venerdì 6 dicembre 2019

The Irishman (2019)

Con incredibile ritardo dovuto alla distribuzione inesistente e alla lunghezza del film (mi spiace, Martin, ti adoro ma quasi 4 ore di film non ho proprio il tempo materiale di guardarle in una sola serata, non è per mancanza di volontà) sono finalmente riuscita a vedere The Irishman, diretto da Martin Scorsese e tratto dal libro omonimo di Charles Brandt e...


Trama: Frank Sheeran è un camionista irlandese che entra nelle grazie del boss della mala Russell Bufalino e diventa il suo miglior sicario. Attraverso Bufalino, Sheeran diventa anche guardia del corpo del sindacalista Jimmy Hoffa.


... e niente, il post potrebbe anche finire qui. Davanti a Scorsese mi anniento, mi riempio di umiltà e mi rendo conto che dovrebbero chiudere tutti i blog di cinema, tutte le pagine Facebook a tema, tutte le puttanate amatoriali di Internet, sottoinsieme in cui rientra anche il Bollalmanacco. Quello che meriterebbe un film come The Irishman è un'analisi ragionata scritta da fior di studiosi che conoscono alla perfezione il Cinema di Scorsese, rilegata in un bel libro che la gente possa leggere con calma e riprendere di tanto in tanto per rinfrescarsi il cervello, non imbecilli urlanti che definiscono The Irishman noioso e Scorsese bollito nello spazio di un post da leggere tra un gattino e una minchiata di Salvini oppure cinèfili dell'internet che nello stesso spazio si sperticano in lodi che lasciano il tempo che trovano. E io che sono l'ultima degli ultimi, come faccio a spiegare il groppo in gola lasciatomi alla fine di The Irishman, l'ideale conclusione di una trilogia che ha visto Joe Pesci e De Niro dapprima giovani e scapestrate schegge impazzite di una mafia che faticava a contenerli, poi avidi arrampicatori sociali pronti a saltarsi al collo per il possesso di Las Vegas e infine vecchi collaboratori, l'uno "mediatore" e l'altro manovale, coinvolti in uno dei tanti misteri della storia politica americana? Come faccio a spiegare la tristezza derivante dalla consapevolezza di come The Irishman potrebbe essere il canto del cigno di Scorsese, che ormai viaggia quasi sull'ottantina, o la malinconia di vedere un Joe Pesci segnato dalle rughe, dimagrito e vecchietto, sapendo che queste icone di un cinema che ho amato tantissimo rischiano di scomparire da un momento all'altro? E' la maturità e il senso di perdita di un'età crepuscolare a intridere ogni singola sequenza di The Irishman, cullato dal ritmo lento e malinconico (grazie, divina Thelma!!) del racconto di un vecchio, di questo irlandese che di professione "tinteggia muri" e ripensa al modo in cui ha intrapreso il mestiere, con tutto quello che ne è conseguito.


Sono lontani i tempi in cui Ray Liotta "aveva sempre sognato di fare il gangster" e gli scugnizzi di mafiosi ciccioni si ingozzavano di sesso, soldi e successo, persi in un montaggio frenetico e sequenze all'insegna dell'accumulo mentre la loro storia seguiva l'ovvia parabola di rapida ascesa e rovinosa caduta; qui abbiamo a che fare con personaggi accorti e consapevoli del loro ruolo all'interno della Famiglia, che sanno stare al loro posto e al limite si impegnano in una ribellione, se così si può chiamare, silenziosa e ragionata, senza pestare i piedi a nessuno. E' ciò che Russell, anziano ed esperto facilitatore, insegna a Frank Sheeran, assieme a tutte le regole da seguire ciecamente per sopravvivere all'interno di quel mondo e Frank, che non ha velleità da protagonista ma desidera solo proteggere quello che per lui è importante (le figlie, gli amici, chi gli ha dato fiducia), diventa così una solidissima roccia su cui contare. Tra un furto, un omicidio e una mazzetta si intrecciano almeno tre piani temporali in alternanza costante ma fluida (di nuovo, grazie divina Thelma!), che toccano decenni di storia americana e convergono tutti nella misteriosa vicenda di Jimmy Hoffa, "re" dei sindacati e dell'ambiguità (Hoffa - Santo o mafioso? si diceva in quel film con Nicholson e De Vito), contemporaneamente salvatore degli interessi dei lavoratori di tutta America e oculato gestore dei propri interessi strettamente intrecciati a quelli della mafia. Piccolissimo problema: stavolta è Hoffa la scheggia impazzita, l'uomo larger than life che non accetta compromessi e divora ciò che gli si para davanti con la boria di chi pensa che tutto gli sia dovuto, senza rispetto per chi gli ha dato buona parte di ciò che possiede, ed è lì che scatta il dilemma morale che diverrà il cuore della vicenda di The Irishman, il rimpianto capace di rodere tutta l'ultima parte dell'esistenza di Frank Sheeran.


