Spinta dai sempre validissimi consigli di Lucia (e vi consiglio di leggere la sua recensione, meno banale e più interessante di quanto sarà la mia) ho recuperato anche Random Acts of Violence, diretto e co-sceneggiato nel 2019 dal regista Jay Baruchel e tratto dal fumetto omonimo di Jimmy Palmiotti e Justin Gray.
Trama: il creatore e l'editore del fumetto Slasherman si imbarcano in un tour promozionale in occasione dell'imminente chiusura della serie, assieme alla fidanzata del primo e a un'assistente. Sulla scia del loro tour cominciano tuttavia ad accadere delitti sanguinosissimi...
Siccome lo tirano abbastanza dietro se si è dotati di un Kindle (solo in inglese, sorry), prima di guardare Random Acts of Violence ho letto il fumetto omonimo, roba che prenderà al massimo un'oretta del vostro tempo nel caso voleste cimentarvi nell'impresa, e onestamente ci sono rimasta un po' maluccio. L'opera originale è infatti un fumettino abbastanza superficiale, più interessato a gettare uno sguardo su una parte dell'industria dei comics, quella dei successi istantanei con marketing sfacciato annesso e del fandom estremo, che sulle responsabilità di creare personaggi scomodi; nel fumetto, lo sceneggiatore è "più deprecabile" del disegnatore in quanto le idee derivano da una sua misoginia latente e da una generale incapacità di vivere nella società, ma alla fine ci rimette anche il disegnatore che diventa comunque l'unico capace di riportare su carta l'arte, alimentando la follia dello psicopatico fomentato da Slasherman, ma tutto (non sto scherzando) finisce comunque a tarallucci e vino, come se la violenza "random" del titolo fosse davvero una cretinata da scrollarsi di dosso come fosse acqua e magari anche monetizzare con un sorriso e qualche ferita. Ringraziando gli dèi, nonostante verso il finale perda un po' le redini del discorso, Jay Baruchel cerca invece di imbarcarsi in un'analisi un po' più profonda sul creare opere di fiction "di genere" basandosi su delitti realmente accaduti, sbilanciandosi a tratti verso la valenza catartica di dette opere e altre volte sposando invece il punto di vista di chi si mette nei panni delle vittime e non tollera definizioni come quella di "eroe" per un personaggio palesemente negativo, folle, misogino e sanguinario. Todd non è solo un fumettista che scrive opere splatter per insensibilità o bisogno di sfondare e il suo personaggio è un po' più approfondito di così; accanto a lui, la fidanzata Kathy raccoglie le testimonianze delle vittime del vero Slasherman e incarna la voce della coscienza di chi comunque riesce a cogliere le vere responsabilità anche di chi opera con le migliori (o più innocenti) intenzioni. Il punto di vista del Random Acts of Violence cinematografico diventa così un po' più vario di quello della sua controparte cartacea, più critico e passabile anche di suscitare qualche riflessione, sebbene ci vorrebbe ben più dello spazio risicato di un blog per sviscerarle tutte.
Tali riflessioni però si diluiscono nel desiderio che Baruchel ha di dimostrarsi anche un buon regista, o meglio, un regista con idee particolari, accattivanti, che possono piacere o meno allo spettatore, ovviamente. Personalmente, i flashback legati al personaggio di Todd li ho apprezzati parecchio; certo, incarnano un "mistero" che tale non è, però l'utilizzo di colori saturissimi, le riprese del volto del bambino, il sangue scuro e l'atmosfera natalizia hanno fatto abbastanza colpo su di me e, in generale, Random Acts of Violence mette in scena per l'appunto una violenza talmente casuale e feroce da avermi spesso lasciata scossa, soprattutto perché da uno come Baruchel, consacrato alla commedia, è raro aspettarsi qualcosa di simile. Al di là, infatti, del gusto "arty" del personaggio di Slasherman, sono le sequenze che precedono la sua cosiddetta "arte" a colpire, quei momenti bui in cui le vite delle vittime vengono spezzate tra urla disperate e la consapevolezza di stare per morire nel modo peggiore; le parole di Kathy, sul finale, e il suo "non voglio passare gli ultimi istanti che mi restano in preda al terrore" mettono i brividi tanto quanto lo sfogo con cui, giustamente, accusa Todd di avere condannato a morte lei e gli altri senza nemmeno capire di averlo fatto, per semplice noncuranza, per il gusto di portare su carta qualcosa di vendibile, per l'amore di un successo capace di creare se non mostri, comunque creature inquietanti. Random Acts of Violence non è un film perfetto ma non è nemmeno il film scemo che ci si aspetterebbe da Jay Baruchel e per affrontarlo serve un po' di pelo sullo stomaco. Al momento, ovviamente, non è disponibile in Italia ma chissà che qualche piattaforma illuminata non decida di metterlo in catalogo prima o poi.
Del regista e co-sceneggiatore Jay Baruchel, che interpreta anche Ezra, ho già parlato QUI mentre Niamh Wilson, che interpreta Aurora, la trovate QUA.
Jesse Williams interpreta Todd. Americano, ha partecipato a film come Quella casa nel bosco, The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca e a serie quali Grey's Anatomy. Anche produttore e regista, ha 39 anni.
Jordana Brewster interpreta Kathy. Americana, ha partecipato a film come Fast and Furious, Non aprite quella porta: L'inizio, Fast & Furious - Solo parti originali, Fast & Furious 5, Fast & Furious 6, Fast & Furious 7 e a serie quali American Crime Story. Come doppiatrice, ha lavorato in Robot Chicken. Ha 40 anni e un film in uscita, il nono capitolo della saga Fast & Furious.
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venerdì 28 agosto 2020
giovedì 27 agosto 2020
(Gio)WE, Bolla! del 27/08/2020
Gesù, non ci posso credere. Pensavo non avrei mai più ripreso questa rubrica, invece il multisala savonese ha riaperto ieri dopo una chiusura di quasi sei mesi. Potere di Nolan e del suo Tenet, ovviamente, e altrettanto ovviamente il multisala comincia in bellezza riconfermando la sua rara stronzaggine: niente Gretel e Hansel, film meraviglioso che vi consiglio di andare a vedere di corsa, niente Dogtooth di Lanthimos e niente Little Joe, altro must della pandemia che finalmente arriva sul grande schermo. Ma quindi a noi sfigati savonesi cos'è toccato in sorte, oltre al recupero di Volevo nascondermi? ENJOY!
Tenet
Onward - Oltre la magia
Una sirena a Parigi
Tenet
Reazione a caldo: Oh, God...
Bolla, rifletti!: Sinceramente? Ho paura. Paura delle quasi tre ore in cui rischierò di coviddarmi e paura del fatto che il film decolli dopo un'ora e mezza, come ho detto altrove. Nolan, io ti ho voluto molto bene, lo sai, ma ora tu e i tuoi discepoli mi siete invisi. Fammi cambiare idea, ti prego.Onward - Oltre la magia
Reazione a caldo: Oh, God... (part 2)
Bolla, rifletti!: E anche il nuovo film Pixar, che andrò a vedere però all'arena estiva, mi si dice sia un mezzo diludendo. Io voglio avere fede, anche in questo caso, perché l'astinenza da cinema è tanta.Una sirena a Parigi
Reazione a caldo: Macheccazz....?
Bolla, rifletti!: Veramente, con tutti i film da recuperare, la francesata fantasy che non interessa a nessuno??? Ma cosa ho fatto di male? Poi magari è bello, per carità, però ripeto, avremmo potuto avere come minimo Gretel e Hansel. E se per sta cosa salta anche The New Mutants esco di testa. martedì 25 agosto 2020
Possession (1981)
Erano anni che volevo tentare di guardarlo e finalmente ci sono riuscita! Possession, diretto e co-sceneggiato nel 1981 da Andrzej Zulawski, non è più solo un mito sconosciuto...ma ci avrò capito qualcosa?
Trama: dopo un lungo periodo passato lontano da casa, l'agente segreto Mark torna da una missione solo per scoprire che la moglie Anna vuole divorziare. All'incredulità e alla rabbia dell'uomo si aggiunge la consapevolezza che Anna nasconda qualcosa di molto più inquietante di una semplice scappatella...
In una Berlino Ovest asettica e apparentemente deserta o quasi, un uomo torna a casa da una moglie che, lasciata sola con un bambino per troppo tempo, ha trovato un amante e vuole il divorzio. E' la storia più vecchia del mondo, specchio dell'egoismo e della solitudine degli esseri umani, di relazioni fallimentari dominate da insoddisfazione e tristezza, all'interno delle quali c'è sempre qualcosa di più importante dell'amore: il lavoro, se stessi, i figli. Mark non è un marito modello, affatto, complice anche il lavoro di agente segreto che lo porta spesso a stare lontano da casa, ma non può comunque credere che la moglie Anna non sia soddisfatta della vita da altolocata casalinga che conduce, non comprende che la donna possa cercare altrove quel "qualcosa" che le manca e che le causa dolore. Come ho scritto, è la storia più vecchia del mondo ma cosa succede quando un regista come Zulawski decide di renderla allegorica ed universale, zeppa di momenti allucinati che trasformano un divorzio in un incubo kafkiano da cui è impossibile uscire non solo per i personaggi ma anche per gli spettatori? Leggendo qualche recensione qui e là avevo inteso che Possession fosse una specie di body horror à la Cronenberg, e in parte è anche vero, poiché non manca di sequenze disgustose e sconvolgenti, alle quali non è facilissimo dare un senso; eppure, guardando il film di Zulawski, non mi è parso che l'orrore e lo schifo "fisico" fossero gli elementi importanti, quanto piuttosto gli sfoghi verbali dei due protagonisti, impossibilitati a capirsi tra loro, persi nel loro mondo egoista di desideri illusori (Anna che viene sostituita dalla sua versione "pura" e materna, Helen, per non parlare dello stesso Mark, rimpiazzato con un ideale) destinato a condannarli a ripetere sempre gli stessi errori, persi nel caos di un'esistenza priva di regole o salvezza che sistematicamente distrugge tutti quelli che stanno loro accanto. Sia Mark che Anna non si curano che dei loro interessi, ricordandosi del povero figlioletto giusto di tanto in tanto (giuro, è stato più il tempo che al povero Mirco, costretto a sorbirsi pezzi di film a colazione, chiedevo "Sì ma Bob, in tutto questo, dove lo hanno lasciato?") e agendo anche in maniera contraddittoria, a seconda di ciò che va bene a loro in un determinato momento, quasi privi di slanci umani che non siano la smania sessuale, la folle consapevolezza della propria disperazione o la rabbia per la frustrazione, che spesso sfocia in violenti omicidi.
