Dopo millemila giorni torna il Bollalmanacco On Demand. Ce n'è voluta, eh, ma alla fine sono riuscita a finire di vedere Inland Empire - L'impero della mente (Inland Empire), scritto e diretto nel 2006 dal regista David Lynch e chiesto dall'adorata amica Silvia. Il prossimo film On Demand dovrebbe essere Penelope. ENJOY!
Trama: dopo avere ottenuto il ruolo tanto desiderato, un'attrice smette di distinguere la realtà dalla finzione e si perde in un allucinante trip di eventi...
Siccome di Inland Empire non si può proprio parlare, vi tedierò un po' con qualche aneddoto personale che giustifica anche perché ci ho messo così tanto per sfornare un nuovo post On Demand. L'ultimo lungometraggio di David Lynch (se non vogliamo considerare tale l'ultima serie di Twin Peaks) dura quasi tre ore e io, ovviamente, tutto questo lusso temporale non ce l'ho. Sono vecchia, ormai ho 38 anni, prima delle 21.30 non riesco a cominciare a guardare film (e considerate che questo non l'ho nemmeno proposto al Bolluomo, ci mancherebbe) e ammetto che ogni volta Inland Empire mi faceva crollare tra le braccia di Morfeo dopo 15/20 minuti al massimo; ho provato a guardarlo al mattino, mentre facevo colazione, e talvolta mi veniva da dormire anche lì, a rischio di pucciare la faccia nel tea. Insomma, un successone. Probabilmente Lynch riderebbe di me, oppure magari mi direbbe che il modo migliore per fruire di Inland Empire è proprio lasciare che le immagini del film si mescolino a quel meraviglioso momento in cui la mente svariona prima di abbandonarsi al sonno e ai sogni, mentre gli amanti di Lynch e i cinèfili degni di questo nome mi ricopriranno di insulti e ignominia perpetua. Vi do ragione, per carità, ma a mia discolpa posso dire di averci provato e di essere stata onesta: "qualcuno", messo davanti ai miei evidenti limiti e di fronte alla mia richiesta di aiuto, mi ha detto "leggiti qualche recensione in giro e prova a fartene una tua idea, simulando di averlo visto. Magari dilungati sul fatto che è un film molto lynciano, con degli attori molto lynciani... con un po' di pratica vedrai che riuscirai a scrivere lunghissimi post anche sul nulla cosmico. In fondo è quello che fanno i critici cinematografici stipendiati... mica li guardano per davvero i film". Come dargli torto, in effetti? Perfetto, allora la butto lì: Inland Empire è un film importantissimo, un pugno nello stomaco, indispensabile, lynchiano, perturbante, inquietante e, soprattutto, disturbante. Di sicuro ho azzeccato tutti i termini giusti, il post potrebbe anche essere finito qui, nevvero?
Dai, si scherza. Però diamine, leggenda narra che Lynch abbia telefonato alla Dern e, manco fosse Uma Thurman nella pubblicità della Schweppes, le abbia detto "ti va di sperimentare?" e di sicuro né lui né gli attori coinvolti sono riusciti a spiegare in che diamine consista Inland Empire quindi come posso riuscirci io? E soprattutto, perché dovrei? Lì per lì, tra l'altro, Inland Empire ti gabba, infido, e salvo un siparietto con una sit-com a base di conigli antropomorfi e gente che parla in ungherese, ti illude che abbia una trama: un'attrice moglie di un marito orco ottiene il ruolo tanto agognato e finisce preda, nonostante mille avvertimenti, del co-protagonista donnaiolo, al punto da confondere la vera se stessa con il personaggio che sta interpretando, mentre cominciano a circolare voci inquietanti sull'impossibilità di concludere le riprese di un film già naufragato una volta per motivi mai chiariti. Una trama interessante, che già di per sé titillerebbe l'attenzione dello spettatore e di tutti i fan di Lynch. Peccato che quest'ultimo non avesse intenzione di dirigere un lungometraggio, bensì una serie di "corti" che alla fine lo sono diventati e che hanno creato un trip cinematografico senza capo né coda, senza unità di tempo o spazio, un'infinita serie di suggestioni che sta allo spettatore scegliere come vivere e, probabilmente, come interpretare. Passato, presente e futuro non esistono più, c'è un continuo stream of consciousness che definire tale sarebbe comunque improprio, perché il punto di vista non è sempre quello di Nikki/Susan e talvolta vengono inseriti altri personaggi protagonisti di vicende proprie, che possono essere legate o slegate da quella principale, che comunque principale non è. Insomma, un casino vero, e rimanerne affascinati o meno dipende dalla disposizione d'animo dello spettatore.
Io, lo ammetto, andavo a momenti. L'atavico istinto di horroromane unito alla pavloviana memoria dei migliori istanti twinpeaksiani mi ha portata ad apprezzare moltissimo gli infiniti corridoi in cui si perde Laura Dern, bui salvo per luci rossastre, tendaggi, pavimenti con pattern assai simili a quelli della Loggia Nera, gente deforme che strilla sconvolta in camera, persone che appaiono e scompaiono senza un perché; oppure, le assurde sequenze in cui la gente canta e balla, d'amblé, con altri posti a fare i silenziosi testimoni della follia, ma anche il momento in cui la senzatetto asiatica in botta racconta la sua assurda storia, per non parlare della sempre meravigliosa Grace Zabriskie, la cui sola presenza a me fa gelare il sangue nelle vene. La Dern meriterebbe l'applauso per il modo in cui asseconda ogni pazzia di Lynch senza perdere bravura o dignità, ché son tutti buoni a far gli attori per il depresso Von Trier, ma non vorrei essere nei panni di chi legge uno script di Lynch e affida l'anima al Sacro Cuore di Maria ad ogni ciak, sperando di non sbagliare o non fare una figura barbina imboccando invece la strada per il ridicolo involontario. Per contro, all'ennesimo dialogo tra polacchi e davanti alla fissità di uno psicologo che guardava la Dern con la stessa mia faccia disinteressata e annoiata, avrei voluto che il mio cervello partisse per l'Inland Empire dei sogni per non tornare mai più e ammetto, comunque, di avere fatto una fatica incredibile ad arrivare al termine di una visione protrattasi più o meno per una settimana, segno che questo Lynch sperimentatore ed estremo non fa proprio per me, per quanto gli riconosca una dignità artistica e visionaria senza pari. Di sicuro, la visione di Inland Empire è un'esperienza che consiglio, almeno una volta nella vita, ma dubito che io stessa la ripeterò.
Del regista e sceneggiatore David Lynch, anche voce di Bucky J, ho già parlato QUI. Grace Zabriskie (visitatore n. 1), Laura Dern (Nikki Grace/Susan Blue), Jeremy Irons (Kingsley Stewart), Justin Theroux (Devon Berk/Billy Side), Harry Dean Stanton (Freddie Howard), William H. Macy (Annunciatore), Laura Harring (Ospite alla festa/Jane Rabbit) e Naomi Watts (voce di Suzie Rabbit) li trovate invece ai rispettivi link.
Tra le guest star compaiono Nastassja Kinski nei panni della signora e Ben Harper in quelli del pianista. Il film ha un "sequel" o, meglio, è affiancato da una raccolta di scene eliminate dal titolo More Things That Happened, uscito nel 2007 come appendice alle edizioni video del film. Se Inland Empire vi fosse piaciuto, ovviamente, recuperatelo, e aggiungete il resto della filmografia di David Lynch. ENJOY!
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domenica 29 settembre 2019
venerdì 27 settembre 2019
Eat Local - A cena coi vampiri (2017)
Surclassato da Tarantino e distribuito credo in tre sale in tutta Italia, non è andata benissimo al povero Eat Local - A cena coi vampiri (Eat Locals), diretto nel 2017 dal regista Jason Flemyng.
Trama: mentre un consiglio di vampiri è riunito in una casa di campagna inglese, dei soldati cercano di ucciderli, sotto gli occhi perplessi e terrorizzati di ignari umani.
Gli inglesi hanno una marcia in più per le commedie horror, è innegabile. Eat Local è una sciocchezzuola, d'accordo, però è una sciocchezzuola fatta bene, che regala momenti divertenti e persino surreali, tra un bagno di sangue e un esempio di british wit enunciato col solito, meraviglioso accento delle isole britanniche. Di base, nel corso della sua durata Eat Local racconta un assedio ai danni di un gruppo di vampiri riuniti per l'annuale consiglio, mentre una delle loro potenziali vittime (un mezzo zingaro particolarmente scafato) si ritrova impotente in mezzo al fuoco incrociato di succhiasangue e soldati che vorrebbero farli fuori, con risvolti inaspettati alla Dexter e persino un pizzico di esilarante "fantascienza" pubblicitaria. Qui e là, all'interno dei dialoghi, ci si prende gioco dell'attuale situazione della società inglese e per estensione mondiale, col problema dei migranti virato in chiave "alimentare" ed incrociato con le mode dietetiche che vanno tanto per la maggiore oggi, l'idea di mangiare solo organico in primis, ma ammettiamolo, il titolo non rispecchia molto ciò che viene mostrato nel film. Il resto, a onor del vero, lo fanno i personaggi, ognuno dotato di una caratteristica particolare in grado di renderlo facilmente distinguibile dal mucchio e per questo irresistibile a modo suo, qualcuno più di altri (la palma d'oro del migliore, almeno per me, va al cinico Boniface, subito seguito dalla vecchina).
Film di attori più che di regia o sceneggiatura, dunque, e non potrebbe essere altrimenti visto che dietro la macchina da presa c'è Jason Flemyng, ovvero il Tom di Lock & Stock, qui alla sua prima prova come regista. Il buon Flemyng ha scelto di esordire con una commedia horror che non calca troppo la mano, leggera come l'acqua, probabilmente dimenticabile dopo un giorno o due, e di circondarsi ovviamente di amici sia davanti alla cinepresa che nelle retrovie; esempio calzante sono Dexter Fletcher e Nick Moran in primis, rispettivamente nei panni dell'ostaggio umano e del soldato, ma anche Jason Statham, utilizzato come consulente per quelle tre/quattro scene di lotta corpo a corpo presenti nel film. Il risultato è così un film ibrido che non fa paura nemmeno per sbaglio e che spesso consegna solo personaggi abbozzati, dei "tipi" più che dei vampiri a tutto tondo, ma che sicuramente cattura lo spettatore, invogliandolo a sapere come andrà a finire la storia (visto che ormai va di moda realizzare serie TV sarebbe interessante, in realtà, continuare a seguire le vicende di questi vampiri sui generis e dei loro clan), e incuriosendolo con qualche citazione, anche a livello di colonna sonora e stile, che potrebbe risultare tuttavia ostica per il pubblico italiano. Nulla per cui correre al cinema disperati, ma se prima o poi spuntasse fuori su qualche piattaforma di streaming legale ci farei un pensierino, sperando mantengano la versione originale e non impongano quella doppiata.
