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venerdì 19 febbraio 2021

The Social Network (2010)

Grazie a un buono Vodafone, il Bolluomo ha ottenuto 10 euro da spendere su Chili e nella selezione di film fuibili col buono in questione c'era The Social Network, diretto nel 2010 dal regista David Fincher. 


Trama: il giovane laureando Mark Zuckerberg crea il futuro Facebook ma, nel cammino, perde amici storici e si fa nuovi nemici...


Sono passati undici anni dall'uscita di The Social Network e chissà perché lo avevo snobbato fino a questo momento, visto che gli ingredienti per piacermi c'erano tutti e sono stati confermati durante la visione del film. Forse perché, all'epoca, temevo mi sarei trovata davanti una noiosa agiografia di San Zuckerberg da White Plains, invece The Social Network è tutto il contrario: partendo dal libro di  Ben Mezrich intitolato Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, Aaron Sorkin lo riadatta per lo schermo togliendo i gemelli Winklevoss ed Eduardo Saverin dai riflettori ma mantenendo comunque il loro punto di vista pur rendendo Mark Zuckerberg protagonista assoluto, col risultato che molto di quello che viene mostrato sullo schermo è opera di pura fiction basata su un mix di racconti, leggende metropolitane e mera invenzione. Qui scatta il dilemma "morale" che ha tenuti impegnati me e Mirco durante la visione. Nel film, Zuckerberg viene descritto come una sorta di Sheldon Cooper sbruffone, sicuro di sé nonostante una palese incapacità di avere normali rapporti umani, stronzo e, soprattutto, vendicativo ed invidioso; il motore della creazione di Facebook è il pentimento seguito ad un'atroce vendetta nei confronti di una ragazza, al quale seguono moltissime piccole e grandi ripicche nei confronti di amici e nemici in egual modo, cosa che spingerebbe gli animi molto meno critici del mio a partire verso la sede di Facebook con torce e forconi per picchiare selvaggiamente l'eminenza grigia del web. In realtà, molto di quello che si vede nel film è inventato, sopratutto per quello che riguarda l'"uomo Zuckerberg", che si dice sia privo di qualsivoglia capacità di provare emozioni forti o vincolanti, positive o negative che siano, quindi impossibilitato ad agire come una sorta di villain geniale. 


Nonostante questo, il film è molto interessante e non potrebbe essere diversamente visto che la sceneggiatura è di Sorkin, che rifugge la banalità della solita struttura di ascesa-caduta-risalita tipica di molte pellicole simili e si focalizza sull'esperienza di una persona che è perennemente in ascesa e perennemente in caduta, vittima di un cervello che lo rende incomprensibile a tutte le persone che incontra, e conseguentemente inviso anche allo spettatore, almeno in parte. Se i papaverini di Harvard sono giustamente dipinti come dei ricchi minchioni viziati che meritano di venire perculati da Zuckerberg e il creatore di Napster Sean Parker viene descritto come una scheggia impazzita da cui guardarsi, elementi che rendono per reazione più simpatico Zuckerberg, è inevitabile infatti che lo spettatore si senta comunque più vicino a Saverin, "reo" di volere una vita normale e magari di fare qualche soldino in maniera corretta. Non è un caso, dunque, che Saverin abbia la faccetta rassicurante di Andrew Garfield, mentre il bravissimo Jesse Eisenberg convoglia tutto il suo magnetismo un po' nerd nella figura controversa del protagonista, che allo stesso tempo affascina e allontana, un po' come la sua creatura più famosa: la facciata innocua di THE Facebook, che permette agli utenti di cercarsi, collegarsi e sviluppare amicizie, in realtà racchiude dinamiche ben più complesse, spesso incomprensibili, talvolta pericolose per gli utenti tanto incauti da fidarsi. In questo, lo Zuckerberg di The Social Network è una perfetta allegoria di quello che ha creato e probabilmente è lì che risiede l'intero senso della validissima operazione di Fincher, Sorkin e soci. 