Nonostante il protagonista del film sia l'irlandese Frank, tra tutti i personaggi, se andiamo a vedere, Jimmy Hoffa è il più umano o il più verace. Interpretato magistralmente da un Al Pacino che divora ogni scena in cui è presente e che trasforma ogni sequenza in un grottesco esempio di umana testardaggine, illuminando chiunque abbia la fortuna di condividere dialoghi ed inquadrature con lui, Jimmy Hoffa incarna l'illusoria speranza di un potere utilizzato per aiutare l'America intera senza ricorrere alla violenza, un mito la cui caduta segna senza possibilità di recupero sia Frank, arrivato ad apprezzare Hoffa come uomo e non come strumento, sia la figlia Peggy. A proposito di Peggy, è un peccato che Anna Paquin abbia così poche linee di dialogo ma è il suo sguardo, così come quello della piccola attrice che interpreta Peggy da bambina, a contare. E' lo sguardo di chi, a differenza di Karen e Ginger, non è affascinato dalla protezione di uomini rudi e ricchi, nonostante la paura e le umiliazioni, ma prova anzi un disgusto irrefrenabile che a lungo andare la porterà a rinunciare a qualunque privilegio pur di non dover più subire di riflesso i peccati del padre, negandogli il perdono fino all'ultimo e diventando il secondo motivo di rimpianto per una vita altrimenti vissuta con la soddisfazione (distorta) di aver "compiuto il proprio dovere". Come sempre, Scorsese riesce a far provare allo spettatore una rara empatia per personaggi di fatto abietti e ammetto che vedere, sul finale, Frank Sheeran divorato dall'artrite, a un passo dalla morte e solo come un cane mi ha lasciato un discreto magone, perché da quella porta aperta cos'altro potrebbe entrare, presto o tardi, se non la signora con la falce a portare via persino il ricordo di lui, come di tutti i suoi "gloriosi" compagni? E non è quella l'unica sequenza commovente. Come ho detto, sarà che vedere Joe Pesci così invecchiato mi fa male ma gli ultimi dialoghi con De Niro, soprattutto quel "mangia, mangia che cresci" pronunciato in italiano e con un cameratismo dolcissimo, mi hanno fatto salire le lacrime agli occhi.


Fortunatamente, The Irishman è anche molto ironico. Il film conserva un po' dello humour grottesco di The Wolf of Wall Street e, oltre a presentare i personaggi con impietose didascalie in sovrimpressione, alterna dialoghi al fulmicotone ed eloquentissime sequenze silenziose in cui gesti e scambi di sguardi decretano il destino funesto di personaggi incoscienti. E a proposito di silenzio, nel film c'e un'intera, lunga e fondamentale sequenza interamente priva di melodie di sottofondo, un silenzio che rende ancora più greve il peso della colpa che si sta addensando sulle spalle di Frank e la consapevolezza di essere un'impotente pedina di un gioco impossibile da controllare, pur con tutti gli amici in alto loco e la protezione di persone importanti; in quel momento si può sentire letteralmente il suono dei dubbi che crepitano nella mente di De Niro, il quale per quasi tutto il film, bisogna ammetterlo, mantiene un'unica espressione, tanto che a un certo punto mi sono chiesta dove fosse finito il grande attore tanto amato da Scorsese. La risposta è: perso in un personaggio che necessariamente, per la sua natura di duro e puro uomo d'altri tempi, non deve mostrare alcuna emozione, non fosse per quella maledetta telefonata in cui tutto crolla, la voce, il volto, lo sguardo di De Niro, che per pochissimi, memorabili istanti di quella che forse è la sequenza più bella vista quest'anno, lasciano fuoriuscire un fiotto di disperazione e vergogna a stento contenute. E poi, vabbé, c'è Joe Pesci. Dieci anni ha aspettato a tornare il vecchio Joe ed è meraviglioso rivederlo nei panni luciferini e quasi dimessi di un vecchio della bocciofila pericoloso e infido come un serpente a sonagli. Joe Pesci è uno degli attori più sottovalutati di sempre ma io lo amo e se il ruolo di Russell Bufalino dev'essere l'ultimo che deciderà di regalarci, perlomeno sarà stata un'altra interpretazione enorme e perfetta e io non posso fare altro che ringraziare lui e Scorsese e smetterla di scrivere, anche se ci sarebbero mille altre cose da dire su questo splendido The Irishman, in primis quante somiglianze lo collegano a un altro grande capolavoro, C'era una volta in America. Aspetto qualcuno abbastanza autorevole da scriverle.


