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venerdì 27 ottobre 2023

Killers of the Flower Moon (2023)

Siccome è uscito al ridosso del ToHorror, ho dovuto aspettare fino a martedì per vedere il nuovo film diretto e co-sceneggiato da Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon, tratto dal libro omonimo di David Grann. Ne è valsa la pena? (Che domande, ovviamente SI'!)


Trama: anni '20, città di Fairfax. Al ritorno dal fronte della Prima Guerra Mondiale, Ernest Burkhart trova una terra dove gli indiani Osage si sono arricchiti grazie al petrolio. Lavorando come autista, conosce la giovane Osage Mollie e la sposa, ma il ricco zio Bill Hale trama nell'ombra...


Tra poco Scorsese compirà 81 anni e io vorrei arrivarci, alla sua età, con questa coerenza e lucidità. Killers of the Flower Moon (film che, per inciso, non metterei mai nella lista dei suoi primi 5, ma ciò non vuol dire sia brutto) è l'ennesima conferma della solidità della poetica Scorsesiana, legata alle radici più profonde della nazione Americana, una nazione che affonda nel sangue fin dalle sue origini e che vive pregna di sangue e violenza, vittima di mille contraddizioni e destinata a dimenticare il proprio passato o rinnegarlo. E' anche, ovviamente, una storia di persone che sono condannate ad un destino orribile nel momento esatto in cui si allontanano dal loro ambiente originario, vittime di un mondo che non comprendono appieno, e questo vale sia per gli Osage che, neanche a dirlo, per il protagonista Ernest Burkhart. Nel corso degli anni Scorsese si è fatto più cinico e, se prima i suoi personaggi erano comunque dotati di un'intelligenza che veniva obnubilata dal "vizio" e dall'eccesso, ora ci troviamo spesso davanti dei babbei senza arte né parte, mossi come marionette da gente che se la crede e sicuramente sa come stare al mondo, ma dimostra lo stesso ben poco cervello in più. Ernest, in questo, è emblematico. Il "coyote dagli occhi azzurri" più che un coyote è un cojone, un fannullone assetato di soldi che, pur amando di cuore la sua sposa indiana, non riesce a spezzare la pesante influenza che ha su di lui lo zio Bill, il Re di Fairfax, e corre allegro verso il baratro della rovina sua e della sua famiglia senza quasi neppure capire le implicazioni di ogni suo gesto. D'altra parte, Re Bill non è più furbo. Sovrano di un piccolo regno fatto di bianchi buzzurri e indiani troppo ingenui o resi sicuri dalla ricchezza per capire chi hanno davanti, Bill è in grado di giocare solo secondo le sue regole, consapevole di avere le spalle coperte anche nell'eventualità di dover buttare all'aria la scacchiera, ma crolla come un castello di carte nel momento in cui subentrano giocatori esterni neppure troppo abili. La pietà di Scorsese è, piuttosto, riservata agli Osage, nonostante la "colpevolezza" di avere rinnegato (con dolore, come testimonia la commovente sequenza iniziale) buona parte del loro retaggio, sporcandolo con la ricchezza dell'oro nero; come buona parte dei "vinti" scorsesiani, gli Osage sono stati divorati da una società che ha sfruttato proprio il loro desiderio di fare parte di un altro mondo e, in seguito, dimenticati quando la storia è stata riscritta dai vincitori, ridotta a mero racconto per casalinghe o piccola nota a pié di pagina. 


