlo prima di subito? In fondo parliamo di Kathryn Bigelow, mica pizza e fichi.

American Assassin
Reazione a caldo: Gesù.
Bolla, rifletti!: Mi sono già fatta infinocchiare io dal trailer di 'sta cretinata pseudofascista action, non fatelo pure voi ed evitatelo come la peste. Ne parliamo domani sul blog, per ora fidatevi.

Caccia al tesoro
Reazione a caldo: Caccia e basta.
Bolla, rifletti!: Devastante combo Carlo Vanzina + San Gennaro, 10/10 travolgere. Non ce la posso fare.

Gli sdraiati
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Bisio attore serio a me non dispiace, eh. Però non ho mai letto il romanzo di Michele Serra e non mi fa impazzire la Archibugi, poi il confronto padri/figli all'italiana mi risulta spesso indigesto. Quindi boh, vedremo.

Flatliners - Linea mortale
Reazione a caldo: Oh yeah!
Bolla, rifletti!: E' uscito alla traditora, porca miseria, e temo non avrò il tempo di riguardare l'originale... ma forse è meglio così, almeno non ricoprirò di insulti chi ha realizzato il remake di uno degli horror più programmati (almeno in TV) degli anni '90!

Al cinema d'élite si rifà doppietta!

Il mio Godard
Reazione a caldo: Hmm...
Bolla, rifletti!: I biopic mi piacciono sempre molto e, detto sinceramente, di Godard conosco poco o nulla quindi il film è potenzialmente interessantissimo. E' l'interpretazione personale del regista che nu po' mi perplime...

Mistero a Crooked House
Reazione a caldo: Mavaff...
Bolla, rifletti!: Un film che ovviamente avrei voluto vedere è stato relegato alla brevissima e assurda programmazione del cinema d'élite. Purtroppo, per quanto sia curiosa di vedere questo giallo interpretato da Glenn Close, Terence Stamp e Gillian Anderson, toccherà passare e recuperare durante una futura visione casalinga... 

mercoledì 22 novembre 2017

C'era una volta in Messico (2003)

Non c'è mica solo Netflix, sapete. Amazon Prime Video ha un catalogo più ridotto e meno indipendente/cool ma qualcosina si trova, per esempio C'era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), diretto e sceneggiato nel 2003 dal regista Robert Rodriguez.


Trama: El Mariachi, in cerca di vendetta per la morte di moglie e figlia, si trova coinvolto nelle macchinazioni di un agente della CIA e in una storia fatta di boss mafiosi, colpi di stato e presidenti da uccidere...



In quel lontano novembre del 2003, ricordo ancora, in sala c'ero solo io. Non avevo trovato nessuno che mi accompagnasse a vedere C'era una volta in Messico, miracolosamente arrivato anche a Savona, e io, all'epoca ancora folgorata da Dal tramonto all'alba e preda di un amore folle per tutto ciò che riguardava Tarantino e i suoi simpatici amici, non potevo sopportare l'idea di non vedere l'ultima fatica di Rodriguez. Adesso, forse forse, mi farei un po' due conti in tasca. Rodriguez è ancora un bambino mai cresciuto, capace di regalare incredibili gioie allo spettatore disposto a farsi prendere in giro ma anche tantissima camurrìa derivante proprio da quell'incontenibile entusiasmo che palesemente lo prende ogni volta che si siede dietro la macchina da presa; detto questo, il nostro non azzecca un film da almeno dieci anni (Machete e Machete Kills li ho amati ma mi rendo conto che quello non è cinema) e guardando oggi C'era una volta in Messico si avverte già quel sentore di declino concretizzatosi in supercazzole e omaggi ai film di serie Z che sanno tanto di scusa per celare una fondamentale incapacità di essere Autore "serio". Nonostante tutto, io voglio un sacco bene a Rodriguez, intendiamoci, proprio per l'entusiasmo fracassone che mette nella realizzazione di ogni suo film e per la sua voglia di sperimentare sempre e comunque, tuttavia con C'era una volta in Messico il regista e sceneggiatore si è andato ad impelagare in un'impresa che meritava semplicità e tamarreide (ribadisco: Machete), non un plot a base di spie, doppiogiochisti e colpi di stato. Al culmine di una trilogia discontinua come quella del Mariachi (talmente discontinua che il regista non ricordava neppure che il personaggio di Cheech Marin fosse morto in Desperado, cosa che lo ha costretto a rivedere lo script e cambiarlo) Rodriguez fa del personaggio il salvatore della Patria, figura violenta ma pura capace di guardare oltre la corruzione serpeggiante in ogni angolo di Messico e portare la giusta revolución a suon di schitarrate e pistolettate. Il problema è che il personaggio di Sands, agente CIA, ruba la scena al Mariachi depresso più di una volta e, ancora peggio, viene utilizzato come un fastidioso latore di caos attraverso il quale vengono introdotti i più disparati personaggi, tutti ugualmente privi di carisma e abbozzati alla bell'e meglio, incapaci persino di fissarsi nella memoria dello spettatore per le loro caratteristiche trash/weird. Il che, mi spiace, ma dal regista e sceneggiatore che mi ha regalato Machete e Sex Machine (solo per citarne un paio) proprio non lo accetto.


