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mercoledì 31 maggio 2023

La sirenetta (2023)

La settimana scorsa sono andata a vedere il tanto vituperato La sirenetta (The Little Mermaid) live action tratto dal cartone Disney omonimo e diretto dal regista Rob Marshall.


Trama: la sirena Ariel si invaghisce del principe Eric e fa un patto con la strega del mare, Ursula, per diventare umana e potergli stare accanto...


Sono andata al cinema a vedere La Sirenetta a mo' di sfida, già convinta che mi avrebbe fatto schifo, non sarò così ipocrita da sostenere il contrario. Il trailer mostrava poche immagini confuse e scurette, il character design dei personaggi sembrava uscito dagli incubi di Lovecraft e la versione italiana "vantava" la presenza di Mahmood come doppiatore del granchio Sebastian, tre cose che, per me, importano assai più di una sirenetta di colore, questione che mi porta ad aprire una parentesi necessaria. Se ne discuteva proprio durante La sirenetta col mio compagno di visione: a meno che non si tratti di trasposizioni storico-letterarie strettamente legate all'ambiente e alla società dell'epoca che rappresentano, dove un protagonista di colore o etnia diversa ci sta come i cavoli a merenda (giustamente, lui citava il David Copperfield con Dev Patel), in un'opera "universale" e di pura fantasia come La sirenetta, avrebbero potuto anche usare un vulcaniano come protagonista e poco sarebbe cambiato. Che poi queste operazioni "inclusive" siano una bieca operazione commerciale e siano già sbagliate in partenza perché, ignorando le culture/i generi/le razze che vorrebbero includere, partono sempre da opere pensate da e per una classe media, bianca ed eterosessuale modificandole, è lapalissiano, ma perché dovremmo incazzarci proprio noi bianchi, middle class ed eterosessuali? Finché qualcosa non danneggia me od altri mentalmente e fisicamente, esiste sempre una furbissima alternativa, ovvero ignorare ciò che non piace, senza sputare merda e veleno su qualcosa che neppure conosciamo e che ci "offende", soprattutto se il ragionamento (leggere la maggioranza dei commenti negativi su internet per credere) parte essenzialmente da questa paura tutta millenial di vedersi stuprare l'infanzia perfetta e tutte le opere ad essa legate. La Sirenetta del 1989, se piace, è sempre lì e nessuno la tocca, nulla vieta al millenial 40enne di riguardarsela in loop come se fosse Quarto potere né di tramandarla alle nuove generazioni, e credo che le due opere possano tranquillamente coesistere; di più, il gusto dei bambini di oggi è diverso da quello dei loro coetanei dell'epoca, quindi non è detto che un live action non li entusiasmi maggiormente rispetto a un cartone animato, e questa è una cosa che dobbiamo accettare visto che, come scrive il Doc Manhattan QUI, il target di riferimento del film non siamo noi ma i bambini. 


Finito il Bollsplaining, parliamo un po' del film. Personalmente, non l'ho trovato spiacevole, anche perché la trama e alcune sequenze chiave sono rimaste sostanzialmente immutate, benché adattate al gusto moderno di cui sopra. Per esempio, ho apprezzato il tentativo di creare maggiore connessione tra Ariel ed Eric, uniti da un desiderio di libertà e nuove conoscenze che va oltre il "tu sei gnocca, io pure, amiamoci", e quello di approfondire un po' di più i due personaggi, rendendoli meno vuoti delle loro controparti animate. Interessante anche l'ambientazione dei Mari del Sud, che offre la possibilità di godersi un nuovo numero musicale particolarmente vivace e colorato e giustifica le etnie dei vari personaggi, dando anche una funzione alle svariate figlie di Tritone, ognuna guardiana di un particolare mare o oceano. La nuova Ariel, poi, non è un'offesa al buon gusto. E' vero, Halle Bailey non è una bellezza tradizionale, ma ha una voce della madonna (basta aprire Spotify per rendersene conto) e, nel complesso, il look che sfoggia nel film è selvaggio al punto giusto, perfetto per il carattere sognatore e avventuroso della Sirenetta e abbastanza "umano" da non renderla una sciocca bambolotta; se non altro, la fanciulla ha personalità da vendere a differenza di un principe un po' insipido, che col suo volto ordinario rischia di farsi dimenticare dopo dieci minuti dall'uscita della sala. A tal proposito, Part of Your World si conferma ricca di pathos anche nella sua versione live action e un altro numero musicale ben riuscito, inaspettatamente, è In fondo al mar, forse una delle sequenze più belle assieme a quelle del naufragio, il che mi porta a spezzare una lancia (Gesù, non posso farcela) in favore di Mahmood. Temevo mi sarebbero cadute le orecchie nell'ascoltare Sebastian parlare e cantare, invece il ragazzo ha scelto di farlo diventare un incrocio tra un sardo e Chris Griffin (rendendolo così meno spocchioso e più simpatico del Sebastian animato) e, forse bacchettato da chi supervisionava le canzoni o aiutato da un autotune migliore di quello che usa di solito, è riuscito ad arrivare alla fine di In fondo al mar e Baciala senza sbagliare nemmeno una nota né renderle inascoltabili come la Imagine ululata all'Eurovision. Anche Sebastian non è orripilante come lasciavano presagire le immagini promozionali e lo stesso vale per Flounder, nonostante gli siano rimasti un po' gli occhi della droga, ma le bestie più "belle" sono le murene di Ursula, talmente realistiche da mettermi i brividi ad ogni loro comparsa, visto il terrore atavico che ho per queste creature marine. 