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Rooney Mara (Erica Albright), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Armie Hammer (Cameron Winklevoss/Tyler Winklevoss), Max Minghella (Divya Narendra), Justin Timberlake (Sean Parker), Dakota Johnson (Amelia Ritter), Aaron Sorkin (Direttore agenzia pubblicitaria), Caleb Landry Jones (membro della confraternita) e Jason Flemyng (non accreditato, è uno degli spettatori alla regata) li trovate invece ai rispettivi link.


Il film ha vinto tre premi Oscar, per la Sceneggiatura, il Montaggio e la Colonna Sonora Originale. Andrew Garfield aveva sostenuto l'audizione per il ruolo di Zuckerberg ma alla fine era troppo spontaneo e sincero e il regista ha deciso di affidargli Saverin, mentre Shia Labeouf ha direttamente rifiutato di partecipare al film come protagonista. Se The Social Network vi fosse piaciuto recuperate Steve Jobs e La grande scommessa .ENJOY! 

venerdì 27 settembre 2019

Eat Local - A cena coi vampiri (2017)

Surclassato da Tarantino e distribuito credo in tre sale in tutta Italia, non è andata benissimo al povero Eat Local - A cena coi vampiri (Eat Locals), diretto nel 2017 dal regista Jason Flemyng.


Trama: mentre un consiglio di vampiri è riunito in una casa di campagna inglese, dei soldati cercano di ucciderli, sotto gli occhi perplessi e terrorizzati di ignari umani.


Gli inglesi hanno una marcia in più per le commedie horror, è innegabile. Eat Local è una sciocchezzuola, d'accordo, però è una sciocchezzuola fatta bene, che regala momenti divertenti e persino surreali, tra un bagno di sangue e un esempio di british wit enunciato col solito, meraviglioso accento delle isole britanniche. Di base, nel corso della sua durata Eat Local racconta un assedio ai danni di un gruppo di vampiri riuniti per l'annuale consiglio, mentre una delle loro potenziali vittime (un mezzo zingaro particolarmente scafato) si ritrova impotente in mezzo al fuoco incrociato di succhiasangue e soldati che vorrebbero farli fuori, con risvolti inaspettati alla Dexter e persino un pizzico di esilarante "fantascienza" pubblicitaria. Qui e là, all'interno dei dialoghi, ci si prende gioco dell'attuale situazione della società inglese e per estensione mondiale, col problema dei migranti virato in chiave "alimentare" ed incrociato con le mode dietetiche che vanno tanto per la maggiore oggi, l'idea di mangiare solo organico in primis, ma ammettiamolo, il titolo non rispecchia molto ciò che viene mostrato nel film. Il resto, a onor del vero, lo fanno i personaggi, ognuno dotato di una caratteristica particolare in grado di renderlo facilmente distinguibile dal mucchio e per questo irresistibile a modo suo, qualcuno più di altri (la palma d'oro del migliore, almeno per me, va al cinico Boniface, subito seguito dalla vecchina).


Film di attori più che di regia o sceneggiatura, dunque, e non potrebbe essere altrimenti visto che dietro la macchina da presa c'è Jason Flemyng, ovvero il Tom di Lock & Stock, qui alla sua prima prova come regista. Il buon Flemyng ha scelto di esordire con una commedia horror che non calca troppo la mano, leggera come l'acqua, probabilmente dimenticabile dopo un giorno o due, e di circondarsi ovviamente di amici sia davanti alla cinepresa che nelle retrovie; esempio calzante sono Dexter Fletcher e Nick Moran in primis, rispettivamente nei panni dell'ostaggio umano e del soldato, ma anche Jason Statham, utilizzato come consulente per quelle tre/quattro scene di lotta corpo a corpo presenti nel film. Il risultato è così un film ibrido che non fa paura nemmeno per sbaglio e che spesso consegna solo personaggi abbozzati, dei "tipi" più che dei vampiri a tutto tondo, ma che sicuramente cattura lo spettatore, invogliandolo a sapere come andrà a finire la storia (visto che ormai va di moda realizzare serie TV sarebbe interessante, in realtà, continuare a seguire le vicende di questi vampiri sui generis e dei loro clan), e incuriosendolo con qualche citazione, anche a livello di colonna sonora e stile, che potrebbe risultare tuttavia ostica per il pubblico italiano. Nulla per cui correre al cinema disperati, ma se prima o poi spuntasse fuori su qualche piattaforma di streaming legale ci farei un pensierino, sperando mantengano la versione originale e non impongano quella doppiata.