E' un mondo oscuro quello di Zulawski, un mondo dove solo i bambini sono innocenti (non che questo li salvi) e dove anche i protagonisti, per i quali si arriva talvolta a provare pena, sono connotati in maniera molto negativa. Ambigui, folli, violenti e con una luce omicida in fondo agli occhi, sia Anna che Mark mettono paura e non consentono allo spettatore di prevedere i loro comportamenti, spesso irrazionali, né di comprendere il senso delle loro azioni, che talvolta risultano una spirale di spostamenti senza capo né coda, all'interno di luoghi popolati da personaggi a loro volta allegorici o simbolici, senza nessuna pretesa di verosimiglianza umana. Lo stesso Heinrich, l'amante, che dovrebbe essere la valvola di salvezza di Anna, non riesce a contrastare, con i suoi studi zen e la sua illuminazione, l'autodistruzione dei due coniugi e si ritrova perso in un mondo che non comprende più, subendone tutte le conseguenze, e anche chi cerca di riportare "l'ordine", come la polizia e gli ambigui agenti segreti per i quali lavora Mark, nulla può per tappare la falla di un mondo dove Dio e la fede sono scomparsi per lasciare solo un enorme, caotico vuoto. La Adjani e Sam Neill sono spettacolari, entrambi giovani e pronti ad assecondare l'oscura visione di Zulawski. Lei è giustamente stata premiata con la Palma d'Oro a Cannes e sfido qualunque attrice ad offrirsi completamente alla follia sensuale e senza freni richiesta dal ruolo di Anna, un ruolo che immagino abbia prosciugato la Adjani di ogni energia (la scena dell'aborto in metro è sconvolgente), mentre Sam Neill alterna momenti di freddissima razionalità british a una pazzia che farebbe vergognare John Trent, il protagonista de Il seme della follia, senza contare che sia lui che lei sono bellissimi, verrebbe quasi da dire i due poli di una famiglia ideale e perfetta. Ma anche no. E qui concludo perché ogni cosa che potrei scrivere su Possession non gli renderebbe giustizia. Dico solo: guardatelo.
Di Isabelle Adjani (Anna/Helen) e Sam Neill (Mark) ho già parlato ai rispettivi link.
Andrzej Zulawski è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato in Polonia, ha diretto film come L'importante è amare, Femme Publique, Sul globo d'argento e La fidélité. Anche attore, è morto nel 2016 all'età di 75 anni.
Trama: dopo un lungo periodo passato lontano da casa, l'agente segreto Mark torna da una missione solo per scoprire che la moglie Anna vuole divorziare. All'incredulità e alla rabbia dell'uomo si aggiunge la consapevolezza che Anna nasconda qualcosa di molto più inquietante di una semplice scappatella...
In una Berlino Ovest asettica e apparentemente deserta o quasi, un uomo torna a casa da una moglie che, lasciata sola con un bambino per troppo tempo, ha trovato un amante e vuole il divorzio. E' la storia più vecchia del mondo, specchio dell'egoismo e della solitudine degli esseri umani, di relazioni fallimentari dominate da insoddisfazione e tristezza, all'interno delle quali c'è sempre qualcosa di più importante dell'amore: il lavoro, se stessi, i figli. Mark non è un marito modello, affatto, complice anche il lavoro di agente segreto che lo porta spesso a stare lontano da casa, ma non può comunque credere che la moglie Anna non sia soddisfatta della vita da altolocata casalinga che conduce, non comprende che la donna possa cercare altrove quel "qualcosa" che le manca e che le causa dolore. Come ho scritto, è la storia più vecchia del mondo ma cosa succede quando un regista come Zulawski decide di renderla allegorica ed universale, zeppa di momenti allucinati che trasformano un divorzio in un incubo kafkiano da cui è impossibile uscire non solo per i personaggi ma anche per gli spettatori? Leggendo qualche recensione qui e là avevo inteso che Possession fosse una specie di body horror à la Cronenberg, e in parte è anche vero, poiché non manca di sequenze disgustose e sconvolgenti, alle quali non è facilissimo dare un senso; eppure, guardando il film di Zulawski, non mi è parso che l'orrore e lo schifo "fisico" fossero gli elementi importanti, quanto piuttosto gli sfoghi verbali dei due protagonisti, impossibilitati a capirsi tra loro, persi nel loro mondo egoista di desideri illusori (Anna che viene sostituita dalla sua versione "pura" e materna, Helen, per non parlare dello stesso Mark, rimpiazzato con un ideale) destinato a condannarli a ripetere sempre gli stessi errori, persi nel caos di un'esistenza priva di regole o salvezza che sistematicamente distrugge tutti quelli che stanno loro accanto. Sia Mark che Anna non si curano che dei loro interessi, ricordandosi del povero figlioletto giusto di tanto in tanto (giuro, è stato più il tempo che al povero Mirco, costretto a sorbirsi pezzi di film a colazione, chiedevo "Sì ma Bob, in tutto questo, dove lo hanno lasciato?") e agendo anche in maniera contraddittoria, a seconda di ciò che va bene a loro in un determinato momento, quasi privi di slanci umani che non siano la smania sessuale, la folle consapevolezza della propria disperazione o la rabbia per la frustrazione, che spesso sfocia in violenti omicidi.
E' un mondo oscuro quello di Zulawski, un mondo dove solo i bambini sono innocenti (non che questo li salvi) e dove anche i protagonisti, per i quali si arriva talvolta a provare pena, sono connotati in maniera molto negativa. Ambigui, folli, violenti e con una luce omicida in fondo agli occhi, sia Anna che Mark mettono paura e non consentono allo spettatore di prevedere i loro comportamenti, spesso irrazionali, né di comprendere il senso delle loro azioni, che talvolta risultano una spirale di spostamenti senza capo né coda, all'interno di luoghi popolati da personaggi a loro volta allegorici o simbolici, senza nessuna pretesa di verosimiglianza umana. Lo stesso Heinrich, l'amante, che dovrebbe essere la valvola di salvezza di Anna, non riesce a contrastare, con i suoi studi zen e la sua illuminazione, l'autodistruzione dei due coniugi e si ritrova perso in un mondo che non comprende più, subendone tutte le conseguenze, e anche chi cerca di riportare "l'ordine", come la polizia e gli ambigui agenti segreti per i quali lavora Mark, nulla può per tappare la falla di un mondo dove Dio e la fede sono scomparsi per lasciare solo un enorme, caotico vuoto. La Adjani e Sam Neill sono spettacolari, entrambi giovani e pronti ad assecondare l'oscura visione di Zulawski. Lei è giustamente stata premiata con la Palma d'Oro a Cannes e sfido qualunque attrice ad offrirsi completamente alla follia sensuale e senza freni richiesta dal ruolo di Anna, un ruolo che immagino abbia prosciugato la Adjani di ogni energia (la scena dell'aborto in metro è sconvolgente), mentre Sam Neill alterna momenti di freddissima razionalità british a una pazzia che farebbe vergognare John Trent, il protagonista de Il seme della follia, senza contare che sia lui che lei sono bellissimi, verrebbe quasi da dire i due poli di una famiglia ideale e perfetta. Ma anche no. E qui concludo perché ogni cosa che potrei scrivere su Possession non gli renderebbe giustizia. Dico solo: guardatelo.
Di Isabelle Adjani (Anna/Helen) e Sam Neill (Mark) ho già parlato ai rispettivi link.
Andrzej Zulawski è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Nato in Polonia, ha diretto film come L'importante è amare, Femme Publique, Sul globo d'argento e La fidélité. Anche attore, è morto nel 2016 all'età di 75 anni.
venerdì 21 agosto 2020
In viaggio con Pippo (1995)
Quest'anno In viaggio con Pippo (A Goofy Movie), diretto nel 1995 dal regista Kevin Lima, compie la bellezza di 25 anni e mi è sembrato carino riguardarlo e parlarne un po'.
Trama: Max, figlio di Pippo, si è preso una gran cotta per Roxanne ed è al settimo cielo quando la ragazza decide di uscire con lui... proprio nel momento in cui Pippo sceglie di partire assieme a Max per una vacanza in cui riallacciare il rapporto padre/figlio ed impedire che il ragazzo prenda una brutta strada.