Certo, La sirenetta non è esente da difetti e, purtroppo, si riconferma un prodotto comunque "medio", ennesimo esponente di un appiattimento disneyano che cozza, ironicamente, con la natura salvifica dell'opera originale. Rob Marshall non è James Cameron, l'unico regista in grado di rendere realistico un film acquatico realizzato interamente al computer, e su una scala di gradevolezza visiva che va da quell'omicidio oculare che era Slumberland ad Avatar - La via dell'acqua, La sirenetta sta molto sotto l'Aquaman di James Wan (e l'avevo predetto già nel 2019!). Ciò significa che le sequenze sottomarine prevedono spesso momenti in cui gli attori sembrano appiccicati con lo sputo ad un fondale posticcio e l'interazione tra persone in carne ed ossa e personaggi in CGI fa stridere i denti (ciò non accade, per esempio, nelle scene ambientate fuori dall'acqua e di giorno), per non parlare dell'orribile fotografia cupa e fumosa, in virtù della quale sembra tutto immerso in una nebbia perenne o un remake della telenovela Topazio; la principale vittima di questo mortale mix tra regia poco ispirata e fotografia terrificante è la canzone Acque inesplorate, che diventa al pari di un brutto video promozionale per la Sardegna realizzato dal governo Meloni, con protagonista un povero pistola che corre e si dimena manco avesse il granchio Sebastian nei pantaloni. Un'altra cosa che ha scatenato la mia ilarità è il modo in cui la popolazione sottomarina sia composta da modelle/i con capelli fluenti e colori brillanti che, una volta emersi in superficie, si trasformano nell'equivalente di cani bagnati, dei punkabbestia scappati di casa che privano di ogni poesia l'idea di tritoni e sirenette. Ciò detto, Javier Bardem è sempre un bel vedere (anche se nei duetti con Sebastian non potevo fare a meno di pensare alla scena del supermercato in Non è un paese per vecchi), mentre ho trovato che Melissa McCarthy fosse anche troppo paciosetta e bellina per interpretare Ursula, probabilmente anche per colpa di un doppiaggio che non rende giustizia al "vocione" della strega del mare versione 1989, una meravigliosa virago che di delicato aveva ben poco, voce compresa; a tal proposito, dispiace che Poor Unfortunate Souls sia stata "epurata" dei suoi versi più ironici, quelli in cui si sottolineava come le donne non debbano necessariamente parlare per piacere agli uomini, anzi, mentre Baciala ha subito modifiche talmente minime che i puristi non avranno di che lamentarsi (ma nessuno ha urlato al fish eater shaming per il mega taglio a Les poissons e allo chef francese?). Quindi, come al solito, tanto rumore per nulla. La sirenetta è l'ennesimo live action Disney che non aggiunge né toglie alcunché all'opera da cui è stato tratto, dunque per quanto mi riguarda è totalmente innocuo, se non addirittura inutile, e alla fine mi sono divertita guardandolo in sala... tutto, ovviamente, sta ad avere la giusta compagnia e predisposizione mentale, soprattutto se non avete pargoli da accompagnare!