Del regista Jason Flemyng ho già parlato QUI. Charlie Cox (Henry) e Dexter Fletcher (Mr. Thatcher) li trovate invece ai rispettivi link.

Tony Curran interpreta Peter Boniface. Scozzese, ha partecipato a film come Piccoli omicidi tra amici, Il gladiatore, Pearl Harbor, Blade II, La leggenda degli uomini straordinari, X-Men - L'inizio, Thor: The Dark World e a serie quali Numb3rs, Medium, 24, Doctor Who, CSI - Scena del crimine e Daredevil; come doppiatore, ha lavorato in Le avventure di Tin Tin - Il segreto dell'unicorno. Ha 50 anni e un film in uscita.


Nick Moran interpreta il soldato Rose. Inglese, ha partecipato a film come Lock & Stock - Pazzi scatenati, Harry Potter e i doni della morte - Parte I, Harry Potter e i doni della morte - Parte II, Non bussate a quella porta e a serie come CSI: Miami. Anche produttore, sceneggiatore e regista, ha 50 anni e tre film in uscita.


Mackenzie Crook, che interpreta Larousse, era il pirata Ragetti della saga Pirates of the Caribbean mentre Ruth Jones, qui nel ruolo di Mrs. Thatcher, era la Myfawny di Little Britain. Se Eat Local - A cena coi vampiri vi fosse piaciuto recuperate What We Do in the Shadows. ENJOY!

domenica 18 dicembre 2016

Viy - La maschera del demonio (2014)

Siccome qualche giorno fa la Midnight Factory ha distribuito sul mercato home video Viy - La maschera del demonio (Viy), diretto e co-sceneggiato nel 2014 dal regista Oleg Stepchenko partendo dal racconto omonimo di Nikolai Gogol, mi è presa curiosità e ho deciso di vederlo...


Trama: un cartografo inglese lascia la terra natia per riportare su mappa le zone inesplorate del mondo e finisce in un villaggio ucraino dove aleggia una terribile maledizione.


Dice il saggio: "Sono troppo vecchia per queste str**zate". Sono decisamente troppo vecchia per apprezzare un film non troppo pauroso da essere definito horror, non troppo fantasy da essere definito tale e non troppo emozionante da essere definito d'avventura, girato puntando tutto sulla magnificenza visiva dell'effetto speciale zamarro. Dimenticate le suggestioni di Bava e La maschera del demonio che deturpava il meraviglioso viso di Barbara Steele, qui siamo più dalle parti dello stile caciarone di Timur Bekmambetov, unito all'amore per un bestiario horror/fantastico che purtroppo si esprime al meglio solo in una singola, bellissima sequenza del film. Del racconto di Gogol viene mantenuta l'ossatura, l'idea del teologo (in questo caso anche scienziato) costretto a pregare per tre giorni al capezzale di una presunta strega prima di soccombere alla forze demoniache che sembrano proteggerla e anche la peculiarità del mostro Viy, con quelle lunghissime palpebre che gli toccano terra, per il resto gli sceneggiatori hanno cercato di creare una storia che giustificasse un respiro un po' più "ampio", simile a quello dei blockbuster americani. Protagonista della pellicola non è, infatti, il giovane teologo Khoma, bensì il cartografo Jonathan Green, il quale parte all'avventura senza pensare troppo alla fidanzata che si lascia dietro (continuando comunque a spedirle notizie via piccione) e finendo coinvolto nelle vicende di un villaggio ucraino afflitto dalla serie di maledizioni di cui sopra. Nonostante la cieca fede nella scienza, Jonathan sarà costretto ad ammettere che qualcosa di misterioso sta effettivamente accadendo in quel luogo desolato e ancora legato a superstizioni ataviche, eppure gli sceneggiatori sono molto attenti a mantenere comunque una doppia "facciata": Pannochka e la sorella Nastusya sono davvero delle streghe? Cosa si nasconde nella chiesa in cui ancora giace, insepolta, Pannochka? E qual è la natura del mostro che si aggira nelle paludi del villaggio? La risposta non è così scontata, eppure a mio avviso uno dei difetti di Viy è proprio la volontà di mettere troppa carne al fuoco, mal gestita da sceneggiatori che, forse per il troppo entusiasmo, alla fine hanno creato un mezzo pasticcio per nulla aiutato da un ridoppiaggio inglese francamente imbarazzante.


