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mercoledì 27 gennaio 2010

The Hamiltons (2006)

Passato il momento Avatar, si torna a film un po’ più terra terra. In questo caso, veramente, non saprei cosa pensare di The Hamiltons, film scritto e diretto nel 2006 dai Butcher Brothers ( i fratelli macellai, n.d.B.), al secolo Mitchell Altieri e Phil Flores. La mia mente brancola tra grida che categorizzano il film come una banalità, e sussurri che potrebbero concedere il beneficio del dubbio.


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La trama: i fratelli Hamilton sono i vicini ideali. Assieme ai soliti, banali segretucci come incesto, sodomia, voyeurismo, si dilettano anche nel tenere segregata gente in cantina, torturarla e poi, a scelta, darla da mangiare viva ad una creatura non meglio identificata di nome Lenny oppure dissanguarla. Proprio una famiglia di buontemponi!


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Il film affonda le radici in pellicole storiche che raccontano di famiglie perverse e cannibali, come il Non aprite quella porta di Tobe Hooper o Le colline hanno occhi di Wes Craven. E che due palle, direte voi: che c’è ancora da dire in merito? Poco o niente, in effetti, ma la particolarità di The Hamiltons è che non tutto è come sembra all’occhio dell’esperto e trucido spettatore. C’è qualcosa di Twilightesco in effetti che si affaccia pian piano alla superficie, nella fattispecie arrivati alla fine si pensa di aver praticamente visto uno spot del Mulino Bianco girato da un pervertito sulla via del pentimento.


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Il film, infatti, incredibilmente, vorrebbe celebrare i valori della diversità e della famiglia, per quanto imperfetta, che in nome dell’amore e dell’unione accetta e perdona ogni cosa. Anche una pecora nera come il fratello minore, che ci mostra tutti i peccatucci dei fratelli attraverso una telecamera portatile. Come spettatori vediamo i fratelli del ragazzo attraverso l’occhio “ribelle” di lui, influenzato dalla frustrazione tipicamente adolescenziale, dal senso di solitudine, dalla paura per un futuro incerto. E in effetti quello che vediamo non è che deponga molto a favore della sanità mentale di un adolescente: genitori morti per cause sconosciute (se li sono mangiati..?), il fratello maggiore è un debole che a differenza dei due gemelli, più spregiudicati, non riesce a tirare fuori le palle per tenere unita la famiglia disastrata o ad aiutare il fratellino a sentirsi meno “diverso”, l’assistente sociale è un orrido ciccione che non sarebbe capace di salvare nemmeno un gatto su un albero, mentre i gemelli dal canto loro se ne sbattono di tutto e di tutti e si spupazzano felici, salvo poi redimersi nell’ambiguo finale.


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Eh sì perché è proprio il finale a rendere il film (che a dirla tutta è senza infamia né lode visto che non ci sono aspetti interessanti né nella regia né nella recitazione, ed il tutto è poco migliore di un film TV di media qualità..) un po’ una bufala e un po’ interessant. E’ interessante innanzitutto perché è più o meno inaspettato e ribalta completamente la prospettiva dell’intera pellicola, rendendo impossibile per lo spettatore dissociarsi del tutto dalle vicende familiari mostrate. Il film visto col senno di poi acquista un significato ed un’interpretazione differenti e diventa qualcosa di più di un semplice horror (dove tra l’altro anche il gore è ridotto al minimo, tanto che The Hamiltons non può nemmeno essere definito un torture porn. Vero è che molte cose vengono mostrate, ma ne ho viste di peggiori e ben più fastidiose…). Nonostante tutto però si scade nella vaccata quando viene mostrata l’identità di Lenny, seguita da una serie di immagini che sembrano tratte da un mieloso episodio della famiglia Bradford. Morale: anche i mostri in fondo hanno un cuore, anche loro soffrono di solitudine e si vogliono bene, anche se non possono fare altro che mangiare chi non è come loro. Magari Bella Swan si fosse innamorata di uno degli Hamilton. Ci sarebbe stato da ridere!


Mitchell Altieri e Phil Flores sono i due registi della pellicola. Meglio conosciuti come The Butcher Brothers, sono anche sceneggiatori del film e hanno lavorato assieme fin dagli inizi della loro carriera. Al momento hanno all’attivo pochissimi film, tra cui il remake di April Fool’s Day, intitolato in Italia Scherzo letale. Di costoro non è dato sapere né nazionalità, che presumo americana, né età.


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I Butcher bros sono quello col cappellino e quello con la camicia bianca ^__*


Cory Knauf interpreta Francis, il più giovane degli Hamilton. L’attore, originario della California, ha partecipato ad un episodio di Aliens in America e Californication, ha inoltre lavorato con i Butcher Brothers anche quest’anno, col film The Violent Kind che è tra le pellicole che verranno presentate al Sundance Festival 2010. Dovrebbe avere sui 25 anni e un film in uscita, di cui è anche produttore.


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Samuel Child interpreta David, il fratello maggiore. Anche lui fa parte dei “cocchi” dei Butcher Brothers, con i quali ha lavorato sia in Scherzo letale che in The Violent Kind. Ha fatto delle piccole comparsate in telefilm come CSI: NY e Criminal Minds. Ha 36 anni.


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Joseph McKelheer interpreta Wendell, uno dei due gemelli. Come Samuel Child ha lavorato per i Butcher Brothers in Scherzo letale e in The Violent Kind, e per la TV ha partecipato ad un episodio di Cold Case. Anche di lui non è dato sapere l’età (probabilmente viaggia sulla trentina..), ma è americano, originario di Washington, e ha tre film in uscita.


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Mackenzie Firgens interpreta Darleen, una dei gemelli. A differenza degli altri la sua è la prima collaborazione con i Butcher Brothers, ma anche lei ha partecipato a The Violent Kind, e per la TV ad un episodio di CSI NY. Americana, ha 35 anni e tre film in uscita.