Del regista Rob Marshall ho già parlato QUIMelissa McCarthy (Ursula), Javier Bardem (Tritone), Jacob Tremblay (voce originale di Flounder) e Awkwafina (voce originale di Scuttle) li trovate invece ai rispettivi link.


Maya Hawke ha partecipato all'audizione per il ruolo di Ariel ma non ha ottenuto la parte mentre RuPaul ha rifiutato quella di Sebastian perché non voleva usare un accento caraibico come quello del cartone originale. Occhio alla scena del mercato: la signora che offre ad Ariel un piatto e una forchetta è Jodi Benson, voce originale della Sirenetta nel film del 1989 e in tutte le opere da esso derivate. Ovviamente, se il film vi è piaciuto recuperate La sirenetta. ENJOY!

martedì 30 maggio 2023

La sirenetta (1989)

In occasione dell'uscita del tanto discusso remake live action, ho deciso di riguardare dopo decenni La sirenetta (The Little Mermaid), diretto e co-sceneggiato nel 1989 dai registi Ron Clements e John Musker, ispirati dalla fiaba omonima di Hans Christian Andersen.


Trama: Ariel, figlia minore di Tritone, Re del Mare, si invaghisce del principe umano Eric e stringe un terribile patto con la strega del mare per poter coronare il suo sogno d'amore...


La sirenetta è il primo prodotto del cosiddetto Rinascimento Disney, dopo un periodo di stanca in cui la Casa del Topo aveva perso molto del suo appeal commerciale e rischiava di chiudere i battenti. Vincitore di due premi Oscar (uno per la miglior Colonna Sonora Originale e uno per la canzone In Fondo al Mar), il film ha ridato letteralmente vita ai Disney Studios e ha spianato la strada a capolavori come La bella e la bestia, Aladdin e Il re leone, con Ariel a fungere da ponte di passaggio tra le "vecchie" Principesse Disney e quelle più moderne. Dico la verità, avevo visto La sirenetta già al cinema, quando avevo 8 anni, ma non mi aveva folgorata come La bella e la bestia; rivisto all'età di 42, sono riuscita a capire il perché, e ad apprezzare moltissimo la debordante Ursula, la quale avrebbe meritato un film tutto suo anche solo in virtù del suo essere un misto di Divine e Madame Medusa. Il problema de La sirenetta, guardato nell'anno del Signore 2023, è che Ariel sarà anche moderna, nella misura in cui si rende indipendente dal padre padron... ehm, Tritone ed accalappia il Principe Eric consapevole di volerlo e di essere una figa spaziale già all'età di 16 anni, però è proprio questo il punto: Ariel si innamora di Eric solo perché è bello e, nel giro di 30 secondi, lo elegge talmente ad amore della sua vita da decidere di abbandonare famiglia, voce e mare pur di farsi sposare. Almeno Belle e Jasmine, le sue sorelle più prossime, hanno modo di conoscere gli uomini di cui si innamorano e di interagire con loro in modo realistico, giustificando così la forza del loro sentimento! Il principe Eric non è migliore di Ariel, per carità, e fanno tanto sorridere i dialoghi tra lui e il suo tutore, quando quest'ultimo gli magnifica la dolcezza, arguzia, devozione della giovane fanciulla, che conosce da tre giorni ed è MUTA. La gente punta il dito sulla canzone "Baciala" (gente, che consenso dovrebbe ancora dare una che pende letteralmente dalle labbra del principe e si sporge per ricevere l'agognato bacio, con tutta la foresta che incoraggia entrambi, non solo Eric, a coronare il loro sogno d'amore?) ma è l'intero plot del film che sarebbe da rivedere un attimo e, come ho scritto sopra, l'unica degna di stima è Ursula, che ha la sola colpa di intortare le minchie di mare che fanno scelte sconsiderate e, al limite, di percularle dimenando le terga e sbattendo loro in faccia le sise prorompenti.