All'età di 12 anni, mentre tutte le ragazzine entravano alle medie e cominciavano a interessarsi a trucco, ragazzi, moda ecc., io mi impallavo con Ecco Pippo!, serie che ancora oggi guarderei in loop senza esitazione, magari profondendomi in sincrono con Pippo nel famosissimo Goofy scream (a parte tutto, mia madre, povera donna, se incontra uno che si chiama Pietro, inghiotte un "Hyuk, Pietro!", quindi pensate quante puntate le ho fatto sorbire). Quando è uscito in Italia In viaggio con Pippo di anni ne avevo 15 ma la mia nerditudine non era mica venuta meno: l'idea di un lungometraggio di una serie amatissima era bastata per mettermi in fibrillazione e l'unico, vero diludendo alla fine della visione era stato constatare tristemente che l'adorato P.J. aveva sì e no 10 minuti di presenza. Diludendo che, peraltro, ho provato anche alla tenera età di 39 anni, senza nulla togliere a In viaggio con Pippo, film che ancora oggi si conferma molto interessante, divertente e tenero. Se in Ecco Pippo! Max era un ragazzino sveglio e simpatico, talvolta imbarazzato dal padre ma comunque "facile" da trattare, nel lungometraggio il povero Pippo si ritrova per le mani un teenager musone, alle prese con i primi problemi di cuore e poco incline a lasciarsi sviare dalle mattane del padre o, peggio, da progetti di vacanze insieme. Fomentato dall'infido Gambadilegno (il cui rapporto col figlio P.J. si basa su un rispetto instillato tramite puro e semplice terrore), Pippo organizza un viaggio con Max che ripercorra le tappe di avventure on the road vissute con genitori e nonni, ma al giovane interessa solamente Roxanne, la quale (da brava fidanzata rompipalle Disneyana) sceglie magnanimamente di sorvolare sull'appuntamento mancato solo quando Max le caccia la palla più grande del mondo: papino è amico della rockstar del momento e lo ha "costretto" ad andare al suo concerto. Una volta arrivato a Los Angeles, ovviamente, Max si impegnerà a salutare Roxanne direttamente dal palco. E che ci vorrà?
A scanso di equivoci, la prima parte di In viaggio con Pippo, così come molto di ciò che viene mostrato nel corso del cartone, è di una tristezza rara. Non perché sia scritto o diretto male, anzi, ma perché mette proprio il magone. Max è di una crudeltà incredibile nei confronti del padre che ha, come unica colpa, quello di essere un fesso ottimista, e la delusione di Pippo quando scopre che Max è in qualche modo riuscito a "sabotare" il viaggio e ha cominciato a divertirsi davvero solo quando ha capito che sarebbe riuscito a dirottarlo verso il concerto, è tangibile e spezza il cuore. In viaggio con Pippo ha come fulcro due relazioni tra padre e figlio per nulla sane; se quella tra Gambadilegno e P.J. viene presa come metro di paragone in negativo, anche quella tra Pippo e Max è comunque disfunzionale, almeno all'inizio, poiché i due non si parlano e non si confrontano, Pippo vede i cambiamenti di Max come la rovina definitiva di quello che un tempo era un bambino tanto carino mentre Max vede Pippo come la fonte di tutte le sue disgrazie e l'incarnazione di un futuro ereditario di sfiga totale. La percezione di Max è quindi completamente stravolta da questo terrore, tanto che non solo il film si apre con un incubo iniziale con Roxanne in versione Fay Wray e lui che a poco a poco si trasforma in un Pippo gigante, ma prosegue con la rappresentazione di un "parco divertimenti" che farebbe invidia a Tobe Hooper, tra opossum morti, squallore e hillbilly come se piovessero. E' solo quando i due cominciano a mediare, venirsi incontro ed accettarsi pian piano (iniziativa che, tra l'altro, parte non da Max ma da Pippo, che decide di dare fiducia al figlio, incappando nell'ennesimo, clamoroso errore di giudizio) che il viaggio da incubo si tinge di colori gioiosi e diventa una vacanza davvero divertente, nonostante Max abbia sempre sulla capoccia la spada di Damocle della più grande bugia mai raccontata.
In viaggio con Pippo non è dunque un cartone sciocco come potreste pensare, perché assieme alle mattane del protagonista riesce a far filare molti momenti adulti, di pura riflessione, persino drammatici, tutti elementi che riescono a mantenerlo sì Disneyano ma anche fresco, oggi dopo 25 anni, alla faccia della sua facciata smaccatamente anni '90, a cominciare dall'animazione molto classica. L'inizio, ambientato nel liceo di Max, è un compendio di tutti i film a tema high school di quel periodo, con tutti gli stereotipi del genere (se non vi verrà voglia di riguardare ANCHE Daria, siete delle orribili persone), e lo stesso vale per le mise modaiole di Max e del suo idolo Powerline. A proposito di Powerline, le hit del personaggio, cantate da Tevin Campbell, cantante R&B allora parecchio in voga, sono molto belle e orecchiabili, anche loro perfette per l'atmosfera anni '90 che permea l'intera pellicola MA purtroppo In viaggio con Pippo è vessato da un paio di canzonacce rivelatorie e sentimentali che a mio avviso poco hanno a che fare con i protagonisti e raggiungono pericolosamente il livello "Olaf". E' il dazio Disney, sapete che bisogna pagarlo. Ciò non toglie che In viaggio con Pippo sia ancora godibilissimo, anzi, più godibile ora che i ragazzini dell'epoca avranno raggiunto la mia età veneranda di quando eravamo ancora giovinetti e scemi come Max. Recuperatelo, se vi va di fare un intelligente tuffo nel passato!
Di Wallace Shawn, che doppia il preside Mazur, ho già parlato QUI.
Kevin Lima è il regista della pellicola, inoltre doppia Lester. Americano, ha diretto film come Tarzan e Come d'incanto. Anche produttore, animatore e sceneggiatore, ha 58 anni.
In viaggio con Pippo è il seguito della serie Ecco Pippo e la saga è proseguita con Estremamente Pippo, mentre Max e Roxanne potete trovarli anche in una puntata di House of Mouse - Il Topoclub, dal titolo Max's Embarassing Date. ENJOY!
Trama: Max, figlio di Pippo, si è preso una gran cotta per Roxanne ed è al settimo cielo quando la ragazza decide di uscire con lui... proprio nel momento in cui Pippo sceglie di partire assieme a Max per una vacanza in cui riallacciare il rapporto padre/figlio ed impedire che il ragazzo prenda una brutta strada.
All'età di 12 anni, mentre tutte le ragazzine entravano alle medie e cominciavano a interessarsi a trucco, ragazzi, moda ecc., io mi impallavo con Ecco Pippo!, serie che ancora oggi guarderei in loop senza esitazione, magari profondendomi in sincrono con Pippo nel famosissimo Goofy scream (a parte tutto, mia madre, povera donna, se incontra uno che si chiama Pietro, inghiotte un "Hyuk, Pietro!", quindi pensate quante puntate le ho fatto sorbire). Quando è uscito in Italia In viaggio con Pippo di anni ne avevo 15 ma la mia nerditudine non era mica venuta meno: l'idea di un lungometraggio di una serie amatissima era bastata per mettermi in fibrillazione e l'unico, vero diludendo alla fine della visione era stato constatare tristemente che l'adorato P.J. aveva sì e no 10 minuti di presenza. Diludendo che, peraltro, ho provato anche alla tenera età di 39 anni, senza nulla togliere a In viaggio con Pippo, film che ancora oggi si conferma molto interessante, divertente e tenero. Se in Ecco Pippo! Max era un ragazzino sveglio e simpatico, talvolta imbarazzato dal padre ma comunque "facile" da trattare, nel lungometraggio il povero Pippo si ritrova per le mani un teenager musone, alle prese con i primi problemi di cuore e poco incline a lasciarsi sviare dalle mattane del padre o, peggio, da progetti di vacanze insieme. Fomentato dall'infido Gambadilegno (il cui rapporto col figlio P.J. si basa su un rispetto instillato tramite puro e semplice terrore), Pippo organizza un viaggio con Max che ripercorra le tappe di avventure on the road vissute con genitori e nonni, ma al giovane interessa solamente Roxanne, la quale (da brava fidanzata rompipalle Disneyana) sceglie magnanimamente di sorvolare sull'appuntamento mancato solo quando Max le caccia la palla più grande del mondo: papino è amico della rockstar del momento e lo ha "costretto" ad andare al suo concerto. Una volta arrivato a Los Angeles, ovviamente, Max si impegnerà a salutare Roxanne direttamente dal palco. E che ci vorrà?
A scanso di equivoci, la prima parte di In viaggio con Pippo, così come molto di ciò che viene mostrato nel corso del cartone, è di una tristezza rara. Non perché sia scritto o diretto male, anzi, ma perché mette proprio il magone. Max è di una crudeltà incredibile nei confronti del padre che ha, come unica colpa, quello di essere un fesso ottimista, e la delusione di Pippo quando scopre che Max è in qualche modo riuscito a "sabotare" il viaggio e ha cominciato a divertirsi davvero solo quando ha capito che sarebbe riuscito a dirottarlo verso il concerto, è tangibile e spezza il cuore. In viaggio con Pippo ha come fulcro due relazioni tra padre e figlio per nulla sane; se quella tra Gambadilegno e P.J. viene presa come metro di paragone in negativo, anche quella tra Pippo e Max è comunque disfunzionale, almeno all'inizio, poiché i due non si parlano e non si confrontano, Pippo vede i cambiamenti di Max come la rovina definitiva di quello che un tempo era un bambino tanto carino mentre Max vede Pippo come la fonte di tutte le sue disgrazie e l'incarnazione di un futuro ereditario di sfiga totale. La percezione di Max è quindi completamente stravolta da questo terrore, tanto che non solo il film si apre con un incubo iniziale con Roxanne in versione Fay Wray e lui che a poco a poco si trasforma in un Pippo gigante, ma prosegue con la rappresentazione di un "parco divertimenti" che farebbe invidia a Tobe Hooper, tra opossum morti, squallore e hillbilly come se piovessero. E' solo quando i due cominciano a mediare, venirsi incontro ed accettarsi pian piano (iniziativa che, tra l'altro, parte non da Max ma da Pippo, che decide di dare fiducia al figlio, incappando nell'ennesimo, clamoroso errore di giudizio) che il viaggio da incubo si tinge di colori gioiosi e diventa una vacanza davvero divertente, nonostante Max abbia sempre sulla capoccia la spada di Damocle della più grande bugia mai raccontata.