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E ora vi lascio con il trailer del film... molto ben fatto, molto più della pellicola in sé! ENJOY!


martedì 19 gennaio 2010

Avatar (2009)

Diceva il buon Frank’n’furter del Rocky Horror Picture Show di non giudicare mai un libro dalla copertina. Io l’ho fatto, e ora chino il capo pentita. Il primo teaser trailer di Avatar, il nuovo film di James Cameron, mi aveva portato a dire: “ok, non andrò MAI a vedere quest’ennesima stronzata 3D”. Tempo un mese, e il trailer ufficiale mi aveva fatta ricredere, trasformandolo in uno dei film più attesi di un anno che è appena cominciato. Tempo un altro mese e sono arrivata a considerare Avatar il capolavoro di un regista che si è ampiamente riscattato dalla colpa di aver fatto diventare quel coglioncello di Di Caprio l’idolo di generazioni di stolte ragazzine.


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La trama: in un futuro dove la Terra è ormai priva di qualsiasi genere di vegetazione, l’ultima speranza di ottenere ricchezza ed energia risiede su un lontano pianeta chiamato Pandora. Un marine paralitico, Jake Sully, viene mandato lì al posto del defunto fratello per aiutare i biologi della spedizione ma viene convinto dai suoi superiori a fare il doppio gioco e ad infiltrarsi in un clan di nativi per ottenere la loro fiducia. La sua mente viene così inserita in un Avatar, un corpo biologicamente identico a quelli della popolazione indigena: ma non sarà tanto facile per lui fare il doppio gioco una volta ritrovata la libertà di correre e soprattutto dopo aver conosciuto la cultura e le usanze degli indigeni…


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Avatar non è un semplice film: è un’esperienza. Non so nemmeno se riuscirò a fare capire quanto sia bello e coinvolgente e quanto venga arricchito dall’utilizzo del 3D. Partiamo dalla cosa più semplice, ovvero la storia: E’ la Storia, con la S maiuscola, la più antica e la più terribile, perché fa parte di una realtà che spesso tendiamo a dimenticare, ovvero quella del più forte che soppianta il più debole. Avatar ripropone in chiave fantascientifica la storia dei Conquistadores che, guidati dall’avidità e dalla convinzione che la loro cultura e il loro progresso li rendessero superiori a popoli da loro giudicati come primitivi, non si sono fatti scrupoli a prendere quello che volevano con l’inganno e lo sterminio, annientando culture che di semplice o primitivo non avevano proprio nulla e popoli che vivevano rispettando tutto ciò che li circondava, senza prendere nulla più del necessario. Cameron non risparmia nulla allo spettatore: non stiamo guardando un film della Disney dove i “cattivi” vengono puniti con simpatici trucchetti e nessuno si fa male; certo, non ci sono immagini gore, ma gli indigeni muoiono ed assistono all’orrenda distruzione della loro terra e dei loro luoghi di culto perché la loro è una lotta impari, frecce contro missili, eserciti contro poche unità, e anche quando la situazione pare ribaltarsi in loro favore lo spettatore non è mai certo che arriverà un lieto fine.


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Ad accompagnare una storia tristemente conosciuta si aggiunge un topos narrativo più piacevole ma altrettanto conosciuto, ovvero quello della “formazione” del protagonista e conseguente innamoramento dell’artefice di tale formazione. La storia d’amore tra Jake e Neytiri, la splendida aliena del popolo dei Na’vi, ricorda molto quella tra Pocahontas e John Smith, ma è una diretta conseguenza dell’incredibile esperienza che il marine vive cercando di imparare le usanze e la cultura degli alieni. I tre mesi di “addestramento” consentono allo spettatore di scoprire paesaggi, animali, icone sacre di una bellezza rara e di affezionarsi ai Na’vi tanto da rendere ancora più orribile e toccante il massacro perpetrato dai soldati solo per ottenere un minerale che, per inciso, non viene mai mostrato sul pianeta, ma solo nella base spaziale.


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Passando alla parte più tecnica mi sono ritrovata a pensare parecchie volte che se George Lucas avesse avuto questi mezzi tecnologici all’epoca, Guerre Stellari sarebbe diventato un film da dare le convulsioni allo spettatore. Avatar non è da meno. Più di due ore di film in 3D rischiano di dare altro che mal di testa (anche se per fortuna a me non è successo) ma regalano qualcosa che è più di un film, annulla ogni barriera, sembra di non avere uno schermo davanti ma una finestra aperta su un’altra realtà. Ogni minimo dettaglio è curato, dalle schegge di legno, alle scintille di fuoco, alle foglie che cadono, che danno l’illusione di poterle toccare, per finire con le bolle della sospensione fisiologica all’inizio, e solo per fare qualche esempio, per mostrare a che livelli di perfezione e maniacalità visiva arriva Avatar. E dai particolari passiamo alle cose grandiose. Il design della base spaziale, dei battle suit meccanici che vengono usati dai marines e degli aerei è impressionante, ma ancora più impressionanti sono gli scorci delle montagne volanti di Pandora, la fauna che la popola, il gigantesco albero casa e il luminoso albero delle anime, senza dimenticare ovviamente i Na’vi, un incrocio tra dei felini e il Nightcrawler degli X – Men, a mio avviso gli alieni più belli che siano mai comparsi su uno schermo, realizzati in maniera così naturale da sembrare veri. 


