Nonostante la distribuzione scarsa è arrivato miracolosamente a Savona
Detroit, l'ultimo film della regista
Kathryn Bigelow. Visto il bene che ne diceva
Alessandra non potevo assolutamente lasciarmelo scappare e ora mi ritrovo a non sapere cosa scrivere di uno dei film più belli dell'anno.
Trama:
Nel luglio del 1967 le tensioni razziali a Detroit hanno ormai dato origine a violenza, incendi, razzie e persino omicidi, al punto che persino l'esercito è dovuto scendere in campo. In questo clima di follia e terrore, un gruppo di persone viene bloccato dalla polizia all'interno del Motel Algiers, dove si consuma uno degli episodi più neri della storia americana...
Mettiamo subito le carte in tavola. Non ho la competenza tecnica né le conoscenze necessarie a parlare come si deve di un film come
Detroit (Ce le ha
Lucia però e vi invito a leggere il suo post
QUI, su
Il Giorno degli Zombi). Non mi sento in grado di spiegare perché mi è sembrato che
Kathryn Bigelow "dirigesse come un uomo", come se le registe donne dovessero per forza di cose essere dei fiori delicati capaci solo di realizzare film da salotti per bene, eppure mi sono ritrovata spesso a pensare "Cristo, questa donna ha le palle". Ha le palle e la facoltà di annullare il
gender, se mi si passa il termine ormai stra-abusato, e anche il genere, ché
Detroit è una di quelle pellicole impossibili da etichettare: dramma storico è una definizione troppo restrittiva, visto che la
Bigelow fin dall'inizio si inoltra nei territori del
war movie, del documentario, del
torture porn, dell'horror, persino del
legal drama, in una chiosa finale talmente asciutta e definitiva da avere lo stesso effetto di un pugnale conficcato nel petto dello spettatore già abbastanza provato. La
Bigelow è una donna che non ha paura di prendere la cinepresa, anzi, più cineprese, ed entrare nel cuore dell'azione, creando tensione anche solo inquadrando un gesto, uno sguardo, una strada vuota che a poco a poco si riempie di gente incazzata, una mano che scende a palpeggiare annullando in un momento tutta la dignità di una persona; è una donna capace di gestire al meglio sia le scene corali sia quelle individuali, la bellezza di un paio di numeri musicali assolutamente necessari così come il crudo orrore di una pistola puntata alla tempia per scherzo, l'allegria di una serata come tante e la tensione costante appena fuori da un'oasi apparentemente felice. Ecco, la tensione.
Detroit è impastato di tensione, è una bomba pronta ad esplodere sempre, anche nei momenti apparentemente più tranquilli, è un film che dura quasi tre ore eppure fila via liscio come se fossero solo una. Non che alla fine lo spettatore non le senta tutte, anzi. Proprio per questo costante clima di terrore e paranoia presente in ogni singola scena,
Detroit annichilisce chi ha il coraggio di affrontarlo con un terrificante "effetto
Diaz" di cui in molti, sicuramente, avranno già parlato, eppure secondo me la
Bigelow riesce ad andare ancora oltre
Vicari e non solo per quel che riguarda la pura tecnica. Laddove
Diaz raccontava un incubo vicino nel tempo e nei luoghi, quindi "fresco" e comprensibile da chiunque avesse un minimo di sensibilità umana (ciò non vale per te, povero coglione, che hai urlato "dovevano dargliene di più"),
Detroit presuppone uno sforzo ulteriore a cui va incontro giusto un minimo d'introduzione necessaria a fare capire come negli anni '60 la città che da il titolo al film fosse una zona di guerra fatta e finita.