In viaggio con Pippo non è dunque un cartone sciocco come potreste pensare, perché assieme alle mattane del protagonista riesce a far filare molti momenti adulti, di pura riflessione, persino drammatici, tutti elementi che riescono a mantenerlo sì Disneyano ma anche fresco, oggi dopo 25 anni, alla faccia della sua facciata smaccatamente anni '90, a cominciare dall'animazione molto classica. L'inizio, ambientato nel liceo di Max, è un compendio di tutti i film a tema high school di quel periodo, con tutti gli stereotipi del genere (se non vi verrà voglia di riguardare ANCHE Daria, siete delle orribili persone), e lo stesso vale per le mise modaiole di Max e del suo idolo Powerline. A proposito di Powerline, le hit del personaggio, cantate da Tevin Campbell, cantante R&B allora parecchio in voga, sono molto belle e orecchiabili, anche loro perfette per l'atmosfera anni '90 che permea l'intera pellicola MA purtroppo In viaggio con Pippo è vessato da un paio di canzonacce rivelatorie e sentimentali che a mio avviso poco hanno a che fare con i protagonisti e raggiungono pericolosamente il livello "Olaf". E' il dazio Disney, sapete che bisogna pagarlo. Ciò non toglie che In viaggio con Pippo sia ancora godibilissimo, anzi, più godibile ora che i ragazzini dell'epoca avranno raggiunto la mia età veneranda di quando eravamo ancora giovinetti e scemi come Max. Recuperatelo, se vi va di fare un intelligente tuffo nel passato!
Di Wallace Shawn, che doppia il preside Mazur, ho già parlato QUI.
Kevin Lima è il regista della pellicola, inoltre doppia Lester. Americano, ha diretto film come Tarzan e Come d'incanto. Anche produttore, animatore e sceneggiatore, ha 58 anni.
In viaggio con Pippo è il seguito della serie Ecco Pippo e la saga è proseguita con Estremamente Pippo, mentre Max e Roxanne potete trovarli anche in una puntata di House of Mouse - Il Topoclub, dal titolo Max's Embarassing Date. ENJOY!
martedì 18 agosto 2020
Georgetown (2019)
Quest'estate al cinema non sta uscendo nulla ma fortunatamente vengono in soccorso le varie piattaforme di streaming, dove mi sono guardata Georgetown, diretto nel 2019 dal regista Christoph Waltz e tratto dall'articolo The Worst Marriage in Georgetown di Franklin Foer.
Trama: Ulrich Mott, ambizioso diplomatico di origine tedesca, diventa il principale sospettato della morte della moglie, molto più anziana di lui.
Per la sua prima prova dietro la macchina da presa, l'attore Christoph Waltz ha scelto di cimentarsi con la vera storia di Albrecht Gero Muth, cadetto dell'esercito tedesco che negli anni '80 aveva sposato la scrittrice e giornalista Viola Herms Drath, di 40 anni più vecchia di lui, e ovviamente di prestare anche il volto alla versione "fittizia" di Muth, Ulrich Moth. Georgetown comincia in medias res, durante una cena in onore proprio di Ulrich, rinomato diplomatico di Washington, che si conclude con la morte misteriosa della moglie Elsa, e da lì dipana tutta la matassa di segreti che circondano Ulrich. Benché per la prima mezz'oretta non si capisca molto bene dove voglia andare a parare Georgetown (in realtà il Bolluomo, a cui il film è piaciuto con riserva, ritiene che non ci sia molto da dire nemmeno dopo), soprattutto perché il tono dell'intera pellicola si mantiene sul grottesco e non aiuta a prendere granché sul serio la triste sorte della povera Elsa né ad inquadrare al meglio la figura di Ulrich, grazie ad una serie di "capitoli" dedicati ai vari step della carriera diplomatica del protagonista il quadro della vicenda diventa a poco a poco chiaro, benché non meno assurdo, e veniamo a conoscenza di un uomo che ha fatto dell'aria fritta la sua ragione di vita, costruendosi un'immagine pubblica a misura del proprio enorme ego approfittando delle mille falle del sistema politico e burocratico di Washington. Un'idea che sarebbe persino degna di ammirazione, visto che Ulrich non è un incapace, non fosse per il modo in cui Elsa viene sfruttata dall'uomo, che dapprima fa leva sul suo amore e poi, quando è chiaro che il sentimento di lei non sarebbe mai stato ricambiato, la relega al ruolo di facoltosa garante di un nome privo di sostanza.
Christoph Waltz, come regista, sceglie un approccio classico e un'intricata struttura a salti temporali, avvalendosi verso il finale di piani americani cupi e rivelatori per chi ha cominciato a mangiare la foglia. Come attore, sappiamo che è un gigione matricolato, un raffinatone che non disdegna di "abbassarsi" e recitare anche in ruoli infimi per pessimi blockbuster, con personaggi sempre un po' in bilico tra la cattiveria assoluta e l'ambiguità condita da un pizzico di follia; ecco, Ulrich Mott è un personaggio di questo tipo, impossibile, fin dall'inizio, da connotare come positivo e tuttavia non così malvagio da prenderlo in odio fin da subito, in virtù di un fascino impossibile da ignorare che non stupisce colpisca anche una signora scafata ed intelligente come Elsa. Quest'ultima è interpretata da una Vanessa Redgrave che, soprattutto sul finale, dimostra di essere una grandissima attrice alla veneranda età di 83 anni e di riuscire a tenere testa a un Christoph Waltz a tutto tondo, come al solito penalizzato da quel doppiaggio italiano che va benissimo per personaggi con una simpatica vena di follia come King Schultz, ma che risulta fuori posto e a tratti ridicolo su un uomo serio, calcolatore e dal fascino sottile come Ulrich Mott. Non pervenuta, purtroppo, Annette Bening nei panni della figlia di Elsa, Amanda, ridotta al ruolo di voce della coscienza inascoltata e di donna in carriera in cerca di verità sulla madre, decisamente poco per un'attrice del suo calibro. Mi sentirei di dire che questo è l'unico vero difetto di Georgetown, un film che mi sono goduta dall'inizio alla fine e che, per quanto non sia sensazionale, consiglio per una serata "intelligente".
Del regista Christoph Waltz, che interpreta Ulrich Mott, ho già parlato QUI. Vanessa Redgrave (Elsa Brecht) e Annette Bening (Amanda Brecht) le trovate invece ai rispettivi link.
Se Georgetown vi fosse piaciuto guardate L'inventore di favole (lo trovate su Chili o Infinity) e La grande scommessa (lo trovate su Netflix). ENJOY!
Trama: Ulrich Mott, ambizioso diplomatico di origine tedesca, diventa il principale sospettato della morte della moglie, molto più anziana di lui.
Per la sua prima prova dietro la macchina da presa, l'attore Christoph Waltz ha scelto di cimentarsi con la vera storia di Albrecht Gero Muth, cadetto dell'esercito tedesco che negli anni '80 aveva sposato la scrittrice e giornalista Viola Herms Drath, di 40 anni più vecchia di lui, e ovviamente di prestare anche il volto alla versione "fittizia" di Muth, Ulrich Moth. Georgetown comincia in medias res, durante una cena in onore proprio di Ulrich, rinomato diplomatico di Washington, che si conclude con la morte misteriosa della moglie Elsa, e da lì dipana tutta la matassa di segreti che circondano Ulrich. Benché per la prima mezz'oretta non si capisca molto bene dove voglia andare a parare Georgetown (in realtà il Bolluomo, a cui il film è piaciuto con riserva, ritiene che non ci sia molto da dire nemmeno dopo), soprattutto perché il tono dell'intera pellicola si mantiene sul grottesco e non aiuta a prendere granché sul serio la triste sorte della povera Elsa né ad inquadrare al meglio la figura di Ulrich, grazie ad una serie di "capitoli" dedicati ai vari step della carriera diplomatica del protagonista il quadro della vicenda diventa a poco a poco chiaro, benché non meno assurdo, e veniamo a conoscenza di un uomo che ha fatto dell'aria fritta la sua ragione di vita, costruendosi un'immagine pubblica a misura del proprio enorme ego approfittando delle mille falle del sistema politico e burocratico di Washington. Un'idea che sarebbe persino degna di ammirazione, visto che Ulrich non è un incapace, non fosse per il modo in cui Elsa viene sfruttata dall'uomo, che dapprima fa leva sul suo amore e poi, quando è chiaro che il sentimento di lei non sarebbe mai stato ricambiato, la relega al ruolo di facoltosa garante di un nome privo di sostanza.