Del regista Jason Flemyng ho già parlato QUI. Charlie Cox (Henry) e Dexter Fletcher (Mr. Thatcher) li trovate invece ai rispettivi link.
Tony Curran interpreta Peter Boniface. Scozzese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, Il gladiatore, Pearl Harbor, Blade II, La leggenda degli uomini straordinari, X-Men - L'inizio, Thor: The Dark World e a serie quali Numb3rs, Medium, 24, Doctor Who, CSI - Scena del crimine e Daredevil; come doppiatore, ha lavorato in Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno. Ha 50 anni e un film in uscita.
Nick Moran interpreta il soldato Rose. Inglese, ha partecipato a film come Lock & Stock - Pazzi scatenati, Harry Potter e i doni della morte - Parte I, Harry Potter e i doni della morte - Parte II, Non bussate a quella porta e a serie come CSI: Miami. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 50 anni e tre film in uscita.
Mackenzie Crook, che interpreta Larousse, era il pirata Ragetti della saga Pirates of the Caribbean mentre Ruth Jones, qui nel ruolo di Mrs. Thatcher, era la Myfawny di Little Britain. Se Eat Local - A cena coi vampiri vi fosse piaciuto recuperate What We Do in the Shadows. ENJOY!
Trama: mentre un consiglio di vampiri è riunito in una casa di campagna inglese, dei soldati cercano di ucciderli, sotto gli occhi perplessi e terrorizzati di ignari umani.
Gli inglesi hanno una marcia in più per le commedie horror, è innegabile. Eat Local è una sciocchezzuola, d'accordo, però è una sciocchezzuola fatta bene, che regala momenti divertenti e persino surreali, tra un bagno di sangue e un esempio di british wit enunciato col solito, meraviglioso accento delle isole britanniche. Di base, nel corso della sua durata Eat Local racconta un assedio ai danni di un gruppo di vampiri riuniti per l'annuale consiglio, mentre una delle loro potenziali vittime (un mezzo zingaro particolarmente scafato) si ritrova impotente in mezzo al fuoco incrociato di succhiasangue e soldati che vorrebbero farli fuori, con risvolti inaspettati alla Dexter e persino un pizzico di esilarante "fantascienza" pubblicitaria. Qui e là, all'interno dei dialoghi, ci si prende gioco dell'attuale situazione della società inglese e per estensione mondiale, col problema dei migranti virato in chiave "alimentare" ed incrociato con le mode dietetiche che vanno tanto per la maggiore oggi, l'idea di mangiare solo organico in primis, ma ammettiamolo, il titolo non rispecchia molto ciò che viene mostrato nel film. Il resto, a onor del vero, lo fanno i personaggi, ognuno dotato di una caratteristica particolare in grado di renderlo facilmente distinguibile dal mucchio e per questo irresistibile a modo suo, qualcuno più di altri (la palma d'oro del migliore, almeno per me, va al cinico Boniface, subito seguito dalla vecchina).
Film di attori più che di regia o sceneggiatura, dunque, e non potrebbe essere altrimenti visto che dietro la macchina da presa c'è Jason Flemyng, ovvero il Tom di Lock & Stock, qui alla sua prima prova come regista. Il buon Flemyng ha scelto di esordire con una commedia horror che non calca troppo la mano, leggera come l'acqua, probabilmente dimenticabile dopo un giorno o due, e di circondarsi ovviamente di amici sia davanti alla cinepresa che nelle retrovie; esempio calzante sono Dexter Fletcher e Nick Moran in primis, rispettivamente nei panni dell'ostaggio umano e del soldato, ma anche Jason Statham, utilizzato come consulente per quelle tre/quattro scene di lotta corpo a corpo presenti nel film. Il risultato è così un film ibrido che non fa paura nemmeno per sbaglio e che spesso consegna solo personaggi abbozzati, dei "tipi" più che dei vampiri a tutto tondo, ma che sicuramente cattura lo spettatore, invogliandolo a sapere come andrà a finire la storia (visto che ormai va di moda realizzare serie TV sarebbe interessante, in realtà, continuare a seguire le vicende di questi vampiri sui generis e dei loro clan), e incuriosendolo con qualche citazione, anche a livello di colonna sonora e stile, che potrebbe risultare tuttavia ostica per il pubblico italiano. Nulla per cui correre al cinema disperati, ma se prima o poi spuntasse fuori su qualche piattaforma di streaming legale ci farei un pensierino, sperando mantengano la versione originale e non impongano quella doppiata.
Del regista Jason Flemyng ho già parlato QUI. Charlie Cox (Henry) e Dexter Fletcher (Mr. Thatcher) li trovate invece ai rispettivi link.
Tony Curran interpreta Peter Boniface. Scozzese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, Il gladiatore, Pearl Harbor, Blade II, La leggenda degli uomini straordinari, X-Men - L'inizio, Thor: The Dark World e a serie quali Numb3rs, Medium, 24, Doctor Who, CSI - Scena del crimine e Daredevil; come doppiatore, ha lavorato in Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno. Ha 50 anni e un film in uscita.
Nick Moran interpreta il soldato Rose. Inglese, ha partecipato a film come Lock & Stock - Pazzi scatenati, Harry Potter e i doni della morte - Parte I, Harry Potter e i doni della morte - Parte II, Non bussate a quella porta e a serie come CSI: Miami. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 50 anni e tre film in uscita.
Mackenzie Crook, che interpreta Larousse, era il pirata Ragetti della saga Pirates of the Caribbean mentre Ruth Jones, qui nel ruolo di Mrs. Thatcher, era la Myfawny di Little Britain. Se Eat Local - A cena coi vampiri vi fosse piaciuto recuperate What We Do in the Shadows. ENJOY!
giovedì 26 settembre 2019
(Gio)WE, Bolla! del 26/9/2019
Buon giovedì a tutti!! Passata la febbre da Tarantino, il Multisala di Savona si "siede" sulla solita programmazione cretina e bypassa completamente due hit sicure come Rambo: Last Blood e Shaun - Vita da pecora: Farmageddon, con mio sommo scorno. Cos'è rimasto quindi a una povera cinèfila savonese? ENJOY!
Yesterday
Ad Astra
Dora e la città perduta
Vivere
Al cinema d'élite, Francia con un pizzico di Renatone...
I migliori anni della nostra vita
Yesterday
Reazione a caldo: Finalmente!!
Bolla, rifletti!: In Inghilterra era già uscito ad agosto, proprio quando io ero nella città di nascita dei Beatles. Forse anche per questo vorrei andare a vedere Yesterday, commedia che parte dal presupposto che il ricordo dei Fab Four sia stato cancellato dalle menti di tutti... tranne di un ragazzotto indiano che, ovviamente, sfrutta la cosa per raggiungere il successo. La premessa è intrigante, il Bolluomo è convinto, dirige Danny Boyle. Direi che non me lo perdo!Ad Astra
Reazione a caldo: Mah.
Bolla, rifletti!: Ero già poco convinta dal trailer, che mi preannunciava un mattone fantascientifico con grandi nomi. Il sommo Zerocalcare e il suo "Invero a me me s'è scucita mezza fodera der cazzo" mi hanno convinta definitivamente a rinunciare alla visione.Dora e la città perduta
Reazione a caldo: Anche no.
Bolla, rifletti!: Mai sopportati i cartoni di Dora the Explorer, forse per sopraggiunti limiti di età. Il live action ve lo lascio con piacere.Vivere
Reazione a caldo: MaBBasta
Bolla, rifletti!: Anche qui, è bastato il trailer per farmi cadere i sentimenti. Anche se non c'è Muccino, sento odor di muccinata fighetta.Al cinema d'élite, Francia con un pizzico di Renatone...
I migliori anni della nostra vita
Reazione a caldo: Evito anche questo.
Bolla, rifletti!: Rimembranze di un vecchio, con la Bellucci protagonista. E niente, questa settimana il Dio del Cinema non mi vuole particolarmente bene.mercoledì 25 settembre 2019
L'occhio del male (1996)
Il 21 settembre era il compleanno di Stephen King e per l'occasione ho deciso di guardare assieme al Bolluomo un film tratto da uno dei suoi romanzi. La scelta è caduta su una pellicola che non avevo mai visto, L'occhio del male (Thinner), diretto nel 1996 dal regista Tom Holland e tratto dal romanzo omonimo scritto con lo pseudonimo di Richard Bachman.
Trama: dopo aver investito una zingara, l'avvocato Billy Halleck viene maledetto dal padre di lei e diventa sempre più magro ogni giorno che passa.
Spesso si legge in giro (e lo avrete letto anche qui sul mio blog) che "i film tratti dalle opere di Stephen King non gli rendono mai giustizia" e questo accade quasi sempre perché non è facile stare dietro allo stile prolisso del nostro, il che porta gli sceneggiatori a prendersi libertà che possono permettersi giusto Stanley Kubrick e pochi altri. C'è però chi ha scelto di seguire pedissequamente il romanzo e non parlo del folle che, tanto per restare in tema Shining, ha deciso di trarne una miniserie televisiva orrenda, ma di Tom Holland, che nel 1996 ha portato su schermo L'occhio del male, film che, stranamente, non viene quasi mai citato tra gli adattamenti "perfetti" di Stephen King. E pensare che segue alla lettera la trama del romanzo da cui è tratto, salvo un paio di omissioni e forse una scena onirica aggiunta per rendere il tutto un po' più teatrale (ma potrei sbagliarmi, ho letto il romanzo almeno 10/15 anni fa), quindi potrebbe essere il film ideale per i puristi. La verità è che L'occhio del male, spogliato dello stile cupo di Bachman, diventa un'ottima supercazzola perfetta per un horror di serie B ad alto tasso di ignoranza, con caratteristi sui generis e una prima parte in cui si privilegia l'aspetto ridicolo della maledizione subita da Billy Halleck per poi virare su un registro più alla "Giustiziere della notte" con tragedie annesse nella seconda parte. Insomma, niente a che vedere con opere cinematografiche più blasonate, eppure se il principio dei fan per giudicare la validità di un prodotto filmico kinghiano è la fedeltà assoluta al testo di partenza non vedo perché ignorare L'occhio del male, anche solo per l'ora e mezza di intrattenimento che fornisce, nonostante la trama faccia saltare i nervi a più riprese.