L'andamento del racconto (sì, il film dura tre ore e mezza, no, a me sono passate in un lampo ma capisco che non siamo tutti uguali) è inevitabilmente quello di un'epopea, di un noir atipico dove il colpevole si conosce fin dall'inizio, e va in netta contrapposizione con la velocità con cui i protagonisti bianchi sembrano dimenticarsi delle vittime Osage; per lo stesso motivo, la violenza sulle vittime è ripresa in campo lungo, a rispecchiare la loro natura poco importante agli occhi della città di Fairfax, e il regista preferisce insistere invece sui primi piani e piani americani, indagando sulla natura dei protagonisti, sulle maschere che indossano, sul lampo brutale di disprezzo di occhi che si fingono amici, sulla malinconica, terribile dignità di chi è costretto a vivere terrorizzato nella sua stessa casa eppure ancora si affida, speranzoso, a un briciolo di amore e umanità. Killers of the Flower Moon è un mosaico di sequenze inaspettatamente poetiche che si inseriscono in un contesto spesso triviale, e in esso la storia vera (quella raccontata da foto in bianco e nero) si mescola ad embrioni di fiction spettacolarizzante (la sequenza dello show radiofonico è spettacolare), passando attraverso gli occhi di chi non capisce letteralmente nulla e rimane lì, a provare dolore senza capire bene perché, oggetto di una lunghissima sequenza di court drama dove i concetti vengono ribaditi più e più volte (nulla me lo toglie dalla testa) a suo uso e consumo, con sommo scorno di uno spettatore già provato. Per questo, l'interpretazione di Di Caprio è perfetta. Ernest passa il tempo a cercare di imitare il Re, a cui guarda come una divinità e come esempio da seguire, conseguentemente la sua mimica facciale è la versione distorta e quasi caricaturale di quella di De Niro, che invece è l'apoteosi del vecchio bastardo che ha in odio il mondo intero e pensa solo a se stesso. In una sfilata di facce davvero brutte (ma amate. Ciao Brendan, ciao John, ciao Martin, ciao Larry e Pat!!) spicca il volto bellissimo di Lily Gladstone, con la sua espressione compassata e gli occhi tristi e profondi, rappresentazione vivente di un popolo forte ma ridotto, con "amore", a folkloristico ricordo celebrato dai pochi che hanno ancora memoria, e danzano sotto la Flower Moon in un finale di inenarrabile tristezza. Dite quello che volete, ma per me Scorsese ha fatto centro anche stavolta, e quando avrà voglia di rapirmi per altre tre ore e mezza saprà sempre dove trovarmi.


Del regista e co-sceneggiatore Martin Scorsese (che compare nei panni del produttore radiofonico) ho già parlato QUI. Leonardo DiCaprio (Ernest Burkhart), Robert De Niro (William Hale), Jesse Plemons (Tom White), John Lithgow (Peter Leaward, avvocato dell'accusa), Brendan Fraser (W.S. Hamilton), Pat Healy (Agente John Burger), Michael Abbott Jr. (Agente Frank Smith) e Larry Fessenden (interprete radiofonico di Hale) li trovate invece ai rispettivi link.


Leonardo DiCaprio doveva inizialmente interpretare l'agente Tom White, ma il ruolo è andato a Jesse Plemons (che ha rinunciato così a partecipare a Nope nei panni di Jupe) perché Scorsese ha deciso di rendere il rapporto tra Mollie ed Ernest il fulcro del film. Ciò detto, se Killers of the Flower Moon vi fosse piaciuto, recupererei Gangs of New York, Quei bravi ragazzi, Casinò e The Irishman. ENJOY!

7 commenti:

  1. Io non mi lamento di sicuro. Ma a Scorsese voglio bene da quando ho cominciato a vedere cinema "serio", ci ho fatto anche la tesi, quindi sono di partissima.

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  2. Questo deve essere un film importante. Però Scorsese più invecchia più fa film interminabili (che ci sia una correlazione?). Mi sa che me lo guarderò in streaming.

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    1. Non so se c'è una correlazione, ma sicuro come l'oro non è diventato noioso!

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  3. Se questo è un sequestro di persona, allora ho ufficialmente la Sindrome di Stoccolma 🤩

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  4. Concordo, un buon film ma certamente fuori dalla top 5 di Scorsese. Sei una delle poche che lo dice: oggi tutti si dividono tra capolavoro e delusione, non esistono più le mezze stagioni... a me è piaciuto, ma le tre ore e mezza, per quanto snelle, sono poco giustificabili

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    1. Non ci vedo nulla di sbagliato a dirlo, in fondo è una cosa soggettiva e Scorsese non deve rendere conto a me né dimostrare nulla a nessuno, visto che è uno dei più grandi Autori viventi. Quanto alla durata, l'ho patito meno di Oppenheimer e Beau ha paura, ma anche lì, sono cose soggettive!

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