Christoph Waltz, come regista, sceglie un approccio classico e un'intricata struttura a salti temporali, avvalendosi verso il finale di piani americani cupi e rivelatori per chi ha cominciato a mangiare la foglia. Come attore, sappiamo che è un gigione matricolato, un raffinatone che non disdegna di "abbassarsi" e recitare anche in ruoli infimi per pessimi blockbuster, con personaggi sempre un po' in bilico tra la cattiveria assoluta e l'ambiguità condita da un pizzico di follia; ecco, Ulrich Mott è un personaggio di questo tipo, impossibile, fin dall'inizio, da connotare come positivo e tuttavia non così malvagio da prenderlo in odio fin da subito, in virtù di un fascino impossibile da ignorare che non stupisce colpisca anche una signora scafata ed intelligente come Elsa. Quest'ultima è interpretata da una Vanessa Redgrave che, soprattutto sul finale, dimostra di essere una grandissima attrice alla veneranda età di 83 anni e di riuscire a tenere testa a un Christoph Waltz a tutto tondo, come al solito penalizzato da quel doppiaggio italiano che va benissimo per personaggi con una simpatica vena di follia come King Schultz, ma che risulta fuori posto e a tratti ridicolo su un uomo serio, calcolatore e dal fascino sottile come Ulrich Mott. Non pervenuta, purtroppo, Annette Bening nei panni della figlia di Elsa, Amanda, ridotta al ruolo di voce della coscienza inascoltata e di donna in carriera in cerca di verità sulla madre, decisamente poco per un'attrice del suo calibro. Mi sentirei di dire che questo è l'unico vero difetto di Georgetown, un film che mi sono goduta dall'inizio alla fine e che, per quanto non sia sensazionale, consiglio per una serata "intelligente".
Del regista Christoph Waltz, che interpreta Ulrich Mott, ho già parlato QUI. Vanessa Redgrave (Elsa Brecht) e Annette Bening (Amanda Brecht) le trovate invece ai rispettivi link.
Se Georgetown vi fosse piaciuto guardate L'inventore di favole (lo trovate su Chili o Infinity) e La grande scommessa (lo trovate su Netflix). ENJOY!
venerdì 14 agosto 2020
Primo amore (2004)
Domenica scorsa sono tornata al cinema, per quanto in una sala all'aperto, e l'occasione è stata la proiezione di Primo amore, diretto e co-sceneggiato nel 2004 dal regista Matteo Garrone partendo dal romanzo Il cacciatore di anoressiche di Marco Mariolini.
Trama: un orafo in cerca dell'ideale di bellezza impossibile incontra una ragazza e, a poco a poco, la convince a perdere peso fino a mettere a repentaglio la sua salute...
Lo sportello antiviolenza delle Albisole ha organizzato, la settimana scorsa, la proiezione di Primo amore di Garrone, che per inciso non avevo mai visto, per raccogliere fondi e sensibilizzare gli abitanti della zona verso il concetto di violenza. Un concetto, soprattutto di questi tempi, quanto mai ampio e non limitato "semplicemente" a percosse o violenze visibili, bensì subdolo, infingardo, spesso confuso con l'amore che da vita alle cosiddette "relazioni tossiche". Ne abbiamo viste parecchie, ultimamente, negli horror, basti solo pensare all'angosciante Swallow oppure Wounds ma anche The Beach House (anche se lì il fidanzato era semplicemente scemo), di queste relazioni in cui uno dei due elementi della coppia depersonalizza l'altro imponendogli "per amore" il suo punto di vista univoco oppure sminuendone le aspettative e i desideri trattandoli come ostacoli alla felicità della relazione, e sappiamo, purtroppo, che non è facile uscire da queste gabbie dorate per chi ci si ritrova chiuso dentro. I motivi sono molteplici ma hanno una base comune, ovvero la fragilità di chi subisce la violenza e il terrore di perdere una forma di stabilità, di incappare nella solitudine, di venire biasimati a causa di una prospettiva distorta, mentre dall'altra parte c'è l'approfittarsi di questa fragilità invece di aiutare l'altro a superarla e trovare una forma di indipendenza che arricchirebbe il rapporto e lo renderebbe realmente felice, per entrambi. Garrone, con Primo amore, porta su grande schermo un caso di sopraffazione da manuale, angosciante e dalle profonde sfumature horror, con un mostro che è l'incarnazione stessa della sfiga più abietta: Vittorio è infatti quel tipo di uomo che andrebbe preso a calci al primo incontro, al minimo accenno di voler aprire bocca, mollo come la panissa ed insopportabilmente cafone (giuro che al "ah, ti pensavo un po' più magra" pronunciato con quella supponente parlata veneta, volevo uscire dal cinema), tanto che la premessa stessa del film, con la povera Sonia che invece ci rimane anche male nel venir sminuita da un uomo così "meraviglioso", è più surreale e inverosimile dell'incipit di qualsiasi horror.
E infatti Vittorio tanto normale non è, ha la folle idea di trovare la donna perfetta, una "testa" dotata di un corpo da sistemare poi col tempo, che risponda ai suoi assurdi canoni di magrezza. Sonia, almeno all'inizio, accetta anche per se stessa, almeno finché le pretese di Vittorio non diventano sempre più assurde e limitanti, nel momento esatto in cui il giogo della dieta si trasforma in una prigione dentro cui nessuno può entrare, né dottori, né amici, né qualsiasi forma di svago che non sia il rimanere insieme chiusi in casa così che Sonia non rischi di cadere in tentazione oppure uscire assieme per delle cene imbarazzanti. In un'angosciante poetica dello squallore, Garrone segue piccoli sprazzi di questa vita orrenda, di due esistenze che si imbruttiscono ognuna in modo diverso, attraverso episodi significativi e sempre più dolorosi o grotteschi, mentre la cinepresa indugia sul corpo di Sonia, dapprima sinonimo di una perfezione filtrata dagli occhi dell'arte, poi semplice oggetto da modellare andando di sottrazione, indipendente dalla sua stessa volontà, completamente assoggettato ai desideri egoisti di chi non è mai contento; il contrasto tra Sonia, prigioniera della volontà altrui, e il fratello, non solo di corporatura robusta ma anche strano, libero e incurante del giudizio degli altri, è un tocco di genio che fa male quanto la sequenza terribile in cui la ragazza è costretta a provarsi uno striminzito abito nero prima di scoppiare in un pianto disperato, sempre arpionata sulle spalle dal fidanzato rapace, che le incombe addosso come un'ombra velenosa. Primo amore è un film bellissimo e doloroso, che sono davvero felice di aver visto in un contesto così importante e necessario, oggi più che mai; non è una visione facile e alla fine vi ritroverete sicuramente depressi ma se avete la fortuna di avere accanto una persona con cui condividere un reale sentimento d'amore vi riscoprirete ancora più fortunati e felici. Viceversa, spero davvero che un simile film possa aprire gli occhi a chi ha la sfortuna di vivere una relazione malata ed avvilente perché i Vittorio di questo mondo meritano solo calci nei denti, non la possibilità di distruggere esistenze.
Del regista e co-sceneggiatore Matteo Garrone ho già parlato QUI.
Michela Cescon interpreta Sonia. Nata a Treviso, ha partecipato a film come Tulpa - Perdizioni mortali, Loro 1 e a serie quali Braccialetti rossi. Anche regista, ha 49 anni.
Trama: un orafo in cerca dell'ideale di bellezza impossibile incontra una ragazza e, a poco a poco, la convince a perdere peso fino a mettere a repentaglio la sua salute...
Lo sportello antiviolenza delle Albisole ha organizzato, la settimana scorsa, la proiezione di Primo amore di Garrone, che per inciso non avevo mai visto, per raccogliere fondi e sensibilizzare gli abitanti della zona verso il concetto di violenza. Un concetto, soprattutto di questi tempi, quanto mai ampio e non limitato "semplicemente" a percosse o violenze visibili, bensì subdolo, infingardo, spesso confuso con l'amore che da vita alle cosiddette "relazioni tossiche". Ne abbiamo viste parecchie, ultimamente, negli horror, basti solo pensare all'angosciante Swallow oppure Wounds ma anche The Beach House (anche se lì il fidanzato era semplicemente scemo), di queste relazioni in cui uno dei due elementi della coppia depersonalizza l'altro imponendogli "per amore" il suo punto di vista univoco oppure sminuendone le aspettative e i desideri trattandoli come ostacoli alla felicità della relazione, e sappiamo, purtroppo, che non è facile uscire da queste gabbie dorate per chi ci si ritrova chiuso dentro. I motivi sono molteplici ma hanno una base comune, ovvero la fragilità di chi subisce la violenza e il terrore di perdere una forma di stabilità, di incappare nella solitudine, di venire biasimati a causa di una prospettiva distorta, mentre dall'altra parte c'è l'approfittarsi di questa fragilità invece di aiutare l'altro a superarla e trovare una forma di indipendenza che arricchirebbe il rapporto e lo renderebbe realmente felice, per entrambi. Garrone, con Primo amore, porta su grande schermo un caso di sopraffazione da manuale, angosciante e dalle profonde sfumature horror, con un mostro che è l'incarnazione stessa della sfiga più abietta: Vittorio è infatti quel tipo di uomo che andrebbe preso a calci al primo incontro, al minimo accenno di voler aprire bocca, mollo come la panissa ed insopportabilmente cafone (giuro che al "ah, ti pensavo un po' più magra" pronunciato con quella supponente parlata veneta, volevo uscire dal cinema), tanto che la premessa stessa del film, con la povera Sonia che invece ci rimane anche male nel venir sminuita da un uomo così "meraviglioso", è più surreale e inverosimile dell'incipit di qualsiasi horror.
