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martedì 1 aprile 2025

The Monkey (2025)

Pur avendo una scimmia sulle spalle epica (d'altronde...), ho purtroppo dovuto aspettare fino a mercoledì scorso per vedere The Monkey, diretto e sceneggiato dal regista Osgood Perkins partendo dal racconto La scimmia di Stephen King.


Trama: Hal e il gemello Bill trovano, tra i ricordi del padre, una scimmia a molla. Il giocattolo, purtroppo, ha una caratteristica terrificante: dopo aver girato la chiavetta che lo mette in moto, qualcuno è condannato a far una morte orribile...


Ho sempre pensato che il modo migliore di approcciare le opere di Stephen King, se non si è Frank Darabont , Rob Reiner o Mike Flanagan, fosse di battersene le palle del rispetto verso il Venerabile e prendersi tutte le libertà del mondo. Ciò vale, ovviamente, solo quando i soggetti finiscono nelle mani di registi e sceneggiatori con una fortissima personalità, altrimenti i risultati sono oscenità come L'acchiappasogni. Stanley Kubrick, con Shining, ha fatto un capolavoro, Osgood Perkins ha tirato fuori la supercazzola più divertente, folle e centrata dell'anno, partendo da un racconto breve di Stephen King che, come tutte le sue opere più riuscite, trasforma un oggetto normalissimo, quasi ridicolo, in un orrore da gelare il sangue. La scimmia è uno dei racconti Kinghiani che preferisco, nonché uno di quelli che mi fa più paura ancora oggi, ma sono io stessa consapevole che l'idea di una scimmia che batte i cimbali e causa la morte delle persone rischia di trasformarsi in una cretinata noiosissima, trasposta in film. Praticamente ne verrebbe fuori la versione scema di un Annabelle qualsiasi, con la scimmietta che, di tanto in tanto, ciccia fuori dal buio, a spaccarti le coronarie, uno jump scare dopo l'altro. Perkins, per fortuna, non è così banale e ha cestinato il serissimo soggetto proposto dalla casa produttrice, ben deciso a farne una commedia horror proprio per esorcizzare la consapevolezza che la morte è una delle cose più naturali, casuali e, sì, folli che esistano. Il regista, d'altronde, lo sa bene. Il padre, Anthony Perkins, è morto a 60 anni di polmonite causata dal virus dell'AIDS, la madre è morta l'11 settembre, era una dei passeggeri del volo 11 dell'American Airlines. Direi che Perkins la sua dose di morti "strane" le ha avute, e dopo anni passati a domandarsi il perché di una simile sfortuna, ha scelto di adottare una morale ben più filosofica, la stessa di cui si fa portavoce la serafica mamma Lois del film: quest'ultima balla coi figli dopo i funerali, Perkins ne ride prima, durante e dopo. Se pensate che le arzigogolate trame mortuarie di Final Destination fossero trattate con piglio ironico, dopo aver guardato The Monkey le paragonerete a Bergman e lo stesso racconto breve di King vi sembrerà Leopardiano.


The Monkey
riprende solo l'ossatura del racconto omonimo e l'idea di fondo, assieme ai nomi di alcuni protagonisti (mentre quelli di altri personaggi sono mutuati da alcune opere del Re, a mo' di omaggio). Il piccolo Hal trova una scimmia giocattolo tra i souvenir lasciati dal padre, un pilota d'aerei "buono a nulla" che da tempo ha abbandonato la famiglia e, come nel racconto, la scimmia è dotata del tremendo potere di causare una morte misteriosa ogni volta che la sua chiave viene girata, attivando il meccanismo musicale (un tamburo nel film, al posto dei cimbali, per motivi di copyright). Partendo da questo canovaccio di base, Perkins costruisce una trama fatta di crudeltà immotivate e traumi insanabili, popolata di personaggi che sarebbero stati perfetti all'interno di un episodio di Twin Peaks e che incarnano, anche quelli che compaiono solo pochissimi secondi, l'insensatezza del mondo in cui viviamo. A tutti quelli che non riconoscono Osgood Perkins all'interno di The Monkey, ricordo che, pur essendo molto meno estremi e caricaturali, già i personaggi di Longlegs mostravano caratteristiche "Lynchiane", e l'umorismo nero è sempre stata una cifra stilistica dell'Autore. Qui, Perkins si è ritrovato a calcare molto la mano, ma la trovo una scelta sensata. L'episodio de I Griffin in cui Stephen King propone all'editore una lampada assassina sottolinea ironicamente la passione del Re per i più sciocchi veicoli di morte, espressione della trivialità dell'esistenza e di quell'"oh cazzo!" che ci sorprende quando stiamo per arrivare al capolinea. Se esiste un Dio, e se permette che persone a caso muoiano nei modi più svilenti e stronzi, ha senso anche che una persona traumatizzata dal lutto possa elevare una scimmia giocattolo a divinità del caos, che il nostro destino sia manipolato da uno dei Cavalieri dell'Apocalisse, che un prete non abbia assolutamente idea di cosa dire di fronte all'assurdità di una vita stroncata, comportandosi da scemo. D'altronde, siamo circondati da scemi. A casa, al lavoro, per strada, nei negozi, online, in politica, nei centri di potere. La stupidità, in primis la nostra, è spesso causa di morti insensate, quindi tanto vale riderne, non abbiamo comunque la possibilità di farci nulla.


La volontà di calcare la mano sul grottesco si traduce in morti tremendamente splatter ed effetti speciali volutamente caricaturali, ma non per questo meno validi. Perkins avrà anche realizzato The Monkey con piglio ironico, sicuramente divertendosi come un matto, ma ciò non significa che il film non sia curato dall'inizio alla fine in ogni sua inquadratura, a partire dai titoli di testa vintage; le geometrie e le simmetrie tanto care al regista non mancano, un paio di sequenze oniriche sono assai notevoli e l'uso dei colori e delle luci meriterebbe una seconda e persino una terza visione. Considerato che anche la colonna sonora è molto ironica e particolare (la cosa che vorrei davvero sapere da Perkins è perché abbia usato QUESTA spettacolare, vintaggissima canzone in apertura, colonna sonora di un film indiano chiamato The Great Gambler che, a quanto posso capire, non ha davvero nulla a che fare con l'argomento trattato in The Monkey. So già che amerei la risposta!), l'unico aspetto del film che fa davvero paura, almeno a me, è il sembiante orribile della scimmia, dotata di due espressioni entrambe terrificanti ed occhietti che sembrano volerti scrutare nell'animo prima di ucciderti senza pietà. Invece, il solo difetto che imputo a The Monkey è lo spreco di Elijah Wood, il cui personaggio sopra le righe promette faville ma risulta solo una parentesi weird tra una morte e l'altra. Certo, Ted è l'ennesimo bullo pieno di sé che il povero Hal incrocia sul suo cammino, e senza la sua "minaccia paterna" il rapporto tra il protagonista e il figlio non potrebbe evolversi, ma mentirei se dicessi che non mi sarei aspettata qualcosa in più. Pazienza, è davvero un dettaglio trascurabile all'interno di un film che mi ha divertita oltre misura, e fatta uscire dal cinema piena di gioia nonostante l'argomento trattato. Per me, che sono terrorizzata dalla morte, soprattutto dei miei cari, e che talvolta mi trovo vittima di attacchi di panico al pensiero di non esistere più da un momento all'altro, poterne ridere ed esorcizzarla per un'oretta e mezza è un enorme regalo. Speriamo che The Monkey mi trasmetta a lungo un po' della sua leggerezza fatalista!