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Unendo una tecnica registica praticamente perfetta, dei personaggi ottimamente caratterizzati e una bella storia, Cameron è riuscito a trovare un equilibrio che ha del miracoloso, creando un film divertente, intelligente, commovente e mai noioso. Al dì la delle immagini strazianti, che fanno davvero venire il magone, o delle scene d’azione, semplicemente da brivido, quella dove tutto il clan accetta Jake come un fratello unendo ogni singolo alieno con un semplice tocco di mano, oppure quella dell’invocazione alla dea, un delirio di corpi in movimento e luci immersi in un’atmosfera solenne, ma anche scene più “lievi” come quella del legame con lo pterodattilo e il conseguente primo volo sono assolutamente splendide e commoventi, qualcosa che indubbiamente non si può dimenticare tanto facilmente. E nonostante questo film si basi all’80% sugli effetti speciali, non va dimenticato il fatto che sono coinvolti anche attori in carne ossa, e che attori! Sigourney Weaver incarna una dura biologa dal cuore tenero, combattuta tra la fede nella scienza e il desiderio di credere in qualcosa di “superiore”, il personaggio secondo me più riuscito di tutto il film. Michelle Rodriguez per una volta è stranamente meno vajassa del solito, Giovanni Ribisi è un modello di bassezza morale e squallore, mentre Stephen Lang col suo infamissimo colonnello ispira sentimenti di odio solo di poco inferiori a quelli ispirati da Christoph Waltz in Inglorious Basterds. Inoltre anche il doppiaggio italiano è tornato ad essere dignitoso come in passato. Insomma, l’avrete capito: mi sono innamorata di Avatar. Andatelo a vedere, saranno i10 euro meglio spesi della vostra vita. Aggiungo che in questi giorni ha vinto anche due Golden Globe, quindi ha praticamente la strada spianata per almeno un Oscar.


James Cameron è regista e sceneggiatore del film. Autore completo, uno dei più grandi registi moderni, tra le sue pellicole ricordo Piraña Paura, Terminator, Aliens – Scontro finale, Abyss, Terminator 2 – Il giorno del giudizio, True Lies e Titanic (per il quale solo lui ha vinto l’Oscar come miglior regista). Ha diretto anche un episodio del telefilm da lui creato e prodotto, Dark Angel. Canadese, ha 56 anni e un film in uscita, quel Battle Angel che altro non è che il film tratto dal manga cult di Yukito Kishiro, Alita l’angelo della battaglia.


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Sam Worthington interpreta Jake Sully. L’attore inglese ha già lavorato su personaggi creati (ma in questo caso non diretti) dal regista sul set di Terminator – Salvation, e per la TV ha partecipato a JAG – Avvocati in divisa e alla serie australiana Two Twisted. Ha 34 anni e tre film in uscita.


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Sigourney Weaver interpreta la dottoressa Grace Augustine. Per me questa meravigliosa attrice, universalmente conosciuta per aver interpretato il colonnello Ripley nella quadrilogia di Alien, rimarrà sempre la bravissima interprete di Dana Barret in Ghostbusters e Ghostbusters II. La sua filmografia però conta tanti altri film come Io & Annie, Gorilla nella nebbia, Una donna in carriera, Tempesta di ghiaccio, Biancaneve nella foresta nera, Heartbreakers – Vizio di famiglia, The Village, Be Kind Rewind. Ha inoltre prestato la voce per un episodio di Futurama. Newyorchese, ha 61 anni e sei film in uscita tra cui, probabilmente, Ghostbusters III.


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Giovanni Ribisi interpreta l’antipatico affarista Parker Selfridge. Era un ragazzetto come tanti quando interpretava il fratello cretino della Phoebe di Friends, ed è cresciuto per recitare interessanti ruoli in bellissimi film, tra i quali ricordo Strade perdute di Lynch, Salvate il soldato Ryan, Il giardino delle vergini suicide, The Gift e Lost in Translation. Per la TV ha recitato in episodi di Simon & Simon, Ai confini della realtà, Walker Texas Ranger, Ellen, NYPD, X – Files e My Name is Earl. Californiano, ha 36 anni e tre film in uscita.  


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Michelle Rodriguez interpreta la combattiva pilota Trudy Chacon. Nata per essere zamarra, l’attrice texana ha sempre ricoperto i ruoli di donna dura e grebana, come per esempio in The Fast and the Furious, Resident Evil, Blood Rayne e, non in ultimo, col ruolo di Ana Lucia in Lost. Ha 32 anni e tre film in uscita, tra cui l’attesissimo Machete


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Stephen Lang interpreta l’odiosissimo colonnello Miles Quaritch. Newyorchese, tra i film che mi sono familiari ha recitato in Manhunter – Frammenti di un omicidio, Non dirmelo.. non ci credo ed era anche in L’uomo che fissa le capre, ma giuro che non me lo ricordo per nulla. Per la TV ha invece partecipato ad episodi di Oltre i limiti e Law & Order. Ha 58 anni e due film in uscita.


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Zoe Saldana presta invece corpo e voce all’aliena Neytiri. Al di là di un paio di comparsate in La maledizione della prima luna e nel nuovo Star Trek, questo è il suo primo ruolo importante e in un film decente: vogliamo parlare della sua partecipazione a Crossroads che, vorrei ricordare, è il film che ha (s)consacrato Britney Spears come attrice? Ecco, appunto. L’attrice americana ha 32 anni e quattro film in uscita.


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Vi lascio ora con uno strano teaser trailer del film... non lo stesso che ho visto io ma comunque molto molto diverso dal risultato finale XD ENJOY!


giovedì 14 gennaio 2010

Nikita (1990)

Esistono film che, nonostante non siano dei capolavori assoluti, non ci si stancherebbe mai di vedere. Nel mio caso, anche a costo di rimanere davanti alla tv fino alla ragguardevole ora delle 2 di notte, uno di questi film è senza dubbio Nikita di Luc Besson, che risale all’ormai lontano 1990.


Nikita è una tossicomane che, durante una rapina nella quale tutti i suoi compagni vengono uccisi dai poliziotti, stordita dalla droga ammazza a sangue freddo uno di questi ultimi. Viene condannata all’ergastolo ma una branca dei servizi segreti francesi decide di fingerne la morte e di prenderla in custodia per fare di lei un killer e una spia.