E infatti Vittorio tanto normale non è, ha la folle idea di trovare la donna perfetta, una "testa" dotata di un corpo da sistemare poi col tempo, che risponda ai suoi assurdi canoni di magrezza. Sonia, almeno all'inizio, accetta anche per se stessa, almeno finché le pretese di Vittorio non diventano sempre più assurde e limitanti, nel momento esatto in cui il giogo della dieta si trasforma in una prigione dentro cui nessuno può entrare, né dottori, né amici, né qualsiasi forma di svago che non sia il rimanere insieme chiusi in casa così che Sonia non rischi di cadere in tentazione oppure uscire assieme per delle cene imbarazzanti. In un'angosciante poetica dello squallore, Garrone segue piccoli sprazzi di questa vita orrenda, di due esistenze che si imbruttiscono ognuna in modo diverso, attraverso episodi significativi e sempre più dolorosi o grotteschi, mentre la cinepresa indugia sul corpo di Sonia, dapprima sinonimo di una perfezione filtrata dagli occhi dell'arte, poi semplice oggetto da modellare andando di sottrazione, indipendente dalla sua stessa volontà, completamente assoggettato ai desideri egoisti di chi non è mai contento; il contrasto tra Sonia, prigioniera della volontà altrui, e il fratello, non solo di corporatura robusta ma anche strano, libero e incurante del giudizio degli altri, è un tocco di genio che fa male quanto la sequenza terribile in cui la ragazza è costretta a provarsi uno striminzito abito nero prima di scoppiare in un pianto disperato, sempre arpionata sulle spalle dal fidanzato rapace, che le incombe addosso come un'ombra velenosa. Primo amore è un film bellissimo e doloroso, che sono davvero felice di aver visto in un contesto così importante e necessario, oggi più che mai; non è una visione facile e alla fine vi ritroverete sicuramente depressi ma se avete la fortuna di avere accanto una persona con cui condividere un reale sentimento d'amore vi riscoprirete ancora più fortunati e felici. Viceversa, spero davvero che un simile film possa aprire gli occhi a chi ha la sfortuna di vivere una relazione malata ed avvilente perché i Vittorio di questo mondo meritano solo calci nei denti, non la possibilità di distruggere esistenze.
Del regista e co-sceneggiatore Matteo Garrone ho già parlato QUI.
Michela Cescon interpreta Sonia. Nata a Treviso, ha partecipato a film come Tulpa - Perdizioni mortali, Loro 1 e a serie quali Braccialetti rossi. Anche regista, ha 49 anni.
martedì 11 agosto 2020
The Wretched (2019)
Spulciando qui e là qualche recensione sono incappata in The Wretched, horror diretto e sceneggiato nel 2019 dai registi Brett Pierce e Drew T. Pierce.
Trama: un adolescente problematico si trasferisce per l'estate a casa del padre e scopre che i vicini di casa nascondono qualcosa di strano...
Come ho scritto su Facebook, a questo The Wretched non avrei onestamente dato un euro. Al momento è diventato famoso in rete in quanto maggior incasso horror dell'anno o quasi negli USA, primato raggiunto grazie al fatto di essere uno dei pochi film distribuiti in un circuito dove le sale sono praticamente quasi tutte chiuse, il che non deporrebbe benissimo verso la sua effettiva qualità (della serie, ci piace vincere facile ponciponcipòpòpò). In realtà, già The Wretched è uno dei pochi horror che non mi ha fatta addormentare in questo periodo di stanchezza fisica e mentale, il che è un traguardo non da poco, e poi oggettivamente l'ho trovato molto carino ed interessante nonostante non racconti nulla di particolarmente nuovo. Uno dei punti di forza di The Wretched è il protagonista, un ragazzo normalissimo, brillante e simpatico costretto a passare l'estate col padre dopo essersi rotto un braccio cercando di procurarsi dei medicinali; Ben, questo il nome del ragazzo, non è connotato come un cretinetto viziato o un disagiato dai cupi pensieri, bensì come un normalissimo adolescente che è incappato in un errore ma cerca comunque di vivere la propria esistenza senza drama, il che dispone lo spettatore a volergli bene fin da subito e ad interessarsi alle sue sorti. Sorti che, ahimé, si intrecciano alle brame di un demone/strega che si impossessa del corpo di una vicina di casa, per scopi che non vi sto a dire e con risultati che dovreste ignorare se avete voglia di godervi il film fino al gustosissimo twist del prefinale, che mi ha lasciata piacevolmente sorpresa nella sua semplicità. The Wretched, quindi, si basa sulla lenta presa di coscienza di un ragazzo che si accorge che qualcosa non va nella casa dei vicini e, come nelle migliori storie horror con protagonisti adolescenti, il protagonista viene lasciato solo a combattere un'entità malvagia, senza venire creduto dagli adulti e nemmeno dai pochi amici, che tentando di aiutare fanno più danni che altro.
Con un concept simile sarebbe stato molto facile per i realizzatori cavalcare l'aMMore per il vintage che pare essere una costante di queste produzioni recenti, invece The Wretched manda al diavolo l'estetica modaiola che omaggia gli anni '80/'90 e si concentra sulla resa delle atmosfere cupe legate al mostro/demone/strega protagonista, una demoniaca figlia dei boschi che reca con sé morte ed oblio ovunque venga a trovarsi. Ci sono alcune scene, all'interno di The Wretched, che sbattono in faccia allo spettatore un gore scioccante e tutta la cattiveria delle fiabe dei Grimm, con bambini che vengono rapiti e destinati ad una sorte orribile, sia che questa sorte venga mostrata sia che venga solo lasciata intuire; in più, l'iconografia della strega è evocativa ed elegante (la CGI talvolta scricchiola, letteralmente, ma ho visto di peggio e comunque le ossa scrocchiarelle a me fanno sempre tanta impressione, lo sapete) quanto il suo bellissimo rifugio sotterraneo, la cui scenografia è penalizzata forse da una fotografia anche troppo scura che nasconde i tanti dettagli fiabeschi di cui il luogo è disseminato. E fiaba nera, magari non arzigogolata come l'imminente Gretel e Hansel, è la definizione che meglio si adatta a The Wretched, una favola oscura dal sapore innocente e assieme terribile delle avventure Kinghiane, quando alla gente normale cominciano a capitare cose brutte perché sì e non c'è modo di salvarsi da un male sconosciuto. Magari non sarà l'horror dell'anno ma è un prodotto dignitoso e vi consiglio di guardarlo in una di queste calde sere d'estate!
Brett Pierce e Drew T. Pierce sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Fratelli, assieme hanno diretto film come Secrets of Fenville e Deadheads. Sono entrambi anche produttori, animatori e attori.
Trama: un adolescente problematico si trasferisce per l'estate a casa del padre e scopre che i vicini di casa nascondono qualcosa di strano...
Come ho scritto su Facebook, a questo The Wretched non avrei onestamente dato un euro. Al momento è diventato famoso in rete in quanto maggior incasso horror dell'anno o quasi negli USA, primato raggiunto grazie al fatto di essere uno dei pochi film distribuiti in un circuito dove le sale sono praticamente quasi tutte chiuse, il che non deporrebbe benissimo verso la sua effettiva qualità (della serie, ci piace vincere facile ponciponcipòpòpò). In realtà, già The Wretched è uno dei pochi horror che non mi ha fatta addormentare in questo periodo di stanchezza fisica e mentale, il che è un traguardo non da poco, e poi oggettivamente l'ho trovato molto carino ed interessante nonostante non racconti nulla di particolarmente nuovo. Uno dei punti di forza di The Wretched è il protagonista, un ragazzo normalissimo, brillante e simpatico costretto a passare l'estate col padre dopo essersi rotto un braccio cercando di procurarsi dei medicinali; Ben, questo il nome del ragazzo, non è connotato come un cretinetto viziato o un disagiato dai cupi pensieri, bensì come un normalissimo adolescente che è incappato in un errore ma cerca comunque di vivere la propria esistenza senza drama, il che dispone lo spettatore a volergli bene fin da subito e ad interessarsi alle sue sorti. Sorti che, ahimé, si intrecciano alle brame di un demone/strega che si impossessa del corpo di una vicina di casa, per scopi che non vi sto a dire e con risultati che dovreste ignorare se avete voglia di godervi il film fino al gustosissimo twist del prefinale, che mi ha lasciata piacevolmente sorpresa nella sua semplicità. The Wretched, quindi, si basa sulla lenta presa di coscienza di un ragazzo che si accorge che qualcosa non va nella casa dei vicini e, come nelle migliori storie horror con protagonisti adolescenti, il protagonista viene lasciato solo a combattere un'entità malvagia, senza venire creduto dagli adulti e nemmeno dai pochi amici, che tentando di aiutare fanno più danni che altro.
Con un concept simile sarebbe stato molto facile per i realizzatori cavalcare l'aMMore per il vintage che pare essere una costante di queste produzioni recenti, invece The Wretched manda al diavolo l'estetica modaiola che omaggia gli anni '80/'90 e si concentra sulla resa delle atmosfere cupe legate al mostro/demone/strega protagonista, una demoniaca figlia dei boschi che reca con sé morte ed oblio ovunque venga a trovarsi. Ci sono alcune scene, all'interno di The Wretched, che sbattono in faccia allo spettatore un gore scioccante e tutta la cattiveria delle fiabe dei Grimm, con bambini che vengono rapiti e destinati ad una sorte orribile, sia che questa sorte venga mostrata sia che venga solo lasciata intuire; in più, l'iconografia della strega è evocativa ed elegante (la CGI talvolta scricchiola, letteralmente, ma ho visto di peggio e comunque le ossa scrocchiarelle a me fanno sempre tanta impressione, lo sapete) quanto il suo bellissimo rifugio sotterraneo, la cui scenografia è penalizzata forse da una fotografia anche troppo scura che nasconde i tanti dettagli fiabeschi di cui il luogo è disseminato. E fiaba nera, magari non arzigogolata come l'imminente Gretel e Hansel, è la definizione che meglio si adatta a The Wretched, una favola oscura dal sapore innocente e assieme terribile delle avventure Kinghiane, quando alla gente normale cominciano a capitare cose brutte perché sì e non c'è modo di salvarsi da un male sconosciuto. Magari non sarà l'horror dell'anno ma è un prodotto dignitoso e vi consiglio di guardarlo in una di queste calde sere d'estate!