Se però riuscite a sorvolare sulla trama e da un film cercate innanzitutto sontuosità visiva, soprattutto se non siete disturbati da invasive tecniche di ripresa digitale (nel 2011 il film è stato RI-girato da capo in 3D nonostante fosse praticamente già completato), Viy è l'ideale. La macchina da presa di Stepchenko non sta ferma un minuto, esplora i cieli così come boschi, arrivando a cogliere cunicoli nascosti sotto terra, acque di palude e persino mondi inesistenti; al di là della bellezza degli elementi naturali, gli scenografi hanno fatto un lavoro egregio sia nel rappresentare il dettagliatissimo villaggio in cui si ritrova a vivere Jonathan (questo vale per gli esterni ma anche e soprattutto per gli interni) che l'inquietante chiesa dove giace il corpo di Pannotcha, oltre al fatto che la carrozza ipertecnologica del protagonista contiene elementi steampunk davvero gradevoli. Io, come ormai dovreste sapere, non amo particolarmente l'utilizzo iperbolico della CG e Viy ne è invaso, cosa che rende la fotografia particolarmente "finta" e cartoonesca, tuttavia la già citata sequenza della cena che si trasforma praticamente in un sabba di creature demoniache è quella che più mi è rimasta impressa in quanto non lesina trasformazioni incredibili e mostra moltissima fantasia per quel che riguarda il mostruoso bestiario che all'improvviso circonda il povero Jonathan. C'è da dire che se Viy si fosse limitato soltanto all'utilizzo di streghe e mostri, concentrandosi maggiormente sull'effetto speciale horror, forse avrebbe potuto essere una pellicola migliore, purtroppo ci sono anche tutti quegli attori impegnati a scambiarsi dialoghi e "approfondimenti psicologici" d'accatto. Non è un caso se Jason Flemyng fino ad oggi abbia avuto ruoli di "spalla" visto che, nonostante la faccetta simpatica, come protagonista non è un gran che, ma il resto del cast (che, a quanto pare, contiene la crema del cinema russo) è anche peggio e gli attori si salvano giusto per i loro tratti "cosacchi" rimarcati ulteriormente da un make up perfetto. Ribadisco, il ridoppiaggio inglese è inascoltabile e probabilmente sarebbe stato meglio avere una traccia audio originale per poter giudicare equamente l'abilità dei coinvolti ma il film non merita tanto sbattimento, sono sincera. Nonostante questo, Viy è stato un successone non solo in Russia ma anche in giro per il mondo quindi forse sono proprio io che ormai non amo più questo genere di baracconata a base di effetti speciali e tornerò di conseguenza nel mio universo fatto di terrori sottili e streghe ambigue, lasciando film come Viy a chi saprà apprezzarli al meglio.


Di Jason Flemyng (Jonathan Green) e Charles Dance (Lord Dudley) ho già parlato ai rispettivi link.

