Visualizzazione post con etichetta larry fessenden. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta larry fessenden. Mostra tutti i post

martedì 10 settembre 2024

MaXXXine (2024)

Finalmente. Quando ormai non ci speravo più, anch'io sono riuscita ad andare al cinema e vedere MaXXXine, diretto e sceneggiato dal regista Ti West.


Trama: anni dopo la terribile esperienza in Texas, Maxine Minx, sempre decisa a diventare una stella del cinema, ottiene una parte in un film horror. Qualcuno, però, è sulle sue tracce, pronto a rivangare il suo passato...


Ti West
ha concluso la sua trilogia, il suo progetto più ambizioso. Per quanto avessi adorato, all'epoca, X, mentirei se dicessi che avrei scommesso anche solo un'euro sulla riuscita dell'operazione. Credevo, erroneamente, che non si potesse fare meglio di così. Invece, il regista ci ha prima stupito con un racconto di frustrazioni e speranze tanto potente da farci provare pietà per quella che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essere solo una disgustosa e rancorosa matta, infine ha concluso il percorso del personaggio Maxine Minx, inserendolo in un discorso più ampio legato al cinema di genere e alla società americana, senza una sola sbavatura. Maxine ha cominciato, in X, come potenziale stellina dell'hard dotata del "fattore X", quel qualcosa in grado di bucare lo schermo, riconducibile ad una cazzimma e una durezza interiore nate dalla ferma volontà di sfondare, a qualunque costo; in parallelo, West raccontava un'America ipocrita, che rinnegava in pubblico la fame di libertà sessuale stigmatizzando un'industria del porno mai stata così fiorente, e rivendicava la dignità di chi in quell'industria lavorava o creava legami familiari. Con MaXXXine, arriviamo agli anni '80 in cui le speranze di ricchezza e di progresso si scontravano con un clima di puro terrore, alimentato da un'amministrazione durissima e bigotta, pronta a creare nemici mediatici per ciò che più contava davvero, riassumibile con Patria, mamma, torta di mele. Negli anni del Satanic Panic e delle proteste contro horror, pornografia e persino giochi di ruolo, la realtà abilmente nascosta sotto il tappeto dell'ipocrisia puritana era fatta di squallidi localini a luci rosse, serial killer e quant'altro e questa sensazione di pericolo e "sporco" tangibile viene resa da Ti West ogni volta che Maxine esce di casa per andare a lavorare. Quanto alla protagonista, il tempo passato e il mancato successo non l'hanno resa meno determinata, anzi; ben consapevole della realtà che la circonda, dov'è un attimo venire uccise da un pazzo e dimenticate in un angolo di strada, Maxine è ben decisa a non lasciare che nulla disturbi la sua paziente ricerca di un'occasione giusta, e finalmente quest'ultima arriva con un ruolo all'interno di un film horror. L'amore di Ti West per la sua protagonista e per l'industria cinematografica è tangibile. La regista del film "La puritana II", le maestranze e il set diventano per Maxine l'unico punto fermo di un'esistenza minacciata da un caotico passato, e ogni azione "altruista" intrapresa da un personaggio al quale importa solo di se stesso (e, nonostante questo, impossibile da odiare) nasce proprio dal desiderio di non perdere in primis questo porto sicuro, oltre alla ovvia possibilità di diventare una star, finalmente. Di vivere la vita che Maxine merita.


Ovviamente, per raggiungere l'happy end, sempre che qualcosa di simile esista, Maxine dovrà passare per un'ordalia di morte e follia. Sono tanti i modelli a cui guarda Ti West, purtroppo per la sottoscritta è passato tuttavia tanto tempo da quando quegli stessi modelli mi sono passati sotto agli occhi. Perdonatemi, dunque, se non citerò Fulci e il suo Lo squartatore di New York, bensì i padri del Giallo all'italiana come Bava e Argento, "genitori" di killer senza volto e con le mani guantate, in grado di trasudare odio e perversione nonostante siano privi di un sembiante riconoscibile. Ma più del killer e del gusto di Ti West per delle morti ancora più splatter che nei film precedenti, mi ha colpita il modo in cui sono state rappresentate le sordide strade di una Los Angeles priva di patina nostalgica o glamour, con uno stile che mi ha ricordato moltissimo Cruising di Friedkin (anche se lì l'azione si svolgeva a New York); la fotografia di MaXXXine, fatta principalmente di ombre e cupe luci al neon, enfatizza ancora più la sensazione di pericolo imminente, di una città caotica e corrotta, dove gioventù e bellezza sopravvivono poco e male. Quanto a Mia Goth, sarebbe un delitto non parlarne. Mi riservo di farlo con più competenza quando avrò rivisto il film in lingua originale, perché al momento ho apprezzato maggiormente la sua interpretazione in Pearl, ma ormai direi che l'attrice ha centrato in pieno il personaggio titolare, portando a termine il non facile compito di spingere lo spettatore a fare il tifo per una "macchina da guerra" egoista e dalla morale ambigua. Anzi, sul finale a me è salito persino il magone per l'amarezza dello sguardo e delle espressioni di Mia Goth, specchio di un futuro incerto, sempre appeso a un filo, anche quando le cose parrebbero essersi risolte per il meglio (non ha aiutato la presenza, sui titoli di coda, della canzone Bette Davis Eyes, che mi spezza il cuore dal 2015). Il resto del cast non è meno interessante. Su tutti, ho apprezzato tantissimo l'inedito Kevin Bacon in versione detective laido e anche Elizabeth Debicki, con la sua algida eleganza, è perfetta come mentore di Maxine e motivatrice in grado di riportare il personaggio sulla "retta" via verso il successo. Sono sicura che MaXXXine meriterebbe ulteriori approfondimenti ma, come nel caso di Pearl, è un film che riuscirei a capire ed apprezzare di più a una seconda visione, quindi per ora mi fermo qui, ringraziando Ti West e Mia Goth per il bellissimo viaggio e per una delle trilogie migliori degli ultimi anni... nell'attesa che ci siano altre storie da raccontare!


Del regista e sceneggiatore Ti West ho già parlato QUI. Mia Goth (Maxine Minx), Elizabeth Debicki (Elizabeth Bender), Giancarlo Esposito (Teddy Night), Kevin Bacon (John Labat), Michelle Monaghan (Detective Williams), Bobby Cannavale (Detective Torres), Larry Fessenden (Guardia), e Lily Collins (Molly Bennett) li trovate invece ai rispettivi link. 