Prima ancora di Tarantino con le sue sanguinosissime Iene tutte al maschile, ci pensava un giovane regista francese a scioccare e deliziare le platee internazionali con un film violentissimo, pieno di scene che col tempo sarebbero diventate un cult (si pensi solo a quella in cui Nikita conficca una penna nella mano di un guardiano meno che gentile) e a tratti commovente, molto femminile. Nikita è la storia di una giovane ragazza sbandata che cresce nel modo più terribile che si possa immaginare, conoscendo l’esaltazione e l’orrore di potere diventare più di una donna comune, ma anche meno: la naturale propensione all’amore, all’avere una famiglia, persino un futuro normale, le vengono negati da un rigido addestramento e da un ancor più rigido patto con i suoi educatori/carcerieri, che riescono a sfruttare ogni suo desiderio ed ogni sua debolezza per trasformarla in una riluttante assassina.


Il film si può dividere in due parti, prima e dopo l’addestramento. La prima parte condensa almeno quattro anni di vita di Nikita e ci introduce al personaggio e all’inquietante e sotterraneo mondo dei servizi segreti, entrambi mostrati con una punta di sadico e nero umorismo; lo spettatore, nonostante si renda conto della colpa della ragazza, non può fare altro che provare pena per lei ed esultare ogni volta che prende per il naso i suoi freddi istruttori. Nella seconda parte Besson ci mostra invece una Nikita adulta, che cerca in ogni modo di recuperare tutto quello che le è stato tolto: amore, libertà, sesso, proprietà, in poche parole la vita. Ed è carino vedere come il personaggio sia assolutamente affamato di vita ed esperienze “normali” (deliziose le scene al supermercato, con conseguente incontro e seduzione del dolce cassiere, che diventerà poi il suo compagno di vita) nei brevi periodi in cui sa che il telefono non squillerà per richiamarla alla sua seconda vita, quella nascosta, quella che col nome in codice “Josephine” si insinua brutalmente nella sua quotidianità, arrivando a mettere in pericolo tutto quello che ha duramente conquistato. Anche in questa parte non manca un umorismo nero, cinico e spietato, che si manifesta con prepotenza durante la “luna di miele” a Venezia, ennesima illusione ed ennesima brutalità alla quale la sottopone il suo ex istruttore, il personaggio più ambiguo di tutto il film, sottilmente bastardo ed probabilmente innamorato (ricambiato) di lei.


Come avrete capito, la forza del film sta nei personaggi, e nei costanti tocchi di ironia e liricità che Besson riesce a dosare sapientemente. Questa tecnica troverà il suo apice nel film Léon, secondo me il capolavoro del regista, di cui già in Nikita troviamo un embrione: ad un certo punto infatti, nel momento più gore del film, arriva un “professionista” di nome Victor, una macchina per uccidere fredda, laconica, quasi indistruttibile… e non a caso interpretata proprio da Jean Reno. Col senno di poi, senza la benefica presenza di Mathilda,forse Léon sarebbe diventato proprio così. Anne Parillaud, nei panni di Nikita, è praticamente perfetta, riesce con un solo sguardo o un solo gesto a mostrare tutta la fragilità e la tristezza del personaggio e riesce a passare con naturalezza da un’interpretazione più “ribelle” e adolescenziale ad una più adulta e pacata. Se non conoscete il film, o non l’avete mai visto, è ora di rispolverarlo un po’, non ve ne pentirete. Occhio perché con lo stesso titolo esiste una serie TV omonima del 1997 tratta proprio da questo film ed interpretata da Peta Wilson (la Mina Harker di The League of Extraordinary Gentlemen, per intenderci…) ed un filmetto del 1988 intitolato Nikita – Spie senza volto, apprezzabile solo per la presenza del compianto River Phoenix.

Luc Besson è il regista del film. Prezzemolino del cinema francese (è infatti anche produttore, talent scout e sceneggiatore) e anche volpone, visto che le belle protagoniste delle sue pellicole diventano poi sue mogli (è stato sposato proprio con Anne Parillaud oltre che con Milla Jovovich anche se ha divorziato poi da entrambe), tra i suoi film ricordo il già citato Léon, il bellissimo Il quinto elemento, il fracassone Giovanna D’Arco ed Arthur e il popolo dei Minimei (con un seguito già uscito e un altro in arrivo). Ha 51 anni e due film in uscita.

Ossignore, me lo ricordavo un bell'uomo ma pare che si sia inghiottito tutte le ex mogli... o__O

Anne Parillaud interpreta Nikita. Attrice francese, ex moglie di Luc Besson, ha recitato in film come il divertente Amore all’ultimo morso e La maschera di ferro. Ha 50 anni e due film in uscita. 


Jean Reno interpreta Victor. Originario del Marocco e famoso in tutto il mondo, è uno dei miei attori preferiti anche se ultimamente non si sta dedicando a film proprio memorabili. Tra le sue pellicole ricordo I visitatori (con un seguito), il già citato Léon, Mission: Impossible, Godzilla, Ronin, I fiumi di porpora (e il suo seguito), Wasabi, La tigre e la neve, The Pink Panther – La pantera rosa (con il suo seguito) e Il codice Da Vinci. Ha inoltre dato la voce ad uno dei personaggi della versione francese dell’anime Porco Rosso. Ha 62 anni e tre film in uscita. 


Tcheky Karyo interpreta Bob, il “guardiano” di Nikita. L’attore turco ha recitato in uno dei film che più ho odiato e mi ha terrorizzata nella mia infanzia, L’orso e inoltre ha partecipato a 1492 – La scoperta del paradiso, Bad Boys, Crying Freeman, Goldeneye, Va dove ti porta il cuore (o__O), Dobermann, Giovanna D’Arco, L’erba di Grace, Il patriota, l’orrendo e trashissimo Blueberry; ha anche interpretato Filippo il Bello nella geniale e altrettanto trash (ma decisamente cult) serie TV La maledizione dei Templari! Ha 57 anni e un film in uscita.