Sarà che ormai Johnny Depp mi è inviso? Può essere benissimo, visto che Sands avrebbe tutte le carte in regola per qualificarsi come personaggio cult e invece la vista della faccetta da caSSo dell'attore (non ancora preso dalla sindrome di Sparrow, questo almeno glielo concedo) mi faceva venire voglia di prenderlo a pugni nonostante il linguaggio colorito e le braccia finte, tanto che solo nel prefinale, bardato con occhiali da sole e sangue a nascondergli il volto a mo' di novello Corvo, sono riuscita finalmente ad apprezzare Sands come meritava. Rimanendo in tema attori, Rourke e Dafoe sono un assurdo spreco di potenziale (il primo, col cagnusso, poteva fare molto meglio), la Mendes una cagnaccia inqualificabile (degnamente accompagnata da Enrique Iglesias e Marco Leonardi, due gatti di marmo) e persino faccette amate come quelle di Danny Trejo e Cheech Marin questa volta non bucano lo schermo. Meglio piuttosto l'accoppiata Banderas/Hayek o lo spettacolo del Mariachi in solitario, visto che il buon Antonio era ancora ai tempi in cui non veniva preso per il chiulo da galline e mulini: gli stunt dell'attore sono una gioia per gli occhi, basti solo pensare alla tamarrissima scena iniziale, alla sparatoria in chiesa, alla rocambolesca fuga dall'hotel incatenato ad una Hayek particolarmente sboccata... peccato solo per la decisione del regista di riempire il film di effetti digitali all'epoca all'avanguardia ma che probabilmente hanno ormai cominciato a soffrire un po' l'usura del tempo. Non che mi dispiaccia vedere proiettili che fanno letteralmente esplodere i corpi spillando ettolitri di sangue o roba che salta in aria senza un perché ma talvolta il risultato è talmente posticcio da andare persino oltre lo stile cartoonesco di Rodriguez. A compensare il tutto ci sono comunque una bellissima fotografia ricca di colori caldi, un montaggio serratissimo e, soprattutto, la colonna sonora, degna compagna delle imprese di un Mariachi che sembra quasi essere killer per caso, più interessato a tamburellare le dita sulla chitarra e cavarne evocative melodie (ma che brividi mi ha dato sentire le note di quella Malagueña appena accennata?) oppure a danzare come un ballerino di flamenco. Insomma, purtroppo tra me e C'era una volta in Messico non è più amore come un tempo ma comunque un po' di affetto c'è ancora.


Del regista e sceneggiatore Robert Rodriguez ho già parlato QUI. Antonio Banderas (El Mariachi), Salma Hayek (Carolina), Johnny Depp (Sands), Mickey Rourke (Billy), Eva Mendes (Ajedrez), Danny Trejo (Cucuy), Cheech Marin (Belini) e Willem Dafoe (Barrillo) li trovate invece ai rispettivi link.

Marco Leonardi interpreta Fideo. Australiano, ha partecipato a film come Nuovo Cinema Paradiso, La sindrome di Stendhal, Dal tramonto all'alba 3 - La figlia del boia e a serie come Elisa di Rivombrosa e Don Matteo. Ha 46 anni e sei film in uscita.


Rubén Blades interpreta Jorge FBI. Nato a Panama, ha partecipato a film come Predator 2, Il colore della notte, L'ombra del diavolo, The Counselor - Il procuratore e a serie quali X-Files e Fear the Walking Dead. Ha 69 anni ed è anche compositore e sceneggiatore.


Il cantante Enrique Iglesias, che interpreta Lorenzo, era già comparso, non accreditato, in Desperado. Johnny Depp è riuscito a completare tutte le sue scene in otto giorni ma siccome voleva rimanere ancora sul set Rodriguez gli ha fatto interpretare anche il prete con cui parla El Mariachi prima della sparatoria in chiesa; il ruolo di Johnny Depp comunque era stato pensato per George Clooney, già diversamente impegnato (probabilmente sul set di Ocean's Eleven, La tempesta perfetta o Fratello, dove sei?, chissà), mentre per l'aMMore Quentin (ringraziato nei nei titoli di coda in quanto fonte d'ispirazione del film) era pronto quello di Cucuy, al quale il regista ha dovuto rinunciare perché preso dalla realizzazione di Kill Bill. Detto questo, C'era una volta in Messico è il momentaneamente ultimo capitolo di una trilogia che comprende El Mariachi e Desperado, quindi se vi fosse piaciuto recuperateli e aggiungete Machete, Machete Kills e Dal tramonto all'alba. ENJOY!

martedì 21 novembre 2017

A Ghost Story (2017)

Ho dovuto aspettare Italia vs Svezia per riuscire a vedere A Ghost Story, film diretto e sceneggiato da David Lowery, ma alla fine ce l'ho fatta!