Sophie Thatcher interpreta la FX artist. Americana, ha partecipato a film come The Boogeyman e a serie quali The Exorcist e Yellowjackets. Anche produttrice, ha 24 anni e un film in uscita, Heretic.



Se MaXXXine vi fosse piaciuto, recuperate X - A Sexy Horror Story e Pearl. ENJOY!

venerdì 27 ottobre 2023

Killers of the Flower Moon (2023)

Siccome è uscito al ridosso del ToHorror, ho dovuto aspettare fino a martedì per vedere il nuovo film diretto e co-sceneggiato da Martin Scorsese, Killers of the Flower Moon, tratto dal libro omonimo di David Grann. Ne è valsa la pena? (Che domande, ovviamente SI'!)


Trama: anni '20, città di Fairfax. Al ritorno dal fronte della Prima Guerra Mondiale, Ernest Burkhart trova una terra dove gli indiani Osage si sono arricchiti grazie al petrolio. Lavorando come autista, conosce la giovane Osage Mollie e la sposa, ma il ricco zio Bill Hale trama nell'ombra...


Tra poco Scorsese compirà 81 anni e io vorrei arrivarci, alla sua età, con questa coerenza e lucidità. Killers of the Flower Moon (film che, per inciso, non metterei mai nella lista dei suoi primi 5, ma ciò non vuol dire sia brutto) è l'ennesima conferma della solidità della poetica Scorsesiana, legata alle radici più profonde della nazione Americana, una nazione che affonda nel sangue fin dalle sue origini e che vive pregna di sangue e violenza, vittima di mille contraddizioni e destinata a dimenticare il proprio passato o rinnegarlo. E' anche, ovviamente, una storia di persone che sono condannate ad un destino orribile nel momento esatto in cui si allontanano dal loro ambiente originario, vittime di un mondo che non comprendono appieno, e questo vale sia per gli Osage che, neanche a dirlo, per il protagonista Ernest Burkhart. Nel corso degli anni Scorsese si è fatto più cinico e, se prima i suoi personaggi erano comunque dotati di un'intelligenza che veniva obnubilata dal "vizio" e dall'eccesso, ora ci troviamo spesso davanti dei babbei senza arte né parte, mossi come marionette da gente che se la crede e sicuramente sa come stare al mondo, ma dimostra lo stesso ben poco cervello in più. Ernest, in questo, è emblematico. Il "coyote dagli occhi azzurri" più che un coyote è un cojone, un fannullone assetato di soldi che, pur amando di cuore la sua sposa indiana, non riesce a spezzare la pesante influenza che ha su di lui lo zio Bill, il Re di Fairfax, e corre allegro verso il baratro della rovina sua e della sua famiglia senza quasi neppure capire le implicazioni di ogni suo gesto. D'altra parte, Re Bill non è più furbo. Sovrano di un piccolo regno fatto di bianchi buzzurri e indiani troppo ingenui o resi sicuri dalla ricchezza per capire chi hanno davanti, Bill è in grado di giocare solo secondo le sue regole, consapevole di avere le spalle coperte anche nell'eventualità di dover buttare all'aria la scacchiera, ma crolla come un castello di carte nel momento in cui subentrano giocatori esterni neppure troppo abili. La pietà di Scorsese è, piuttosto, riservata agli Osage, nonostante la "colpevolezza" di avere rinnegato (con dolore, come testimonia la commovente sequenza iniziale) buona parte del loro retaggio, sporcandolo con la ricchezza dell'oro nero; come buona parte dei "vinti" scorsesiani, gli Osage sono stati divorati da una società che ha sfruttato proprio il loro desiderio di fare parte di un altro mondo e, in seguito, dimenticati quando la storia è stata riscritta dai vincitori, ridotta a mero racconto per casalinghe o piccola nota a pié di pagina. 


L'andamento del racconto (sì, il film dura tre ore e mezza, no, a me sono passate in un lampo ma capisco che non siamo tutti uguali) è inevitabilmente quello di un'epopea, di un noir atipico dove il colpevole si conosce fin dall'inizio, e va in netta contrapposizione con la velocità con cui i protagonisti bianchi sembrano dimenticarsi delle vittime Osage; per lo stesso motivo, la violenza sulle vittime è ripresa in campo lungo, a rispecchiare la loro natura poco importante agli occhi della città di Fairfax, e il regista preferisce insistere invece sui primi piani e piani americani, indagando sulla natura dei protagonisti, sulle maschere che indossano, sul lampo brutale di disprezzo di occhi che si fingono amici, sulla malinconica, terribile dignità di chi è costretto a vivere terrorizzato nella sua stessa casa eppure ancora si affida, speranzoso, a un briciolo di amore e umanità. Killers of the Flower Moon è un mosaico di sequenze inaspettatamente poetiche che si inseriscono in un contesto spesso triviale, e in esso la storia vera (quella raccontata da foto in bianco e nero) si mescola ad embrioni di fiction spettacolarizzante (la sequenza dello show radiofonico è spettacolare), passando attraverso gli occhi di chi non capisce letteralmente nulla e rimane lì, a provare dolore senza capire bene perché, oggetto di una lunghissima sequenza di court drama dove i concetti vengono ribaditi più e più volte (nulla me lo toglie dalla testa) a suo uso e consumo, con sommo scorno di uno spettatore già provato. Per questo, l'interpretazione di Di Caprio è perfetta. Ernest passa il tempo a cercare di imitare il Re, a cui guarda come una divinità e come esempio da seguire, conseguentemente la sua mimica facciale è la versione distorta e quasi caricaturale di quella di De Niro, che invece è l'apoteosi del vecchio bastardo che ha in odio il mondo intero e pensa solo a se stesso. In una sfilata di facce davvero brutte (ma amate. Ciao Brendan, ciao John, ciao Martin, ciao Larry e Pat!!) spicca il volto bellissimo di Lily Gladstone, con la sua espressione compassata e gli occhi tristi e profondi, rappresentazione vivente di un popolo forte ma ridotto, con "amore", a folkloristico ricordo celebrato dai pochi che hanno ancora memoria, e danzano sotto la Flower Moon in un finale di inenarrabile tristezza. Dite quello che volete, ma per me Scorsese ha fatto centro anche stavolta, e quando avrà voglia di rapirmi per altre tre ore e mezza saprà sempre dove trovarmi.


Del regista e co-sceneggiatore Martin Scorsese (che compare nei panni del produttore radiofonico) ho già parlato QUI. Leonardo DiCaprio (Ernest Burkhart), Robert De Niro (William Hale), Jesse Plemons (Tom White), John Lithgow (Peter Leaward, avvocato dell'accusa), Brendan Fraser (W.S. Hamilton), Pat Healy (Agente John Burger), Michael Abbott Jr. (Agente Frank Smith) e Larry Fessenden (interprete radiofonico di Hale) li trovate invece ai rispettivi link.