Del regista e sceneggiatore Osgood Perkins, che interpreta anche zio Chip, ho già parlato QUI mentre Elijah Wood, che interpreta Ted, lo trovate QUA.

Theo James interpreta Hal e Bill. Inglese, ha partecipato a film come la trilogia di Divergent e serie quali Downton Abbey; come doppiatore, ha lavorato in X-Men '97. Anche produttore, ha 41 anni e un film in uscita. 


Tatiana Maslany
, che interpreta Lois è la She-Hulk titolare del MCU. Se The Monkey vi fosse piaciuto recuperate Tucker and Dale vs Evil e la saga di Final Destination. ENJOY!

venerdì 11 ottobre 2024

Salem's Lot (2024)

Appena possibile ho recuperato Salem's Lot, diretto e sceneggiato dal regista Gary Dauberman e tratto dal romanzo Le notti di Salem di Stephen King.


Trama: Ben Mears, scrittore in crisi d'ispirazione, torna a Salem's Lot, suo luogo di nascita. Lì scopre che la città e i suoi abitanti sono presi di mira da un antico vampiro...


Uno dei grandi misteri dell'horror recente sarà il motivo per cui questo Salem's Lot è rimasto nel limbo distributivo per ben due anni. Girato nel 2021, completato nel 2022, ha aspettato fino a fine 2024 per vedere l'uscita, per di più direttamente in streaming, sul servizio americano Max. Va bene il Covid, va bene lo sciopero SAG-AFTRA, ma secondo me è un ritardo comunque eccessivo. Sia come sia, Salem's Lot è finalmente arrivato, quindi com'è? Meno peggio di quanto pensassi ma comunque non un lavoro memorabile né capace di rendere finalmente giustizia a uno dei miei romanzi preferiti del Re. Il problema è sempre quello, probabilmente impossibile da evitare per chiunque non sia Mike Flanagan e non abbia a disposizione miniserie di almeno sei puntate: Salem's Lot manca di anima. E non parlo del film, ma della cittadina. Questa però è anche una delle note di merito che darei a Dauberman, perché, memore delle mattonate sui coglioni de Le notti di Salem televisive, lo sceneggiatore non ci ha nemmeno provato ad approfondire la natura della città, degli abitanti e le tante piccole magagne che fanno sì, come dichiarato dallo sceriffo Gillespie, che Salem's Lot fosse già morta "dentro" prima ancora dell'arrivo di Barlow. Questi approfondimenti, appunto, o si fanno bene o è meglio evitarli. Purtroppo, così facendo si hanno anche dei protagonisti e comprimari con lo spessore emotivo di un foglio di carta, al punto che la loro sopravvivenza o meno diventa poco importante (perlomeno, poco sentita dallo spettatore), per non parlare poi dei legami che arrivano a crearsi tra gli stessi. Nel nuovo Salem's Lot, l'unico personaggio leggermente tridimensionale è Matt Burke, gli altri sono dotati di maggior vivacità rispetto ad altre loro controparti televisive/cinematografiche ma è il loro unico pregio (anche stavolta, il mio personaggio preferito, il doloroso, cinico padre Callahan, è una macchia di colore che passa e va) quanto al Dr. Cody dà talvolta l'impressione di essere poco più di un comic relief. Barlow e Straker risultano invece cartonati, e il primo funziona nello stesso modo in cui funzionava quello del 1979, ovvero come mero veicolo di jump scare. L'intenzione di Dauberman era quella di privare la figura del vampiro di attrattiva, e la trovo lodevole, così purtroppo l'ha però prosciugata anche di carisma, ma c'è da dire che, per quanto riguarda Straker e il suo destino, lo sceneggiatore ha avuto un'unica, buona idea originale (che non vi spoilero), perfettamente in tema con la poetica kinghiana e il suo parterre di personaggi ai quali basta una spintarella minima per diventare matti in culo. 


Dunque il Dauberman sceneggiatore ci è andato cauto, tenendosi abbastanza fedele al testo da cui ha preso un paio di note di colore, ma senza allontanarsi troppo dai cliché dell'horror medio recente. A livello di regia ha un paio di belle intuizioni, come l'introduzione di Barlow attraverso la visione limitata di un bambino terrorizzato e il precedente rapimento dello stesso, oppure l'elegantissimo momento in cui basta il riflesso di una finestra per svelare un'umanità già perduta, e in generale è bravo quando si tratta di creare atmosfera e giocare a carte coperte. Più aumenta la consapevolezza dei personaggi, più a me è sembrato però che certe finezze si perdessero, e che Dauberman puntasse esclusivamente a "fare paura", con risultati discontinui, anzi più fallimentari che altro. I jump scare sono infatti prevedibili, lo showdown finale abbastanza sciocco (SPOILER: Nascondersi nei cofani delle macchine al drive-in? Ma mi tiri il belino, esistono le cantine, che senso ha? Alla faccia del caldo!) e il distacco emotivo derivante da personaggi poco approfonditi rende difficile il coinvolgimento anche nei momenti più concitati. Lì la colpa è anche di un casting poco efficace, forse. Lewis Pullman è un Ben Mears ancora più moscio di Hutch, con la differenza che David Soul a 36 anni sembrava già mio nonno, Mears all'epoca delle riprese non ne aveva nemmeno 30 e sembra un ragazzino al college, quindi risulta anche poco credibile. A parte il giovanissimo attore che interpreta Mike e il bravo Bill Camp, poi, appaiono tutti un po' spaesati o pronti a recitare col pilota automatico, anche se il vero spreco, per quanto mi riguarda, è aver ingessato quel gran bel fanciullo di Pilou Asbæk nei panni di old fart britannica, sprecandone il potenziale. Detto ciò, non posso dire che Salem's Lot non sia un prodotto ben confezionato, zeppo di difetti evidenti oppure noioso al punto da indurre al sonno, ma la mancanza di anima lo rende l'ennesimo horror dimenticabile e, passatemi il termine, inutile di questo 2024.


Del regista e sceneggiatore Gary Dauberman ho già parlato QUIAlfre Woodard (Dr. Cody), Bill Camp (Matt Burke), Spencer Treat Clark (Mike Ryerson), Pilou Asbæk (R.T. Straker) e William Sadler (Parkins Gillespie) li trovate invece ai rispettivi link.

Lewis Pullman interpreta Ben Mears. Americano, figlio di Bill Pullman, ha partecipato a film come The Strangers: Prey at Night7 sconosciuti a El Royale Top Gun: Maverick, Ha 31 anni e un film in uscita, Thunderbolts


Nicholas Crovetti
, che interpreta Danny Glick, è il gemello di Cameron, che interpreta il figlio di Homelander in The Boys, e assieme a lui aveva partecipato al dimenticabile remake di Goodnight MommyDerek Mears ha partecipato col ruolo di Hubert Martens, ma le sue scene sono state tutte tagliate in fase di montaggio. Se Salem's Lot vi fosse piaciuto recuperate Le notti di SalemIt e It - Capitolo 2. ENJOY!

mercoledì 9 ottobre 2024

Le notti di Salem (1979)

Siccome mentre sto scrivendo queste righe manca pochissimo all'uscita streaming della nuova versione diretta da Gary Dauberman, ho deciso di riguardare Le notti di Salem (Salem's Lot), miniserie diretta dal regista Tobe Hooper nel 1979 e tratta dal romanzo omonimo di Stephen King.