Del regista Martin Scorsese ho già parlato QUI. Robert De Niro (Frank Sheeran), Al Pacino (Jimmy Hoffa), Joe Pesci (Russell Bufalino), Harvey Keitel (Angelo Bruno), Ray Romano (Bill Bufalino), Bobby Cannavale (Skinny Razor), Anna Paquin (Peggy Sheeran), Stephen Graham (Anthony "Tony Pro" Provenzano) e Jesse Plemons (Chucky O'Brien) li trovate invece ai rispettivi link.

Jack Huston interpreta Robert Kennedy. Inglese, ha partecipato a film come The Twilight Saga: Eclipse, American Hustle - L'apparenza inganna, PPZ: Pride and Prejudice and Zombies, Ave, Cesare! e a serie come Mr. Mercedes. Ha 37 anni e un film in uscita.


Nella marea di attori presenti nel film segnalo Steven Van Zandt, già Silvio Dante de I Soprano, qui nei panni di Jerry Vale. Ovviamente, se The Irishman vi fosse piaciuto, recuperate assolutamente Quei bravi ragazzi e Casinò. ENJOY!

12 commenti:

  1. Scorsese è sempre grande, e il fatto che abbia fatto un film narrativo ci insegna parecchie cose sul cinema

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  2. Immagino che tu l'abbia visto a casa su Netflix in due serate. I pareri contrastanti, ma il più delle volte negativi, mi creano qualche pregiudizio ad approcciarmi a questo film, ma credo che prima o poi mi ci metterò. Come ho già spiegato ad Arwen in occasione di Dolor Y Gloria, certi film non puoi vederli se hai già sulla schiena una giornata di lavoro e quel divano ti fagocita dopo 10 minuti che ti ci siedi😀😀😀

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    1. Esatto. Purtroppo, è il problema di non averlo avuto distribuito nelle vicinanza: uno, se sa di dover andare al cinema, si organizza la serata, a casa purtroppo non si può fare perché ci sono mille ca**i a cui star dietro prima di potersi sedere in poltrona, e mille ca**i a cui pensare dopo, tipo magari svegliarsi al mattino per andare a lavorare.
      Per questo un film come The Irishman non è adatto a questo tipo di fruizione ma meritava le sale cinematografiche. Certo, meglio così che non vederlo ma è davvero frustrante dover leggere che "è troppo lungo" o di gente che lo guarda seduta sul cesso col telefonino.

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  3. Il mio parere tutto sommato è decisamente positivo, ma non penso che avrei retto questo film al cinema. O almeno, mi sarebbero serviti un paio di intervalli...

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    1. Io lo avessi visto al cinema sarei morta felice <3

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  4. Devo trovare il coraggio, tre ore e mezza, e vederlo. Sì.

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  5. Io ho sempre adorato Marty - o quasi sempre - e la sua mano fantastica si vede anche qui, soprattutto nell'ultima ora. Ma quei brividi finali me li ha fatti sudare, eccome.

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    1. Guarda, io ormai mi addormento con tutto. Invece con The Irishman non mi è calata la palpebra nemmeno una volta. That's aMMore!

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  6. Bollina,tu lo sai che io ed il Khal patiamo la lentumia di brutto,vero?La famosa modalità caffettiera etc etc.
    Ecco,questo film l'abbiamo adorato.
    Certo abbiamo dovuto vederlo in 2 volte,3 ore quasi 4 in una serata non ci stanno (a me dopo le 10 cala la palpebra e non c'è nulla da fare),ma la storia e il modo di raccontarla ci sono piaciuti così tanto, i personaggi erano raccontati così bene!
    Mi ha fatto tristezza quando la figlia gli dice una cosa tipo "se qualcuno ci faceva qualcosa non potevamo venire da te,eravamo sole".Perché sapevano che la sua reazione sarebbe stata esagerata,come aveva fatto col bottegaio all'inizio...
    Che differenza fra un De Niro diretto da Scorsese,e quello dei tanti filmetti idioti che fa ultimamente per la pagnotta!Pacino sempre enormissimo.È la nostra pietra di paragone da sempre.

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    1. Beh, se è piaciuto a voi che avete la caffettiera incorporata la gente non si può lamentare :D
      Anche io lì mi sono commossa ma più quando Joe Pesci in prigione e ormai vecchio rivanga i bei tempi con De Niro che sì, qui non è proprio come nei filmetti di merda a cui partecipa ora.
      E Pacino, enorme. Il Globe avrebbero dovuto darlo a lui.

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