Leonardo DiCaprio doveva inizialmente interpretare l'agente Tom White, ma il ruolo è andato a Jesse Plemons (che ha rinunciato così a partecipare a Nope nei panni di Jupe) perché Scorsese ha deciso di rendere il rapporto tra Mollie ed Ernest il fulcro del film. Ciò detto, se Killers of the Flower Moon vi fosse piaciuto, recupererei Gangs of New York, Quei bravi ragazzi, Casinò e The Irishman. ENJOY!

venerdì 6 ottobre 2023

Brooklyn 45 (2022)

Un altro film del catalogo Shudder che mi incuriosiva era questo Brooklyn 45, diretto e sceneggiato nel 2022 dal regista Ted Geoghegan.


Trama: un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, alcuni ex commilitoni si ritrovano e sono costretti ad affrontare eventi imprevedibili e sensi di colpa indesiderati...


Di solito non sono particolarmente tranchant con i giudizi sui film, a meno che non mi trovi davanti delle nefandezze o dei capolavori totali. Soprattutto in questi ultimi anni, tendo ad essere abbastanza equilibrata ed obiettiva con pregi e difetti, e riesco sempre a capire se un film mi è piaciuto o meno e, di conseguenza, se è il caso di consigliarlo. Ecco, con Brooklyn 45 mi trovo abbastanza in difficoltà. Il film è un "dramma da camera" con sfumature sovrannaturali e horror, ambientato all'interno di una stanza chiusa a chiave dove cinque persone si confrontano relativamente a un dilemma morale che non vi sto a rivelare. I protagonisti sono tre militari, un'esperta di interrogatori e il marito di lei (costantemente bersagliato di lazzi dai primi tre in quanto semplice impiegato del Pentagono che non ha vissuto sulla pelle gli orrori della Seconda Guerra Mondiale); la serata scorre più o meno tranquilla, tra una bevuta e uno scambio di ricordi, finché il Tenente Hockstatter, da poco rimasto vedovo, non chiede aiuto per contattare la moglie defunta attraverso una seduta spiritica. Ciò che segue la seduta andrà ad incrinare non solo le convinzioni "spirituali" dei presenti, ma si trasformerà nella miccia in grado di innescare tante piccole bombe fatte di risentimento, diffidenza, sensi di colpa, disgusto e paura, tutti sentimenti faticosamente tenuti a bada da parole altisonanti come patriottismo e dovere, concetti spacciati per adamantini, ma spesso usati per giustificare le azioni peggiori. "La guerra è finita" "E chi lo dice?" è uno scambio di frasi che ricorre spesso in Brooklyn 45, e rappresenta tutta la tristezza di chi, per vivere, ha bisogno di qualcuno da odiare e combattere, al punto di arrivare persino a travisare la realtà o a rimanere legato da un'assurda lealtà anche verso chi ha dimostrato di valere ben poco.


La natura quasi teatrale del film è uno dei suoi aspetti migliori, soprattutto perché gli attori coinvolti sono molto bravi; ammetto di avere visto il film solo per la presenza di Larry Fessenden, autore che, col tempo, ha perso un po' della sua follia weird e si è "raffinato", come il buon vino, ma i suoi colleghi, che non conoscevo, mi hanno particolarmente stupita. Vero, i dialoghi forse sono un po' ripetitivi, ma riproducono alla perfezione il tormento interiore, il legame tra i personaggi e la tensione crescente, come se i protagonisti si trovassero all'interno di una pentola a pressione pronta ad esplodere, per di più fomentata da continui, piccoli eventi destabilizzanti, quindi anche da questo lato non posso lamentarmi. Ciò detto, sul finale mi è mancato qualcosa e mi sono ritrovata a fissare lo schermo pensando "sì, d'accordo, ma quindi?". Probabilmente non era volontà di Ted Geoghegan privare d'incertezza il dilemma morale che funge da spina dorsale del film, anche perché è ciò che rende tutto (personaggi e storia) più triste e gratuito, però, detto questo, ho ritenuto superfluo e deludente l'elemento sovrannaturale, che sembra messo lì giusto per dare colore e non è riuscito a trasmettermi né paura né, tantomeno, quell'inquietudine derivante da un universo altro pronto ad inghiottirci e giudicarci per la nostra piccineria. Non nego che una sequenza in particolare sia disgustosa e piacevolmente artigianale e nel complesso non mi sembra di avere perso tempo guardando il film, ma temo che questo Brooklyn 45, almeno per quanto mi riguarda, abbia funzionato poco. Magari chi dovesse leggere questo post troverà invece pane per i suoi denti e deciderà di dargli una chance, chissà! Nel caso, mi piacerebbe discutere del film nei commenti.


Del regista e sceneggiatore Ted Geoghegan ho già parlato QUI. Larry Fessenden, che interpreta il Tenente Colonnello Clive Hockstatter, lo trovate invece QUA.

Anne Ramsay interpreta Greta. Americana, ha partecipato a film come Ragazze vincenti, Critters 4, Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie, Bombshell - La voce dello scandalo e serie quali Dharma & Greg, CSI - Scena del crimine, Senza traccia, Six Feet Under, Dr. House, Ghost Whisperer, Dexter e Innamorati pazzi. Anche sceneggiatrice, ha 63 anni. 


Ezra Buzzington
interpreta il Maggiore Paul DiFranco. Americano, ha partecipato a film come Fight Club, Magnolia, The Million Dollar Hotel, Io me & Irene, Ghost World, Le colline hanno gli occhi, The Prestige, Halloween - The Beginning, Riflessi di paura, The Artist, Trash Fire, Nightmare Cinema, The Fabelmans e serie quali Sabrina vita da strega, Buffy l'ammazzavampiri, How I Met Your Mother, Criminal Minds, Bones e American Horror Story. Anche produttore, regista, sceneggiatore e scenografo, ha 66 anni e tre film in uscita. 


Kristina Klebe
interpreta Hildegard Baumann. Americana, ha partecipato a film come Halloween - The Beginning, Tales of Halloween, Hellboy, Lucky e serie quali Criminal Minds e CSI: Miami. Come doppiatrice, ha lavorato in American Dad!. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 44 anni e un film in uscita. 



martedì 14 giugno 2022

Offseason (2021)

Altro film consigliato da Lucia, altro regalo. Oggi parlerò di Offseason, presentato al Torino Film Festival 2021, scritto e diretto nel 2021 dal regista Mickey Keating.