Messo un attimo da parte il cinismo di una 42enne, La sirenetta non dev'essere privato del suo reale valore. La colonna sonora di Alan Menken e i testi scritti da Howard Ashman, utilizzati per la prima volta come parte integrante della trama e non come mero accessorio, non hanno mai perso freschezza, ed emozionano oggi come nel 1989. Non si spiegherebbero, altrimenti, i brividi e il magone che mi prendono ogni volta che ascolto le prime note della dolcissima Part of Your World (che, chissà perché, in italiano è sempre stata solo "La Sirenetta"), né la voglia irrefrenabile di cantare In fondo al mar, ma anche il one woman show di Ursula con la sua Poor Unfortunate Souls è uno spettacolo, sia di musica che di animazione. La sirenetta è stato l'ultimo film Disney a venire realizzato quasi interamente con metodi di animazione e colorazione tradizionali e, nonostante alcune imperfezioni a livello di proporzioni (sia dei personaggi che delle singole parti del loro corpo, perché a volte la povera Ariel sembra macrocefala, mentre Sebastian cambia dimensioni a seconda di chi gli sta accanto), ha delle sequenze tuttora impressionanti ed iconiche; i movimenti di macchina durante i numeri musicali conferiscono dinamismo a quelli più sfrenati e pathos a quelli più tranquilli, l'uso dei colori è eccelso soprattutto durante le sequenze in cui dominano i toni cupi uniti ai rossi vividi o il verde/giallo malato delle vittime di Ursula, e il mondo sottomarino è composto da sfondi meravigliosi, punteggiati da miriadi di bolle disegnate da mani certosine. Anche il character design è assai gradevole e rispetta alla perfezione le personalità dei vari protagonisti, in primis quella della scoppiettante Ariel, sirenetta tutta occhioni che non smette un secondo di stare e ferma e di lasciarsi scompigliare i capelli fiammanti dall'acqua (altro bel trionfo di animazione!), però credo che la punta di diamante siano Flounder, Sebastian e Scuttle, perché non è assolutamente facile trasformare creature esteticamente poco accattivanti come granchi o gabbiani spelacchiati in personaggi dal design indimenticabile. Nell'attesa di vedere questo tanto vituperato remake, un recupero de La sirenetta credo ci voglia, ma il mio consiglio è quello di lasciare da parte il filtro della nostalgia e di gustarselo per quello che è, con tutti i suoi molti pregi e con qualche innegabile difetto che, chissà, magari il live action rimetterà a posto. D'altronde, dura DUE ORE E MEZZA contro l'ora e venti de La sirenetta, non avranno mica aggiunto solo della gran fuffa... o no? Ne parliamo domani!


Dei registi e co-sceneggiatori Ron Clements e John Musker ho già parlato ai rispettivi link.

In italiano: "sgualdrina". Alla faccia del MOIGE.

La voce originale di Re Tritone è quella di Kenneth Mars, che in Frankenstein Junior interpretava l'esilarante Ispettore Kemp; tra i doppiatori "scartati" figurano invece Robin Williams e Dom De Luise per il ruolo di Sebastian e Tim Allen per quello del Principe Eric. Nel musical nato dal film Disney sono state utilizzate parecchie delle idee scartate all'epoca, tra cui quella che vede Ursula sorella di Tritone, bandita dal palazzo dopo avere abusato dei poteri magici concessi dalla conchiglia che porta al collo, equivalente dello scettro del fratello. Probabilmente sarà un po' difficile andare a Broadway a godervi il musical ma, nell'attesa di farlo e di vedere il remake live action, se avete ancora voglia di Sirenetta sappiate che esistono altre opere nate dal film, come la serie La sirenetta - Le nuove avventure marine di Ariel e i film direct-to-video La sirenetta 2 - Ritorno agli abissi e La sirenetta - Quando tutto ebbe inizio. ENJOY!

venerdì 26 maggio 2023

Renfield (2023)

E' uscito ieri in tutta Italia uno dei film che aspettavo di più quest'anno, Renfield, diretto dal regista Chris McKay.


Trama: dopo secoli di leale servizio, Renfield comincia a mettere in dubbio il suo legame con Dracula e cerca di liberarsi del suo giogo...