La triste storia di Billy Halleck, avvocato obeso maledetto da uno zingaro per essere scampato alla giustizia dopo averne investito la figlia, è infatti intrisa di una misoginia odiosetta, con la moglie di Billy ritratta alternativamente come "la stronza che impone al marito una dieta intollerabile", "la zoccola che lo ha distratto facendogli un pompino alla guida" oppure "la zoccola fedifraga che non vedeva l'ora di darne un po' al dottore"; benché Billy sia una persona deprecabile e fastidiosa, indulgente con se stesso, coi propri vizi e con clienti palesemente colpevoli, il punto di vista che viene adottato lo rende spesso vittima, solo contro un mondo in cui "hanno stato i zinghiri" (a proposito, guardatelo in lingua originale e onorate la bonanima di Katherine J. Junior) sporchi, cattivi e incapaci di sorvolare su un "piccolo" incidente e dove tutti remano contro di lui, moglie e dottore in primis. La verità è che Billy meriterebbe molto peggio di quello che gli è capitato, non tanto per l'incidente ma per come lo stesso viene insabbiato con l'arroganza e il razzismo di chi si fa forte della supremazia dell'uomo bianco e che, quando non odia gli zingari, li tratta comunque come folkloristiche creature inferiori... tuttavia è comunque il protagonista e alla fine ci ritroviamo a sperare che non muoia, vergognandoci subito dopo di un pensiero così clemente, ché la vendetta degli zingari diventa più legittima ogni minuto che passa. Riflessioni troppo profonde per un film che non ha nessuna pretesa di far pensare lo spettatore? Può darsi. In effetti, il cast non è proprio quello delle grandi occasioni anche se Robert John Burke, sepolto sotto quintali di make-up, ha l'occhio pazzo perfetto per il ruolo, e se non si fossero messi di mezzo i produttori il film sarebbe stato ben più gore e quindi godereccio, sebbene non manchino i momenti da brivido (paradossalmente, la scena più inquietante è quella in cui la zingara mostra a Billy dei burattini con le fattezze dei vari stadi delle tre maledizioni); se pensate poi che è stato girato nel '96 ma per regia, fotografia e montaggio pare un film degli anni '80 capirete perché molti tendono a dimenticarselo ma sinceramente a me non è dispiaciuto e finché lo tengono nel catalogo Prime, per di più con possibilità di guardarlo in lingua originale, io consiglierei di recuperarlo.
Del regista e co-sceneggiatore Tom Holland ho già parlato QUI mentre Joe Mantegna, che interpreta Richie Ginelli, lo trovate QUA.
Robert John Burke interpreta Billy Halleck. Americano, ha partecipato a film come RoboCop 3, Cop Land, Confessioni di una mente pericolosa, Good Night and Good Luck, Limitless, BlacKkKlansman e a serie quali Sex and the City, Oz, CSI: Miami e I Sopranos. Ha 59 anni e un film in uscita.
Lucinda Jenney interpreta Heidi Halleck. Americana, ha partecipato a film come Rain Man - L'uomo della pioggia, Nato il quattro luglio, Thelma & Louise, Soldato Jane, Al di là dei sogni, The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra, Una notte da leoni e a serie quali 24, Six Feet Under, Dr- House, CSI - Scena del crimine, E.R. Medici in prima linea e Monk. Ha 65 anni e un film in uscita.
Stephen King compare nei panni del farmacista. Dino De Laurentiis avrebbe voluto produrre L'occhio del male già nel 1986 e farlo girare a Sam Raimi ma il regista era impegnato a realizzare La casa 2 quindi non se n'è fatto nulla e lo stesso vale per il finale girato da Tom Holland, più fedele a quello del libro, cambiato dopo le varie proiezioni di test. Detto questo, se L'occhio del male vi fosse piaciuto recuperate Drag me to Hell. ENJOY!
Trama: dopo aver investito una zingara, l'avvocato Billy Halleck viene maledetto dal padre di lei e diventa sempre più magro ogni giorno che passa.
Spesso si legge in giro (e lo avrete letto anche qui sul mio blog) che "i film tratti dalle opere di Stephen King non gli rendono mai giustizia" e questo accade quasi sempre perché non è facile stare dietro allo stile prolisso del nostro, il che porta gli sceneggiatori a prendersi libertà che possono permettersi giusto Stanley Kubrick e pochi altri. C'è però chi ha scelto di seguire pedissequamente il romanzo e non parlo del folle che, tanto per restare in tema Shining, ha deciso di trarne una miniserie televisiva orrenda, ma di Tom Holland, che nel 1996 ha portato su schermo L'occhio del male, film che, stranamente, non viene quasi mai citato tra gli adattamenti "perfetti" di Stephen King. E pensare che segue alla lettera la trama del romanzo da cui è tratto, salvo un paio di omissioni e forse una scena onirica aggiunta per rendere il tutto un po' più teatrale (ma potrei sbagliarmi, ho letto il romanzo almeno 10/15 anni fa), quindi potrebbe essere il film ideale per i puristi. La verità è che L'occhio del male, spogliato dello stile cupo di Bachman, diventa un'ottima supercazzola perfetta per un horror di serie B ad alto tasso di ignoranza, con caratteristi sui generis e una prima parte in cui si privilegia l'aspetto ridicolo della maledizione subita da Billy Halleck per poi virare su un registro più alla "Giustiziere della notte" con tragedie annesse nella seconda parte. Insomma, niente a che vedere con opere cinematografiche più blasonate, eppure se il principio dei fan per giudicare la validità di un prodotto filmico kinghiano è la fedeltà assoluta al testo di partenza non vedo perché ignorare L'occhio del male, anche solo per l'ora e mezza di intrattenimento che fornisce, nonostante la trama faccia saltare i nervi a più riprese.
La triste storia di Billy Halleck, avvocato obeso maledetto da uno zingaro per essere scampato alla giustizia dopo averne investito la figlia, è infatti intrisa di una misoginia odiosetta, con la moglie di Billy ritratta alternativamente come "la stronza che impone al marito una dieta intollerabile", "la zoccola che lo ha distratto facendogli un pompino alla guida" oppure "la zoccola fedifraga che non vedeva l'ora di darne un po' al dottore"; benché Billy sia una persona deprecabile e fastidiosa, indulgente con se stesso, coi propri vizi e con clienti palesemente colpevoli, il punto di vista che viene adottato lo rende spesso vittima, solo contro un mondo in cui "hanno stato i zinghiri" (a proposito, guardatelo in lingua originale e onorate la bonanima di Katherine J. Junior) sporchi, cattivi e incapaci di sorvolare su un "piccolo" incidente e dove tutti remano contro di lui, moglie e dottore in primis. La verità è che Billy meriterebbe molto peggio di quello che gli è capitato, non tanto per l'incidente ma per come lo stesso viene insabbiato con l'arroganza e il razzismo di chi si fa forte della supremazia dell'uomo bianco e che, quando non odia gli zingari, li tratta comunque come folkloristiche creature inferiori... tuttavia è comunque il protagonista e alla fine ci ritroviamo a sperare che non muoia, vergognandoci subito dopo di un pensiero così clemente, ché la vendetta degli zingari diventa più legittima ogni minuto che passa. Riflessioni troppo profonde per un film che non ha nessuna pretesa di far pensare lo spettatore? Può darsi. In effetti, il cast non è proprio quello delle grandi occasioni anche se Robert John Burke, sepolto sotto quintali di make-up, ha l'occhio pazzo perfetto per il ruolo, e se non si fossero messi di mezzo i produttori il film sarebbe stato ben più gore e quindi godereccio, sebbene non manchino i momenti da brivido (paradossalmente, la scena più inquietante è quella in cui la zingara mostra a Billy dei burattini con le fattezze dei vari stadi delle tre maledizioni); se pensate poi che è stato girato nel '96 ma per regia, fotografia e montaggio pare un film degli anni '80 capirete perché molti tendono a dimenticarselo ma sinceramente a me non è dispiaciuto e finché lo tengono nel catalogo Prime, per di più con possibilità di guardarlo in lingua originale, io consiglierei di recuperarlo.
Del regista e co-sceneggiatore Tom Holland ho già parlato QUI mentre Joe Mantegna, che interpreta Richie Ginelli, lo trovate QUA.
Robert John Burke interpreta Billy Halleck. Americano, ha partecipato a film come RoboCop 3, Cop Land, Confessioni di una mente pericolosa, Good Night and Good Luck, Limitless, BlacKkKlansman e a serie quali Sex and the City, Oz, CSI: Miami e I Sopranos. Ha 59 anni e un film in uscita.
Lucinda Jenney interpreta Heidi Halleck. Americana, ha partecipato a film come Rain Man - L'uomo della pioggia, Nato il quattro luglio, Thelma & Louise, Soldato Jane, Al di là dei sogni, The Mothman Prophecies - Voci dall'ombra, Una notte da leoni e a serie quali 24, Six Feet Under, Dr- House, CSI - Scena del crimine, E.R. Medici in prima linea e Monk. Ha 65 anni e un film in uscita.
Stephen King compare nei panni del farmacista. Dino De Laurentiis avrebbe voluto produrre L'occhio del male già nel 1986 e farlo girare a Sam Raimi ma il regista era impegnato a realizzare La casa 2 quindi non se n'è fatto nulla e lo stesso vale per il finale girato da Tom Holland, più fedele a quello del libro, cambiato dopo le varie proiezioni di test. Detto questo, se L'occhio del male vi fosse piaciuto recuperate Drag me to Hell. ENJOY!
martedì 24 settembre 2019
Head Count (2018)
Ringraziamo Lucia per le Pillole horror che di tanto in tanto raccoglie sul suo blog e che portano a scoprire film interessanti come Head Count, diretto e co-sceneggiato nel 2018 dalla regista Elle Callahan.
Trama: per lo Spring Break uno studente universitario va a trovare il fratello a Joshua Tree ma, dopo poco tempo passato assieme, preferisce unirsi a un gruppo di ragazzi in vacanza. In presenza del gruppetto, però, cominciano ad accadere cose strane...