Oleg Stepchenko è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Russo, ha diretto due film che non conosco, Jacked e Velvet Revolution, ed è già al lavoro su Viy 2. Anche produttore e attore, ha 52 anni.


Due parole sull'edizione DVD della Midnight Factory (quella che ho potuto vedere io, mentre la versione Blu Ray permette di vedere il film in 3D): col disco letto su un semplice PC dotato di normalissime casse, il video è valido ma l'audio inglese risulta di una pochezza incredibile ed è stata la prima volta che mi sono pentita di non aver dato una chance al doppiaggio italiano (che ci mette una bella pezza, voci di Flemyng e Dance a parte), visto che quello anglofono fatica persino a seguire la sincronia del labiale. Altro appunto, la durata: su IMDB il film risulta lungo 2 ore e 7 minuti, la versione arrivata in Italia dura 111 minuti così come quella presente sul mercato americano e inglese ma non ho trovato ulteriori informazioni su questa discrepanza quindi non saprei a cosa sia imputabile. Per il resto, edizione curata come sempre, con libretto accluso redatto da Manlio Gomarasca e Davide Pulici di Nocturno Cinema e un po' di extra quali Making Of (focalizzato su storia, cast, scenografie, costumi, coreografie, effetti speciali, make up, tecnologia delle riprese in 3D, doppiaggio, colonna sonora e realizzazione del Viy), una breve intervista a Jason Flemyng e backstage di alcune sequenze. Come ho detto sopra, le riprese di Viy 2 sono già in corso e nel cast ci sono attori del calibro di Arnold Schwarzenegger, Jackie Chan e persino Rutger Hauer quindi, nonostante tutto, non posso fare altro che aspettarlo. Nell'attesa, se Viy - La maschera del demonio vi fosse piaciuto consiglio il recupero di Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe, I fratelli Grimm e l'incantevole strega e Stardust. ENJOY!

mercoledì 22 giugno 2011

X-Men: l'inizio (2011)

Qualche sera fa sono andata a vedere X – Men – L’inizio (X – Men: First Class), diretto da Matthew Vaughn. Come sempre, sono partita molto più che prevenuta, visto che sono una fan accanita del gruppo di mutanti Marvel, ma per fortuna anche questa volta sono uscita dalla sala soddisfatta.



Trama: il film racconta la nascita del primo gruppo di X – Men, negli anni della guerra fredda tra USA e Russia. Vediamo così un giovane Charles Xavier che, assieme alla “sorella adottiva” Raven, si allea ad un altrettanto giovane Erik Lehnsherr per impedire all’ex nazista Sebastian Shaw di far scoppiare la terza guerra mondiale.



A parer mio questo X – Men: l’inizio è un film in grado di soddisfare sia i fan del fumetto sia gli spettatori che non hanno assolutamente idea di chi siano i mutanti della Marvel. A prescindere dal conoscere o meno il background dei personaggi (su cui tornerò, perché sono pignola…) infatti gli sceneggiatori hanno imbastito una storia molto bella nella sua semplicità, senza mettere troppa carne al fuoco e concentrandosi su quello che, alla fine, è il fulcro dell’intera saga degli X – Men: la costante battaglia tra “normalità” e diversità. Fondamentale, a questo proposito, ambientare il film in un’epoca durante la quale i mutanti erano ancora pochi, sparuti e quasi inconsapevoli di essere portatori del gene X. Altrettanto fondamentale mostrare, prima ancora della rivalità, la profonda amicizia che legava i due protagonisti (e futuri acerrimi nemici) Charles Xavier ed Erik Lehnsherr. Il primo è ricco, bello e intelligente, nato e cresciuto in un mondo praticamente “ideale”, fermamente convinto della possibilità di integrare i mutanti nella società; il secondo invece è irrimediabilmente segnato dall’olocausto, dalla consapevolezza della crudeltà portata dal terrore del “diverso”, fermamente convinto che una razza minacciata dalla mera presenza di un’altra si impegnerà con tutti i mezzi per eliminarla dalla faccia della terra. Il film non offre una soluzione facile a questa contrapposizione, anzi. Sembrerebbe quasi, sul finale, che sia Erik ad avere ragione, e che la battaglia di Charles per l’integrazione sia una causa persa, sebbene i suoi metodi siano moralmente più giusti di quelli di Erik: ma come si fa a non uccidere chi vuole ucciderci per primo, che ci vorrebbe morti solo perché diversi? E come facciamo a dire che ripagare gente come Shaw con la stessa, sanguinosa moneta, non ci rende uguali, se non peggiori, a loro? Un eterno dilemma al quale, in cinquant’anni e passa di storie, non è ancora stata data una risposta univoca.