E ora vi lascio con il trailer che passava negli USA all'epoca... ENJOY!



lunedì 11 gennaio 2010

[Rec] 2 (2010)

Come si vede che il periodo natalizio è finito! Al diavolo i buoni sentimenti, adesso è il momento di sfondarsi di horror, più beceri sono meglio è. E cosa c’è di più becero del sequel di un film che, all’epoca, mi rimandò a casa con nausea, brividi, un mal di testa da primato e tanta di quella fifa da non dormire la notte? Sto parlando ovviamente di [Rec] 2, nuovissimo film del duo Jaume Balaguerò e Paco Plaza. Almeno questa volta non sono stata male, è già qualcosa.

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Trama: il film inizia dove il precedente finiva. Mentre il destino della giornalista Angela si compie nell’attico, entrano all’interno dell’edificio ancora in quarantena quattro membri delle forze armate e un ambiguo funzionario del ministero della salute. Nel condominio si troveranno ad affrontare gli infetti superstiti del primo film ed un’infinita serie di ulteriori, orribili imprevisti…

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Con il secondo capitolo della saga, Balaguerò e Plaza introducono una svolta nella trama ed un paio di innovazioni a livello registico. Non vorrei rovinare lo spettacolo a quelli che non hanno ancora visto il film, dico solo che viene data una spiegazione più o meno plausibile e (almeno per me) inaspettata sulla natura del contagio che ha trasformato gli inquilini del palazzo in mostri assetati di sangue. Una spiegazione che non mette proprio in buona luce la Chiesa cattolica, a dimostrazione di come la Spagna sia cambiata negli ultimi decenni. Per quanto riguarda la regia, invece, alla solita ripresa soggettiva (questa volta fatta da uno delle forze speciali) si aggiungono gli escamotage di videocamere personali collegate in rete con quelle dei compagni, che ci consentono di vedere più punti di vista diversi nello stesso momento e una seconda telecamera, questa volta amatoriale, che da un certo punto del film ci mostra quello che è successo fuori dal palazzo prima dell’inizio di [Rec] 2 e perché ad un tratto spuntano altri personaggi non infetti nell’androne delle scale.

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A dirla tutta, molto poco cambia rispetto al primo [Rec]. Non a caso, chi ha visto quello può tranquillamente “proteggersi” dagli effetti della soggettiva e anche dai vari infarti provocati dalla comparsa degli infetti. Diciamo che una volta esaurito l’effetto sorpresa anche questo film sa un po’ di già visto, ma nonostante tutto, e nonostante alcune imprecisioni e svarioni nella trama, è molto ben fatto e regala momenti di assoluto terrore. Gli attori sono molto bravi anche se quasi tutti i personaggi che interpretano sono talmente odiosi da spingere lo spettatore a  sperare che crepino nel modo più violento possibile, inoltre da amante dell’horror ho apprezzato la citazione Cronemberghiana sul finale, anche se è leggermente disgustosa. Pollice verso invece per quanto riguarda il doppiaggio del “funzionario”, dotato di un improbabile accento British che mi ricordava troppo Mal, in grado però di regalare agli spettatori picchi di trash impensati per un film simile. E qui finisce la recensione per chi ha voglia di vederselo e non vuole rovinarsi lo spettacolo. Non leggete oltre, anche se ora verrà la parte probabilmente più divertente, ovvero l’angolo: “Ma come si permette?? Cos’è sta c***ata?”


SPOILER

Le storie demoniache, con esorcismi e affini mi fanno davvero paura. Però qui gli sceneggiatori l’hanno fatta un po’ fuori dal vaso e alcune idee sfiorano il ridicolo involontario. Pensare che si possa isolare dal sangue di un’indemoniata un virus così da poter poi al limite cercare un vaccino supera ogni mia più folle idea. Però, una volta fatto il casino, o stupidi esorcisti, date fuoco al palazzino, così che non rimanga più nemmeno un infetto: no, bisogna mandare dentro un branco di sfigati a recuperare il sangue della bambina dalla quale è partita l’infezione e POI bruciare l’edificio, come viene detto alla fine. Ma perché? E perché un prete che potrebbe esorcizzare gli infetti sceglie a sproposito di far saltare loro la testa? Certo che i tempi sono proprio cambiati…

A proposito di bastardaggine congenita: ma in quale mondo tre ragazzini dementi, un pompiere e un padre di famiglia, scoperti a violare l’edificio passando per le fogne, dovrebbero venire condannati a rimanere bloccati in un posto infetto da poliziotti che, dopo averli sgamati, sigillano anche il tombino da dove sono entrati con la fiamma ossidrica? Ma allora sei veramente una merda! E un cretino è anche il capo della squadra che per ben due volte manda avanti, singolarmente, i suoi uomini: ora, passi il primo, ma quando quello ti viene masticato perché mai tu decidi di mandarne un altro in avanscoperta in un tunnel zeppo di mostri? Mah.

Last but not least. Alla fine si scopre che, per vedere Medeiros, ovvero la prima infetta, bisogna spegnere tutte le luci e passare alla visione notturna della telecamera. Mi sta bene, i demoni rifuggono la luce, quindi vivranno in una dimensione a parte, quella dell’ombra. Utile, visto che l’unico che riesce ad utilizzare la visione notturna e quindi a vedere la mostriciattola è anche l’unico, nonostante faccia parte dei corpi speciali, ad essere privo di armi. Io mi domando come sia possibile, in tempi di microtecnologia, che una specie di soldato vaghi con una telecamera probabilmente grossa come un bazooka visto che gli impedisce di fare alcunché. Ma anche fosse, e di ai tuoi amichetti armati dove sparare, no? Altro che “stiamo zitti sennò ci vede”… e cosa fai, stai lì a girarti i pollici finché non ti viene da starnutire sperando che non ti trovi mai? Contento te…

FINE SPOILER



Jaume Balaguerò e Paco Plaza sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Balaguerò è universalmente conosciuto come uno dei migliori autori del genere horror spagnolo, grazie a film come Nameless – Entità nascoste, Darkness, Fragile e ovviamente [Rec], unico film per cui è famoso anche Plaza, che pure ha all’attivo una decina di pellicole. Il primo ha 42 anni, il secondo ne ha 37.