Kathryn Bigelow, donna, bianca, classe 1951, annulla tempo e differenze di razza e classe sociale per raccontare un dramma universale concretizzato in un eclatante, vergognoso episodio di violenza, razzismo e paranoia che assurge a simbolo di un disagio ben più grande e diffuso. Non segna un solco per terra, dividendo buoni da cattivi (ché la stupidità ed arroganza di molte delle "vittime" è palese, così come la necessità di un controllo militare all'interno di una situazione incontrollabile e il ricorso all'uso della violenza "istintiva" da persone poste sotto un regime di stress continuo terrorizzate per la propria vita) ma con poche sequenze ci introduce nelle vite di tutti i coinvolti, tratteggiando psicologie e situazioni personali senza incappare nel dramma
tout court o nel didascalismo a tutti i costi; anzi, la sequenza iniziale, a onor del vero, è anche illusoria in quanto da ad intendere allo spettatore ignorante una risoluzione positiva della vicenda, un vento di cambiamento che in realtà non è mai arrivato, non per quelle persone almeno. E così, io spettatrice donna, bianca, classe 1981, sono finita a ritrovarmi nei panni di un manipolo di ragazzi di colore colpevoli solo, come ho detto sopra, di essere giovani e stupidi, di un omone colpevole solo di voler la pace a tutti i costi pur essendo in una situazione di palese svantaggio e di due ragazze convinte di vivere un'epoca di libertà anche sessuale e che invece si sono trovate davanti dei burini sadici; mi sono sentita impotente davanti a chi impugna una pistola e ha un distintivo, impotente come chi viene trattato come un criminale e sfidato a compiere gesti da criminale perché "negro", ché tanto prima o poi verrò beccato in flagranza di reato quindi tanto vale farlo subito. Ho subito lo schifo di umiliazioni verbali e corporali, ho desiderato lasciare la sala per non vedere e l'immedesimazione è aumentata ancora di più perché mi muoveva lo stesso desiderio di quei poveri cristi messi al muro, ho sperimentato l'orrore definitivo di non veder riconosciuta giustizia in quanto davanti a me non c'erano "miei pari" ma semplicemente un branco di bifolchi razzisti (che porco schifo spero guardino il film e si vergognino in saecula saeculorum se sono ancora vivi e non sottoterra dopo una vita di sofferenze come invece mi auguro); ho visto sogni infranti, la paura di tornare a vivere ancora, la necessità di abbandonare casa, amici e lavoro per paura di finire ammazzati o peggio. Soprattutto, anche davanti all'onestà di una didascalia che sottolinea la natura di ricostruzione romanzata dell'intera vicenda, ho amato la
Bigelow per aver reso in qualche modo giustizia a persone realmente esistite e finite quasi nel dimenticatoio, il modo in cui attraverso un film ha cercato di a trasmettere allo spettatore anche una minima parte della sofferenza e della paura che sicuramente hanno ammorbato i loro ultimi istanti di vita. Potrei aggiungere due righe sugli attori, tutti bravissimi (
Poulter è terrificante, roba da causare incubi la notte, ma è difficile dimenticare lo sguardo di
Algee Smith o l'incredulità di
John Boyega) ma sinceramente, come ho scritto all'inizio, scrivere di
Detroit per me è molto difficile. Succede, quando un film ti entra sotto la pelle e ti manda all'aria cuore, stomaco e cervello trascinandoti in un vortice di paura, rabbia, frustrazione, vergogna e pena infinita.
Della regista
Kathryn Bigelow ho già parlato
QUI.
John Boyega (Dismukes) e
Anthony Mackie (Greene) li trovate invece ai rispettivi link.
Will Poulter interpreta Krauss. Inglese, ha partecipato a film come
Le cronache di Narnia - Il viaggio del veliero, Revenant - Redivivo e
War Machine. Anche sceneggiatore e produttore, ha 24 anni e un film in uscita.
Hannah Murray interpreta Julie. Inglese, ha partecipato a film come
I segreti della mente, Womb, Dark Shadows e alla serie
Il trono di spade. Ha 28 anni.
Jack Reynor interpreta Demens. Americano, ha partecipato a film come
Macbeth e
Sing Street. Anche produttore, ha 25 anni e tre film in uscita.
Se
Detroit vi fosse piaciuto recuperate
Diaz. ENJOY!