In mezzo ai due contendenti, poi, ci sono gli altri mutanti. Ben lontani dall’essere granitici cattivoni tout court come Shaw e la sua cricca, o esperti conoscitori dei propri poteri come Charles Xavier, questi ragazzini, questa prima generazione di X – Men, sono pieni di dubbi, insicurezze e paure. I personaggi più riusciti in tal senso sono quelli di Raven e di Hank McCoy, entrambi portatori di mutazioni che li rendono palesemente diversi e mostruosi, quindi ideale fulcro della contrapposizione tra i loro due “mentori”. E laddove la prima ha la possibilità di sembrare normale proprio grazie ai suoi poteri di mutaforma, di plasmarsi quasi in base ai desideri degli altri, il secondo cerca di sfruttare il suo cervello per eliminare quell’aspetto della sua mutazione che lo rende mostruoso e per questo unico, peggiorando così la situazione. Paradossalmente, la decisione di accettarsi per come si è (almeno in X – Men: l’inizio) va di pari passo con l’altrui sopraffazione, mentre sono proprio quelli che odiano sé stessi a ricercare l’accettazione degli altri, con tutto quel che ne consegue.



Terminati qui gli sproloqui sul significato del film, passiamo all’aspetto prettamente cinematografico e a quello “nerd”. Visivamente parlando, X – Men: l’inizio è forse il più bello dei cinque film sui mutanti Marvel. Imponente la scena finale con la miriade di missili che cercano di colpire Magneto, mozzafiato le evoluzioni del Blackbird, soprattutto quando viene insidiato dai tornado di Riptide, molto bello anche l’effetto del volo di Banshee, con tanto di sonar. Credo però che rappresentare degnamente i poteri mutanti sia un ostacolo che, per quanto gli effetti speciali progrediscano nel tempo, nessuno riuscirà mai a superare del tutto: qui troviamo la solita particolare trasformazione di Mystica, perfetta nella CG ma inguardabile, come sempre, per quanto riguarda il make-up (quel colore blu con quella parrucchetta rossa la fa sembrare un orrendo pupazzo, anche peggio che nei primi tre X-Men), make – up che, per quanto riguarda la Bestia, farebbe venire voglia di cavarsi gli occhi per l’orrore (se Mystica è un pupazzo di gomma, Bestia è un peluche di quelli che ti vendono i cinesi al mercato: improponibile). Voto 10 invece alla trasformazione in diamante di Emma Frost, alle scariche al plasma di Havoc e al teletrasporto del rosso Azazel. Ma ovviamente non sono gli effetti speciali e il make – up a rendere X – Men: l’inizio superiore agli altri film della saga (Wolverine a parte, quello non si tocca!), quanto piuttosto la sottile vena ironico – trash che percorre l’intera pellicola. Vedere un inedito Charles Xavier “beccione”, che tenta di intortarsi le fanciulle parlando di cromosomi e mutazioni, o mentre chiede che non gli vengano toccati i capelli (sia mai che resti calvo!!), mentre ricerca giovani mutanti in equivoci locali di strip – tease assieme a Erik, mentre assieme allo stesso Erik si fa mandare letteralmente a fanculo da Wolverine nella scena più bella del film è esilarante tanto quanto le mise à la Austin Powers della gang di Sebastian Shaw e la faccia che fa quest’ultimo quando Xavier lo blocca telepaticamente (non si capisce se Kevin Bacon stia per vomitare o che…). Avendo nominato l’uomo Footloose, parliamo anche degli attori: Fassbender nei panni di Magneto è semplicemente perfetto, fiero, commovente ed emozionante, si mangia senza troppi problemi il moscetto James McAvoy che nei panni di Xavier qualche risata, appunto, la strappa, ma nulla più. Kevin Bacon nel ruolo di Sebastian Shaw mette i brividi, convincentissimo e bravo sia come nazista che come “villain” marvelliano. Per quanto riguarda i giovani attori non sono male… ma qui si sfocia nel terreno del nerd, indi per cui apriamo un altro paragrafo poi la finisco qui, giurin giuretta.