Temo che toccherà anche a me scrivere non un post ma una pillola, perché Head Count va goduto dall'inizio alla fine senza avere il minimo sentore di dove andrà a parare la storia. Opera prima assai breve, scelta azzeccata in quanto ciò che viene narrato deve necessariamente approfittare della rapidità dell'esecuzione, pena ricamare troppo sulla situazione annoiando così lo spettatore, Head Count è un horror che rifugge dal jump scare in ogni modo possibile e che sfrutta il terrore di ciò che conosciamo, la tranquillità che ci porta ad abbassare la guardia nelle situazioni di divertimento, persino la nostra scarsa attenzione. E' un horror che impedisce allo spettatore di sentirsi completamente al sicuro e lo mantiene in uno stato di tensione perenne, dapprima sfruttando piccoli dettagli dissonanti, facilmente dimenticabili lì per lì, poi sbattendo in faccia la realtà delle cose con una furbizia tale da lasciare a bocca aperta; nel breve trafiletto dedicato al film, Lucia indica una sequenza in particolare, quella in cui i protagonisti giocano al classico Never Have I Ever, come una di quelle in grado di rimanere maggiormente impresse e non le do torto. Quella scena in particolare funziona come uno schiaffo sul volto, è qualcosa che fa esclamare "ma porca tro*a!" e che alza a mille l'asticella dell'ansia. Vero è che, dopo la sequenza in questione, Head Count si "siede" un po' su stilemi horror già sfruttati altrove e che, in altri film meno curati, risulterebbero anche paraculi, ma rimane comunque la paura di non sapere di preciso da che parte arriverà la minaccia e la curiosità di sapere come andrà a finire. A mio avviso, se il film fosse durato un po' di più, magari approfondendo il rapporto tra i due fratelli, sarebbe potuta uscire fuori una delle opere horror più kinghiane viste di recente ma anche così Head Count si è rivelato un'ottima sorpresa. Recuperatelo se potete e mandate al diavolo chiunque vi spoileri anche una minima parte della trama.
Elle Callahan è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio ma ha lavorato parecchio come tecnico del suono e degli effetti speciali, inoltre è anche produttrice. Ha un film in uscita.
Trama: per lo Spring Break uno studente universitario va a trovare il fratello a Joshua Tree ma, dopo poco tempo passato assieme, preferisce unirsi a un gruppo di ragazzi in vacanza. In presenza del gruppetto, però, cominciano ad accadere cose strane...
Temo che toccherà anche a me scrivere non un post ma una pillola, perché Head Count va goduto dall'inizio alla fine senza avere il minimo sentore di dove andrà a parare la storia. Opera prima assai breve, scelta azzeccata in quanto ciò che viene narrato deve necessariamente approfittare della rapidità dell'esecuzione, pena ricamare troppo sulla situazione annoiando così lo spettatore, Head Count è un horror che rifugge dal jump scare in ogni modo possibile e che sfrutta il terrore di ciò che conosciamo, la tranquillità che ci porta ad abbassare la guardia nelle situazioni di divertimento, persino la nostra scarsa attenzione. E' un horror che impedisce allo spettatore di sentirsi completamente al sicuro e lo mantiene in uno stato di tensione perenne, dapprima sfruttando piccoli dettagli dissonanti, facilmente dimenticabili lì per lì, poi sbattendo in faccia la realtà delle cose con una furbizia tale da lasciare a bocca aperta; nel breve trafiletto dedicato al film, Lucia indica una sequenza in particolare, quella in cui i protagonisti giocano al classico Never Have I Ever, come una di quelle in grado di rimanere maggiormente impresse e non le do torto. Quella scena in particolare funziona come uno schiaffo sul volto, è qualcosa che fa esclamare "ma porca tro*a!" e che alza a mille l'asticella dell'ansia. Vero è che, dopo la sequenza in questione, Head Count si "siede" un po' su stilemi horror già sfruttati altrove e che, in altri film meno curati, risulterebbero anche paraculi, ma rimane comunque la paura di non sapere di preciso da che parte arriverà la minaccia e la curiosità di sapere come andrà a finire. A mio avviso, se il film fosse durato un po' di più, magari approfondendo il rapporto tra i due fratelli, sarebbe potuta uscire fuori una delle opere horror più kinghiane viste di recente ma anche così Head Count si è rivelato un'ottima sorpresa. Recuperatelo se potete e mandate al diavolo chiunque vi spoileri anche una minima parte della trama.
Elle Callahan è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, è al suo primo lungometraggio ma ha lavorato parecchio come tecnico del suono e degli effetti speciali, inoltre è anche produttrice. Ha un film in uscita.
lunedì 23 settembre 2019
Sid Haig (1939 - 2019)
Una delle facce più particolari del cinema horror e non solo. Era un piacere vederti all'opera ma anche solo cercarti all'interno dei film, in quelle piccole comparsate preziose. So long, Sid.
domenica 22 settembre 2019
I delitti del gatto nero (1990)
Nel catalogo Amazon Prime, purtroppo solo in lingua italiana, è spuntato un film che volevo rivedere da qualche anno, I delitti del gatto nero (Tales From the Darkside: The Movie), diretto nel 1990 dal regista John Harrison.
Trama: per salvarsi da una donna che vorebbe farlo al forno, il piccolo Timmy le racconta tre storie tratte dal libro Tales from the Darkside.
Introdotta da una cornice divertente, all'interno della quale "Blondie" decide di servire ai suoi commensali un bambino arrosto (dopo aver promesso al parroco di recarsi, domenica, al coro della chiesa), la prima storia delle tre che compongono il film è tratta dal racconto La mummia di Arthur Conan Doyle, reso ovviamente in maniera molto più splatter e ironica, con tanto di twist finale. Protagonista, uno sfigatissimo studente universitario (Steve Buscemi, come al solito perfetto) con la passione per i reperti antichi e un sacco di odio da sfogare verso gli altri, nella fattispecie due ricchi compagni di università, di cui uno particolarmente paraculo e odioso, ma mai quanto la fidanzata (Julianne Moore, al suo primo ruolo in un film distribuito al cinema). Lo sfigatello si farà giustizia da sé con l'ausilio di una mummia particolarmente efferata e vendicativa, memore dei metodi di imbalsamazione ai quali è stata sottoposta, e tanto è splatter la giustizia che farà calare sui predestinati tanto sono ironici il prefinale e il finale del segmento. Che, nonostante la "banalità" della trama e l'ausilio di terrificanti dissolvenze che nemmeno il filmino del matrimonio di mio cuGGino, è forse il più godibile e movimentato dei tre.
D'altra parte, Il gatto nero vince per l'efferatezza della scena finale, che dopo quasi 30 anni risente un po' degli effetti speciali datati ma continua comunque a fare schifo. Non a caso, il gatto nero creato da Stephen King (dal racconto Il gatto del diavolo, pubblicato nella raccolta Al crepuscolo) e Romero è rimasto anche nel titolo italiano, dopo essere stato "scartato" da Creepshow 2 per motivi di budget, e l'episodio è comunque molto divertente, non fosse altro che per i vecchi odiosi che lo infestano. Probabilmente l'espressione "gatto nero appeso ai marroni" è stata coniata da chi ha visto l'episodio, ma non ci metto la mano sul fuoco. Vedere per credere, ma non lamentatevi poi se avrete paura a rimanere soli in casa col vostro adorato micio.
La promessa degli amanti conclude il film, più o meno, perché subito dopo c'è anche la risoluzione della cornice a tema Hansel e Gretel. Debitore delle atmosfere delle leggende giapponesi della Yuki-Onna, l'episodio è una storia d'amore frettolosissima e obiettivamente priva del ritmo che caratterizza le due precedenti ma ha dalla sua un inizio strepitoso e sanguinosissimo e il suo pregio più grande è il favoloso make up del gargoyle che attacca il protagonista (gli effetti speciali sono gentilmente offerti da Nicotero & Berger), a dir poco terrificante ancora oggi, forse anche grazie all'effetto sorpresa sfruttato in ben due occasioni.
I delitti del gatto nero è divertente come lo ricordavo anche se a tratti soffre il peso dei trent'anni che si porta sulla schiena e ormai non fa per nulla paura (anzi, forse non l'ha mai fatta ma chi può dirlo?). Chi ama il cinema si ritroverà a gioire trovando qui e là guest star inaspettate, soprattutto nel primo episodio, chi ama l'horror potrebbe venire spinto a recuperare i racconti da cui sono stati tratti i primi due episodi, chi ama la musica rimarrà malissimo davanti alla vista di una "Blondie" casalinga e strega ma sempre molto affascinante. Non avendo mai visto un solo episodio di Un salto nel buio (serie alla quale Christian Slater, Debbie Harry e William Hickey avevano già partecipato) non so dire se il film rispetta lo spirito della serie originale ma di sicuro offre un'ora e mezza di divertimento allo spettatore e considerato che lo trovate su Prime Video vi direi di darci un'occhiata se non lo avete mai incontrato nei suoi vari passaggi televisivi.
Di Christian Slater (Andy), Steve Buscemi (Bellingham), Julianne Moore (Susan), William Hickey (Drogan) e Mark Margolis (Gage) li trovate ai rispettivi link.
John Harrison è il regista della pellicola. Americano, ha girato film come Book of Blood ed episodi di serie quali Un salto nel buio, Nightmare Cafe e I racconti della cripta. Anche sceneggiatore, compositore, produttore e attore, ha 71 anni.
Debbie Harry interpreta Betty. Ex membro della band Blondie, la ricordo per film come Videodrome e Grasso è bello, inoltre ha partecipato a serie quali Un salto nel buio e Sabrina vita da strega. Americana, anche produttrice e sceneggiatrice, ha 74 anni.
Se guardate attentamente, le guest star anche meno importanti si sprecano: il piccolo Timmy è interpretato da Matthew Lawrence, uno dei figli di Robin Williams in Mrs. Doubtfire, il killer de Il gatto nero è David Johansen, già fantasma del natale passato in S.O.S. Fantasmi; nello stesso episodio, Alice Drummond, la bibliotecaria di Ghostbusters, interpreta Carolyn mentre ne La promessa degli amanti la protagonista è Rae Dawn Chong, la Cindy di Commando. I delitti del gatto nero è spesso erroneamente considerato come il terzo episodio della saga Creepshow; in realtà, Un salto nel buio è nato come ideale prosecuzione televisiva di Creepshow, solo con un titolo diverso per questioni di diritti, e questo è il film tratto dalla serie. Quindi, se I delitti del gatto nero vi fosse piaciuto potete recuperare Un salto nel buio e aggiungere i primi due Creepshow. ENJOY!