Trama: una persona da poco defunta torna come fantasma nella casa dove abitava e si ritrova a testimoniare lo scorrere del tempo in sua assenza...


Ho avuto la scimmia di guardare A Ghost Story fin da quando ne aveva parlato Lucia ma mi sono ritrovata a dover aspettare una sera in cui il Bolluomo fosse diversamente occupato perché da quel che avevo letto (non troppo per non rovinarmi la visione) ho capito che il film avrebbe causato la mia morte tramite pianti inconsolabili e che non mi sarei trovata davanti a un horror disimpegnato, bensì a qualcosa di estremamente diverso e, soprattutto, ben poco horror. Insomma, non pane per i denti del povero Mirco, al quale ho risparmiato un paio d'ore di sofferenza (benché visto il risultato della partita... vabbé). Quanto a me, sono arrivata alla fine di A Ghost Story ancora viva e, stranamente, poco lacrimante ma con un senso di malinconia talmente soverchiante che non ho potuto fare altro, conclusa la visione, se non spegnere la luce, appallottolarmi e chiudere gli occhi mettendomi a dormire. A Ghost Story non è infatti una storia di fantasmi e case infestate, quanto piuttosto la storia, come da titolo originale, di UN fantasma, un'entità manifestatasi nel classico lenzuolo con due buchetti al posto degli occhi. E se pensate che una rappresentazione così poco "realistica" o espressiva di un fantasma non possa comunicare più di quanto riuscirebbe la migliore CGI del mondo, ebbene vi sbagliate di grosso perché tutta la sofferenza di essere eterno o, perlomeno, legato all'"aldiquà" fin quando non sarà in grado di lasciare andare le sue pene terrene, arriva al cuore dello spettatore potente come un pugno e altrettanto dolorosa. A questi punti, meglio avvertire i lettori incauti dell'altissimo potenziale "noia" di un film come A Ghost Story, tipica pellicola in cui "non succede nulla" e che richiede allo spettatore una buona dose di sensibilità ed empatia, nonché la volontà di mettersi nei panni del fantasma e vedere scorrere mestamente davanti ai propri occhi piccoli gesti di umanissima quotidianità, trasfigurati da un punto di vista carico di rimpianto e nostalgia; Lowery, in veste di regista e sceneggiatore, si permette di indugiare in lunghi silenzi, semplici gesti d'affetto dilatati nel tempo, pochi dialoghi che inquadrano giusto la situazione ma lasciano allo spettatore il compito di "riempire i buchi" in base alla propria esperienza o predisposizione d'animo, soprattutto fa uso di un interessantissimo montaggio temporale (oltre che di un lunghissimo, angosciante piano sequenza) che sottolinea la triste condizione di un protagonista costretto a subire lo scorrere della vita altrui e la scomparsa di tutto ciò che gli è caro.


A Ghost Story è dunque l'atipica storia di un fantasma, una pellicola assai poetica e delicata che tratta temi profondissimi impiegandoci metà del tempo di quanto farebbe un film Marvel o DC qualsiasi per propinarci l'ennesima scazzottata tra supereroi. E' un film che racconta sì l'elaborazione del lutto e la necessità di andare avanti ma non solo. Pone delle domande sul futuro, non inteso necessariamente come futuro della società umana ma proprio sul lascito della singola persona ai figli, ai figli dei figli e a quelli che verranno dopo, sia che si tratti di un individuo particolare oppure di un normalissimo "uomo della strada" e lo fa attraverso un monologo assai intenso; parla di frustrazione ribaltando i classici punti di vista di un horror come Poltergeist (una delle fonti d'ispirazione del regista, per conoscere alcune delle altre vi rimando al solito trafiletto finale), della difficoltà di lasciare andare quello che per noi è importante, di sentirsi fuori dal mondo in ogni senso possibile e di odiarsi per la volontà di continuare comunque a vivere, di speranze infrante e desideri irrealizzabili, di cambiamenti, vita, morte e di tutto quello che sta in mezzo, fosse anche una storia d'amore ben lontana dall'essere perfetta. A Ghost Story è un film che costringe lo spettatore a pensare ma anche a guardare con attenzione, a concentrarsi a lungo sulle immagini fino ad arrivare a conoscerne ogni dettaglio, ad apprezzare la profondità di campo e persino ad incuriosirsi davanti a un formato che, lì per lì, pensavo fosse dovuto a qualche problema in fase di "pesca" e invece è proprio quello originale voluto e pensato dal regista. Questa scelta peculiare conferisce un'aura vintage all'intera pellicola e, pur rinchiudendo le immagini all'interno di una cornice piccolina, da diapositiva o da filmino girato in casa, non le priva della bellezza data dalla fotografia nitida e accresce il senso di claustrofobia già causato dalla scelta di girare il film quasi interamente all'interno di quattro mura. Non sto nemmeno a dire che un film così bello e particolare non ha ancora una data di uscita italiana né probabilmente l'avrà mai ma se dovesse finire tra le manine illuminate di Netflix o di qualche casa di distribuzione consiglio vivamente di dargli un'occhiata perché è una delle opere più belle e coraggiose viste quest'anno.