I giovani attori, dicevo. Per me che adoro gli X - Men e tutto il loro mondo più importanti ancora dei poteri sono le personalità. E, lo ammetto, mi sarebbe piaciuta un po’ più di fedeltà alla continuity dei fumetti o, perlomeno, dei film precedenti. Siccome però questo X – Men: l’inizio, come da titolo è, appunto, un prequel per futuri film che si discosteranno dai primi tre e da Wolverine, ecco che gli sceneggiatori hanno dato un bel colpo di spugna e hanno ricominciato da capo, senza preoccuparsi troppo di approfondire personaggi messi lì più che altro per la spettacolarità dei poteri, con il risultato che i poveri attori risultano alla fine dei pupazzetti lontani anni luce dai mutanti “veri”, inevitabilmente deludenti. E se il povero Armando “Darwin” Muñoz è quello che si becca il trattamento peggiore pur essendo virtualmente immortale (d’altronde il personaggio attualmente milita in X – Factor, e a parte gli aficionados chi è che conosce anche solo lontanamente questa interessantissima formazione?), gli altri non se la cavano meglio. A parte i tre protagonisti principali, infatti, sono solo Bestia, Mystica e Banshee (stupenda la scena in cui, da bravo cattolico irlandese, si fa il segno della croce prima di provare a volare) a venire dotati di una qualche personalità un po’ più approfondita e a non distaccarsi troppo dai personaggi Marvel “storici” (anche se un legame tra Raven e Hank o Charles non è mai esistito!). Di Havoc viene mantenuta la difficoltà iniziale nel controllo dei poteri e persino la tutina contenitiva con tanto di cerchi concentrici sul petto, ma mi sorge spontanea una domanda: perché diamine era in galera e non in un orfanotrofio con il fratellino Ciclope? Mah. Per quanto riguarda Angel Salvadore, le sarebbe piaciuto a ‘sta buzzicona fare la fighetta spogliarellista nei fumetti, e anche sputare fuoco invece di muco corrosivo; peccato che la mutante in questione sia stata abbellita per il pubblico maschile e trasformata in una graziosa e sexy follettina, quando in realtà era un’orrenda e cicciona ragazza - mosca creata nel periodo in cui era quel pazzo di Grant Morrison a scrivere le storie degli X – Men. E se ad Angel è andata bene, purtroppo deve ancora nascere l’attrice col carisma necessario ad interpretare la meravigliosa Emma Frost: bellissima, glaciale, stronza, imperturbabile e capace di imprevedibili picchi di rara umanità, se continueranno ad usarla come personaggio secondario non ne coglieranno mai l’essenza e ogni sua versione cinematografica sarà sempre una ciofeca. Mi perplime anche l’idea di affiancare a Shaw, con tutti i villain che c’erano, proprio due personaggi come Azazel e Riptide: il primo, nei comics è una sorta di demone infernale, padre di Nightcrawler (devo quindi dedurre che nei seguiti lo vedremo accoppiato a Mystica?!?) comparso giusto per qualche numero; il secondo in realtà non crea dei veri e propri uragani, come nel film, ma è semplicemente in grado di roteare molto velocemente e di produrre secrezioni ossee che usa come proiettili da lanciare contro i nemici. Siccome il personaggio è uno dei mille e pluriclonati Marauders di Sinistro, singolarmente non è mai servito molto all’economia delle storie. Last but not least, Moira McTaggert, qui una banalissima agente americana della CIA, in realtà una genetista assai superiore allo stesso Charles Xavier e, per qualche tempo, anche fidanzata di Banshee. Uno splendido, umanissimo e testardo personaggio, purtroppo fatto morire ormai parecchio tempo fa, il cui spirito indomito non viene affatto rappresentato nel film.