Brett Pierce e Drew T. Pierce sono i registi e sceneggiatori della pellicola. Fratelli, assieme hanno diretto film come Secrets of Fenville e Deadheads. Sono entrambi anche produttori, animatori e attori.
venerdì 7 agosto 2020
Open 24 Hours (2018)
Ci vuole un po' di ignoranza in quest'estate camurrìosa e un film come Open 24 Hours, diretto nel 2018 dal regista Padraig Reynolds, è perfetto, anche se non così ignorante come parrebbe a un primo sguardo.
Trama: dopo aver dato fuoco all'ex fidanzato serial killer, una ragazza si ritrova a lavorare nel turno di notte di un distributore aperto 24 ore su 24, dove cominciano ad accadere le cose più terribili...
Open 24 Hours è un "simpatico" film ad alto tasso di claustrofobia ed incertezza, dove a un'ambientazione già poco amichevole come un distributore notturno si aggiunge la natura paranoica ed allucinata di una protagonista che rientra di diritto nella definizione di "narratore inattendibile". Mary è infatti reduce da una terribile esperienza che l'ha portata non solo in prigione ma anche a non saper distinguere la realtà dalle allucinazioni: accortasi della natura di serial killer del suo ex ragazzo, Mary è stata costretta a guardarlo uccidere innumerevoli vittime e ciò non ha contribuito ad attirarle la simpatia dell'opinione pubblica, che l'ha ribattezzata "The Watcher" nonostante lei si sia ribellata dando fuoco al pluriomicida. All'inizio del film troviamo dunque una protagonista sconfitta, debole di mente, che tenta di riappropriarsi della sua vita cominciando proprio dal lavoro, necessario per reinserirsi nella società nel periodo di libertà vigilata che le è stato concesso. Purtroppo, l'unico posto disponibile è proprio quello di commessa nel turno di notte di un distributore, topos che, come ben sappiamo, non porta benissimo alle povere fanciulle, a prescindere dalla grandezza del negozietto annesso al distributore. Fin dai primi minuti passati lì dentro, Mary diventa vittima di terrori, allucinazioni e vari stalker, anche telefonici, e se il suo punto di vista allucinato concorre a farla sprofondare sempre più nella paranoia, noi sappiamo che qualcuno c'è davvero e sta mietendo vittime senza essere visto, particolare che rende ancora più interessante, sia per gli spettatori più smaliziati che per quelli un po' meno scafati, cercare di capire dove sia la verità.
Nonostante la sua natura di slasher "passatempo", Open 24 Hours ha dunque una struttura portante abbastanza raffinata e tutto il comparto tecnico concorre a creare sequenze interessanti e mai scontate, soprattutto quando entrano a gamba tesa le allucinazioni di Mary, che spesso si fondono alla perfezione con la realtà e riescono a trasmettere la sensazione palpabile di un senso di colpa enorme e sanguinoso, che in un istante stravolge la normalità precipitando protagonista e spettatori in un incubo senza fine. La percentuale di gore presente nel film farà sicuramente felici i fan del genere slasher, soprattutto quando il killer, a un certo punto, mette mano alla mazza (ma c'è una morte praticata attraverso un metodo assai meno ortodosso!) e anche per quanto riguarda le atmosfere Open 24 Hours ci sa fare, perché i due ambienti utilizzati, ovvero il distributore e una discarica, danno proprio l'idea di luoghi abbandonati da tutti tranne che dai matti e sono sufficientemente squallidi e luridi da trasformarsi, alla bisogna, nei palcoscenici perfetti per una spietata mattanza. Se a ciò aggiungete che l'attrice protagonista, Vanessa Grasse, offre una performance parecchio convincente, si può dire che Open 24 Hours è un ottimo prodotto per intrattenere durante le calde serate estive!
Padraig Reynolds è il regista e sceneggiatore della pellicola. Anche produttore e attore, ha diretto film come Rites of Spring, Worry Doll e Dark Light.
Brendan Fletcher interpreta Bobby. Canadese, ha partecipato a film come Freddy vs. Jason, Licantropia Apocalypse, Licantropia, Alone in the Dark, Revenant - Redivivo e a serie quali Piccoli brividi, Millenium, Tru Calling, Supernatural, Masters of Horror, CSI - Scena del crimine, Smallville e Bates Motel. Anche produttore e sceneggiatore, ha 39 anni e un film in uscita.
La protagonista Vanessa Grasse aveva già partecipato al film Leatherface - Il massacro ha inizio. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Last Shift, purtroppo ancora inedito in Italia (Midnight Factory, anyone?), e L'esorcismo di Hannah Grace (questo lo trovate su qualsiasi piattaforma di streaming legale tranne Netflix e Prime, mannaggia). ENJOY!
Trama: dopo aver dato fuoco all'ex fidanzato serial killer, una ragazza si ritrova a lavorare nel turno di notte di un distributore aperto 24 ore su 24, dove cominciano ad accadere le cose più terribili...
Open 24 Hours è un "simpatico" film ad alto tasso di claustrofobia ed incertezza, dove a un'ambientazione già poco amichevole come un distributore notturno si aggiunge la natura paranoica ed allucinata di una protagonista che rientra di diritto nella definizione di "narratore inattendibile". Mary è infatti reduce da una terribile esperienza che l'ha portata non solo in prigione ma anche a non saper distinguere la realtà dalle allucinazioni: accortasi della natura di serial killer del suo ex ragazzo, Mary è stata costretta a guardarlo uccidere innumerevoli vittime e ciò non ha contribuito ad attirarle la simpatia dell'opinione pubblica, che l'ha ribattezzata "The Watcher" nonostante lei si sia ribellata dando fuoco al pluriomicida. All'inizio del film troviamo dunque una protagonista sconfitta, debole di mente, che tenta di riappropriarsi della sua vita cominciando proprio dal lavoro, necessario per reinserirsi nella società nel periodo di libertà vigilata che le è stato concesso. Purtroppo, l'unico posto disponibile è proprio quello di commessa nel turno di notte di un distributore, topos che, come ben sappiamo, non porta benissimo alle povere fanciulle, a prescindere dalla grandezza del negozietto annesso al distributore. Fin dai primi minuti passati lì dentro, Mary diventa vittima di terrori, allucinazioni e vari stalker, anche telefonici, e se il suo punto di vista allucinato concorre a farla sprofondare sempre più nella paranoia, noi sappiamo che qualcuno c'è davvero e sta mietendo vittime senza essere visto, particolare che rende ancora più interessante, sia per gli spettatori più smaliziati che per quelli un po' meno scafati, cercare di capire dove sia la verità.
Nonostante la sua natura di slasher "passatempo", Open 24 Hours ha dunque una struttura portante abbastanza raffinata e tutto il comparto tecnico concorre a creare sequenze interessanti e mai scontate, soprattutto quando entrano a gamba tesa le allucinazioni di Mary, che spesso si fondono alla perfezione con la realtà e riescono a trasmettere la sensazione palpabile di un senso di colpa enorme e sanguinoso, che in un istante stravolge la normalità precipitando protagonista e spettatori in un incubo senza fine. La percentuale di gore presente nel film farà sicuramente felici i fan del genere slasher, soprattutto quando il killer, a un certo punto, mette mano alla mazza (ma c'è una morte praticata attraverso un metodo assai meno ortodosso!) e anche per quanto riguarda le atmosfere Open 24 Hours ci sa fare, perché i due ambienti utilizzati, ovvero il distributore e una discarica, danno proprio l'idea di luoghi abbandonati da tutti tranne che dai matti e sono sufficientemente squallidi e luridi da trasformarsi, alla bisogna, nei palcoscenici perfetti per una spietata mattanza. Se a ciò aggiungete che l'attrice protagonista, Vanessa Grasse, offre una performance parecchio convincente, si può dire che Open 24 Hours è un ottimo prodotto per intrattenere durante le calde serate estive!
Padraig Reynolds è il regista e sceneggiatore della pellicola. Anche produttore e attore, ha diretto film come Rites of Spring, Worry Doll e Dark Light.
Brendan Fletcher interpreta Bobby. Canadese, ha partecipato a film come Freddy vs. Jason, Licantropia Apocalypse, Licantropia, Alone in the Dark, Revenant - Redivivo e a serie quali Piccoli brividi, Millenium, Tru Calling, Supernatural, Masters of Horror, CSI - Scena del crimine, Smallville e Bates Motel. Anche produttore e sceneggiatore, ha 39 anni e un film in uscita.
La protagonista Vanessa Grasse aveva già partecipato al film Leatherface - Il massacro ha inizio. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Last Shift, purtroppo ancora inedito in Italia (Midnight Factory, anyone?), e L'esorcismo di Hannah Grace (questo lo trovate su qualsiasi piattaforma di streaming legale tranne Netflix e Prime, mannaggia). ENJOY!
martedì 4 agosto 2020
Notte Horror 2020: Dèmoni 2... l'incubo ritorna (1986)
E' arrivata l'ora del secondo film della Notte Horror Blogger Edition, iniziativa alla quale partecipo anche quest'anno e che vede, ogni martedì, una doppietta di filmacci horror come si faceva una volta nel bel palinsesto di Italia 1. Dovreste appena aver finito di leggere il post su Dèmoni nel blog Non c'è Paragone quindi sarete sicuramente pronti ad affrontare Dèmoni 2... l'incubo ritorna, diretto e co-sceneggiato nel 1986 del regista Lamberto Bava.