Ciò che ho scritto nell'incipit del post è un eufemismo. In realtà, Renfield è il film che aspettavo di più in assoluto, secondo solo a quel capolavoro di trash che si preannuncia essere Barbie. Ovviamente, la ragione della mia fibrillazione è sempre stato Nicolas Cage, fin dalle prime foto di scena che lo ritraevano come un pallidissimo Giucas Casella, poi è arrivato il primo trailer online e ho perso ogni freno inibitore (ma mai come in sala, quando di fronte al trailer italiano su grande schermo ho squittito come una ragazzina, perplimendo ogni altro spettatore presente). Per fortuna le mie aspettative sono state ripagate e, nonostante sia costretta ad ammettere che Renfield non è un film memorabile, è comunque una pellicola che regala un'ora e mezza di puro divertimento caciarone e, sorpresa sorpresa, a seconda del vostro mood potrebbe anche portarvi a fare alcune riflessioni. Il protagonista, come da titolo, è Renfield, ovvero colui che per primo cade sotto l'influenza di Dracula nel romanzo di Bram Stoker, finendo poi rinchiuso nel manicomio gestito dal Dott. Seward a cianciare di sangue, vita ed insetti; nel film di McKay (che, secondo le intenzioni del regista, è una sorta di sequel del Dracula di Browning) Renfield non è mai stato rinchiuso, anzi, ha continuato a servire Dracula nei secoli, fino ai giorni nostri, procacciandogli prede e nascondigli assortiti, il che lo ha reso una creatura rosa dai dubbi e divisa tra la lealtà al padrone e un fortissimo desiderio di vivere un'esistenza finalmente normale. Ciò dà il via alla gag portante del film, ovvero la presenza di un Renfield impegnato in una "moderna" relazione tossica da affrontare con tutti gli strumenti disponibili oggigiorno, life coach e gruppi di supporto in primis, idea simpatica che si innesta all'interno di una classica trama fatta di eroi costretti a sconfiggere un vampiro potentissimo prima che quest'ultimo riesca ad approfittare di tutti gli aspetti negativi della società attuale per dominare il mondo. Definire Renfield un "racconto di formazione" potrebbe essere un po' eccessivo, ma l'obiettivo finale, per quanto ironico, è proprio quello di mostrare un percorso di redenzione, non solo del protagonista ma anche della sua integerrima spalla, la poliziotta Rebecca, vittima di un triste passato a base di genitori ammazzati e sorelle ripudiate.  


Certo, tutto ciò è solo un contorno per la performance di Nicolas Cage, che come sempre si diverte come un matto, gigioneggiando a tutto spiano e mangiandosi (a volte letteralmente) il resto del pur validissimo cast. La sua interpretazione di Dracula (da godersi preferibilmente in originale, onde gioire dell'accento del Conte) riesce miracolosamente a tenersi sul filo che separa il realmente terrificante dal comico ed è semplicemente spettacolare, non ho altro modo di definirla; con la chiostra di zanne sempre in mostra, l'adorato Cage percula Renfield, sgozza vittime, svetta per arroganza e carisma su buona parte dei vampiri cinematografici degli ultimi decenni e riesce persino ad essere sensuale, aiutato, nel corso di un'esilarante sequenza iniziale, da un regista che non si fa scrupolo a ricreare fotogrammi interi del Dracula di Browning, col nostro amatissimo attore al posto dell'elegante Bela Lugosi. Il resto del film è un mix riuscitissimo di momenti di pura commedia, scene esageratissime "di menare" dove gli effetti digitali la fanno da padrone, e sequenze splatter a livello Peter Jackson prima maniera, perfettamente riassunte dalle esilaranti parole di Awkwafina alla fine della mattanza perpetrata da Renfield nel cortile del suo appartamento. Renfield è, in soldoni, la commedia horror migliore che vedrete quest'anno, sia per merito di una sceneggiatura mai stupida (d'altronde c'è di mezzo Robert Kirkman), che omaggia molti dei più riusciti ibridi anni '80, sia di un comparto tecnico di tutto rispetto, dove eccellono le scenografie e, soprattutto, la fotografia coloratissima e molto attenta a rispecchiare i diversi stati d'animo di questo dolce Renfield sgnoccolone. Il mio consiglio è quello di non perderlo per nulla al mondo, sia mai che cominciate a rivalutare Cage per l'idolo vero che è, invece di un cretino finito a recitare per caso! 