Trama: lo scrittore Ben Mears torna nella cittadina di Salem's Lot per scrivere il suo nuovo romanzo, proprio nel momento in cui un vampiro pluricentenario la sceglie come covo e terreno di caccia...


Mamma mia, la monnezza che ho visto. Monnezza "ridotta", ma pur sempre tale. E ringrazio, per una volta, tutti gli dèi per l'esistenza di una divisione in zone per DVD e BluRay, il che impedisce al DVD acquistato in Australia, contenente la versione da 183 minuti de Le notti di Salem, di funzionare in Italia, cosa che mi ha costretta ad accontentarmi del film da 112 minuti recuperato al Libraccio. Ricordo benissimo di essermi addormentata, in Australia, durante la visione della miniserie, e ho dovuto usare spesso il tasto rewind anche stavolta, benché abbia cominciato alle 20.30, dopo una giornata neppure tanto stancante. Il problema de Le notti di Salem è che è soporifero da matti, a prescindere che sia una mattonata di miniserie o una sua riduzione pensata per i cinema europei, un'opera che ridefinisce il concetto stesso del "non succede nulla". L'enorme problema è la scelta (salvo alcuni cambiamenti di personalità, scambi di personaggi e altre "libertà" che, di per sé, nulla toglierebbero alla qualità dell'adattamento) di seguire pedissequamente lo spirito di un romanzo che vive delle esistenze private degli abitanti di Salem's Lot, molti dei quali già diretti verso l'oscurità prima ancora dell'arrivo dei malvagi Barlow e Straker. Ciò che su carta è entusiasmante, reso vivo dall'abilità Kinghiana di realizzare opere corali ambientate nelle piccole cittadine, su pellicola rallenta tantissimo il ritmo del racconto (questo non solo nella versione "ridotta", dove alcune storie sembrano non portare da nessuna parte, in primis quella del cornuto Sawyer e della moglie fedifraga, ma anche nella lunghissima miniserie), al punto che quando i vampiri arrivano è già passato l'interesse, e la loro presenza centellinata non aiuta. Personaggi importanti come Padre Callahan e il piccolo Mark, per esempio, sono due macchiette le cui peculiarità servono solo per dare una nota di colore, tanto che la questione della fede del prete si riduce a due parole dette en passant prima che quest'ultimo scompaia dalla storia senza lasciare traccia, e anche il trauma subito da Ben proprio per colpa di Casa Marsden è talmente posto male che perde di qualsiasi importanza, al punto che ci si chiede perché mai lo scrittore sia così ossessionato dall'edificio (un'altra delle case maligne di King, la cui sola presenza basta ad avvelenare tutto ciò che entra in contatto con loro, ma se non avessi letto il romanzo o non conoscessi il Re non sarei riuscita ad evincerlo guardando Le notti di Salem). 


Mi sono chiesta spesso perché mai un adattamento così malfatto sia assurto a livello di cult e mi sono risposta che moltissima gente l'avrà guardato solo nel 1979 e probabilmente conserverà lo stesso ricordo che ho io della miniserie di It (un'altra di quelle opere che, riviste con occhi scevri di nostalgia, esce con le ossa rottissime). Capisco però anche perché molti registi lo apprezzino e lo citino ancora oggi, visto che un paio di sequenze hanno retto alla perfezione l'usura del tempo. La più famosa è, ovviamente, quella in cui un Ralphie Glick ormai vampirizzato va a far visita al fratello e bussa alla sua finestra; la tecnica con cui è stata realizzata, unita al trucco terrificante del pargolo e al taglio delle inquadrature, crea materiale da incubo, e anche il paio di jump scares che vedono Barlow protagonista, con quella pelle blu e gli occhi gialli, rimangono notevoli. Lo stesso aggettivo si può applicare alla scenografia di Casa Marsden, la cui splendida facciata posticcia, messa davanti a un edificio fatiscente, è costata, in dollari, l'equivalente di una casa vera acquistata all'epoca. Tutto il resto, purtroppo, è da dimenticare. Regia ed interpretazioni sono televisive nell'accezione più brutta del termine perché, salvo per quel paio di sequenze già citate, non c'è un'idea originale né un'immagine che sorprenda, solo un piattume infinito messo assieme da un montaggio impersonale, quanto agli attori stenderei un velo pietoso. David Soul sarà stato anche un ottimo manzo biondo in Starsky e Hutch ma qui sembra spaesato e, pur essendo il protagonista, non ha un briciolo di carisma. Per sua fortuna, chi lo affianca non ha alcun modo di eclissarlo, in quanto ogni attore sembra voler andare da punto A a punto B e recitare le battute giusto per portare a casa lo stipendio e infilare in curriculum una miniserie tratta dal romanzo di uno scrittore all'epoca giovane ma già sulla cresta dell'onda. Ho già capito, da un paio di anteprime, che il nuovo Salem's Lot sarà poco meno deludente, ma spero che almeno la presenza di quell'ottimo patatone di Pilou Asbæk mi impedirà di addormentarmi, così come spero di non dover rivedere mai più questa versione de Le notti di Salem.


Del regista Tobe Hooper ho già parlato QUI. Bonnie Bedelia (Susan Norton), George Dzundza (Cully Sawyer), Fred Willard (Larry Crockett) e Geoffrey Lewis ( Mike Ryerson) li trovate invece ai rispettivi link.

James Mason interpreta Richard K. Straker. Inglese, lo ricordo per film come E' nata una stella, Intrigo internazionale, Lolita e Il verdetto. Anche produttore, sceneggiatore e regista, è morto nel 1984, all'età di 75 anni. 


David Soul
, che interpreta Ben Mears, era l'Hutch della serie Starsky e Hutch. George A. Romero era stato contattato per dirigere un film tratto da Le notti di Salem, ma dopo che erano stati annunciati sia il Dracula con Langella, sia Nosferatu - Il principe della notte, la Warner Bros. ha deciso di realizzare una miniserie, cosa che ha spinto Romero a rinunciare. Le notti di Salem ha una sorta di sequel, I vampiri di Salem's Lot, e un remake, Salem's Lot, miniserie del 2004. Nell'attesa della più volte posticipata versione di Dauberman, se il genere vi piace recuperateli e aggiungete la serie Chapelwaite. ENJOY!

venerdì 9 giugno 2023

The Boogeyman (2023)

Siccome è miracolosamente giunto anche a Savona, potevo forse perdermi The Boogeyman, diretto dal regista Rob Savage e tratto dal racconto Il baubau di Stephen King?


Trama: dopo la morte della madre, due sorelle devono affrontare una terribile entità omicida che predilige i luoghi bui per nascondersi...