Trama: dopo che dei vandali hanno distrutto la tomba della madre, Marie è costretta a tornare sull'isola dove sono nate entrambe e si ritrova bloccata senza possibilità di tornare sulla terraferma...


Offseason
è uno di quei film che mi fa venire voglia di prendere Providence e di rileggerlo da capo, oltre ovviamente di rimettere mano alle opere lovecraftiane, da cui il film prende dichiaratamente ispirazione, soprattutto da La maschera di Innsmouth. Film come Grano rosso sangue (un esempio famoso su mille) dimostrano che non è sempre facilissimo sfruttare un cliché horror apparentemente collaudato come "i protagonisti si recano in una città dove tutto sembra normale e si ritrovano a dover sopravvivere agli abitanti votati a un male senza nome"; il rischio, come successo anche in quel sequel (che non voglio nemmeno nominare e no, non sto parlando del remake con Nicolas Cage) di The Wicker Man, è di allontanare lo spettatore sia dai protagonisti sia dalla weirdness dei cittadini, annoiandolo con siparietti e fughe episodiche, per così dire, sfilacciando l'inquietudine e riducendo il tutto a uno slasher folk. Ciò non accade, fortunatamente, in Offseason, film che, nonostante il basso budget, coinvolge l'appassionato del genere portando sullo schermo atmosfere stranianti e una vicenda che risulta sbagliata fin dall'inizio, sin dall'agghiacciante monologo della madre di Marie, che si mostrerà assai rivelatorio col prosieguo della storia. Marie e il suo (ex?) compagno si recano, per l'appunto "fuori stagione", sull'isola dov'è nata la madre di lei, uno di quei postacci dove, finita la stagione turistica, tutto diventa morto, grigio e triste; il motivo è che la tomba della donna è stata vandalizzata, ma c'è anche la questione che la madre di Marie non voleva assolutamente essere sepolta nell'isola e la figlia non sa più a chi chiedere ragione del mancato rispetto delle sue volontà. Finita l'estate, inoltre, il ponte che collega l'isola alla terraferma viene alzato e, fino all'anno successivo, nessuno può più entrare o uscire, e i due protagonisti sono arrivati nell'isola proprio il giorno di chiusura. Considerato che il manovratore del ponte è quel simpatico omino di Richard Brake, cosa mai potrà andare storto, vi chiederete?


Mickey Keating
, con due soldi di budget sfruttati probabilmente per il finale, mette in scena un orrore cosmico da manuale, di quelli che portano sia i protagonisti sia gli spettatori a farsi delle domande relativamente al proprio posto all'interno del cosmo e a piangere spauriti e probabilmente impazziti; l'isola di Offseason è un luogo molto più piccolo di quello che si pensi, soprattutto paragonato a ciò che si nasconde nel suo passato, eppure i campi lunghi a base di spiagge sterminate e boschi, inframmezzati a inquietantissimi scorci di cimiteri nebbiosi e vicoli abbandonati mai baciati dal sole, perennemente immersi in in colori plumbei, la trasformano in una dimensione senza tempo né spazio, dalla quale non è possibile uscire e non solo per via di un ponte sollevato. Le immagini e alcuni flash stranianti sono molto più efficaci di un paio di discorsi ad hoc messi in bocca ad alcuni personaggi e danno proprio l'idea di un destino ineluttabile, che neppure la fuga in una realtà fatta di successo e prestigiose firme notarili (ma quanto "sbagliate"?) può arginare per troppo tempo, perché a cosa vale essere una briciola, un "dito di una mano", quando quella stessa mano decide di chiudersi? La scoperta di ciò che si nasconde sull'isola, al di là di ovvie immagini fatte di persone assenti ed echi di voci spettrali, passa tutta sul volto di Jocelin Donahue, che regge praticamente da sola l'intero film e che, con la sua bellezza mai sfacciata, aiuta ancor più lo spettatore ad immedesimarsi in un personaggio "normale" ed umano, dai problemi anche troppo comuni, e a provare ancora più ansia davanti al terribile destino che le si prospetta. Se vi piacciono questo genere di storie pessimiste, con sprazzi di gotico e folk, direi che avete trovato il film che fa per voi!


Di Joe Swanberg (George Darrow), Richard Brake (l'uomo del ponte), Jeremy Gardner (il pescatore) e Larry Fessenden (H. Grierson) ho già parlato ai rispettivi link.

Mickey Keating è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Carnage Park. Anche produttore e attore, ha 31 anni.


Jocelin Donahue
interpreta Marie Aldrich. Americana, ha partecipato a film come The Burrowers, The House of the Devil, Holidays, Doctor Sleep e a serie quali CSI - Scena del crimine. Ha 41 anni. 


Se Offseason vi fosse piaciuto, fate un salto QUI e recuperate tutto questo ben di Cthulhu. ENJOY!

mercoledì 19 maggio 2021

Jakob's Wife (2021)

Potevo evitare il trinomio Crampton/Fessenden/vampiri? Assolutamente no e ringrazio Lucia per avere parlato di Jakob's Wife, diretto e co-sceneggiato dal regista Travis Stevens.


Trama: Anne è la moglie fedele e devota del pastore Jakob e da trent'anni vive a fianco dell'uomo, o meglio, un passo indietro. Un giorno Anne viene morsa da un vampiro e tutto cambia...


Jakob's Wife
è uno di quei film molto interessanti che sfrutta l'horror per parlare di qualcos'altro, fin dal titolo. Non "Anne" ma "Jakob's Wife", la silenziosa, dimessa moglie del pastore Jakob, colui che ha sempre una parola buona per i suoi fedeli; talmente tante parole, in effetti, che ogni volta che Anne prova ad aprire bocca lui le parla addosso, zittendola come se neppure esistesse. Non è violento Jakob, attenzione. Almeno, non di quella violenza consapevole fatta di botte o insulti, ma è innegabile che ormai non veda più la moglie come donna o compagna ma solo come accessorio "pratico", indispensabile al funzionamento del matrimonio nella misura in cui tiene pulita la casa, cucina e, soprattutto, mantiene le apparenze di sposa devota e felice agli occhi di Dio e della comunità. La stessa Anne, poverella, non sa come sia finita a fare quella vita, a sfiorire perdendo ogni capacità di parlare per sé, di far valere desideri ed opinioni, accanto a un uomo che nonostante tutto ama. La stabilità decennale fatta di rinunce e sopraffazioni viene giustamente spazzata via quando Anne viene morsa da un vampiro ed è allora che la protagonista, ironicamente non morta, apre nuovamente gli occhi alla vita, alle mille possibilità che potrebbero spalancarlesi davanti se solo si rendesse conto di essere un individuo e non l'appendice di qualcun altro; nello stesso momento, Jakob è costretto a fare i conti con una persona nuova e a rimettersi in discussione come marito e uomo, prima ancora che come servo di Dio, riscoprendo dentro di sé emozioni come amore, gelosia e paura (non tanto dei vampiri, quanto piuttosto di essere lasciato).