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Degli attori non posso parlare per due motivi: uno per non rovinare la visione del film, due perché non conoscendo il cinema spagnolo, non saprei neppure quale dei loro film sia degno o meno di nota. E ora vi lascio con il bellissimo teaser spagnolo della pellicola: ENJOY!



venerdì 8 gennaio 2010

Generazione X (1995)

Ennesimo post a distanza di poco! Non vi ci abituate, gente, è che nelle vacanze di Natale ho avuto tempo di vedere un po’ più film del solito, ora si torna ai vecchi ritmi. Comunque questo è il secondo frutto della “serata Kevin Smith” della settimana scorsa: Generazione X (Mallrats) del 1995. Uno dei miei film preferiti, il che la dice lunga sulle mie devianze mentali.


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La trama: Brodie e T.S. sono due amici, entrambi appena mollati dalle rispettive ragazze, il primo perché è un nerd bamboccione, il secondo perché odiato dal futuro suocero. La loro intenzione di affogare le disgrazie nel becero consumismo del centro commerciale, popolato da personaggi assurdi, si trasforma nell’ultimo tentativo di riconquistare le donzelle.


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Il titolo originale sta ad indicare i cosiddetti “topi da centro commerciale”, ovvero quel genere di persona che non va per comperare o far prosperare la struttura, ma va lì semplicemente a cazzeggiare e perdere tempo, arrivando in breve a sapere tutto di tutti. Il film ruota sulla non vita di questi personaggi, una manica di comari degli anni ’90, perditempo della peggior specie, smarriti in un vortice di pettegolezzi, dicerie, leggende metropolitane, citazioni fumettistiche e cinematografiche, spaventati dall’adolescenza che sta finendo per lasciare spazio ad un oscuro futuro, fatto di lavoro ingrato e relazioni insicure. Non c’è nulla più di quel che si vede e soprattutto si sente in Generazione X. E’ una commedia americana fondata sul nulla, su una storiellina pretestuosa che non è altro che un modo per stordire il pubblico con dialoghi fiume e situazioni al limite dell’assurdo, un po’ come comprare una semplicissima giacca solo per tutti gli orpelli che ci sono attaccati.


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E allora perché mi deve piacere un film simile? Beh, innanzitutto perché fa davvero ridere. Non è un film demenziale alla Hot Shots! né un’americanata per adolescenti infoiati come American Pie, è un genere a sé, però è esilarante. Ci vuole un po’ di pazienza a seguire i dialoghi, perché le gag sono tutte concentrate negli assurdi racconti e negli stratagemmi di Brodie (la storia del cugino e dei gatti che introduce il film è da antologia, così come il trucco della “stretta puzzona”), nei pettegolezzi dell’ex ragazza di T.S., nei botta e risposta tra i personaggi, senza ovviamente dimenticare la presenza dei geniali Jay e Silent Bob, impegnati nell’intento di smontare un palco per uno spettacolo che “non s’ha da fare”, il cameo di Stan “The Man” Lee, il tizio intento a cercare di vedere una nave tridimensionale, la medium con un terzo occhio assolutamente particolare, ecc. ecc. Descrivere ogni gag di questo film meriterebbe un libro, non un breve post in un blog: basta dire solo che Kevin Smith si sente assolutamente a suo agio nel dirigere la pellicola, si è divertito e si vede. Gli attori inoltre sono tutti in uno stato di grazia: Jason Lee, nei panni di Brodie, è superbo, Michael Rooker in quelli del folle padre di Brandi è semplicemente geniale.


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Innumerevoli le citazioni, da film e fumetti. I titoli di testa sono degli omaggi alle copertine di svariati comics, da Wolverine, a Gen13, ai Fantastici 4, a Hulk, modificate per indicare i determinati attori/personaggi del film. Il geniale dialogo tra Brodie e Stan Lee contiene ovviamente riferimenti all’universo Marvel, mentre Jay e Silent Bob si divertono a citare Il ritorno dello Jedi, Batman e gli immancabili X – Men. Jason Lee (di cui ho già parlato qui) ed Ethan Suplee, ovvero il tizio che fissa il quadro 3D, finiranno poi per fare coppia fissa nella bellissima serie My Name Is Earl.


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Di Kevin Smith e Ben Affleck, che interpreta il pervertito proprietario di Moda Maschio, ho già parlato qui. Di Michael Rooker invece potete leggere qui.


Shannen Doherty interpreta Rene. Famosa per essere stata la Brenda di Beverly Hills 90210 e per il suo carattere bizzoso e insopportabile, l’attrice americana ha partecipato soprattutto per la TV in serie come La casa nella prateria, Magnum P.I., 21 Jump Street, Streghe (sostituita poi da Rose McGowen) e 90210, ovvero il sequel di Beverly Hills. Ha inoltre dato la voce per il film Brisby e il segreto di Nihm. Ha 38 anni e due film in uscita.


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Claire Forlani interpreta Brandi, la fidanzata di T.S. L’attrice inglese ha cominciato a lavorare molto giovane, e ha partecipato a film come Scuola di polizia – Missione a Mosca, The Rock, Basquiat e Vi presento Joe Black. Per la TV ha girato un episodio di Incubi e deliri e CSI N.Y. Ha 38 anni e cinque film in uscita.