Con la visione di The Boogeyman partivo molto prevenuta. Il baubau è uno dei racconti kinghiani che preferisco, nonché uno di quelli che mi terrorizzano di più, mentre Rob Savage, dopo il bell'exploit di Host (horror girato con due lire in pandemia, sfruttando le limitazioni da lockdown), ha rischiato che andassi a prenderlo a sberle per aver realizzato quella fonte di nervoso a propulsione atomica di Dashcam (horror girato con due lire in pandemia, sfruttando una vlogger realmente esistente e assai discutibile a livello di "idee") e, di base, non aveva mai messo la cinepresa al servizio di una sceneggiatura che prevedesse un impianto visivo classico. A tal proposito, la sceneggiatura che è arrivata dalle mani di Scott Beck e Bryan Woods, autori di A Quiet Place, e Mark Heyman, che ci aveva deliziati con Il cigno nero, è il bignami di ogni horror a misura di teenager girato negli ultimi 23 anni, quindi alla faccia dell'impianto classico. Il racconto di King (lungo una decina di pagine) viene utilizzato come "causa scatenante" di tutto ciò che accade alle sorelle Sadie e Sawyer e, sul finale, diventa una strizzata d'occhio a chi lo ha letto prima di vedere il film, per il resto tutto è stato inventato di sana pianta. L'intento degli sceneggiatori è stato quello di omaggiare comunque il Re ricreando le atmosfere a lui tanto care, fatte di famiglie distrutte non solo da eventi luttuosi o avversi, ma anche dalla mancanza di comunicazione tra i membri delle stesse, e di ragazzi costretti a crescere in fretta e, spesso, in totale solitudine o quasi; il risultato è una storia prevedibile dall'inizio alla fine ma ugualmente gradevole, con due giovani protagoniste per le quali è facile empatizzare, scritte con in mente adolescenti e bambini "veri", non dei semplici cliché (altra storia sono le amiche di Sadie, che toglierebbero fiducia verso l'umanità persino a un santo, se esistessero davvero).


In tutto questo, Savage fa il suo mestiere e sfrutta ogni elemento a sua disposizione per inquietare lo spettatore, a partire dalle peculiari caratteristiche di questo baubau, il quale non solo si acquatta nel buio (quindi, virtualmente, in ogni anfratto dell'enorme casa di Sadie e Sawyer) ma sfrutta anche il dolore delle sue vittime, attirandole allo scoperto nei modi più bastardi. Il risultato è una corsa sulle montagne russe di tensione perenne, non solo quando il mostro titolare, ancora senza volto, si limita a terrorizzare i malcapitati annunciandosi come mera "presenza" più mentale che fisica, ma anche quando si manifesta in tutta la sua eccelsa bruttezza, con una CGI che, per una volta, non fa grandi disastri. Ho molto apprezzato anche l'uso delle luci, con la furbissima lampada rotolante ahimé ampiamente spoilerata nel trailer, e un paio di sequenze in cui le fonti di illuminazione più fioche ed inusuali diventano indispensabili baluardi di salvezza, per quanto precaria, mentre un montaggio intelligente contribuisce a rendere ancora più efficaci ed inaspettati i jump scare. Su tutto, però, ho apprezzato l'utilizzo (in un cast di attori comunque molto bravi, protagoniste in primis) della splendida faccia di David Dastmalchian per interpretare Lester Billings, il protagonista originale del racconto, pur epurato di tutte le caratteristiche sgradevoli; nel giro di 5 minuti la sinergia tra attore e regista crea un pregevolissimo omaggio a Il baubau, capace di lasciare lo spettatore col fiato sospeso, soprattutto per quanto riguarda chi ha avuto la fortuna di fare la conoscenza della versione cartacea. Quindi bravo Savage, che ha realizzato un gradevole horror "commerciale", perfetto per quest'estate appena cominciata!


Del regista Rob Savage ho già parlato QUI. Chris Messina (Will Harper), David Dastmalchian (Lester Billings), Marin Ireland (Rita Billings) e LisaGay Hamilton (Dr. Weller) li trovate invece ai rispettivi link.


Sophie Thatcher
, che interpreta Sadie, è nel cast di Yellowjackets (serie che piace a tutti e che io non sono ancora riuscita a recuperare), mentre la piccola Vivien Lyra Blair, che interpreta Sawyer, è la Leila bambina della serie Obi-Wan Kenobi. La medium che si vede nel video che Sadie guarda su Youtube è quella del film Host, non a caso la interpreta la stessa attrice. Immagino che lo sappiate se siete lettori di questo blog, ma The Boogeyman non ha niente a che spartire con la trilogia iniziata nel 2005 col mediocre Boogeyman - L'uomo nero; nel caso vogliate vedere altri film come quello di Savage, vi consiglio quindi di recuperare The Babadook, Antlers - Spirito insaziabile e Lights Out (li trovate tutti a noleggio su Prime altrimenti, se avete un abbonamento, il primo è sul canale Midnight Factory e il secondo su Disney +). ENJOY!

venerdì 20 maggio 2022

Firestarter (2022)

Il multisala e i soliti amici hanno collaborato ben poco, ma sono lo stesso riuscita a guardare Firestarter, diretto dal regista Keith Thomas e tratto dal romanzo L'incendiaria di Stephen King.


Trama: quando Charlie perde il controllo dei suoi poteri pirocinetici, lei e il padre sono costretti a fuggire da un'organizzazione che li vorrebbe studiare per i loro scopi...


Per Firestarter mi ero preparata guardando il film tratto da L'incendiaria nel 1984 (quello col nome troppo lungo da scrivere), visto che il romanzo l'ho letto non troppi mesi fa e lo ricordavo ancora abbastanza bene, ma dopo pochi minuti dalla visione mi sono resa conto che prepararsi non serviva a granché, visto che Firestarter non segue alla lettera le due opere che l'hanno preceduto. Per carità, il canovaccio è sempre quello, dagli anni '80, con Charlie e suo padre costretti a fuggire da chi vuole sfruttarne i poteri, ma mentre in passato ci si focalizzava molto sulla cosiddetta Bottega e sulla battaglia per l'anima di Charlie, combattuta tra il padre e la terribile combo Cap Hollister/John Rainbird, qui il fulcro dell'intera faccenda è proprio Charlie, una ragazzina ben più grande della frugola interpretata da Drew Barrymore, che non ci sta tanto a farsi comandare o guidare da chicchessia. La Charlie del 2022 è molto più vicina, concettualmente, a un mutante della Marvel o a uno dei ragazzini di Stranger Things (e qui si crea un bel cortocircuito visto che la serie Netflix pesca a piene mani dall'immaginario Kinghiano, Incendiaria e Carrie in particolare): percepisce la sua stranezza, ne soffre, conduce una vita scolastica a dir poco aberrante ma, allo stesso tempo, capisce che il suo potere la rende superiore ad altri e lo fa diventare il veicolo per sfogare la sua frustrazione crescente, la sua rabbia. La Charlie degli anni '80 non controllava il suo potere ma non era bizzosa, quella del 2022 non riesce a tenere a bada il suo potere neppure davanti a episodi stupidi, e la sua natura resta avvolta da un'aura di ambiguità anche sul finale, diametralmente opposto rispetto a quello del libro e assai aperto all'incertezza di quale sarà la strada che la giovane deciderà di percorrere. Questo non è il solo cambiamento effettuato in fase di sceneggiatura, la quale, tra le altre cose, concede un po' più di spazio alla madre di Charlie e fornisce un diverso background a Rainbird, ciò nonostante anche questa volta il risultato è più superficiale di quanto avrei voluto e condanna Firestarter a soffrire diversi problemi di ritmo, che lasciano lo spettatore a bocca asciutta proprio sul più bello.