La nascita di questa nuova vita (o non-morte) a sessant'anni, viene portata sullo schermo con leggerezza ed intelligenza  attraverso un film che accontenta tutti, sia gli amanti del gore spinto, magari anche un po' citazionista, sia gli spettatori che dall'horror pretendono qualcosina in più. Non che non avessi già stima di Barbara Crampton e Larry Fessenden ma Jakob's Wife mi ha fatta innamorare di entrambi, due dimostrazioni viventi di come anche le storie più semplici, se raccontate attraverso l'alchimia perfetta tra gli attori che la interpretano, possono diventare dei piccoli gioiellini. La Crampton riempie letteralmente la scena, sia nel suo aspetto dimesso sia quando le viene data l'occasione di tornare a brillare e prendere le redini della sua vita, diventando una dark lady di una bellezza sconvolgente, mentre Fessenden, nei panni del pastore Jakob, strappa alternativamente la voglia di schiaffeggiarlo a quella di consolarlo per essere finito in un casino più grande di lui ed è perfetto sia nei momenti drammatici che nei molti momenti più legati alla commedia. Insieme, poi, formano una delle coppie più affiatate viste di recente e se, personalmente, ho trovato il frame finale geniale e sexy allo stesso tempo (madonna lo sguardo che si scambiano e quella tensione da tagliare col coltello, cosa non sono!!), c'è da fare la standing ovation alla scena di sesso più sentita e hot dell'ultimo decennio, uno sputo in un occhio alle cazzatelle patinate e fintamente erotiche lasciate nelle mani di attori bellocci ma distaccati, superati a destra dalla divina Crampton e dall'umanissimo Fessenden. Che gli Antichi vi conservino ancora a lungo, signori, perché i giovinetti di belle speranze hanno solo da imparare da voi!


Di Barbara Crampton (Anne Fedder) e Larry Fessenden (Pastore Jakob Fedder) ho già parlato ai rispettivi link. 

Travis Stevens è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto il film La ragazza del terzo piano. E' anche produttore, attore e stuntman.




martedì 24 dicembre 2019

Depraved (2019)

Dopo che ne aveva scritto Lucia gli ho fatto la posta per qualche tempo e finalmente sono riuscita a guardare Depraved, scritto e diretto dal regista Larry Fessenden.


Trama: Henry, reduce di guerra spezzato dagli orrori visti come medico da campo, decide di sperimentare una cura in grado di rianimare i cadaveri e "costruisce" Adam, un essere umano piagato dai ricordi di una vita che non riconosce come sua.



Prima di iniziare col post, un avvertimento. Di Depraved ne esiste anche un altro, reintitolato Hell Girl, sempre del 2019, ed è un film talmente brutto che non ci potete credere, così malbecciato che, per la prima volta in vita mia, ho deciso di non finirlo. Fortunatamente, nonostante la sua natura di pellicola indipendente, "grezza" e dotata di evidenti limiti di budget, il Depraved di Larry Fessenden è invece un film molto particolare che merita una visione, anche se vi sento già sbuffare fin qua: UN'ALTRA versione di Frankenstein? Sì, perché no? Il romanzo della Shelley, così come i film di James Whale, continuano ad essere molto attuali e a prestarsi ad interpretazioni che possano anche non scadere nella baracconata o nella banalità più bieca. In questo caso, il Dr. Frankenstein è un giovane medico reduce di guerra che ha deciso di affidarsi ai soldi di un ex compagno di università, il dottor Polidori (altro nome interessante), e sperimentare non per gloria personale o per chissà quale ossessione assurda, bensì per riuscire a rimettere in sesto persone spezzate dagli orrori della guerra, fisicamente menomate, morte inutilmente. Purtroppo, una persona traumatizzata come Henry è difficile che riesca a combinare qualcosa di buono, e il risultato degli esperimenti è Adam, essere creato ex novo da parti di cadavere che, ahilui, è afflitto da ricordi di più vite passate, una creatura spezzata e priva di identità che i suoi creatori non possono o non vogliono aiutare; Henry è mentalmente instabile, afflitto da problemi personali che gli impediscono di essere il "padre" che Adam meriterebbe, Polidori è un narcisista che pensa solo al profitto ed è talmente cinico da fungere come un novello Lucignolo all'interno di un oscuro Paese dei Balocchi. Preso tra due fuochi, nascosto alla vista degli umani e privato della propria identità, è normale che a un certo punto Adam sfoghi la sua disperazione, la sua tremenda solitudine, nel modo più goffo e pericoloso possibile, sperando di recuperare tutto ciò che è andato perduto e che si ripresenta a sprazzi nella sua mente tormentata.


La messa in scena di Fessenden è perfetta per dare un senso di spaesamento allo spettatore, lo stesso provato da una creatura neonata che cerca di imparare a parlare, a leggere, a dare un senso agli stimoli che lo circondano attraverso un fitta nebbia di droghe probabilmente psicotrope; l'utilizzo della camera a mano è fondamentale, tanto che a volte sembra di assistere a uno di quei guerrilla movie, soprattutto quando l'azione si fa più concitata. Non mancano effetti grafici particolari, non solo per sottolineare i flash allucinati (e allucinanti) di Adam ma anche per omaggiare i film di James Whale, soprattutto nella parte finale della pellicola, e talvolta Fessenden si concede anche un che di lirico, di delicato. Il prologo e l'epilogo del film, infatti, sono il perfetto esempio di come si possano introdurre dettagli importantissimi per capire la psicologia di un personaggio senza ricorrere a spiegazioni lunghe e pesanti, che dubitano dell'intelligenza dello spettatore; bastano una canzone ricorrente, un paio di dialoghi semplici e toccanti col senno di poi, lo sguardo disperato di chi ha capito di aver perso la cosa più importante della sua vita in modo inaspettato, violento e doloroso, e l'immagine di un uomo che decide di perdersi in mezzo alla gente, alzando una muro di noncuranza per difendersi da tutto, per farci empatizzare con tutti i personaggi, "buoni" o "cattivi" che siano. State dunque attenti alla "ragazzina dell'inferno" e cercate di recuperare questo Depraved, ve lo consiglio.