Trama: per salvarsi da una donna che vorebbe farlo al forno, il piccolo Timmy le racconta tre storie tratte dal libro Tales from the Darkside.
Introdotta da una cornice divertente, all'interno della quale "Blondie" decide di servire ai suoi commensali un bambino arrosto (dopo aver promesso al parroco di recarsi, domenica, al coro della chiesa), la prima storia delle tre che compongono il film è tratta dal racconto La mummia di Arthur Conan Doyle, reso ovviamente in maniera molto più splatter e ironica, con tanto di twist finale. Protagonista, uno sfigatissimo studente universitario (Steve Buscemi, come al solito perfetto) con la passione per i reperti antichi e un sacco di odio da sfogare verso gli altri, nella fattispecie due ricchi compagni di università, di cui uno particolarmente paraculo e odioso, ma mai quanto la fidanzata (Julianne Moore, al suo primo ruolo in un film distribuito al cinema). Lo sfigatello si farà giustizia da sé con l'ausilio di una mummia particolarmente efferata e vendicativa, memore dei metodi di imbalsamazione ai quali è stata sottoposta, e tanto è splatter la giustizia che farà calare sui predestinati tanto sono ironici il prefinale e il finale del segmento. Che, nonostante la "banalità" della trama e l'ausilio di terrificanti dissolvenze che nemmeno il filmino del matrimonio di mio cuGGino, è forse il più godibile e movimentato dei tre.
D'altra parte, Il gatto nero vince per l'efferatezza della scena finale, che dopo quasi 30 anni risente un po' degli effetti speciali datati ma continua comunque a fare schifo. Non a caso, il gatto nero creato da Stephen King (dal racconto Il gatto del diavolo, pubblicato nella raccolta Al crepuscolo) e Romero è rimasto anche nel titolo italiano, dopo essere stato "scartato" da Creepshow 2 per motivi di budget, e l'episodio è comunque molto divertente, non fosse altro che per i vecchi odiosi che lo infestano. Probabilmente l'espressione "gatto nero appeso ai marroni" è stata coniata da chi ha visto l'episodio, ma non ci metto la mano sul fuoco. Vedere per credere, ma non lamentatevi poi se avrete paura a rimanere soli in casa col vostro adorato micio.
La promessa degli amanti conclude il film, più o meno, perché subito dopo c'è anche la risoluzione della cornice a tema Hansel e Gretel. Debitore delle atmosfere delle leggende giapponesi della Yuki-Onna, l'episodio è una storia d'amore frettolosissima e obiettivamente priva del ritmo che caratterizza le due precedenti ma ha dalla sua un inizio strepitoso e sanguinosissimo e il suo pregio più grande è il favoloso make up del gargoyle che attacca il protagonista (gli effetti speciali sono gentilmente offerti da Nicotero & Berger), a dir poco terrificante ancora oggi, forse anche grazie all'effetto sorpresa sfruttato in ben due occasioni.
I delitti del gatto nero è divertente come lo ricordavo anche se a tratti soffre il peso dei trent'anni che si porta sulla schiena e ormai non fa per nulla paura (anzi, forse non l'ha mai fatta ma chi può dirlo?). Chi ama il cinema si ritroverà a gioire trovando qui e là guest star inaspettate, soprattutto nel primo episodio, chi ama l'horror potrebbe venire spinto a recuperare i racconti da cui sono stati tratti i primi due episodi, chi ama la musica rimarrà malissimo davanti alla vista di una "Blondie" casalinga e strega ma sempre molto affascinante. Non avendo mai visto un solo episodio di Un salto nel buio (serie alla quale Christian Slater, Debbie Harry e William Hickey avevano già partecipato) non so dire se il film rispetta lo spirito della serie originale ma di sicuro offre un'ora e mezza di divertimento allo spettatore e considerato che lo trovate su Prime Video vi direi di darci un'occhiata se non lo avete mai incontrato nei suoi vari passaggi televisivi.
Di Christian Slater (Andy), Steve Buscemi (Bellingham), Julianne Moore (Susan), William Hickey (Drogan) e Mark Margolis (Gage) li trovate ai rispettivi link.
John Harrison è il regista della pellicola. Americano, ha girato film come Book of Blood ed episodi di serie quali Un salto nel buio, Nightmare Cafe e I racconti della cripta. Anche sceneggiatore, compositore, produttore e attore, ha 71 anni.
Debbie Harry interpreta Betty. Ex membro della band Blondie, la ricordo per film come Videodrome e Grasso è bello, inoltre ha partecipato a serie quali Un salto nel buio e Sabrina vita da strega. Americana, anche produttrice e sceneggiatrice, ha 74 anni.
Se guardate attentamente, le guest star anche meno importanti si sprecano: il piccolo Timmy è interpretato da Matthew Lawrence, uno dei figli di Robin Williams in Mrs. Doubtfire, il killer de Il gatto nero è David Johansen, già fantasma del natale passato in S.O.S. Fantasmi; nello stesso episodio, Alice Drummond, la bibliotecaria di Ghostbusters, interpreta Carolyn mentre ne La promessa degli amanti la protagonista è Rae Dawn Chong, la Cindy di Commando. I delitti del gatto nero è spesso erroneamente considerato come il terzo episodio della saga Creepshow; in realtà, Un salto nel buio è nato come ideale prosecuzione televisiva di Creepshow, solo con un titolo diverso per questioni di diritti, e questo è il film tratto dalla serie. Quindi, se I delitti del gatto nero vi fosse piaciuto potete recuperare Un salto nel buio e aggiungere i primi due Creepshow. ENJOY!
venerdì 20 settembre 2019
C'era una volta a... Hollywood (2019)
Dear Quentin,
sono sempre io, dopo ben quattro anni. Nel frattempo ti sei sposato, aspetti un figliolo, e io dico: c'era bisogno di arrivare a tanto con questa donna dello schermo quando io, la tua Beatrice, non avrei problemi a dichiarare al mondo il nostro aMMore? Guarda, ti giuro che non è per ripicca che vado dicendo in giro di come C'era una volta a... Hollywood non sia il tuo film migliore e te lo dimostrerò scrivendo solo cose belle, anzi, bellissime, sul tuo ultimo film, senza SPOILER. Posso però dire che sei stato un maledetto a tagliare le scene con Tim Roth? E posso altresì permettermi di dirti che la prossima volta mi piacerebbe un "pochettino" di coesione in più all'interno della trama, ché va bene la struttura sfilacciata, le trame incrociate e le digressioni citazioniste ma a tratti mi è sembrato di ripiombare nella lunghissima introduzione di A prova di morte (per me il film meno bello - MAI brutto! - che hai realizzato)? Bon, basta, quello che dovevo dire di negativo l'ho detto, ora passiamo alla gioia.
In tempi di orrido cinismo e snobismo cinèfilo, dove tutti hanno già visto tutto e chiunque ha un'opinione perlopiù negativa su qualsiasi pellicola, dove non ci sono più curiosità né mistero, perché tanto ogni singolo segreto di un film si può trovare on line, mi chiedo come diamine fai tu, caro Quentin, a sognare ancora. A custodire dentro il cuore ricordi lucidissimi eppure ancora intrisi di magia, a fomentare continuamente l'Amore per quel Cinema che ti ha dato tutto, fin da quando non eri nemmeno famoso, al punto da annullare ogni confine tra la realtà, il gossip da tabloid patinato e il cliché. Come Noodles che usciva da quella stazione, vecchio e zeppo di memorie filtrate dal tempo e dall'oppio, così tu ci consegni la TUA storia, la TUA Hollywood, una città fatta di luci al neon e cinema, di star che possono venirti a vivere accanto a casa, dove ogni giorno può diventare una (dis)avventura e dove fiumi di alcool e fumo mettono a tacere le coscienze di coloro per i quali il sogno o è morto o sta per trasformarsi in un incubo. I tre personaggi che sfrecciano sulle strade di Los Angeles con in capelli al vento e la musica nelle orecchie sono i tre estremi di un'ideale triangolo che racchiude in sé tutta la leggenda Hollywoodiana. Certo, il Rick Dalton di Di Caprio è il veicolo attraverso il quale ci consenti di vivere la Hollywood degli addetti ai lavori, quella non così esaltante; la Hollywood di chi, come probabilmente Luke Perry (bonanima), è rimasto confinato all'interno di un archetipo televisivo e, invecchiando, non è più riuscito ad emergere nel mare di starlette in continuo movimento, trasformandosi in una sorta di leggenda o figura indistinta nella memoria. E' con Rick Dalton che si scoprono gli "altarini" del cinema che più hai amato, quello degli italiani banfoni che con due lire si accaparravano vecchie star in declino per creare pellicole (s)cult da pochi spiccioli insinuandosi nei cuori dei cinefili onnivori, con i loro set esotici, le trame bizzarre e le locandine disegnate in maniera splendida. Ma anche qui, non si costruiva forse la leggenda? Non c'era la voglia di divertire e far sognare il pubblico, a prescindere dalla coerenza delle trame e alla faccia di qualsiasi, gigantesco what the fuck?
Quell'enorme what the fuck che è Brad Pitt, per esempio. Non fraintendermi, io l'ho amato e, come ho detto ai miei compagni di visione, vorrei un Brad Pitt personale in casa per morire dal ridere ogni volta che sono depressa, ma riflettendo su Cliff Booth ho trovato l'elemento di pura finzione all'interno del film, l'estremo "surreale" del triangolo. Cliff Booth è l'eroe tipico degli spaghetti western, il cowboy bruciato dal sole dalla battuta facile e dall'indolenza gigantesca, un po' cavaliere dal cuore d'oro e un po' galeotto, colui che ha il compito di difendere il Sogno contro la realtà che minaccia di privarlo di tutta la sua innocenza, in una Los Angeles di fine anni '60 trasformata in isola felice contro tutti i cambiamenti sociali e le brutture dell'America e del mondo. La realtà gli scivola addosso, come già succedeva ad Aldo Rayne in Bastardi senza gloria, e non è un caso se l'artefice del più clamoroso what if? della pellicola è proprio lui. E poi c'è lei, Margot Robbie. Ora, c'è stato un momento, verso la fine del film, in cui la gente rideva e applaudiva. Io non ce l'ho fatta. Non lo so perché la storia di Sharon Tate e dell'orribile destino toccato in sorte a lei e ai suoi amici mi ha sempre toccata nel profondo, sta di fatto che mentre tutti ridevano io lottavo contro il magone. Sì perché tu sei riuscito a trasformare Sharon Tate nella fata buona, nell'incarnazione stessa di quel sogno chiamato Cinema. Bellissima e leggiadra, Margot Robbie col suo sorriso incantevole trasuda amore e giovinezza da ogni poro, ed è l'immagine stessa dell'innocenza di una Hollywood che non tornerà mai più e forse non è mai esistita; vederla piena di entusiasmo varcare la soglia di un cinema che proietta uno dei suoi film scalda il cuore e trasmette un briciolo della sensazione di trionfo che sicuramente anche tu hai provato nel corso non solo di blasonate anteprime, ma soprattutto quando nessuno ti considerava, confuso nella folla, nascosto nell'ombra a spirare la reazione degli spettatori davanti a ciò che avevi scritto, magari diretto. Ma fosse solo quello. La figura di Sharon Tate trasporta in un mondo altro, in una Favola che si vorrebbe non finisse mai, e quello che è rimasto durante i titoli di coda, almeno a me, è un enorme nodo alla gola al pensiero che quell'innocenza meravigliosa e anche un po' ignorante l'abbiamo persa tutti da troppo tempo.