Nonostante gli innegabili difetti, comunque, Firestarter non mi è dispiaciuto. Ryan Kiera Armstrong è la cosa migliore del film e si porta dietro tutto il bagaglio accumulato nel corso delle riprese di American Horror Story: Blood Tide, dove anche lì la fanciulletta era la punta di diamante, impegnata nel ruolo di bambina resa malvagia dalla sua ambizione (e da una droga potente), un piccolo mostro detestabile ma comunque impossibile da odiare; qui, ovviamente, spesso e volentieri Charlie fa tenerezza, eppure quando la sua parte oscura si scatena non sfigurerebbe accanto alle varie Fenici e Wanda della Marvel, con l'aggiunta che qui si parla di un film della Blumhouse e i risultati dello sfogo dei suoi poteri si vedono eccome. Altra cosa molto bella di Firestarter sono le inconfondibili musiche create da Carpenter padre e figlio. Il primo avrebbe dovuto girare Fenomeni paranormali incontrollabili, poi non se n'è fatto nulla perché La Cosa è stato un flop al botteghino, ma stavolta ha potuto mettere mano almeno a una parte del film e, bisogna dirlo, è davvero una delle parti migliori. Dopo la visione di Firestarter, dunque, rimane un po' di amaro in bocca. I mezzi ci sarebbero stati, così come la bravura del regista e degli attori, tuttavia il risultato (benché migliore del film dell'84, ci mancherebbe anche) supera appena la sufficienza di una pellicola che difficilmente ricorderò la prossima settimana e che somiglia anche troppo al pilot di una serie... che, per carità, non mi dispiacerebbe neppure vedere. Chissà se qualcuno avrà la lungimiranza di allacciare la storia di Firestarter a quella di The Institute, creando un film o magari una serie à la Castle Rock


Di Zac Efron (Andy McGee) e Kurtwood Smith (Dr. Joseph Wanless) ho parlato ai rispettivi link.

Keith Thomas è il regista della pellicola. Americano, ha diretto The Vigil. E' anche produttore e sceneggiatore.


Gloria Reuben interpreta il Capitano Hollister. Canadese, la ricordo per film come Lincoln e serie quali Alfred Hitchcock presenta, Flash, Lassie, Numb3rs, E.R. Medici in prima linea e Cloak and Dagger. Anche produttrice, ha 58 anni e un film in uscita. 


Come già scritto nel post, Ryan Kiera Armstrong era la cosa migliore dell'ultima serie di American Horror Story, dove interpretava la terrificante, odiosissima Alma. Se Firestarter vi fosse piaciuto recuperate Fenomeni paranormali incontrollabili, Carrie lo sguardo di Satana, Thelma, Chronicle e L'angelo del male - Brightburn. ENJOY!

mercoledì 11 maggio 2022

Fenomeni paranormali incontrollabili (1984)

Siccome domani dovrebbe uscire il nuovo Firestarter, ho deciso di recuperare Fenomeni paranormali incontrollabili (The Firestarter), diretto nel 1984 dal regista Mark K. Lester e primo film ad essere stato tratto dal romanzo L'incendiaria di Stephen King.


Trama: Andy e la figlia Charlie sono in fuga dagli uomini della Bottega, che li cercano per studiare e sfruttare i loro poteri psichici. In particolare, la Bottega è molto interessata a Charlie, dotata di una potentissima e incontrollabile pirocinesi...


Ci credete che, fino a pochi giorni fa, non avevo mai visto Fenomeni paranormali incontrollabili? Eppure, a ripensarci, era un film che passavano spessissimo in TV quando ero ragazzina, ma nonostante fosse tratto da un romanzo di King che ho letto parecchie volte non mi è mai venuto voglia di guardarlo. Ora posso dire che non è uno dei film Kinghiani "imprescindibili" e il motivo è presto detto, anche se probabilmente farà inorridire tutti i Fedeli Lettori: è identico al romanzo, che segue in maniera pedissequa dall'inizio alla fine. Come sappiamo, gli adattamenti "fantasiosi" sono spesso e volentieri il male e non sarò io a negarlo (qualcuno ha detto La torre nera? Qualcuno ha detto L'acchiappasogni?) ma anche inchinarsi al genio di King spesso fa più danni che il colera, soprattutto quando, come nel caso de L'incendiaria, inchinarsi davvero vorrebbe dire prendere l'abbondantissimo approfondimento psicologico di Andy, Charlie e persino Rainbird e costruirci sopra un film, altrimenti rimane solo un susseguirsi di eventi che, talvolta, presi da soli risultano monodimensionali, quando non addirittura noiosi. Sarà per l'atmosfera pesantemente anni '80 del film, ma è un po' difficile affezionarsi o provare interesse per le vicende di Andy (Charlie è un altro paio di maniche e ci mancherebbe. E' un topolino biondo con un musetto adorabile e l'attrice migliore del mucchio, nonostante i grandi nomi coinvolti), inseguito da agenti che sembrano uscire dritti da qualche episodio di Hunter, non solo anonimi ma proprio squallidi, perché viene poco approfondito il terrore del padre davanti a una figlia pericolosissima (anche l'episodio di Vicky viene relegato a una pennellata di colore) e, soprattutto, viene ignorata la fascinazione di Charlie verso un potere che la seduce e la rende libera, e che la terrorizza proprio per questo motivo.


In Fenomeni paranormali incontrollabili la "soddisfazione" di Charlie nell'utilizzare la pirocinesi viene ridotta a una sbruffonata da bimba, e così si perde un po' tutto ciò che sta dietro, lasciando che il film di Lester sia "semplicemente" una buona produzione dal budget importante, una pellicola che scorre liscia dall'inizio alla fine senza mai diventare memorabile. L'unica cosa davvero entusiasmante del film è il finale. Se pensate che Fenomeni paranormali incontrollabili è stato realizzato ormai quasi 40 anni fa, rimarrete a bocca aperta quando vi renderete conto che lo sfogo di Charlie nelle ultime sequenze non è invecchiato di un giorno; merito, ovviamente, di effetti speciali fisici e pericolosissimi, che hanno richiesto la presenza di vere palle infuocate attaccate a dei fili, stuntman che prendevano davvero fuoco, edifici che esplodevano realmente, il tutto con una Drew Barrymore troppo piccola per girare di notte e a volte sostituita da una controfigura. Il resto, in effetti, è un po' invecchiato maluccio, a cominciare dalla colonna sonora dei Tangerine Dreams, non particolarmente adatta se posso permettermi, per concludere con gli attori principali: George C. Scott ce la mette tutta ed è un villain molto intenso, per quanto leggermente weird, Martin Sheen invece è un cartonato privo del carisma necessario ad interpretare Cap Hollister e David Keith vive della luce riflessa della dolcissima Drew Barrymore, ma nelle scene in solitaria non regala particolari emozioni. In tutto questo, credo che Fenomeni paranormali incontrollabili sia da recuperare almeno una volta, se non altro per rimpiangere la bellezza del cinema artigianale dopo la scorpacciata di CGI che sicuramente saremo costretti a fare col film di Keith Thomas.


Di Drew Barrymore (Charlie McGee), Martin Sheen (Capitano Hollister), George C. Scott (John Rainbird) e Louise Fletcher (Norma Manders) ho già parlato ai rispettivi link.

Mark L. Lester è il regista della pellicola. Americano, ha diretto film come Classe 1984, Commando e Classe 1999. Anche produttore e sceneggiatore, ha 76 anni.