Del regista Chris McKay ho già parlato QUI. Nicholas Hoult (Renfield), Nicolas Cage (Dracula), Awkwafina (Rebecca) e William Ragsdale (Prete anziano) li trovate invece ai rispettivi link. 

Ben Schwartz interpreta Tedward Lobo. Americano, ha partecipato a film come The Interview e Star Wars - Il risveglio della forza; come doppiatore, ha lavorato per I Simpson, BoJack Horseman, Robot Chicken, Ducktales, American Dad! e The Boys Present: Diabolical. Anche sceneggiatore, produttore, regista e compositore, ha 42 anni. 


Se Renfield vi fosse piaciuto recuperate Ammazzavampiri, Fright Night - Il vampiro della porta accanto, Ragazzi perduti, What We Do in the Shadows e, ovviamente, ciò che ha dato inizio a tutto: Stress da vampiro!! ENJOY!


mercoledì 24 maggio 2023

Guardiani della Galassia Vol. 3 (2023)

Con tutta la calma del mondo, domenica sono finalmente andata a vedere Guardiani della Galassia Vol. 3 (Guardians of the Galaxy Vol. 3) diretto e sceneggiato dal regista James Gunn.


Trama: mentre Quill cerca ancora di riprendersi dal ritorno di Gamora e gli altri Guardiani della Galassia rimettono a posto Knowhere per renderlo la loro nuova casa, una minaccia dal passato di Rocket rischia di distruggere ogni cosa...


E così, James Gunn se n'è andato. Dopo alterne vicende che non starò qui a riassumere, il creatore dei Guardiani della Galassia cinematografici, ovvero l'unico Autore in grado di imprimere un minimo di personalità a una saga costretta necessariamente a confluire all'interno di un affresco più grande, ha trovato casa alla DC, come capo dei DC Studios. Grandissima perdita per l'MCU, se chiedete a me. Ovviamente, non starò qui a glorificare Gunn, e in tutta sincerità posso affermare che dimenticherò anche Guardiani della Galassia Vol. 3 nel giro di un mese o due, come del resto ho fatto con i suoi predecessori, ma mi sento anche di dire, altrettanto sinceramente, che il suo ultimo atto d'amore verso i Guardiani svetta rispetto alla merda che abbiamo dovuto inghiottire dopo il Doctor Strange di Raimi. Gunn ama i suoi personaggi e si vede; senza fare troppi spoiler, il regista è riuscito a chiudere il discorso cominciato nel 2014 con ogni singolo Guardiano e con l'idea di Famiglia, di quella misteriosa entità che riconosce ed accoglie chi si affida a lei, non importa quanto sia strano od imperfetto. Non è un caso che Thor sia stato calcioruotato fuori da quella stessa Famiglia, dove hanno cercato di infilarlo a forza per un periodo, perché lo spirito goliardico di Gunn non è lo stesso di Taika Waititi, che ha trasformato i personaggi in stupidi balocchi buoni solo per far ridere (a volte, neanche sempre) e si è abbandonato a vuoti esercizi di stile tamarri. Gunn è sempre stato bravo a raccontare storie, per quanto strane, e a farci affezionare ai suoi personaggi, e qui gioca delle carte molto crudeli per coinvolgerci nelle vicende di chi è stato letteralmente plasmato nel dolore e nella perdita, e che indossa da sempre una maschera di cinico o buffone per evitare che qualcuno possa anche solo avvicinarsi per cercare di riaprire ferite profondissime. Quindi si, ci si commuove parecchio guardando Guardiani della Galassia Vol. 3, e più che il sorriso strappato dai "soliti" Drax o Kraglin, dalla new entry Adam o da piccole, grandi guest star (ma ciao Nathan!), conta la catarsi offerta da sequenze violentissime di vendetta disperata, chiamate a forza da uno dei villain più odiosi e bastardi della storia del MCU.