Di Casey Affleck (C) e Rooney Mara (M) ho già parlato ai rispettivi link.

David Lowery è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Senza santi in paradiso e Il drago invisibile. Anche produttore e attore, ha 37 anni e un film in uscita.


Sotto il lenzuolo del secondo fantasma c'è la cantante Kesha. Se A Ghost Story vi fosse piaciuto recuperate alcune delle fonti di ispirazione del regista, come per esempio La città incantata, Poltergeist, Under the Skin e Orlando. ENJOY!

lunedì 20 novembre 2017

Sei sei seiiii!!

Il titolo del post va ovviamente letto come se lo cantasse il Pelù de El Diablo, chevvelodicoaffare?
Sei anni su Blogger, ormai 10 andando per gli 11 da quando ho aperto il Bollalmanacco ai tempi di Splinder.


Volete un po' di record che non interessano a nessuno? Dai!

Da quando ho cominciato l'avventura su Blogger il post più letto è stato quello di Ted. Ted, santo cielo. Il film con l'orso sboccato parlante. Più di diecimila visualizzazioni e non comprendo il perché, visto che non parliamo di una pellicola sconosciuta, particolarmente ardua da capire (The Babadook è al secondo posto e non avete idea di quanta gente arrivi sul blog cercando una spiegazione a ciò che ha visto) o programmata spesso come A Good Marriage. Questo, di solito, quando viene passato in TV è un post che fa il boom di visualizzazioni, forse perché è un film talmente orrido, benché Kinghiano, che probabilmente ne ho parlato soltanto io in tutta Italia. E questo solo per le prime tre posizioni.

Passando ai commenti, pare che il film più commentato sia stato L'esercito delle 12 scimmie, una delle mie pellicole preferite. Ben 55 commenti, un record per questo blog, quindi poco più di venti persone che hanno scelto di lasciare la propria opinione sotto il post. I commenti sono diventati un po' il mio cruccio, lo ammetto; in questi sei anni sono arrivata a considerarli più importanti delle visite e sinceramente un po' mi spiace vedere blog che viaggiano sul centinaio al giorno e anche belli articolati e corposetti, mentre io quando arrivo a dieci (contando anche i miei e con metà limitati ad un laconico "segno") posso dirmi felice. Lo so, siamo tutti diventati dei lurker senza tempo da perdere, me per prima, però un po' mi deprimo lo stesso. It's my party, ecc. ecc. Pigri siamo, questa è la verità.

Esisteva anche un simpatico post di recupero, che dovrei un po' aggiornare, mutuato da un'idea de Il buio in sala, quello delle Recensioni Lazzaro. Se vi va, per festeggiare questi sei anni, salvate Perkins' 14 (ma davvero solo io l'ho guardato quel film??), The Killer Shrews (maddai! Uno si sbatte a guardare una roba così trash e nemmeno un commento per riderne?) e compagnia, dai, ce ne sono ancora mezza dozzina, compreso Keyhole che è stato recensito solo l'anno scorso ed è il più depresso di tutti! Devo lanciare la campagna adotta un film?

Il post si è rivelato un po' maffo, lo ammetto, ma alla fine volevo solo ringraziare chi ancora ha voglia di passare il tempo a leggere le cretinate che scrivo, le meravigliose persone conosciute di persona proprio grazie al Bollalmanacco, quelle che ancora non conosco di persona ma che comunque sento periodicamente attraverso uno dei mille mezzi tecnologici del demonio che possediamo e ovviamente il povero Bolluomo Mirco al quale sto imponendo una passione arrivata prima di lui e che è ancora lontana dall'essersi sedata. A proposito di passioni non sedate, stavo pensando di tornare a darmi al disegno, magari accompagnando i post con una vignettina da mettere su Instagram e sulla pagina Facebook del Bollalmanacco (piacetela!). Potrebbe essere la novità 2017/18 ma sono pigra e temo riscontri negativi. Qui sotto però c'è l'esempio di ciò che potrebbe essere, fatemi sapere se vi garba! Nel frattempo, come sempre... ENJOY!

Questo per Thor: Ragnarok...

... questo per Madre!