Pagine

martedì 6 agosto 2024

Starve Acre (2023)

Giusto perché mi piace deprimermi, ho recuperato di recente Starve Acre, diretto e sceneggiato dal regista Daniel Kokotajlo e tratto dal romanzo La voce della quercia di Andrew Michael Hurley. Segue qualche inevitabile spoiler.


Trama: Richard e Jules si trasferiscono nella campagna inglese nella speranza che l'ambiente faccia bene al figlioletto Owen. La zona però è oggetto di inquietanti leggende...


La cifra stilistica dell'horror recente sembra essere una tristezza senza fine. Non fa eccezione Starve Acre, un gradevole mix tra dramma familiare e folk horror, che assesta più di una mazzata emotiva allo spettatore. Non ho letto La voce della quercia, libro da cui è tratto il film, quindi non potrò (come spesso accade) fare paragoni tra le due opere o riflessioni sui diversi medium e tutto ciò che scriverò sarà legato a una mia personalissima interpretazione di Starve Acre. Il film si focalizza sull'elaborazione del lutto all'interno di una famiglia apparentemente normale, condizionata tuttavia dai problemi comportamentali del figlioletto, già causa di una piccola crepa nel legame tra Richard e Jules. Quando il piccolo muore, la crepa si allarga non solo per il diverso modo che hanno i genitori di affrontare la perdita, ma soprattutto per i diversi sentimenti che li legavano al defunto, condizionati, nel caso di Richard, da traumi passati legati alla campagna inglese in cui la famiglia aveva deciso di traferirsi. Come nei migliori drammi a sfondo sovrannaturale, è proprio in queste crepe che si insinua il male, anche se in questo caso bisogna parlare di una forza più ambigua, a cui si riallaccia l'anima "folk" dell'opera. Starve Acre, infatti, parla sì di morte, ma anche di una rinascita conquistata col sangue, di entità ambigue ed antiche come il mondo, che non sempre agiscono secondo canoni umani e di sicuro non si possono definire soltanto "buone o cattive". Questa stessa ambiguità o, se preferite, questo continuo cambio di prospettiva, si ripercuote anche nel percorso di superamento del lutto intrapreso da Richard e Juliette, che procede lineare e separato, almeno all'inizio, per poi unirsi e riproporsi, in un continuo alternarsi di follia e solitudine, liberazione, stasi e di nuovo dolore, in un'altalena di sensazioni che la generale freddezza dell'opera mitiga a stento. Anche il finale, che pur insiste su dettagli horror più raccapriccianti e violenti, lascia una sensazione di malinconia inquieta, la curiosità morbosa, tanto per citare un dialogo del film, di sapere quale sarà il destino ultimo dei protagonisti e della sparuto gruppetto di fedeli in attesa della "primavera".


All'inizio dicevo che l'horror recente punta più al dramma triste, ma un altro elemento distintivo degli ultimi anni è la scoperta di quanto siano terrificanti i conigli o le lepri. Dopo Caveat e Il morso del coniglio, il leprotto di Starve Acre (generato quasi sicuramente al computer ma abbastanza realistico da non darmi fastidio) è l'emblema dell'inquietudine, una creatura che si percepisce "sbagliata" o comunque aliena fin dall'inizio, pur essendo una perfetta rappresentazione del dolore: quando crediamo di essercene liberati, ecco che torna per morderci e allontanarci da chi ci vorrebbe aiutare, si nutre di noi e ci isola ancor più. Messer Leprotto è la punta dell'iceberg di una serie di dettagli stranianti, di una natura pericolosa ed incomprensibile, che nelle splendide immagini del film rimane ad osservare silenziosa e brulla, affascinante ma indifferente allo spettatore come solo la campagna inglese può essere. Questo tipo di ambientazione è perfetta per catturare e riportare su schermo le atmosfere tipiche del folk horror, ma aiutano anche le belle facce dei personaggi secondari e il loro modo molto "campagnolo" di parlare, mentre Matt Smith e Morfydd Clark sono la coppia ideale per interpretare i protagonisti. Prego i fan della coppia di non fraintendermi quando dico che i due attori hanno proprio il volto e l'atteggiamento di chi è vinto e stanco della vita, con un piede già in un mondo tutto suo, dove le parole e i contatti umani non servono e l'unica cosa che importa è abbracciare lo spleen oppure un'elegante follia. Ecco, elegante è proprio l'aggettivo perfetto per questo film che, come tutti gli slow burn, troverà tanti estimatori ma anche moltissimi detrattori, perché ha il non trascurabile difetto di avere un ritmo molto lento. Io, nelle ultime settimane, tendo stranamente a non addormentarmi e ho apprezzato molto Starve Acre, ma non ditemi che non vi avevo avvertito!


Di Matt Smith (Richard) e Morfydd Clark (Juliette) ho parlato ai rispettivi link. 

Daniel Kokotajlo è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto un altro film, Apostasia. Anche produttore, ha 43 anni.


Erin Richards
interpreta Harrie. Inglese, ha partecipato a film come Open Grave, Le origini del male e a serie quali Gotham e The Crown. Anche regista e sceneggiatrice, ha 38 anni. 


Robert Emms
 interpreta Steven. Inglese, ha partecipato a film come Anonymous, Biancaneve, Kick-Ass 2 e a serie quali Chernobil. Ha 38 anni.



2 commenti:

  1. "L'orrore non è il crollo delle mura ma sono le sue crepe"
    Leggendoti mi hai ricordato questa frase di Cerami (Fattacci) che ci sta a pennello. Starve Acre lo aspettavo almeno con curiosità, a me ha deluso; un folk horror che mi ricorda il recente Lord of Misrule (The Wicker Man lasciamolo stare perché sarebbe ingeneroso); la bella ambientazione che poteva tanto offrire alla fine mi è risultata piatta, l'atmosfera straniante della campagna dove si intrufola il paganesimo non sono riuscita a percepirla; in realtà non ho sentito neanche quel dolore, quello spleen di cui hai avvertito essere intriso il film, davvero peccato; magari lo rivedrò e sarà diverso. Ho scoperto che la lepre, tra i molti simboli ha quello di rappresentare la rinascita (primavera)/Resurrezione (Pasqua).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io l'ho trovato molto superiore a Lord of Misrule, vuoi per gli attori, vuoi per l'ambientazione. Ma credo questo sia un genere di film che dipende non dalla sensibilità dello spettatore, ma dal mood del momento: in questo periodo mi commuovo e mi deprimo per un nonnulla!

      Elimina