Il mood di Guardiani della Galassia Vol. 3, d'altronde, viene stabilito fin dall'inizio, introdotto dalle note di una Creep versione acustica che già da sola è riuscita a magonarmi, e in diversi momenti, non solo alla fine, il film lascia allo spettatore quella sensazione di "crescita" ed abbandono, dolorosi ma positivi, che già avevo apprezzato col terzo capitolo di Toy Story (sempre per rimanere in ambito Disney. E mi auguro, con tutto il rispetto, che non esca MAI un Guardiani della Galassia vol. 4, perché vanificherebbe molti risultati raggiunti da questo film). Nonostante ciò, Gunn non dimentica di stare realizzando un film d'azione ambientato nello spazio e, lasciato più o meno a briglia sciolta, il regista si scatena. Le ambientazioni hanno delle scenografie interessanti e anche un po' schifosette (soprattutto il pianeta organico sede della Orgocorp), la varietà di pianeti ed il bestiario presenti nel film denotano una fantasia ed una cura sempre più rare da trovare all'interno di pellicole che ormai puntano solo ad aumentare il numero di personaggi titolari da sfruttare per eventuali serie streaming, e le sequenze d'azione sono uno spettacolo. Particolarmente notevoli, a livello di coreografia e pathos, sono quella iniziale che vede l'attacco di Adam, il finto piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklin, e il delirio che coinvolge le bestie più pericolose dell'Alto Evoluzionario, a proposito del quale mi andrebbe di spendere due parole di elogio anche per Chukwudi Iwuji (attore mai visto né conosciuto prima, mannaggia), che interpreta a briglia sciolta un personaggio folle, spietato, senza alcuna possibilità di redenzione. Il resto del cast, non me ne vogliate, fa il suo senza che qualcuno svetti su altri, e per quanto mi riguarda in Guardiani della Galassia Vol. 3 non c'è nulla e nessuno che possa eguagliare lo sguardo triste e ferito di un procione interamente creato in CGI... forse giusto dei procionetti ancora più piccoli. O forse Sly, chi lo sa. Nonostante ciò, mi mancheranno tutti, belli e brutti, quindi See you, space cowboys: ovunque vi porterà la continuity del MCU, il viaggio con Gunn è stato molto bello e, per quanto mi riguarda, il regista lascerà di sé solo un bel ricordo!


Del regista e sceneggiatore James Gunn (che doppia Lamb-Shank, il mostrillo liberato da Mantis) ho già parlato QUI. Bradley Cooper (voce originale di Rocket), Dave Bautista (Drax), Karen Gillan (Nebula), Vin Diesel (voce di Groot), Sean Gunn (Kraglin/Giovane Rocket), Chris Pratt (Peter Quill/Starlord), Will Poulter (Adam Warlock), Linda Cardellini (voce di Lylla), Elizabeth Debicki (Ayesha), Judy Greer (voce di War Pig), Sylvester Stallone (Stakar Ogord), Michael Rosenbaum (Martinex), Zoe Saldana (Gamora), Nathan Fillion (Master Karja), Michael Rooker (Yondu), Gregg Henry (Nonno Quill) e Seth Green (voce di Howard il Papero) li trovate invece ai rispettivi link.

Pom Klementieff interpreta Mantis. Canadese, la ricordo per film come Guardiani della Galassia Vol. 3, Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Diamanti grezzi, The Suicide Squad - Missione suicida, Thor: Love and Thunder e The Guardians of the Galaxy: Holiday Special. Anche sceneggiatrice, ha 37 anni e due film in uscita, Mission: Impossible - Dead Reckoning - Parte uno e due.


Maria Bakalova, che presta la voce a Cosmo, era stata candidata all'Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista per Borat - Seguito di film cinema, dove interpretava la figlia di Borat. Nel film compare anche Lloyd Kaufman, in un ruolo citato come Gridlemop. Guardiani della Galassia vol.3, ovviamente, segue Guardiani della Galassia vol. 1 e vol. 2, oltre al The Guardians of the Galaxy: Holiday Special; per dovere di completezza, però, dovreste aggiungere anche Avengers: Infinity War, Avengers: Endgame, Thor: Love and Thunder e la serie animata Io sono Groot (trovate tutto su Disney +) ENJOY!


martedì 23 maggio 2023

Bollalmanacco on Demand: Greta (2018)

Torna il Bollalmanacco On Demand con un film richiesto nientemeno che da Mr. Ink del blog Diario di una dipendenza! Oggi parlerò di Greta, diretto e co-sceneggiato nel 2018 dal regista Neil Jordan. Il prossimo film On Demand sarà L' Orribile Segreto Del Dr. Hichcock! ENJOY!