Trama: all'interno di un condominio gli abitanti vengono aggrediti da demoni usciti dagli schermi televisivi, i quali cominciano a contagiare chiunque...
L'anno dopo l'uscita di Dèmoni ecco arrivare nelle sale italiane Dèmoni 2... l'incubo continua, all'inizio del quale una voce avverte che persino gli scettici, dopo gli eventi del primo film, avevano dovuto ammettere l'esistenza dei demoni che avevano devastato il mondo partendo da un cinema. Quindi, direte voi, lo scenario di Dèmoni 2 parte dalla realtà post-apocalittica mostrata alla fine del primo film? No, ovviamente. Gli sceneggiatori Dario Argento, Lamberto Bava, Franco Ferrini e Dardano Sacchetti, gli stessi di Dèmoni, hanno deciso di trasformare la realtà precedente in un lavoro di finzione il cui sequel senza nome viene trasmesso nelle televisioni di un condominio ad Amburgo, con terribili conseguenze simili a quelle già accorse al cinema Metropol: i demoni del "film nel film" cominciano ad uscire dagli schermi e ad aggredire gli abitanti del condominio, trasformandoli a loro volta in mostri assetati di sangue umano. Cambiano quindi le ambientazioni, cambiano i protagonisti (non tutti) e cambiano gli effetti speciali, molto meno gore, per il resto molte caratteristiche di Dèmoni, colonna sonora metallozza in primis, e persino moltissime sequenze (la trasformazione iniziale col primo piano dei denti del demone, l'arrivo dei mostri immersi nella nebbia e con gli occhi brillanti, le derapate in macchina di quattro strepponi, le supercazzole di persone che sembrano normali e invece si indemoniano, il protagonista che all'inizio sembra sfigato poi diventa Ash) vengono mantenute, ripetute ed omaggiate, mentre nel mucchio di carne da macello vengono gettati anche animali e bambini e il finale, più felice di quanto avrebbe dovuto essere in origine, non lascia allo spettatore quella sensazione di ineluttabile orrore e perdita di ogni speranza in cui invece indulgeva il film originale.
Due cose, oltre a una deriva leggermente più "action" e fantasiosa, differenziano Dèmoni 2 dal predecessore, inserendo un fresco elemento di novità. Il primo è il goblin/boglin (che, per inciso, ha intenerito moltissimo me e il Bolluomo) che ciccia fuori dallo Scrondo e ingaggia battaglia con la povera Nancy Brilly, un animalino terrificante ma che, comunque, risiede nel filone americano di animaletti mordaci à la Critters o Gremlins che combinano il terrore a un minimo di divertimento; il secondo, invece, è la presenza della sempre convinta e convincente Coralina Cataldi Tassoni, che DOVETE ricordare come protagonista de Il Bosco 1 e che qui passa dall'essere la protagonista scassapalle della canzone Brutta a demone particolarmente sfortunato ed onnipresente nonostante arrivi a sciogliersi, diventare cieco e chi più ne ha più ne metta. A proposito di Coralina Cataldi Tassoni, vi ricordo che Dèmoni 2 è anche il film d'esordio di Asia Argento la quale, povera pargola, all'età di 11 anni era già cagna maledetta e non azzeccava un'espressione manco a morire (tanto che, a un certo punto, i demoni non se filano più di striscio e il destino del suo personaggio rimane incerto): la sua presenza è inutile tanto quanto quella dei già citati sgallettati in macchina, che oltre a richiamare Dèmoni ed ad allungare il metraggio non hanno altra funzione, un po' come il povero occhialuto sfigato che viene spedito fuori ad aspettare l'odioso ex fidanzato di Sally. A parte queste considerazioni derivate dai dialoghi divertiti tra me e Mirco nel corso della visione, Dèmoni 2... l'incubo continua riesce a risultare interessante, oltre che ben fatto, nonostante sia pesantemente debitore di Dèmoni al punto da poterlo definire derivativo, quindi come horroraccio estivo è perfetto. Lo trovate su Chili alla modica cifra di 2,99 se non avete voglia di sbattervi a cercarlo altrove o se non lo avete nella vostra collezione di horror italiani anni '80!
Del regista e co-sceneggiatore Lamberto Bava, che interpreta anche il padre di Sally, ho già parlato QUI. Coralina Cataldi Tassoni (Sally Day), Asia Argento (Ingrid Haller) e Michele Mirabella (il cliente della prostituta) li trovate invece ai rispettivi link.
Nancy Brilli (vero nome Nicoletta Brilli) interpreta Hannah. Nata a Roma, la ricordo per film come Compagni di scuola e Febbre da cavallo - La mandrakata, inoltre ha partecipato a serie quali Il bello delle donne e Caterina e le sue figlie. Ha 56 anni.
Bobby Rhodes, che interpreta Hank, era il pappone di Dèmoni mentre Lino Salemme, che qui interpreta il guardiano, era lo squartatore. Adesso mi mancherebbe solo Demoni 3 per completare la trilogia... ma anche no! Intanto, magari voi potreste trovare qualche ispirazione per i prossimi horror da guardare scorrendo l'elenco dei film già presentati dai miei colleghi e il bannerone con i prossimi appuntamenti! ENJOY!
domenica 2 agosto 2020
Il Bollalmanacco va in vacanza!
Seh, magari. Su, subitevi un po' di fatti miei. La verità è che quest'anno è stato veramente funesto e, nonostante per fortuna FINO AD OGGI il Covid non abbia colpito né me né i miei familiari e amici, sto avendo fastidiosi problemini di salute (tutt'oggi irrisolti) da dicembre dell'anno scorso; a ciò, aggiungete che a differenza di molti di coloro che sbraitavano sui social "che noia il lockdown", che il Signore possa sempre preservarli intonsi nella loro noia finché gente rimasta disoccupata o peggio non riuscirà a scovarli e spezzar loro le gambe, io il famoso lockdown non l'ho visto nemmeno col lanternino e men che meno lo smart working, anzi, ho cominciato a lavorare in tre/quattro uffici diversi e mancava solo mi infilassero una scopa nel culo per farmi ramazzare la stanza, il tutto ovviamente con lo stress del contagio a mille. Adesso la situazione si sta leggermente assestando ma è inutile nascondersi dietro un dito: sono stanca morta, ho il morale a terra, da mesi provo una frustrazione crescente sia per l'impossibilità di dedicarmi a quello che mi piace sia per la consapevolezza che, nonostante tutti i miei sforzi, sono purtroppo mediocre in tutto ciò che amo: disegnare, studiare lingue, tradurre, guardare film, parlare di cinema. Mi rendo conto che il tempo di dedicarmi a tutto, con solo due/tre ore di "libertà" al giorno in cui far rientrare anche i mille cazzi quotidiani, è impossibile, ciò non di meno sono una testa di pigna e soffro moltissimo per questa situazione, anche perché spesso penso che anche ad aver tempo la mia mediocrità probabilmente non cambierebbe di una virgola.
Ma bon, tutto questo deprimente giro intorno al mondo per dire che, per agosto, mese in cui avrò finalmente due settimane di ferie (forse), ho deciso di prenderla bassa e rallentare parecchio le pubblicazioni sul blog. Banalmente, perché ovviamente non ho e non avrò molto tempo di guardare film, quindi tenterò di raschiare il barile tirando la programmazione più che potrò. I post usciranno al martedì (cominciando il 4 con la partecipazione a Notte Horror) e al venerdì, salvo magari qualche strappo alla regola per film particolarmente interessanti o, chissà, qualche nuova uscita (sono depressa ma lo stesso ingenua) e comunque continuerò a leggere i commenti e a rispondere, tanto sono pochi. Mi piacerebbe che questo rallentamento durasse giusto per il mese di agosto ma... chissà. Vabbé, non ci pensiamo.
Se andate in vacanza godetevela, fanciulli, e scusate ancora per questo sproloquio se siete arrivati a leggere fino a qui. Spero di riuscire a ricaricarmi durante le ferie, così da tornare ad essere la cazzona sorridente di prima. Nel frattempo, bacini sparsi e buon agosto!
Ma bon, tutto questo deprimente giro intorno al mondo per dire che, per agosto, mese in cui avrò finalmente due settimane di ferie (forse), ho deciso di prenderla bassa e rallentare parecchio le pubblicazioni sul blog. Banalmente, perché ovviamente non ho e non avrò molto tempo di guardare film, quindi tenterò di raschiare il barile tirando la programmazione più che potrò. I post usciranno al martedì (cominciando il 4 con la partecipazione a Notte Horror) e al venerdì, salvo magari qualche strappo alla regola per film particolarmente interessanti o, chissà, qualche nuova uscita (sono depressa ma lo stesso ingenua) e comunque continuerò a leggere i commenti e a rispondere, tanto sono pochi. Mi piacerebbe che questo rallentamento durasse giusto per il mese di agosto ma... chissà. Vabbé, non ci pensiamo.
Se andate in vacanza godetevela, fanciulli, e scusate ancora per questo sproloquio se siete arrivati a leggere fino a qui. Spero di riuscire a ricaricarmi durante le ferie, così da tornare ad essere la cazzona sorridente di prima. Nel frattempo, bacini sparsi e buon agosto!