David Keith
interpreta Andrew McGee. Americano, ha partecipato a film come Ufficiale e gentiluomo, U-571, Men of Honor, Carrie, All Souls Day: Dia de los Muertos e a serie quali Happy Days, Oltre i limiti, Walker Texas Ranger, Più forte ragazzi e CSI: Miami. Anche regista, produttore e stuntman, ha 67 anni e un film in uscita.


Heather Locklear interpreta Vicky McGee. Americana, ha partecipato a film come Fusi di testa 2: Waynestock, Il club delle prime mogli,  Scary Movie 5 e a serie quali CHIPs, La famiglia Bradford, Fantasilandia, Love Boat, Dynasty, Melrose Place, Ally McBeal, Scrubs, Due uomini e mezzo, Hannah Montana; come doppiatrice ha lavorato in Batman e Hercules. Anche produttrice, ha 60 anni.


Il film avrebbe dovuto venire diretto da John Carpenter e scritto dallo sceneggiatore de La cosa, ma dopo il fallimento al botteghino del film, la Universal ha tolto loro dalle mani il progetto. Per quanto riguarda il ruolo di Charlie, la Barrymore ha vinto su nomi del calibro di Jennifer Connelly e Heather O'Rourke. Esiste un seguito del film, una miniserie televisiva dal titolo L'incendiaria che racconta le disavventure di Charlie dopo 10 anni e che vede tra gli attori protagonisti Dennis Hopper e Malcom McDowell nei panni di un redivivo John Rainbird. Onestamente, avrei paura a guardarla, quindi se Fenomeni paranormali incontrollabili vi fosse piaciuto potreste recuperare L'occhio del gatto. ENJOY! 


martedì 19 aprile 2022

L' allievo (1998)

Ultimamente ho deciso di riguardare L'allievo (Apt Pupil), diretto nel 1998 dal regista Bryan Singer e tratto dal racconto omonimo di Stephen King, contenuto nella raccolta Stagioni diverse. Con l'occasione mi faccio gli auguri ché oggi ridivento vecchia e quale modo migliore per festeggiare se non parlando del mio amore Stephen? 19, ka- tet...


Trama: all'ultimo anno di liceo, Todd Bowden scopre che l'anziano Kurt Dussander è un nazista che vive negli USA sotto falso nome e lo costringe a raccontargli gli orrori dei campi di concentramento, rimanendone influenzato...


Il primo giorno di lockdown, parliamo quindi di due anni fa, ho deciso di rileggere i libri di King in ordine cronologico. Ovviamente, tra nuove uscite che interrompono il percorso e il poco tempo a disposizione, non sono arrivata neppure ancora a metà, e in questo periodo sto leggendo Stagioni diverse. Siccome conosco a menadito sia Stand by Me che, soprattutto, Le ali della libertà, arrivata alla fine de L'allievo mi sono ricordata di avere visto il film soltanto una volta e mi è venuta la curiosità di riguardarlo. Non vorrei dire una bestialità, ma credo che all'epoca del passaggio televisivo de L'allievo non avessi ancora letto il racconto da cui è stato tratto e non mi sembra neppure che la pellicola di Singer mi avesse colpita in qualche modo; rivista oggi, continua in effetti a non suscitare in me chissà quale entusiasmo, ma di sicuro è una rilettura onesta di un racconto non facile, interpretata da due ottimi attori, ed è una spanna sopra rispetto al 90% delle scarsissime versioni cinematografiche delle opere kinghiane. Ho parlato di racconto non facile. Per una volta, posso sfoggiare un po' di conoscenza, essendo fresca di lettura, e scrivere con cognizione di causa. Il racconto (o novella, se preferite) L'allievo è un'opera che copre un periodo di parecchi anni e segue la crescita di Todd Bowden, ragazzino affascinato dalla storia e, soprattutto, dall'Olocausto, e il rapporto che si viene a creare con Kurt Dussander, anziano ex nazista che vive in America sotto falso nome; all'inizio, Todd viene connotato come un ragazzino intraprendente e petulante che, dopo aver scoperto la vera identità di Dussander, lo costringe a raccontargli gli orrori del nazismo fino a rovinarsi la vita per colpa degli incubi, ma qualcosa nella descrizione che ne fa King stona fin da subito e, man mano che Todd cresce, diventa chiara la sua natura di psicopatico in fieri, incapace di sottrarsi all'influenza del male. 


Quanto a Dussander, dopo la prima reazione di paura ed odio verso chi minaccia di distruggergli l'esistenza e un'apparente volontà di cancellare gli orrori di cui si è fatto carico in passato, arriva a diventare praticamente dipendente da Todd e a sfruttarlo come "scusa" per liberare le pulsioni deviate presenti in lui da sempre. Il racconto di King parla quindi di un male che alimenta altro male, di un grumo oscuro che, dal passato, esplode all'interno di una realtà all american, fatta di giovani ricchi e belli, genitori premurosi e scuole prestigiose, e lo fa utilizzando immagini terrificanti, senza risparmiare i dettagli della progressiva discesa nella follia di Todd e Dussander, a spese non solo di persone ma anche di animali. Ovviamente, la versione di Singer è molto più edulcorata e, passatemi il termine, "rassicurante" nonostante gli argomenti trattati. Anche in questo caso Todd (interpretato da un meraviglioso Brad Renfro. Parentesi nella parentesi: onestamente trovo inquietante che a un tredicenne sia stato affibbiato un ruolo così ambiguo. E sì, diciamo che L'allievo ha più di una scena dallo smaccato contesto omosessuale, il che è ancora più inquietante se si pensa alle accuse che sono piovute in testa a Singer nel corso degli anni) subisce l'influenza di Dussander e "coltiva" un male già presente dentro di lui, tuttavia il film non lo connota come futuro psicopatico: Todd uccide un essere umano, è vero, ma nonostante la freddezza lo fa più per autodifesa e voglia di pararsi il culo, e sul finale c'è un minimo di incertezza sul futuro del ragazzo, che potrebbe anche essere quello di diventare un semplice riccone faccia di merda consapevole del suo potere sugli altri e di poterla passare liscia praticamente in ogni occasione, non necessariamente un pazzo omicida.


Dal canto suo, Dussander mi è parso meno approfondito rispetto alla sua versione cartacea. Il fulcro dello sguardo di Singer è Todd, e il vecchio nazista (tremendamente patetico nella novella) sembra quasi un totem maligno la cui unica funzione è quella di fungere da mentore più o meno volontario del ragazzo. Probabilmente, questo succede perché Ian McKellen è magnetico e carismatico, non potrebbe essere un vecchio "normale" neanche volendolo, e l'abilità del regista e dello sceneggiatore sta proprio nel trovare un equilibrio perfetto, là dove qualcuno di meno esperto rischierebbe di farsi prendere la mano dalla grandezza dell'attore e spingere lo spettatore a provare sconforto o pietà per Todd, "schiacciato" da un tale mostro di malvagità. Anzi, grazie anche al montaggio, la reciproca influenza dei due personaggi risulta chiara quanto la loro duplice natura di vittima e carnefice, e la loro lotta per la supremazia, unita a una sorta di pericolosa fascinazione, eclissa senza problemi tutto ciò che li circonda, creando un microcosmo maligno i cui tentacoli toccano persone di cui ci importa veramente poco, Ed French in primis (sarà la faccia molla di Schwimmer che non aiuta? Il suo mustacchio da pederasta? Chissà), forse perché tutto ciò che esula dal cuore della vicenda, anche a livello tecnico, ha un sapore "televisivo" e non in senso buono. Con tutti i suoi pregi e difetti, trovo però che L'allievo sia un film abbastanza riuscito e mi fa un po' strano che non venga mai nominato quando si parla di adattamenti Kinghiani, ma forse il motivo è che, almeno in Italia, non si trova su nessuna piattaforma di streaming. E' un peccato, perché meriterebbe almeno una visione.    