E allora, abbandoniamoci all'amore e all'innocenza, che cazzo. Alla gioia di rivedere facce amatissime (ciao Michael, ciao Zoe, ciao Lorenza, ciao Kurt), di prendere le tue auto-citazioni, le ricostruzioni di film e telefilm, i tuoi marchi di fabbrica e usarli come una calda coperta di Linus per affrontare il freddo della steppa di cinèfili dell'internet senza cuore, perché alla fine se è vero che il Cinema è un mondo e che siamo fatti al 90% dei film che abbiamo visto, il tuo microcosmo è uno di quelli in cui mi perdo più volentieri. E allora, abbandoniamoci alle grasse risate davanti al solito, favoloso Di Caprio che solo tu riesci a fare brillare come una stella, accoppiato ad un Brad Pitt che, porco cane, ma manda al diavolo il futuro film di Star Trek (dai, amore mio, mi fa schifo, lo sai. Rinunciaci) e realizza una COMMEDIA con loro due come protagonisti, ti prego! Abbandoniamoci e soprattutto chiniamo il capo davanti alla bellezza incredibile della colonna sonora, che mi ha fatto muovere a tempo la testa per tutta la durata del film, quando non ero impegnata a rimanere a bocca aperta davanti alle immagini che scorrevano sullo schermo (apro parentesi. Si vede che qui hai potuto fare un po' come hai voluto, libero da Weinstein ecc. C'era una volta a Hollywood è meno "stiloso" in maniera artefatta e più "tuo"). Abbandoniamoci (anche se lì, lo ammetto, ho fatto resistenza ma hai capito perché. Anche per questo devo rivedere il film) alla fottuta catarsi da cinema di serie Z, a quella valvola di sfogo che incanala tutto il disprezzo nei confronti di chi ha privato Hollywood di buona parte della sua innocenza per colpa di un matto invidioso che ha mandato "il Diavolo a fare i cazzi del Diavolo", giusto per ribadire come davanti a gente inutile si debba rispondere con menefreghistico disprezzo. Abbandoniamoci alla speranza, all'ottimismo, al "e vissero tutti felici e contenti", per una volta, facendoci accogliere dai volti amici di persone che vediamo sullo schermo quasi ogni giorno e che ogni volta ci fanno fuggire dalla realtà, così come loro, chissà, fuggono dalla propria solo grazie a noi umili spettatori.
Che ti devo dire, ancora, Quentin mio? Più ci rifletto sopra, più C'era una volta a... Hollywood diventa bellissimo e interessante. Vorrei rivederlo subito, ovviamente in lingua originale, che l'adattamento italiano lasciamolo perdere, per cogliere tutti i dettagli che ho perso durante la prima visione e scoprire ancora ulteriori strati di questo splendido delirio cinefilo, quindi grazie, come sempre. E anche un po' vaffanculo, dai, ché son buoni tutti a sposarsi la sgnoccolona trentatreenne israeliana. Potevi anche accontentarti della sgnoccolona trentottenne ligure, vecchio porcello.
Del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino, la cui voce si può sentire durante lo spot delle Red Apple, ho già parlato QUI. Leonardo di Caprio (Rick Dalton), Brad Pitt (Cliff Booth), Margot Robbie (Sharon Tate), Emile Hirsch (Jay Sebring), Timothy Olyphant (James Stacy), Dakota Fanning (Squeaky Fromme), Bruce Dern (George Spahn), Luke Perry (Wayne Maunder), Al Pacino (Marvin Schwarz), Lorenza Izzo (Francesca Capucci), Harley Quinn Smith (Froggie), Danielle Harris (Angel), Clifton Collins Jr. (Ernesto il vaquero messicano), Rumer Willis (Joanna Pettet), Rebecca Gayheart (Billie Booth), Kurt Russell (Randy e, in originale, anche il narratore), Zoe Bell (Janet) e Michael Madsen (Sceriffo Hackett di Bounty Law) li trovate invece ai rispettivi link.
Margaret Qualley interpreta Pussycat. Americana, ha partecipato a film come The Nice Guys, Death Note e a serie quali Fosse/Verdon. Ha 25 anni e un film in uscita.
Tra le millemila guest star presenti nella pellicola segnalo la ahimé moglie di Quentin, Daniella Pick, il Friederich di Tutti insieme appassionatamente, Nicholas Hammond (che interpreta Sam Wanamaker) e, tra i figli d'arte, quella di Ethan Hawke e Uma Thurman, Maya Hawke, nei panni di Flowerchild, mentre il povero Tim Roth, inserito nei titoli di coda, è protagonista delle scene eliminate, quindi non compare nel film. Non ce l'ha fatta nemmeno Burt Reynolds (che, di fatto, era il "cattivo" dell'episodio di F.B.I. presente nel film), purtroppo venuto a mancare prima di poter girare le scene in cui avrebbe dovuto interpretare George Spahn. Se il film vi fosse piaciuto, ovviamente vi consiglierei di recuperare la filmografia di Tarantino ma siccome lo stesso Quentin ha stilato un elenco di pellicole da vedere in preparazione di C'era una volta a Hollywood, perché non seguirlo e recuperare Bob & Carol & Ted & Alice, Fiore di cactus, Easy Rider, L'amante perduta, La battaglia del Mar dei Coralli, L'impossibilità di essere normale, Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, Trafficanti del piacere, Il sentiero della violenza e I pistoleri maledetti? ENJOY!
sono sempre io, dopo ben quattro anni. Nel frattempo ti sei sposato, aspetti un figliolo, e io dico: c'era bisogno di arrivare a tanto con questa donna dello schermo quando io, la tua Beatrice, non avrei problemi a dichiarare al mondo il nostro aMMore? Guarda, ti giuro che non è per ripicca che vado dicendo in giro di come C'era una volta a... Hollywood non sia il tuo film migliore e te lo dimostrerò scrivendo solo cose belle, anzi, bellissime, sul tuo ultimo film, senza SPOILER. Posso però dire che sei stato un maledetto a tagliare le scene con Tim Roth? E posso altresì permettermi di dirti che la prossima volta mi piacerebbe un "pochettino" di coesione in più all'interno della trama, ché va bene la struttura sfilacciata, le trame incrociate e le digressioni citazioniste ma a tratti mi è sembrato di ripiombare nella lunghissima introduzione di A prova di morte (per me il film meno bello - MAI brutto! - che hai realizzato)? Bon, basta, quello che dovevo dire di negativo l'ho detto, ora passiamo alla gioia.
In tempi di orrido cinismo e snobismo cinèfilo, dove tutti hanno già visto tutto e chiunque ha un'opinione perlopiù negativa su qualsiasi pellicola, dove non ci sono più curiosità né mistero, perché tanto ogni singolo segreto di un film si può trovare on line, mi chiedo come diamine fai tu, caro Quentin, a sognare ancora. A custodire dentro il cuore ricordi lucidissimi eppure ancora intrisi di magia, a fomentare continuamente l'Amore per quel Cinema che ti ha dato tutto, fin da quando non eri nemmeno famoso, al punto da annullare ogni confine tra la realtà, il gossip da tabloid patinato e il cliché. Come Noodles che usciva da quella stazione, vecchio e zeppo di memorie filtrate dal tempo e dall'oppio, così tu ci consegni la TUA storia, la TUA Hollywood, una città fatta di luci al neon e cinema, di star che possono venirti a vivere accanto a casa, dove ogni giorno può diventare una (dis)avventura e dove fiumi di alcool e fumo mettono a tacere le coscienze di coloro per i quali il sogno o è morto o sta per trasformarsi in un incubo. I tre personaggi che sfrecciano sulle strade di Los Angeles con in capelli al vento e la musica nelle orecchie sono i tre estremi di un'ideale triangolo che racchiude in sé tutta la leggenda Hollywoodiana. Certo, il Rick Dalton di Di Caprio è il veicolo attraverso il quale ci consenti di vivere la Hollywood degli addetti ai lavori, quella non così esaltante; la Hollywood di chi, come probabilmente Luke Perry (bonanima), è rimasto confinato all'interno di un archetipo televisivo e, invecchiando, non è più riuscito ad emergere nel mare di starlette in continuo movimento, trasformandosi in una sorta di leggenda o figura indistinta nella memoria. E' con Rick Dalton che si scoprono gli "altarini" del cinema che più hai amato, quello degli italiani banfoni che con due lire si accaparravano vecchie star in declino per creare pellicole (s)cult da pochi spiccioli insinuandosi nei cuori dei cinefili onnivori, con i loro set esotici, le trame bizzarre e le locandine disegnate in maniera splendida. Ma anche qui, non si costruiva forse la leggenda? Non c'era la voglia di divertire e far sognare il pubblico, a prescindere dalla coerenza delle trame e alla faccia di qualsiasi, gigantesco what the fuck?