In definitiva, non so cosa avrete capito di questo lungo e nerdissimo sproloquio, quindi gira che ti rigira la cosa importante della recensione ve la metto in neretto: come ho detto all’inizio, nonostante ovvie imperfezioni e “mancanze”, X – Men: l’inizio è comunque un bel film, ben girato e in gran parte ottimamente interpretato, in grado di mescolare azione e riflessione, consigliato ai fan e anche a chi non conosce i mutanti Marvel. Insomma, guardatelo, damn it!



Del regista Matthew Vaughn ho già parlato in questo post; la pellicola avrebbe dovuto essere diretta da Brian Synger, già responsabile di X – Men e X2, che per colpa di impegni pregressi è rimasto solo come produttore. Passando agli attori, James McAvoy (Charles Xavier) lo trovate qua, il bellissimo Michael Fassbender (Erik “Magneto” Lehnsherr) lo trovate qui e infine del buon Kevin Bacon (Sebastian Shaw) ho parlato qua. Tra le guest star segnalo Ray Wise nei panni del segretario di stato e l’apparizione a sorpresa di Hugh Jackman nei panni di Wolverine, ovviamente!

Oliver Platt interpreta l’agente della CIA che per primo accoglie Xavier. Canadese, lo ricordo per film come Una donna in carriera, Linea mortale, Beethoven, Proposta indecente, il tamarrissimo I tre moschettieri della Disney, Il Dottor Dolittle e il commovente L’uomo bicentenario, inoltre ha partecipato alle serie Miami Vice e Nip/Tuck. Anche produttore, ha 51 anni e due film in uscita.



Rose Byrne interpreta Moira McTaggert. Australiana, ha partecipato a film come Star Wars: Episodio II - l’attacco dei cloni, Troy, Maria Antonietta e 28 settimane dopo. Ha 32 anni.



Jason Flemyng interpreta Azazel. Inglese, lo ricordo per film come Mowgli – Il libro della giungla, Rob Roy, Deep Rising – Presenze dal profondo, Lock & Stock, Snatch, La vera storia di Jack lo squartatore, La leggenda degli uomini straordinari, Stardust, Mirrors – Riflessi di paura, Il curioso caso di Benjamin Button e Kick – Ass. Ha 45 anni e un film in uscita.   



Tra gli altri attori presenti nel film segnalo Zoe Kravitz (figlia di Lisa Bonet e Lenny Kravitz) nei panni di Angel Salvadore e Rebecca Romijin, già presente nei primi tre film dedicati agli X – Men, nei panni della Mystica più “vecchia” che si vede per qualche istante nel letto di Erik. Sempre a proposito di Mystica, per il ruolo era in lizza anche Amber Heard, la protagonista di The Ward di John Carpenter, mentre per quanto riguarda Sebastian Shaw, l’indecisione era tra Colin Firth e Kevin Bacon, ma ha vinto il secondo in quanto, pare, più minaccioso. Se vi è piaciuto X – Men: First Class preparatevi al seguito, previsto nel 2014, e nel frattempo guardatevi gli altri quattro film dedicati al gruppo mutante. E ora vi lascio con il trailer originale del film... ENJOY!!!


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