Del regista e sceneggiatore Larry Fessenden, che interpreta anche Ratso, ho già parlato QUI mentre Joshua Leonard, che interpreta Polidori, lo trovate QUA.

martedì 18 giugno 2019

I morti non muoiono (2019)

Sabato sera sono emigrata a Genova per riuscire a vedere I morti non muoiono (The Dead Don't Die), diretto e sceneggiato dal regista Jim Jarmusch.


Trama: in una cittadina pacifica i morti cominciano a risorgere a causa degli sconvolgimenti climatici.


Sono passati due giorni dalla visione de I morti non muoiono e sinceramente non ho ancora capito se questo film mi è piaciuto oppure no. Cioè, per essere più precisi non ho ancora capito se ho visto un'opera geniale o una fantozziana "cagata pazzesca" che aggiunge poco o nulla al mito dello zombi romeriano, non a caso citato anche nei ringraziamenti finali. Sarà che di Jarmusch ho visto proprio pochissimo e non conosco la poetica, se ce n'è una, del regista? Può essere. Partiamo dalle cose che ho sicuramente apprezzato de I morti non muoiono. Innanzitutto, l'ironia. Non poteva essere altrimenti, con un protagonista come Bill Murray, quell'umorismo che col tempo si è fatto sempre più malinconico, così come si è fatta più accentuata la sua aria distaccata dalla realtà, un "se per caso cadesse il mondo io mi sposto un po' più in là": qui abbiamo l'apice dello scazzo Murrayano, concretizzato in un poliziotto che due anni prima doveva andare in pensione e che, d'un tratto, si ritrova a combattere un'invasione di zombi in una cittadina dove il massimo del criminale è un eremita che forse ruba dei polli. E se Murray, anche in un'occasione come questa, si sposta un po' più in là, ad affiancarlo c'è un Adam Driver esilarante perché ANCORA più scazzato, piagato dall'onniscienza. In mezzo ai due, la povera Chloe Sevigny, innocente ed umana, giustamente sconvolta all'idea che i morti non muoiano mentre i suoi due colleghi paiono contemplare la questione con distacco. Poi, ovviamente, ci sono i morti (che non muoiono), che come gli zombi di Romero tornano a fare quello che facevano in vita come se nulla fosse successo, spinti da un cervello ormai in pappa e da una fame che li porta a mangiare, mangiare e ancora mangiare. Sotto gli occhi dell'eremita Bob, che della città e dei cittadini conosce pregi (pochi) e difetti (molti) si svolge quindi una storia estrema ma vecchia come il mondo, tanto che il finale è già scritto e risaputo, insito com'è nel DNA di una società egoista e di un'umanità che si è auto condannata a morte, beatamente inconsapevole delle implicazioni globali delle azioni del singolo, concentrato nella sua becera quotidianità. E' così che, a rimetterci, sono i cattivi (lo splendido Steve Buscemi col suo "make America white again") ma anche i buoni o i medi, spazzati via senza aver avuto la possibilità di brillare nemmeno una volta.


Ne I morti non muoiono, infatti, non ci sono eroi, solo gente clueless che quando riesce a sopravvivere ai famelici zombi deve tutto alla fortuna (alla sceneggiatura?), non certo all'abilità. Anzi, di abilità non si parla proprio, ché persino i poliziotti se la sentono colare e decidono di non intervenire, ognuno per motivi tutti suoi. Ci sarebbe un deus ex machina, in effetti, sul quale non vi spoilererò nulla, ma è nulla più che un'"aggiunta", una meteora che passa e se ne va, come se non valesse la pena salvare tanta mediocrità concentrata in una cittadina e, per estensione, nel mondo. Un ripensamento, quasi, e in generale (forse è questo che non ho apprezzato granché) un work in progress incompiuto come alcune parti del film. Per esempio, quelle interferenze televisive che sembrano così importanti, tanto da venire introdotte già nei titoli di testa, a cosa portano poi?  I personaggi dei ragazzini imprigionati all'interno del riformatorio hanno un qualche significato, salvo quello di aumentare gli attori presenti? E infine: c'è qualcosa di più, celato dietro un omaggio ironico e ben realizzato agli storici film di Romero? Sinceramente, non saprei rispondere a questa domanda ma ripensandoci, per quanto non sia uscita entusiasta dalla proiezione quanto avrei voluto, I morti non muoiono è comunque un film che sono contenta di aver visto perché è zeppo di momenti memorabili e personaggi sopra le righe, di dialoghi che apparentemente non vanno da nessuna parte ma regalano grande gioia, quasi quanto vedere facce conosciute dietro gli zombi. Quella gioia, ahimé, che non regala l'adattamento italiano, particolarmente sciatto e svogliato, tanto che le parole ossessivamente ripetute dagli zombi a volte vengono tradotte, altre no (giocattoli va bene, coffee non lo traduciamo, non ci va), per non parlare di quel riferimento metacinematografico iniziale tradotto in maniera così farraginosa che probabilmente il 90% degli spettatori se lo perderà. Della serie, i morti non muoiono ma nemmeno la mala adaptación, ahimé.


Del regista e sceneggiatore Jim Jarmusch ho già parlato QUI. Bill Murray (Capo Cliff Robertson), Adam Driver (Agente Ronnie Peterson), Tom Waits (Eremita Bob), Chloe Sevigny (Agente Mindy Morrison), Steve Buscemi (Fattore Frank Miller), Danny Glover (Hank Thompson), Caleb Landry Jones (Bobby Wiggins), RZA (Dean), Larry Fessenden (Danny Perkins), Carol Kane (Mallory O'Brien), Tilda Swinton (Zelda Swinton) e Selena Gomez (Zoe) li trovate invece ai rispettivi link.


Dietro al trucco da zombi ci sono musicisti come Iggy Pop, Sturgill Simpson (autore della canzone che da il titolo al film) e Charlotte Kemp Muhl, anche modella; purtroppo avremmo potuto avere anche Bruce Campbell ma niente, non aveva voglia di partecipare a un altro horror a quanto pare. Se I morti non muoiono vi fosse piaciuto recuperate i film di Romero dedicati agli zombi e aggiungete Shaun of the Dead e Benvenuti a Zombieland. ENJOY!


domenica 11 marzo 2018

Southbound - Autostrada per l'inferno (2015)

Ne avevo letto già bene sul blog di Lucia e ora la Midnight Factory ha distribuito sul mercato dell'home video l'horror corale Southbound - Autostrada per l'inferno (Southbound), diretto e sceneggiato nel 2016 dai registi Radio Silence, Roxanne Benjamin, David Bruckner e Patrick Horvath.