Quell'enorme what the fuck che è Brad Pitt, per esempio. Non fraintendermi, io l'ho amato e, come ho detto ai miei compagni di visione, vorrei un Brad Pitt personale in casa per morire dal ridere ogni volta che sono depressa, ma riflettendo su Cliff Booth ho trovato l'elemento di pura finzione all'interno del film, l'estremo "surreale" del triangolo. Cliff Booth è l'eroe tipico degli spaghetti western, il cowboy bruciato dal sole dalla battuta facile e dall'indolenza gigantesca, un po' cavaliere dal cuore d'oro e un po' galeotto, colui che ha il compito di difendere il Sogno contro la realtà che minaccia di privarlo di tutta la sua innocenza, in una Los Angeles di fine anni '60 trasformata in isola felice contro tutti i cambiamenti sociali e le brutture dell'America e del mondo. La realtà gli scivola addosso, come già succedeva ad Aldo Rayne in Bastardi senza gloria, e non è un caso se l'artefice del più clamoroso what if? della pellicola è proprio lui. E poi c'è lei, Margot Robbie. Ora, c'è stato un momento, verso la fine del film, in cui la gente rideva e applaudiva. Io non ce l'ho fatta. Non lo so perché la storia di Sharon Tate e dell'orribile destino toccato in sorte a lei e ai suoi amici mi ha sempre toccata nel profondo, sta di fatto che mentre tutti ridevano io lottavo contro il magone. Sì perché tu sei riuscito a trasformare Sharon Tate nella fata buona, nell'incarnazione stessa di quel sogno chiamato Cinema. Bellissima e leggiadra, Margot Robbie col suo sorriso incantevole trasuda amore e giovinezza da ogni poro, ed è l'immagine stessa dell'innocenza di una Hollywood che non tornerà mai più e forse non è mai esistita; vederla piena di entusiasmo varcare la soglia di un cinema che proietta uno dei suoi film scalda il cuore e trasmette un briciolo della sensazione di trionfo che sicuramente anche tu hai provato nel corso non solo di blasonate anteprime, ma soprattutto quando nessuno ti considerava, confuso nella folla, nascosto nell'ombra a spirare la reazione degli spettatori davanti a ciò che avevi scritto, magari diretto. Ma fosse solo quello. La figura di Sharon Tate trasporta in un mondo altro, in una Favola che si vorrebbe non finisse mai, e quello che è rimasto durante i titoli di coda, almeno a me, è un enorme nodo alla gola al pensiero che quell'innocenza meravigliosa e anche un po' ignorante l'abbiamo persa tutti da troppo tempo.
E allora, abbandoniamoci all'amore e all'innocenza, che cazzo. Alla gioia di rivedere facce amatissime (ciao Michael, ciao Zoe, ciao Lorenza, ciao Kurt), di prendere le tue auto-citazioni, le ricostruzioni di film e telefilm, i tuoi marchi di fabbrica e usarli come una calda coperta di Linus per affrontare il freddo della steppa di cinèfili dell'internet senza cuore, perché alla fine se è vero che il Cinema è un mondo e che siamo fatti al 90% dei film che abbiamo visto, il tuo microcosmo è uno di quelli in cui mi perdo più volentieri. E allora, abbandoniamoci alle grasse risate davanti al solito, favoloso Di Caprio che solo tu riesci a fare brillare come una stella, accoppiato ad un Brad Pitt che, porco cane, ma manda al diavolo il futuro film di Star Trek (dai, amore mio, mi fa schifo, lo sai. Rinunciaci) e realizza una COMMEDIA con loro due come protagonisti, ti prego! Abbandoniamoci e soprattutto chiniamo il capo davanti alla bellezza incredibile della colonna sonora, che mi ha fatto muovere a tempo la testa per tutta la durata del film, quando non ero impegnata a rimanere a bocca aperta davanti alle immagini che scorrevano sullo schermo (apro parentesi. Si vede che qui hai potuto fare un po' come hai voluto, libero da Weinstein ecc. C'era una volta a Hollywood è meno "stiloso" in maniera artefatta e più "tuo"). Abbandoniamoci (anche se lì, lo ammetto, ho fatto resistenza ma hai capito perché. Anche per questo devo rivedere il film) alla fottuta catarsi da cinema di serie Z, a quella valvola di sfogo che incanala tutto il disprezzo nei confronti di chi ha privato Hollywood di buona parte della sua innocenza per colpa di un matto invidioso che ha mandato "il Diavolo a fare i cazzi del Diavolo", giusto per ribadire come davanti a gente inutile si debba rispondere con menefreghistico disprezzo. Abbandoniamoci alla speranza, all'ottimismo, al "e vissero tutti felici e contenti", per una volta, facendoci accogliere dai volti amici di persone che vediamo sullo schermo quasi ogni giorno e che ogni volta ci fanno fuggire dalla realtà, così come loro, chissà, fuggono dalla propria solo grazie a noi umili spettatori.
Che ti devo dire, ancora, Quentin mio? Più ci rifletto sopra, più C'era una volta a... Hollywood diventa bellissimo e interessante. Vorrei rivederlo subito, ovviamente in lingua originale, che l'adattamento italiano lasciamolo perdere, per cogliere tutti i dettagli che ho perso durante la prima visione e scoprire ancora ulteriori strati di questo splendido delirio cinefilo, quindi grazie, come sempre. E anche un po' vaffanculo, dai, ché son buoni tutti a sposarsi la sgnoccolona trentatreenne israeliana. Potevi anche accontentarti della sgnoccolona trentottenne ligure, vecchio porcello.
Del regista e sceneggiatore Quentin Tarantino, la cui voce si può sentire durante lo spot delle Red Apple, ho già parlato QUI. Leonardo di Caprio (Rick Dalton), Brad Pitt (Cliff Booth), Margot Robbie (Sharon Tate), Emile Hirsch (Jay Sebring), Timothy Olyphant (James Stacy), Dakota Fanning (Squeaky Fromme), Bruce Dern (George Spahn), Luke Perry (Wayne Maunder), Al Pacino (Marvin Schwarz), Lorenza Izzo (Francesca Capucci), Harley Quinn Smith (Froggie), Danielle Harris (Angel), Clifton Collins Jr. (Ernesto il vaquero messicano), Rumer Willis (Joanna Pettet), Rebecca Gayheart (Billie Booth), Kurt Russell (Randy e, in originale, anche il narratore), Zoe Bell (Janet) e Michael Madsen (Sceriffo Hackett di Bounty Law) li trovate invece ai rispettivi link.
Margaret Qualley interpreta Pussycat. Americana, ha partecipato a film come The Nice Guys, Death Note e a serie quali Fosse/Verdon. Ha 25 anni e un film in uscita.
Tra le millemila guest star presenti nella pellicola segnalo la ahimé moglie di Quentin, Daniella Pick, il Friederich di Tutti insieme appassionatamente, Nicholas Hammond (che interpreta Sam Wanamaker) e, tra i figli d'arte, quella di Ethan Hawke e Uma Thurman, Maya Hawke, nei panni di Flowerchild, mentre il povero Tim Roth, inserito nei titoli di coda, è protagonista delle scene eliminate, quindi non compare nel film. Non ce l'ha fatta nemmeno Burt Reynolds (che, di fatto, era il "cattivo" dell'episodio di F.B.I. presente nel film), purtroppo venuto a mancare prima di poter girare le scene in cui avrebbe dovuto interpretare George Spahn. Se il film vi fosse piaciuto, ovviamente vi consiglierei di recuperare la filmografia di Tarantino ma siccome lo stesso Quentin ha stilato un elenco di pellicole da vedere in preparazione di C'era una volta a Hollywood, perché non seguirlo e recuperare Bob & Carol & Ted & Alice, Fiore di cactus, Easy Rider, L'amante perduta, La battaglia del Mar dei Coralli, L'impossibilità di essere normale, Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm, Trafficanti del piacere, Il sentiero della violenza e I pistoleri maledetti? ENJOY!
giovedì 19 settembre 2019
(Gio)WE, Bolla! del 19/9/2019
Buon giovedì a tutti! Questa settimana, assieme a un docufilm di cui non faremo il nome, è OVVIAMENTE uscito l'ultimo film di Tarantino, quindi avete anche da chiedervi cosa andare a vedere? ENJOY!
C'era una volta a... Hollywood
Reazione a caldo: Vabbé, ciao.
Bolla, rifletti!: L'ho visto ieri sera. Lo ammetto: non è il miglior Tarantino. Ma è comunque splendido, correte a vederlo, nel frattempo cercherò di fare uscire un post senza spoiler domani.E poi c'è Katherine
Reazione a caldo: Meglio tardi che mai.
Bolla, rifletti!: Del film ho già parlato QUI..Al cinema d'élite si va in Corea!
Burning - L'amore brucia
Reazione a caldo: Mah.
Bolla, rifletti!: Secondo me avrebbero fatto il colpaccio se avessero programmato Mademoiselle, mai arrivato a Savona. Ma sembra interessante anche questo film, tratto da un racconto di Murakami, definito un "thriller dell'anima". Da recuperare, prima o poi.mercoledì 18 settembre 2019
Vox Lux (2018)
Stasera correrò a vedere l'ultimo film di Quentin e spero di riuscirne a parlare già venerdì. Nel frattempo, spinta dai molti pareri positivi, nonostante la pessima distribuzione italiana ho recuperato anche Vox Lux, scritto e sceneggiato nel 2018 dal regista Brady Corbet.
Trama: sopravvissuta a una strage, la giovanissima Celeste intraprende una carriera di pop star che, nonostante inevitabili alti e bassi, prosegue per oltre vent'anni...
"Ciao, io sono Gianfranzo, sono il vuoto che c'è dentro di te. Se mi accosti l'orecchio alla bocca senti solo il mare e basta!", così cantavano I ragazzi delle ragazze, durante la sigla del mitico Pippo Chennedy Show. Non riuscivo a trovare un perfetto riassunto per ciò che ho provato assistendo alle gesta di Celeste e alla fine toh, l'illuminazione, la Lux anche senza Vox: il nulla cosmico, accompagnato da una sensazione costante di prurito alle mani che non sono riuscita a sfogare con una bella catarsi esplosiva nel corso dei titoli di coda, privi di colonna sonora, arrivati dopo 10 minuti di concerto durante i quali, lo giuro, speravo qualcuno facesse brillare una bomba o perlomeno levasse dal mondo Celeste. SPOILER: magari, e invece. Sono una bestia ignorante, lo so, tuttavia ho provato un reale senso di disfatta guardando Vox Lux, un senso di aspettativa costantemente frustrata che, probabilmente, è proprio ciò che ricercava il regista. Perché, altrimenti, far raccontare la sciocca, inutile vita della pop star Celeste dal Diavolo in guisa di voce narrante, mister Willem Dafoe in persona, accostandola costantemente alle peggiori piaghe sociali (stragi studentesche e terrorismo) nella speranza che la Vox Lux di Celeste, sopravvissuta proprio ad una strage da ragazzina e infusa del potere di guarire col canto, potesse in qualche modo cambiare questo mondo così marcio? In questo modo lo spettatore si trova per le mani la solita storia all'interno della quale la protagonista, con tutte le sue doti e la sua bontà iniziale, il sentimento religioso che la smuove unito al profondo amore per la sorella maggiore, diventa una vuota vaiassa che è riuscita a distruggere tutto ciò che di buono c'era nella sua vita, indulgendo in parossismi di autodistruzione a base di alcool e droga e accumulando soldi, soldi, soldi. One for the Money and two for the Show. Ma 'sti soldi, benedetta fanciulla, a che ti servono? Si potrebbe riflettere sul fatto che il pop di Celeste, nato da una tragedia, serva proprio a non far pensare il suo pubblico, ad aiutare tutti i fan della cantante a superare i propri problemi prendendola come esempio di persona che ha superato un'enorme tragedia risorgendo più forte, come la fenice mitologica, raggiungendo un successo planetario che tutti vorrebbero, tuttavia anche vedendola così non sono riuscita assolutamente a trarre davvero un senso da ciò che viene raccontato nel film.