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Jeremy London interpreta T.S. L’attore americano ha partecipato a film come Babysitter… un thriller e per la TV lo si può trovare in telefilm come Party of Five, Oltre i limiti e Settimo cielo. Ha 38 anni e dieci film in uscita.


what-are-they-up-to-jeremy-londonE ora vi lascio con una delle scene più esilaranti del film... il pestaggio del coniglietto pasquale!!! ENJOY!




giovedì 7 gennaio 2010

La Principessa e il ranocchio (2009)

Le feste natalizie, da che mondo e mondo, non sono tali senza che si vada a vedere un cartone animato al cinema. Negli ultimi anni siamo stati invasi da lungometraggi fatti al computer praticamente in ogni stagione, ma le vere favole, quelle della Disney, disegnate a mano da stuoli di animatori, quelle che uscivano solo a Natale, erano sparite, purtroppo. Quest’anno, con La Principessa e il Ranocchio (The Princess and the Frog), diretto dai registi Ron Clements e John Musker, si torna ai bei vecchi tempi, e il risultato è un film gradevole e nostalgico.


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La trama: nella New Orleans degli anni ’30 la cameriera Thiana ha il suo bel da fare a mettere da parte i soldi necessari per realizzare il suo sogno, aprire un ristorante. A complicare le cose ci si mette il vanesio principe Naveen, trasformato in ranocchio da uno stregone voodoo, che dopo aver preteso da lei un bacio per tornare normale le passa la maledizione, facendola diventare a sua volta una rana. I due dovranno così cercare di tornare normali e capire davvero quali sono le priorità nella loro vita.


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Gli sceneggiatori hanno preso una favola tra le più conosciute, quella della buona principessa che, vinta da pietà ed incurante delle apparenze, bacia un orrido ranocchio per poi trovarsi davanti un principe, e l’hanno trasformata in un moderno e divertente viaggio musicale attraverso i miti e le superstizioni di New Orleans. Si tratta proprio di un “ritorno alle origini”, un film Disney come quelli che ci accompagnavano da piccoli, con personaggi che si profondono in numeri musicali più o meno utili ma sempre spettacolari, buoni sentimenti, animaletti parlanti, personaggi principali “seri” e contorno di esseri che vanno dall’inquietante allo strampalato. Il tutto ovviamente con un pizzico di modernità in più, perché i tempi sono cambiati. Le principesse sono indipendenti e poco romantiche (l’amica di Thiana poi è decisamente azzoccolata!), i principi sono degli spiantati donnaioli neppure troppo “sottili” quando si tratta di conquistar donzelle, le fate madrine sono delle orride e cialtrone streghe voodoo e anche gli animaletti non sono proprio ortodossi (basti pensare alla lucciola piena di fratelli, sorelle, cugini e parenti vari, che per atteggiamenti e aspetto ricorda tanto lo zotico campagnolo Cletus dei Simpson).


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Al di là di questa modernizzazione, però, la favola Disney non cambia, e il messaggio per grandi e piccini è sempre positivo e “presente”. Fin dall’inizio infatti il film ci insegna sì a seguire i nostri sogni, che sono importanti e legittimi, ma anche a non perderci per strada nel farlo, dimenticando quello che è davvero importante come la famiglia, l’amicizia, e l’amore: la vita nella sua accezione più sentimentale, insomma, i valori che restano davvero. E non a caso il personaggio più positivo è proprio la piccola e strampalata lucciola, che basa la sua intera esistenza su un sogno impossibile e grazie a questo vive accontentandosi di quello che lo circonda, perso nel suo mondo di fantasia: il poetico e commovente finale è uno dei più particolari dell’intera storia dell’animazione Disney e sfido chiunque a guardarlo senza farsi venire nemmeno un po’ di magone, altro che Bambi e Re Leone.


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Passando alla realizzazione grafica, come ho già detto i numeri musicali sono come sempre bellissimi, anche se le canzoni non sono certo in grado di competere con i pezzi storici del passato. Da brava amante dell’horror ho apprezzato soprattutto le performances dell’Uomo Ombra con i suoi Amici dell’Aldilà, oltre ovviamente allo spettacolare pezzo dove le lucciole illuminano l’intero bayou e il numero iniziale, con disegni ispirati agli anni ’30, nel quale Thiana illustra alla madre come si immagina il futuro ristorante. I personaggi sono caratterizzati benissimo, l’alligatore e il serpentello della strega voodoo sono due delle più tipiche bestiole Disney e credo che il loro character design rimarrà invariato nei secoli dei secoli, l’Uomo Ombra è sufficientemente disgustoso e l’eroina (che non dimentichiamo è il primo frutto dell’era Obama in quanto nera) è graziosa da morire.  L’unica pecca di questo adorabile film, per assurdo, è proprio la resa sullo schermo di un animale “spoglio” come la rana:cercare di umanizzarlo e contemporaneamente di lasciarlo verosimile non è uno scherzo, e il risultato è deludente, a tratti un po’ ridicolo, come nella scena del balletto tra ranocchie. Nonostante questo, però, lo consiglio a grandi nostalgici e ovviamente anche ai bimbi.


Ron Clements e John Musker sono i registi della pellicola. Tandem storico dell’animazione moderna Disney, ci hanno regalato perle come Basil l’investigatopo, La sirenetta, Aladdin (uno dei miei preferiti in assoluto!) e Hercules. Americani entrambi, i due registi sono anche coetanei, infatti hanno 57 anni.


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Bruno Campos da, in originale, la voce al principe Naveen. A differenza di Anika Noni Rose , ovvero la doppiatrice di Thana che come attrice mi è decisamente sconosciuta, l’attore brasiliano occupa un posto nel mio cuore per aver partecipato ad una delle stagioni più belle di Nip/Tuck. Tra i film in cui è comparso segnalo Mimic 2, mentre per la TV ha lavorato in Will & Grace, E.R., Boston Legal, Cold Case, CSI e Numb3rs. Ha  37 anni.