Trama: lungo una strada americana diretta verso sud, diversi gruppetti di persone vanno incontro a un destino orribile e sanguinoso...



A differenza di altri horror corali o a episodi Southbound - Autostrada per l'inferno racconta un'unica lunga storia dalla struttura circolare e ogni episodio presenta uno o due personaggi che si ripropongono in quello seguente, fungendo così da collante tra un segmento e l'altro. Al gruppo di registi Radio Silence è stato dato il compito di aprire e chiudere le danze con un inizio che è anche fine (e viceversa) ma nonostante questo si mantiene ambiguo per tutta la sua durata. In esso, abbiamo due uomini che non riescono a fuggire da inquietanti entità oscure decise ad ucciderli; il motivo per cui i due protagonisti si siano ritrovati sull'autostrada del titolo italiano lo verremo a scoprire solo nel finale di Southbound ma, anche lì, Radio Silence confeziona il più classico degli home invasion senza rivelare granché relativamente ai personaggi coinvolti. Come inizio non c'è male, tra splatter ed elementi perturbanti in abbondanza, mentre il finale è spiazzante al punto giusto e lascia lo spettatore con un palmo di naso a chiedersi... "cosa diamine ho visto?". Chiedere al Bolluomo per credere.


Più lineare, ma non per questo meno inquietante, Siren, diretto e co-sceneggiato dall'unica donna del gruppetto, Roxanne Benjamin (già apprezzata per il "mostruoso" contributo in XX - Donne da morire, sempre distribuito da Midnight Factory). Qui le protagoniste sono i membri di una band tutta al femminile, che si ritrovano in panne sulla maledetta autostrada e vengono "salvate" da una strana coppia. L'intero episodio è giocato prima su elementi che stridono contro l'apparente perfezione e gentilezza dei salvatori di fanciulle, poi sulla paranoia e il senso di esclusione, fino ad arrivare alla terribile risoluzione finale. Niente splatter, quindi, nonostante la presenza di un paio di elementi disgustosi, ma le atmosfere inquietanti e claustrofobiche di un certo tipo di horror/sci-fi in stile L'invasione degli ultracorpi si sprecano e personalmente le ho gradite molto, Siren è sicuramente uno dei corti che ho preferito.


Lo surclassa però brutalmente The Accident, diretto dallo stesso David Bruckner del recente Il rituale. Se l'horror Netflix puntava più sulle atmosfere, questo corto è una splatterata incredibilmente ironica e crudele dove un uomo si ritrova solo ad affrontare il senso di colpa, affidandosi ciecamente a chiunque millanti di avere la soluzione per il casino che ha combinato (ovviamente, non vi dirò mai quale!). Interamente girato in un unico, spettralissimo ambiente e con un solo attore impegnato in una conversazione telefonica, The Accident colpisce lo spettatore allo stomaco e accumula elementi ansiogeni senza mai perdere di ritmo, mettendo i brividi anche sul finale. Sarò una persona semplice ma questo è il corto che mi è piaciuto di più.


Ultimo, o meglio, penultimo segmento prima del ritorno di Radio Silence è Jailbreak, che arriva a "spiegare" più o meno la natura del luogo dove si svolge il film, che diventa così palese anche agli occhi dello spettatore meno scafato. Attenzione, però, non si tratta del classico e tanto detestato spiegone pedante, quanto piuttosto un elegante insieme di suggerimenti e suggestioni incastonato in una cornice squisitamente horror che mi ha ricordato parecchio le sequenze migliori di Dal Tramonto all'alba, pur senza la tamarreide di Rodriguez. Jailbreak sicuramente non appagherà chi cerca delle certezze ma a mio avviso è emblema della cura infusa nell'intera operazione e fa risaltare all'occhio il fil rouge che lega tutti i racconti.


Nell'insieme, Southbound - Autostrada per l'inferno è un viaggio all'interno del senso di colpa e dei fantasmi che gli esseri umani si portano dietro. Tutti i personaggi principali hanno qualcosa per cui vergognarsi, orrori nascosti nel loro passato o mancanze verso i loro cari e anche quando il loro dolore non viene sviscerato appieno, esso viene comunque fatto intuire nello spazio risicato concesso da un corto; i protagonisti di Southbound sono anime perdute e non è un caso che sugli schermi televisivi passi un cult come Carnival of Souls, scelta intrigante benché forse "spoilerosa" (ma tanto, anche il sottotitolo italiano qualche indizio lo offre). Inoltre, a differenza di quello che accade di solito con altre opere simili, i vari registi e sceneggiatori coinvolti sono riusciti a creare un affresco omogeneo, caratterizzato da sfumature individuali perfettamente amalgamate tra loro, al punto che è difficile definire Southbound come un mero insieme di corti, vista la palese volontà di lavorare assieme senza dare al film l'aspetto di una "vetrina" di talenti. Certo, Southbound non è un'opera perfetta però è affascinante quanto basta per consigliarla e ringraziare la Midnight Factory di averla fatta arrivare in Italia!


Di Roxanne Benjamin, regista e co-sceneggiatrice del corto Siren oltre che voce di Claire, la moglie del protagonista di The Accident, ho già parlato QUI mentre David Bruckner, regista e sceneggiatore del corto The Accident, lo trovate QUA. Ho anche già parlato di Larry Fessenden, che presta la voce al D.J.

Il collettivo Radio Silence ha diretto i segmenti "The Way Out" e "The Way In". Radio Silence è formato da Matt Bettinelli - Olpin (anche sceneggiatore dei corti e interprete di Jack, di lui ho parlato QUI), Tyler Gillett (di cui ho parlato QUA) e Chad Villella; quest'ultimo, che interpreta anche Mitch, è americano, anche sceneggiatore, produttore, tecnico degli effetti speciali e ha co-diretto un episodio del film V/H/S.


Patrick Horvath è il regista e co-sceneggiatore del corto Jailbreak. Ha diretto film come The Pact II ed è anche attore, produttore e compositore.


Fabianne Therese interpreta Sadie. Americana, ha partecipato a film come John Dies at the End e Starry Eyes. Anche sceneggiatrice, regista e produttrice, ha un film in uscita.