Diverso, invece, l'entusiasmo per il MODO in cui viene raccontata la storia di Celeste. Conoscevo Brady Corbet solo come uno dei protagonisti dell'angosciante ma bellissimo Mysterious Skin (film che peraltro vi consiglio di recuperare se non lo avete mai fatto, preparando stomaco e fazzoletti) e non avrei pensato che sarebbe diventato un regista raffinato e capace, in grado di padroneggiare diversi registri e, soprattutto, giocare con le aspettative dello spettatore. Avendo cominciato a guardare Vox Lux senza mai avere visto trailer o letto recensioni, onestamente mi sarei aspettata, dalle poche foto scorse sulla rete, di avere davanti un novello The Neon Demon oppure un Il cigno Nero, ovvero qualcosa in bilico tra il dramma e l'horror; in effetti, la già citata voce narrante di Defoe e l'inizio scioccante concorrono a dare proprio questa impressione, e il contrasto che si crea tra la pacatezza del narratore e la freddezza delle immagini mostrate da Corbet, seguite dai titoli di testa più angoscianti e "arty" visti quest'anno, provoca uno shock sensoriale non da poco. In realtà, andando avanti, più dell'abilità registica, che comunque si mantiene su livelli altissimi, contano le performance di Natalie Portman e della meravigliosa Raffey Cassidy, che incarnano il triste contrasto tra una ragazzina cupa che cerca di superare il peggior trauma della sua vita e la donna che sarebbe diventata, una pazza umorale prosciugata dal successo che prospera sulla sciocca vacuità del suo pubblico di riferimento e si crede una divinità. Il glitter & gold citato da Rebecca Ferguson abbonda, ammaliando lo spettatore assieme al make up, agli abiti glamour di una sfattissima Natalie Portman dal trucco pesante, spezzata nel corpo e nello spirito, e alle melodie pop di Sia (combinate alle melodie totalmente diverse di Scott Walker), ma è tutta vuota apparenza, una maschera talvolta splendente e talvolta dark priva di significato, tanto che può essere indossata da chiunque, terroristi o killer in primis. Il risultato è un film bellissimo, affascinante e anche capace di tenere avvinto lo spettatore alla poltrona anche solo per mera curiosità, ma che a mio avviso si perde un po' e rischia di avere difficoltà a far passare il suo messaggio, se davvero ne ha uno; a pensarci, però, potrebbe essere proprio questa la sua carta vincente, ovvero quella di far scervellare il pubblico per cercare di colmare quei "vuoti" di cui Vox Lux è pieno, interessanti quanto lo stesso film e ugualmente affascinanti. Insomma, un bell'esercizio cerebrale, altro che una semplice canzonetta pop.
Del regista e sceneggiatore Brady Corbet ho già parlato QUI. Natalie Portman (Celeste), Jude Law (il manager), Jennifer Ehle (Josie), Raffey Cassidy (Celeste da giovane/Albertine) e Willem Dafoe (il narratore) li trovate invece ai rispettivi link.
Stacy Martin interpreta Eleanor. Francese, ha partecipato a film come Nymphomaniac - Volume 1, Nymphomaniac - Volume 2, Il racconto dei racconti, High Rise e Tutti i soldi del mondo. Ha 28 anni e quattro film in uscita.
Rooney Mara avrebbe dovuto interpretare Celeste ma quando la produzione è andata per le lunghe l'attrice ha abbandonato il progetto. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il cigno nero. ENJOY!
Trama: sopravvissuta a una strage, la giovanissima Celeste intraprende una carriera di pop star che, nonostante inevitabili alti e bassi, prosegue per oltre vent'anni...
"Ciao, io sono Gianfranzo, sono il vuoto che c'è dentro di te. Se mi accosti l'orecchio alla bocca senti solo il mare e basta!", così cantavano I ragazzi delle ragazze, durante la sigla del mitico Pippo Chennedy Show. Non riuscivo a trovare un perfetto riassunto per ciò che ho provato assistendo alle gesta di Celeste e alla fine toh, l'illuminazione, la Lux anche senza Vox: il nulla cosmico, accompagnato da una sensazione costante di prurito alle mani che non sono riuscita a sfogare con una bella catarsi esplosiva nel corso dei titoli di coda, privi di colonna sonora, arrivati dopo 10 minuti di concerto durante i quali, lo giuro, speravo qualcuno facesse brillare una bomba o perlomeno levasse dal mondo Celeste. SPOILER: magari, e invece. Sono una bestia ignorante, lo so, tuttavia ho provato un reale senso di disfatta guardando Vox Lux, un senso di aspettativa costantemente frustrata che, probabilmente, è proprio ciò che ricercava il regista. Perché, altrimenti, far raccontare la sciocca, inutile vita della pop star Celeste dal Diavolo in guisa di voce narrante, mister Willem Dafoe in persona, accostandola costantemente alle peggiori piaghe sociali (stragi studentesche e terrorismo) nella speranza che la Vox Lux di Celeste, sopravvissuta proprio ad una strage da ragazzina e infusa del potere di guarire col canto, potesse in qualche modo cambiare questo mondo così marcio? In questo modo lo spettatore si trova per le mani la solita storia all'interno della quale la protagonista, con tutte le sue doti e la sua bontà iniziale, il sentimento religioso che la smuove unito al profondo amore per la sorella maggiore, diventa una vuota vaiassa che è riuscita a distruggere tutto ciò che di buono c'era nella sua vita, indulgendo in parossismi di autodistruzione a base di alcool e droga e accumulando soldi, soldi, soldi. One for the Money and two for the Show. Ma 'sti soldi, benedetta fanciulla, a che ti servono? Si potrebbe riflettere sul fatto che il pop di Celeste, nato da una tragedia, serva proprio a non far pensare il suo pubblico, ad aiutare tutti i fan della cantante a superare i propri problemi prendendola come esempio di persona che ha superato un'enorme tragedia risorgendo più forte, come la fenice mitologica, raggiungendo un successo planetario che tutti vorrebbero, tuttavia anche vedendola così non sono riuscita assolutamente a trarre davvero un senso da ciò che viene raccontato nel film.
Diverso, invece, l'entusiasmo per il MODO in cui viene raccontata la storia di Celeste. Conoscevo Brady Corbet solo come uno dei protagonisti dell'angosciante ma bellissimo Mysterious Skin (film che peraltro vi consiglio di recuperare se non lo avete mai fatto, preparando stomaco e fazzoletti) e non avrei pensato che sarebbe diventato un regista raffinato e capace, in grado di padroneggiare diversi registri e, soprattutto, giocare con le aspettative dello spettatore. Avendo cominciato a guardare Vox Lux senza mai avere visto trailer o letto recensioni, onestamente mi sarei aspettata, dalle poche foto scorse sulla rete, di avere davanti un novello The Neon Demon oppure un Il cigno Nero, ovvero qualcosa in bilico tra il dramma e l'horror; in effetti, la già citata voce narrante di Defoe e l'inizio scioccante concorrono a dare proprio questa impressione, e il contrasto che si crea tra la pacatezza del narratore e la freddezza delle immagini mostrate da Corbet, seguite dai titoli di testa più angoscianti e "arty" visti quest'anno, provoca uno shock sensoriale non da poco. In realtà, andando avanti, più dell'abilità registica, che comunque si mantiene su livelli altissimi, contano le performance di Natalie Portman e della meravigliosa Raffey Cassidy, che incarnano il triste contrasto tra una ragazzina cupa che cerca di superare il peggior trauma della sua vita e la donna che sarebbe diventata, una pazza umorale prosciugata dal successo che prospera sulla sciocca vacuità del suo pubblico di riferimento e si crede una divinità. Il glitter & gold citato da Rebecca Ferguson abbonda, ammaliando lo spettatore assieme al make up, agli abiti glamour di una sfattissima Natalie Portman dal trucco pesante, spezzata nel corpo e nello spirito, e alle melodie pop di Sia (combinate alle melodie totalmente diverse di Scott Walker), ma è tutta vuota apparenza, una maschera talvolta splendente e talvolta dark priva di significato, tanto che può essere indossata da chiunque, terroristi o killer in primis. Il risultato è un film bellissimo, affascinante e anche capace di tenere avvinto lo spettatore alla poltrona anche solo per mera curiosità, ma che a mio avviso si perde un po' e rischia di avere difficoltà a far passare il suo messaggio, se davvero ne ha uno; a pensarci, però, potrebbe essere proprio questa la sua carta vincente, ovvero quella di far scervellare il pubblico per cercare di colmare quei "vuoti" di cui Vox Lux è pieno, interessanti quanto lo stesso film e ugualmente affascinanti. Insomma, un bell'esercizio cerebrale, altro che una semplice canzonetta pop.
Del regista e sceneggiatore Brady Corbet ho già parlato QUI. Natalie Portman (Celeste), Jude Law (il manager), Jennifer Ehle (Josie), Raffey Cassidy (Celeste da giovane/Albertine) e Willem Dafoe (il narratore) li trovate invece ai rispettivi link.
Stacy Martin interpreta Eleanor. Francese, ha partecipato a film come Nymphomaniac - Volume 1, Nymphomaniac - Volume 2, Il racconto dei racconti, High Rise e Tutti i soldi del mondo. Ha 28 anni e quattro film in uscita.
Rooney Mara avrebbe dovuto interpretare Celeste ma quando la produzione è andata per le lunghe l'attrice ha abbandonato il progetto. Detto questo, se il film vi fosse piaciuto recuperate Il cigno nero. ENJOY!