Del regista Bryan Singer ho già parlato QUI. Ian McKellen (Kurt Dussander), Joshua Jackson (Joey), Ann Dowd (Monica Bowden), Bruce Davison (Richard Bowden), David Schwimmer (Ed French) e Elias Koteas (Archie) li trovate invece ai rispettivi link.

Brad Renfro interpreta Todd Bowden. Americano, ha partecipato a film come Il cliente, Sleepers e Ghost World. Anche sceneggiatore e produttore, è morto nel 2008, all'età di 25 anni.


Nel 1984 era in progetto la realizzazione di un film tratto da L'allievo, con James Mason nei panni di Dussander; la morte dell'attore ha fatto sì che il ruolo venisse proposto a Richard Burton, che purtroppo è venuto a mancare prima di poter anche solo accettare. L'allievo è stato poi quasi realizzato nel 1987 (c'erano Ricky Schroder nei panni di Todd Bowden e Nicol Williamson in quelli di Kurt Dussander, ed era diretto da  Alan Bridges) ma la realizzazione è stata fermata a dieci giorni dalla fine delle riprese a causa del superamento del budget. Per quanto riguarda la versione di Singer, Anthony Hopkins ha rifiutato il ruolo di Dussander, mentre Kevin Pollak ha perso contro David Schwimmer per il ruolo di Ed French. Ciò detto, consiglio ovviamente il recupero della raccolta Stagioni diverse! ENJOY!

venerdì 8 novembre 2019

Doctor Sleep (2019)

Alla faccia di un battage pubblicitario foriero di paragoni ingrati, lunedì ho dato fiducia a Mike Flanagan, regista e sceneggiatore di Doctor Sleep, tratto dal romanzo omonimo di Stephen King.


Trama: Danny Torrance è cresciuto ed è caduto vittima degli stessi problemi del padre, in primis l'alcolismo, per mettere a tacere i fantasmi della luccicanza. L'uomo dovrà ricorrere nuovamente a quel pericoloso potere per aiutare Abra, ragazzina potentissima, finita nelle mire dei vampiri psichici conosciuti come Il Vero Nodo.


So che è troppo facile salire sul carro dei vincitori col senno di poi ma, onestamente, io di Flanagan non ho mai dubitato, nemmeno in questo caso. Era sufficiente mantenere il sangue freddo davanti a trailer ingannevoli che citavano a piene mani l'inarrivabile capolavoro di Stanley Kubrick e ricordare che Flanagan aveva portato a casa il miglior adattamento esistente de L'incubo di Hill House, magari rileggendo nel frattempo un romanzo che nel 2014 mi era sembrato di una faciloneria imbarazzante, ma lasciato decantare per cinque anni è riuscito a toccarmi nel profondo (salvo per il finale. Niente, lo zio King probabilmente arriva alla fine della stesura dei romanzi e pensa "e mo'? La buttiamo in caciara, dai"), per arrivare ad aspettare Doctor Sleep come si fa con Halloween (no, il Natale no). Ho avuto ragione e non ne dubitavo, come ho detto. Tagliamo subito la testa al toro. Doctor Sleep NON è Shining, non potrà mai esserlo. Flanagan non è Kubrick e non intende sostituirsi al genio inglese, inoltre bisogna anche ricordare che lo Shining cinematografico che amiamo ha ben poco di Stephen King ed è stato aspramente criticato dallo scrittore, mentre Doctor Sleep è molto fedele al romanzo di partenza, almeno fino al terzo atto, durante il quale per forza di cose lo sceneggiatore ha dovuto apportare dei cambiamenti. Ma ne parlerò un po' in zona spoiler, più avanti, perché mi sono sembrati molto interessanti e gradevoli. Sempre nel terzo atto, a scanso di equivoci, la presenza di Shining si fa più preponderante ma echi del film di Kubrick riverberano nel corso dell'intero film; al di là di alcune scene più o meno ricostruite e dei fantasmi che perseguitano Danny da bambino, c'è proprio la vecchia colonna sonora fatta di stridii acuti e battiti cardiaci che si mescola alla nuova, oppure un determinato stile di riprese, per non parlare poi di alcuni dettagli scenografici, come se Shining e, per estensione, il terribile passato del protagonista, non volesse lasciarci andare davvero e continuasse a perseguitarci. E' una scelta stilistica finissima, che non va intesa come mero "omaggio" o "plagio", bensì come componente necessaria di un film che per buona parte della sua durata evita di entrare in un territorio scomodo, come del resto fa il protagonista.


A proposito del protagonista, Danny Torrance è cambiato. Non è più il bambino dolce e spaventato degli anni '80, ma è diventato un uomo pieno di problemi che cerca di annegare nell'alcol assieme alla luccicanza. Bastano pochi tocchi a Flanagan per renderlo umano, fragile e credibile (non guasta il fatto di avere a disposizione un attore come Ewan McGregor, al quale da un po' non capitava un ruolo così bello), per accogliere con gioia la parentesi di pace come Doctor Sleep e tutte le piccole stranezze che accadono intorno a Danny, in primis il rapporto privilegiato con la morte degli anziani pazienti che gli vengono affidati, poi l'amicizia a distanza con la piccola Abra. Ora, la "luccicantissima" Abra è protagonista del peggiore plot twist kinghiano di sempre e fortunatamente Flanagan a questo si sottrae completamente, mantenendo invece intatto il carattere di un personaggio forte, di un'eroina cresciuta con modelli letterari e fumettistici ben precisi (ma quant'è bella l'inquadratura dell'action figure di una simil-Tempesta?). Abra è tosta, Abra è spietata, Abra non se la fa menare nemmeno quando in scena appare LEI, il personaggio che potenzialmente avrebbe potuto essere trashissimo, caricato all'inverosimile, vittimizzato da un'orrida CGI (un unico lunghissimo canino in mezzo alla faccia, ci pensate? Brrr) e che invece si mangia da solo l'intero film. Rebecca Ferguson nei panni di Rose Cilindro è una gioia per gli occhi. Lo è non solo perché Flanagan ha deciso di optare per un look più gipsy nel rappresentare i membri del Vero Nodo (nel romanzo sono la quintessenza dell'americano medio), rendendo Rose ancora più bella e misteriosa, ma perché Rebecca Ferguson ci mette l'anima e dà vita a un personaggio affascinante e sicuro di sé, gVande e teVVibile come l'Oz di Pet Sematary e allo stesso tempo fragile e umanissimo, terrorizzato dallo scorrere del tempo al punto da diventare un mostro. Le scene in cui Rose è protagonista sono semplicemente splendide, in particolare i confronti mentali tra lei e Abra sono realizzati in modo così elegante ed inventivo che Dark Phoenix dovrebbero eliminarlo e farlo rigirare per intero da Flanagan.