L'edizione DVD della Midnight Factory, sempre corredata dal libretto redatto dalla redazione di Nocturno Cinema, non presenta stavolta extra a parte il trailer. Detto questo, se Southbound vi fosse piaciuto recuperate Carnival of Souls, ampiamente citato all'interno del film, V/H/S, Last Shift, The Void e Baskin. ENJOY!


mercoledì 2 dicembre 2015

We Are Still Here (2015)

In questi giorni ho recuperato un altro horror di cui avevo sentito parlare molto bene, We Are Still Here, scritto e diretto dal regista Ted Geoghegan.


Trama: dopo la morte del figlio Bobby, Anne e Paul si trasferiscono in una cittadina del New England. Appena arrivata nella nuova casa, Anne si convince di avvertire la presenza di Bobby mentre Paul è scettico; in realtà, nelle cantine dell'edificio si nascondono segreti ben più terrificanti....


Negli ultimi tempi mi è fortunatamente capitato sempre più spesso di parlare di pellicole horror che partono da un'idea di base assai comune e risaputa per poi sviluppare la questione in maniera particolare, così da distinguersi da quella massa di prodotti tutti uguali e fondamentalmente pietosi che ci vengono propinati mensilmente dai distributori italiani e americani. We Are Still Here, opera prima del regista Ted Geoghegan, è un altro valido esempio di come i cliché, se utilizzati con intelligenza, possano comunque risultare gradevoli e dare vita ad una storia interessante e, perché no?, paurosa anche per chi macina horror ininterrottamente da almeno due decenni. La casa infestata è un archetipo del genere che risale ai tempi della letteratura gotica, così come quello delle presenze arrabbiate e vendicative; la lunga introduzione di We Are Still Here unisce entrambi gli elementi e per un po' asseconda i preconcetti dello spettatore scafato, dopodiché introduce però un altro twist (che, ovviamente, non starò a rivelare) che, pur non essendo a sua volta originale, spiazza il pubblico portando a recepire la storia con tutto un altro stato d'animo e un punto di vista differente. We Are Still Here racconta la vicenda di una coppia vittima di un lutto atroce, un marito e una moglie che comunicano a fatica ma cercano comunque di sostenersi a vicenda, di anime erranti afflitte da dolore e rabbia che si accaniscono contro i vivi per testimoniare, come dice il titolo, che loro "sono ancora lì", vendicativi testimoni di colpe faticosamente nascoste oppure tristi ricordi di qualcuno che non riusciamo a lasciare andar via. La tensione viene costruita a poco a poco e il film si prende tutto il tempo necessario per costruire un climax che deflagra devastante nella seconda metà della pellicola ma in questo tempo noi impariamo ad affezionarci ai protagonisti (Anne e Paul ma anche gli hippy May e Jacob) e a soffrire con loro nel momento in cui la situazione, inevitabilmente, precipita.


Come altrettanto spesso accade ultimamente, We Are Still Here è anche un film dal sapore vintage e assai citazionista ma anche queste sue caratteristiche si piegano al servizio di una storia che ha comunque un'anima e un cuore. Forse perché i registi hanno bisogno di ritrovare l'innocenza (anche nella cattiveria, intendiamoci) e la freschezza degli anni '70-'80, quel periodo diventa l'ideale per ambientare racconti lontani dalle fredde macellate o dagli sfoggi di tecnologia moderni e We Are Still Here non fa eccezione, col suo inizio splendidamente Fulciano e i protagonisti deliziosamente ingenui e costretti ad affidarsi a chiacchiere o sensazioni per riuscire a capire il guaio in cui si sono cacciati prima che sia troppo tardi. Anche la scelta degli attori, a mio avviso, è stata molto fine. Le accoppiate Barbara Crampton/Andrew Sensenig e Larry Fassenden/Lisa Marie sono praticamente perfette, con la prima coppia assai "british" e composta nel suo modo di affrontare sia il dolore in particolare che la vita in generale mentre la seconda porta una ventata di colore e umorismo anche un po' cialtrone che si presta bene a stemperare la tensione. Fino a un certo punto, ovviamente, ché il one man show di Larry Fessenden è spettacolare e gela il sangue nelle vene tanto quanto gli effetti speciali utilizzati per le abbondanti scene splatter del "secondo tempo" o l'aspetto dei fantasmi, ennesimo punto a favore di We Are Still Here. Ormai siamo a novembre ed è quasi tempo di classifiche. Probabilmente la pellicola di Geoghegan non riuscirà ad entrare nella top 5 horror di fine anno ma la ritengo comunque una perlina per spettatori pazienti che non dovete assolutamente perdere... e, signori della Midnight Factory? Se state leggendo queste righe, già che state distribuendo in suolo italico tante belle cosine infilateci pure questa in lista, mi raccomando!

Ted Geoghegan (vero nome Theodore John Geoghegan) è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, è al suo primo film dietro alla macchina da presa ma l'anno prossimo dovrebbe dirigerne un altro, Satanic Panic. Anche produttore e attore (in tale veste ha partecipato a Sharknado 2 e Hatchet III), ha 36 anni.


Barbara Crampton interpreta Anne Sacchetti. Americana, ha partecipato a film come Omicidio a luci rosse, Re-Animator, Puppet Master - Il burattinaio, You're Next, Le streghe di Salem, Tales of Halloween e a serie come Santa Barbara, La tata e Beautiful. Anche produttrice, ha 57 anni e due film in uscita.


Andrew Sensenig interpreta Paul Sacchetti. Americano, ha partecipato a film come Dylan Dog - Il film, Seconds Apart, The Last Exorcism e a serie come Prison Break. Anche produttore, regista, compositore e stuntman, ha dieci film in uscita.


Lisa Marie (vero nome Lisa Marie Smith) interpreta May Lewis. Un tempo compagna di Tim Burton, la ricordo per film come Ed Wood, Mars Attacks!, Il mistero di Sleepy Hollow, Planet of the Apes - Il pianeta delle scimmie, Le streghe di Salem e Tales of Halloween, inoltre ha partecipato a serie come Miami Vice. Ha 47 anni e un film in uscita.


Larry Fessenden interpreta Jacob Lewis. Americano, ha partecipato a film come Al di là della vita, Animal Factory, Broken Flowers, Mulberry St, Cabin Fever 2 - Il contagio, Stake Land, You're Next, We Are What We Are e a serie come The Strain. Anche produttore, regista e sceneggiatore, ha 53 anni e otto film in uscita.


Se We Are Still Here vi fosse piaciuto recuperate Quella villa accanto al cimitero, film di Fulci più volte omaggiato all'interno della pellicola, oppure Last Shift e Tales of Halloween. ENJOY!

Se vuoi condividere l'articolo

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...