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Keith David da, in originale, la voce all'Uomo Ombra. Cito quest'uomo perché come doppiatore ha dato la voce a dei personaggi meravigliosi, oltre che ad essere attore apparso in film con le palle. Tra i suoi film ricordo La cosa, Platoon, Essi vivono, Giovani, carini e disoccupati, Pronti a morire, Armageddon, Tutti pazzi per Mary, Superhero movie . Ha partecipato a telefilm come Le avventure del giovane Indiana Jones, Law & Order, CSI, Grey's Anatomy , ER, Settimo cielo e Numb3rs  e come doppiatore ha lavorato per i film Hercules, La principessa Mononoke, Coraline e la porta magica (era il gatto)  e nelle serie Aladdin, Timon & Pumbaa, Hercules, Spawn; soprattutto ha prestato la voce allo splendido Goliath dell'ahimé defunta serie Gargoyles. Il nostro ha  54 anni e ben tredici film in uscita.


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Ultimo, ma non meno importante, John Goodman, che da la voce a Gran Papà La Bouff. Grande attore, in tutti i sensi, nonché uno dei miei preferiti, ha partecipato a La rivincita dei Nerds, Aracnofobia, I Flinstones, Il tocco del male, il blasfemo e orrendo Blues Brothers - il mito continua, Il grande Lebowski, Al di là della vita, Fratello, dove sei?,  inoltre alle serie Moonlighting, Pappa e Ciccia (che lo ha reso famoso, assieme a Roseanne Barr). Ha doppiato episodi di Simpson, Futurama, A scuola con l'imperatore e i film Le follie dell'imperatore, Monsters & co., Il libro della giungla 2 (come Baloo, mica pizza e fichi!), Cars e Bee Movie. Ha 58 anni e cinque film in uscita.


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Vi lascio con un video del film sulle note della canzone Never Knew I Needed, del cantante Ne-Yo. ENJOY!!


martedì 5 gennaio 2010

Blood Trails (2006)

So che avrei dovuto parlare de La principessa e il ranocchio, ma siccome il progetto è in fase di bozza su un altro computer, ecco che il post verterà su un altro dei molti film visti in settimana, ovvero Blood Trails, diretto nel 2006 dal regista Robert Krause. Che, ammetto, mi ha un pò perplessa.


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La trama: dopo una notte passata con un violento e sconosciuto poliziotto, una ciclista amante del trekking in montagna decide di andare con il suo ragazzo a fare una gita. Purtroppo per lei e il fidanzato, il poliziotto decide di seguirla e perseguitarla.


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Thriller che fa un gran bel minestrone di sottocategorie del genere, mescolando il torture porn al personaggio del poliziotto maniaco, aggiungendo un'insolita cornice montana e soprattutto un mezzo di trasporto (che all'occasione si trasforma in arma...) poco utilizzato come la mountain bike. Il risultato non è totalmente da buttare via, però ci sono anche parecchi difetti. Innanzitutto (lo so che è una cosa stupida, ma a me da fastidio..) i personaggi sono molli, senza motivazione e senza carisma. Ora, passi che tu, donna, decidi di andare a letto con il primo sbirro che ti scrive il suo numero di telefono sul braccio a caratteri cubitali, pur fidanzata. Ci sta, pazienza. Meno normale che, dopo essere stata quasi seviziata, tu te ne torni a casa come se nulla fosse e senza denunciare l'idiota alla polizia, limitandoti a pensare di lasciare il tuo ragazzo salvo pentirti e andartene in gita in montagna col povero cornuto. Eh no, allora ti meriti tutto quello che accadrà dopo.


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E che "dopo"! L'allegra donzella viene seguita e bastonata dallo sbirro che, per tutto il film, ammazza gente senza far vedere come(dopo la scena eclatante della "morte con bicicletta", unico vero punto di forza in tutto il film) e sempre con una faccetta triste, quasi penitente, come se volesse dire "Guarda, io non sono cattivo... è che mi disegnano così!". E che l'unica volta in cui parla si inerpica in fregnacce psicanalitiche che non stanno né in cielo né in terra. Nonostante tutto però bisogna dire che il nostro villain riesce a fare secche la bellezza di sei persone, quattro delle quali sono omoni ben piantati, armati e soprattutto in coppia. Ora, va bene la fortuna, ma ci vuole un pò di verosimiglianza, su! Comunque, avrete già capito che, al di là di qualche inseguimento e qualche tortura psico-fisica, in questo film non succede praticamente nulla.


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Peccato, perché la regia è molto bella e particolare. Gli inseguimenti mozzafiato sulla bici, così come l'ambientazione di montagna, creano un'atmosfera inquietante e allo stesso tempo dinamica, e riescono a tenere alta la tensione anche grazie ad un'azzeccata colonna sonora piena di suoni isterici. Pollice verso però agli attori: la protagonista è una mummia, con lo stesso sguardo da Maddalena bastonata in tutto il film, dall'inizio alla fine. Il killer, come ho detto, mantiene la faccia da cherubino pentito in ogni circostanza, mentre il testo dei personaggi non ha praticamente ragione d'essere. Guardatelo solo se vi piace il genere, o siete appassionati di trekking in bicicletta.


Robert Krause, il regista del film, ha all'attivo solo un paio di film, qualche spot e qualche documentario. Tedesco, ha 39 anni.


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Rebecca R. Palmer interpreta la protagonista, Anne. Ha partecipato al film Quills - La penna dello scandalo. Purtroppo non sono riuscita a trovare altre informazioni sull'attrice.


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Ben Price interpreta lo sbirro, Chris. Inglese, ha partecipato per lo più a telefilm o serie televisive, tra cui l'australianissimo cult Home & Away e il famoso The Tudors. Ha 38 anni.


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E ora vi lascio col trailer del film. Un consiglio. Non guardatelo se volete vedere Blood Trails, perchè contiene le scene migliori! ENJOY!