Flanagan è riuscito in un piccolo miracolo come pochi altri eletti in ambito Kinghiano. Senza scomodare l'autorialità di Kubrick e De Palma, Doctor Sleep si avvicina molto alle splendide opere di Frank Darabont: cinema onesto, "commerciale", rispettoso della fonte principale ma anche pronto a limare, cambiare e aggiungere dove necessario, com'è giusto che sia, senza snaturare il cuore dei personaggi e delle storie di King (Aggiungo che Flanagan mi pare un "vero credente", viste tutte le citazioni de La torre nera disseminate qui e là. E se non le avete colte siete persone male). E' qualcosa che gli è riuscito persino meglio che a Muschietti, e se è vero che adattare It è quasi impossibile, dall'altra parte c'è da ribadire che Flanagan ha avuto l'ingrato compito di infilarsi nelle scarpe di Kubrick, con tutto lo stuolo di fanZ di Shining ad alitargli sul collo per tagliarglielo al primo accenno di "vilipendio di infanzie o capolavori". Per questo vorrei ragionarci su ancora un po', entrando nel campo minato dello spoiler. A voi che siete arrivati a leggere fin qui dico che Doctor Sleep è uno degli horror (anche se di "spaventi" veri e propri ce ne sono pochi) o thriller sovrannaturali migliori dell'anno e che entrerebbe tranquillamente in un'ideale top 10 di adattamenti Kinghiani meglio riusciti, quindi andate a vederlo senza remore e preparatevi ad emozionarvi e persino a commuovervi.


SPOILER

Sì, il terzo atto di Doctor Sleep va per i fatti suoi. E' inevitabile, a causa di quel terribile cortocircuito mentale per cui Flanagan è stato costretto a cominciare il film là dove finiva lo Shining di Kubrick (quindi con un Overlook Hotel ancora in piedi e Dick Halloran morto con un'accetta conficcata nel petto) pur adattando un romanzo che segue lo Shining cartaceo (dove l'Overlook è bruciato e Dick ci ha rimesso solo la dentiera), cosa che per un attimo, essendo fresca di lettura, ha sconcertato anche me (alla domanda del mio compare "Ma non era morto, Dick?" ho risposto "Ma vah, è vivo", per poi prendermi a schiaffi da sola). Eppure, è un andare per i fatti suoi che migliora, e parecchio, il materiale di partenza omaggiando sia Kubrick che King, dando persino un intelligentissimo contentino a quest'ultimo, dal momento che il destino dell'Overlook e di Danny si compiono in maniera speculare a quella del Jack Torrance cartaceo. Una cosa che proprio non mi era piaciuta di Doctor Sleep, e che ho citato a inizio post, è la faciloneria della trama; nel romanzo non muore nessuno e nonostante la potenza del Vero Nodo i suoi membri vengono fatti fessi senza che i buoni ci rimettano. La cosa è assurda, anche perché il branco di "eroi" messo in piedi da King prevede un ex alcoolizzato, una ragazzina (per quanto potente), un vecchio e un paio di uomini comunissimi, che da soli sbaragliano vampiri psichici antichi come le piramidi. Nel film, grazie a Flanagan, anche i buoni muoiono. Muoiono coloro che, per bontà d'animo, decidono di aiutare i possessori di luccicanza, rimettendoci come già Dick Halloran ai tempi di Kubrick, perché il mondo è pieno di cose affamate e qualcuno deve venire masticato, anche se fa male. E questo pessimismo (nonostante un finale consolante che spezza il cuore) viene riproposto nella figura di Jack Torrance, il quale viene tirato fuori di peso dallo Shining cinematografico e privato di ogni possibile redenzione, dimostrando così l'invidiabile coerenza dell'operazione condotta da Flanagan, che dimostra di conoscere bene entrambe le fonti a sua disposizione. Nei libri, infatti, Jack cerca di combattere l'influenza dell'Overlook, come farà Danny alla fine di questo Doctor Sleep, e nel romanzo/sequel il suo fantasma è fondamentale per sconfiggere Rose; qui, invece, abbiamo il ritorno del Jack Torrance corrotto e interpretato magistralmente da Jack Nicholson, una scheggia minuscola del male profondo che abita l'Overlook, divorato dall'oscurità fin dalle prime scene di Shining perché lui, d'altronde, è "sempre stato lì". Il dialogo tra Jack e Danny al bancone del bar dell'Overlook, col primo che nutre ancora un profondo risentimento per la moglie e il figlio e cerca di far cadere quest'ultimo in tentazione, è qualcosa che magona e mette i brividi, più per il contenuto delle frasi di Jack che per quella scena storica e splendidamente omaggiata. E pazienza se l'ex Elliott fa un po' ridere nei panni di Jack Torrance. Di Jack Nicholson ce n'è uno solo e nessuno ce lo toglie, tranquilli. E a chi dovesse continuare a cianciare dell'"inutilità" di un sequel di Shining ricordo che in primis c'era il romanzo di King, il creatore di Danny Torrance, il quale ha voluto dare un futuro alla sua creatura, innanzitutto per curiosità personale e sì, anche affetto. Voi non vorreste sapere come crescono i vostri figli?

FINE SPOILER 


Del regista e sceneggiatore Mike Flanagan ho già parlato QUI. Rebecca Ferguson (Rose Cilindro), Ewan McGregor (Danny Torrance), Jacob Tremblay (Bradley Trevor), Carel Struycken (Nonno Zecca), Cliff Curtis (Billy Freeman), Bruce Greenwood (Dottor John), Carl Lumbly (Dick Hallorann) e Henry Thomas (Jack Torrance) li trovate invece ai rispettivi link.

Emily Alyn Lind interpreta Andy la serpe. Americana, ha partecipato a film come Enter the Void, J.Edgar, Comic Movie, Lights Out - Terrore nel buio, La babysitter e a serie quali Medium e Criminal Minds. Ha 17 anni e due film in uscita, tra i quali The Babysitter 2.


Zahn McClarnon interpreta Papà Corvo. Americano, ha partecipato a film come Rosso d'autunno, Bone Tomahawk  e a serie quali Tequila e Bonetti, Baywatch, Renegade, Walker Texas Ranger, Medium, Ringer e Fargo, inoltre ha lavorato come doppiatore ne Il mio vicino Totoro. Anche produttore, ha 53 anni e un film in uscita.


Robert Longstreet  interpreta Barry. Americano, ha partecipato a film come Always Shine, I don't Feel at Home in this World Anymore, Aquaman e a serie quali Dawson's Creek e Hill House. Anche produttore e sceneggiatore, ha tre film in uscita, tra cui Halloween Kills.


Danny Lloyd, il piccolo Danny dello Shining originale, compare sugli spalti come spettatore durante la partita di baseball, Alex Essoe, che interpreta Wendy, era la protagonista dello splendido Starry Eyes e la piccola Violet McGraw, che interpreta per l'appunto Violet, era la piccola Nell nel capolavoro di Flanagan, Hill House. Anche Catherine Parker, accreditata come Zittina Sarey, è una frequente collaboratrice del regista ed è comparsa in Absentia, Oculus - Il riflesso del male e Hill House. Detto ciò, se Doctor Sleep vi fosse piaciuto, consiglio l'ovvio recupero di Shining e di tutta la filmografia di Flanagan, che male non fa. ENJOY!

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