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martedì 27 ottobre 2020

Charlie Says (2018)

Qualche sera fa, a dire il vero ormai parecchie, mi è capitato di vedere in TV Charlie Says, diretto nel 2018 dalla regista Mary Harron e tratto dai libri The Family di Ed Sanders e The Long Prison Journey of Leslie Van Houten di Karlene Faith.


Trama: dopo i delitti commessi, tre ragazze della Manson Family vengono condannate all'ergastolo e una professoressa universitaria cerca di aprir loro gli occhi di fronte all'enormità delle loro colpe...


Charles Manson è questa figura inquietante che tutti prima o poi hanno sentito nominare nel corso della vita, il fantomatico capo carismatico della cosiddetta "Famiglia" dalla quale sono usciti gli assassini di molte persone, tra le quali Sharon Tate, all'epoca incinta di Roman Polanski. Nell'ignoranza, il rischio è quello di legare Manson al satanismo (in realtà lui veniva visto come la reincarnazione di Gesù E del Diavolo dai suoi seguaci), complici anche le terrificanti foto dal carcere in cui il nostro compare con occhi da folle e croce/svastica incisa sulla fronte, in realtà la figura di costui era molto più complessa di così e, allo stesso tempo, terribilmente semplice, come si evince da questo Charlie Says, che si avvale del punto di vista di tre membri della famiglia, Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e soprattutto Leslie Van Houten. Il titolo è già tutto un programma perché, all'interno del film, si sottolinea come le tre fossero totalmente plagiate dal carisma di Manson, incapaci di rapportarsi col mondo reale o di avere un pensiero proprio poiché imbevute non solo di forti dosi di acidi ma anche delle teorie di "Charlie", un ex detenuto la cui sanità mentale è andata sempre più sfaldandosi; attraverso lo sguardo di Leslie, ribattezzata Lulu, lo spettatore testimonia la parabola discendente di una famiglia che all'inizio era tutta pace e amore, colma di ottimismo per le possibili rivoluzioni del '69, e poi a seguito della frustrazione di Manson (il quale voleva diventare un musicista ma è stato rifiutato dai produttori) ha cominciato a preoccuparsi di apocalisse, guerre tra bianchi e neri, ingiustizie da parte dei "porci" che avrebbero dovuto morire, innescando una folle spirale di violenza. Non che la vita nella comune fosse tutta rose e fiori neppure prima, visto che uno dei fondamenti delle idee di Manson era che le donne fossero comunque sottomesse agli uomini e visto che era lui, millantando una libertà inesistente legata all'annullamento dell'individualità, a decidere chi avrebbe mangiato, cosa, e chi avrebbe fatto l'amore con chi, ma sempre meglio che mandare la gente ad uccidere persone indifese.


Le sequenze ambientate all'interno del ranch della Famiglia, durante le quali i riflettori sono puntati innanzitutto su Manson, si alternano a momenti in cui le tre detenute vengono portate a rendersi conto delle proprie colpe attraverso le letture e i confronti con Karlene Faith, insegnante universitaria e attivista, che arrivano a rimettere in discussione l'infallibilità e l'onniscienza dell'amato Charlie; l'aspetto "giudiziario" della vicenda, così come le immagini che ritraggono Manson dopo l'arresto, sono stati completamente banditi e viene dedicato poco spazio anche agli omicidi "Tate-LaBianca", che pesano come una spada di Damocle sulle protagoniste ma vengono relegati sul finale, come aspetto leggermente gore di un film per il resto privo di sangue o violenza che non sia quella psicologica o verbale. Il risultato è una pellicola sicuramente affascinante ed interessante, ma anche, almeno per me, più superficiale di quanto avrei voluto. Il target principale dovrebbe essere la Van Houten ma in realtà Charlie Says è principalmente concentrato sulla figura di Manson, interpretato da un Matt Smith difficile da riconoscere, mentre Leslie/Lulu e le sue compagne vengono ritratte come donnine decerebrate fin dalla loro prima apparizione, con giusto qualche sprazzo di dubbio che parrebbe smuoverle di tanto in tanto, e non c'è un reale approfondimento di ciò che si nasconda dietro la loro scelta di entrare a far parte della Famiglia, salvo un vago disagio: di fatto, l'unico mezzo che consente allo spettatore di empatizzare con le tre donne è proprio la presenza di Karlene Faith, l'unica che cerca di vederle come esseri umani invece che come folli assassine, tuttavia mi è parso che l'intera operazione fosse un po' troppo fredda e poco coinvolgente. Resta il fatto che Charlie Says è un film interessante, dal quale magari partire per documentarsi su una vicenda buia ed orribile della storia americana che, ancora oggi, non smette di terrorizzare e sconvolgere chi ne viene a conoscenza.


Della regista Mary Harron ho già parlato QUI. Hannah Murray (Leslie "Lulu" Van Houten), Matt Smith (Charles Manson), Suki Waterhouse (Mary Brunner) e Annabeth Gish (Virginia Carlson) li trovate invece ai rispettivi link.

Merritt Wever interpreta Karlene Faith. Americana, ha partecipato a film come Signs, Birdman, Storia di un matrimonio e a serie quali The Walking Dead. Ha 40 anni.


Chace Crawford, che interpreta Tex, è Abisso in The Boys. ENJOY!

6 commenti:

  1. Concordo. Un film più interessante che bello, soprattutto per quella "freddezza" di fondo.

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    1. Diciamo che la Harron dopo l'exploit con American Psycho non ha più trovato una sua dimensione.

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  2. Mi sono sottoposto a un tour de force guardando una serie di film incentrati sulla "famiglia" e questo non è il peggiore (c'è anche un Manson abbastanza ben fatto). La tesi (femminista) del film è che le complici di Manson fossero delle vittime, completamente plagiate da lui, pertanto è tutto incentrato sul lavaggio del cervello che hanno subito ecc... Ma in effetti questa ricostruzione è fasulla. Le assassine della "famiglia" hanno per lungo tempo sorriso spavaldamente, insultato i familiari delle vittime, e via dicendo. Solo la medicina dei lunghi anni di galera ha indotto dei ripensamenti (o conversioni religiose).
    Detto questo, il film ha i suoi momenti suggestivi. Compresa la scena finale, dove lei (non mi ricordo il nome) se ne va in un immaginario ripensamento prima degli omicidi, portata via dal ragazzo in moto che si offre di aiutarla a uscire da quella gabbia di matti.

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    1. Ma infatti non ha senso. Capisco le sostanze psicotrope, il carisma di lui e la psiche malleabile delle fanciulle, ma ho letto che alcune di loro, quando sono state portate in carcere, non erano "peace and love" come si vede nel film ma incattivite a morte, bestiali quasi.

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  3. Mi interessa ma non so se lo vedrò, la stori della famiglia Manson mi mette sempre una grande angoscia. E pensare che non sono una fifona.

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    1. Sai che mette ansia anche a me? Ma questo è perfettamente guardabile, tranquilla!

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