Trama: la giovane Frances, da poco orfana di madre, trova sulla metro una borsa abbandonata e la riporta a Greta, elegante vedova di origini europee che vive da sola. Dall'episodio nasce un'amicizia, che si incrina quando Frances scopre l'inquietante segreto di Greta...


Purtroppo è passato tantissimo tempo da quando Michele mi ha chiesto di recensire Greta e non ricordo, ahimé, il contesto in cui è nata quest'occasione di confronto, quindi chiedo al diretto interessato di dire la sua, magari nei commenti! Per quanto mi riguarda, guardare Greta è stato come fare un tuffo negli anni '80/'90, in piena febbre da "Ciclo Alta Tensione", che offriva allo spettatore thriller sul filo dell'assurdo dove persone assolutamente normali vedevano la loro vita sconvolta da matti col botto. E' ciò che accade alla povera Frances, ragazzotta di buon cuore finita a fare la cameriera a New York, che in un giorno come tanti trova sulla metro una borsa abbandonata e decide di restituirla personalmente alla proprietaria. Quest'ultima è la Greta del titolo, un'elegante signora dall'accento francese che, complice la condizione di vedova solitaria e con figlia lontana, si accattiva le simpatie della sensibile Frances ed instaura un rapporto di sincera amicizia con la ragazza. Tutto crolla quando Frances scopre l'inquietante segreto di Greta, che inizialmente va a collocarla, su una scala di follia da zero a psicopatica, al livello "follower di Giorgia Soleri". La ragazza decide comprensibilmente di non avere più niente a che fare con Greta e tutto finirebbe lì, non fosse che la signora si incaponisce e da "semplice" eccentrica diventa una stalker via via sempre più pericolosa, con sviluppi della trama che vi lascio il piacere di scoprire. Come tutti i film di genere, Greta funziona grazie a un po' di sospensione dell'incredulità (soprattutto verso la conclusione, a causa di una scelta di Frances che lascia abbastanza perplessi), aiutata dal fatto che, purtroppo, è vero che la legge non tutela minimamente le vittime di stalking finché il persecutore non passa alle minacce fisiche vere e proprie, quando ormai è già troppo tardi; diversamente da altre pellicole simili, invece, la protagonista non viene fatta passare per scema, e la sua migliore amica la sostiene fin da subito nel corso della sua lotta disperata contro le attenzioni indesiderate di Greta, elemento della trama che mi è piaciuto molto.


Per quanto riguarda la realizzazione, Greta ha il difetto di essere leggermente piatto e trattenersi troppo durante il primo e il secondo atto, forse per rispetto di un'attrice blasonata come Isabelle Huppert. Ciò è un vero peccato, perché l'attrice esplode nel terzo, folle atto, che la trasforma in una strega cattiva da fiaba e va incontro alla vocazione registica di Neil Jordan, il cui stile è perfetto per questo genere di storie dark e un po' grottesche; a differenza di un thriller come Watcher, che vede come protagonista proprio Maika Monroe, Greta non riesce a sfruttare appieno gli ambienti in cui viene a trovarsi la protagonista (tranne quando la casa di Greta, all'interno della quale i suoni esterni e il tempo sembrano annullarsi, diventa il luogo principale dell'azione), né a creare un reale senso di isolamento attorno alla Moretz, di conseguenza risulta piatto e privo di personalità, almeno fino al provvidenziale tintinnio del forno a microonde, un suono che preannuncia il cambiamento di registro della pellicola, rendendola molto più interessante (e anche schifosa. In una scena che coinvolge una siringa ho dovuto distogliere lo sguardo). Avessero deciso di giocare fin da subito la carta del weird, Greta avrebbe potuto essere un capolavoro, ciò nonostante il film risulta molto godibile, perché si regge interamente sull'interpretazione di attrici assai brave. Chloë Grace Moretz, coi suoi grandi occhioni e il sembiante da brava ragazza ingenua, fa tutto quello che si può chiedere a una protagonista, la Huppert si è palesemente divertita e, come ho scritto sopra, non si sottrae alla richiesta di alzare il tasso di weirdness da un certo punto in poi, cosa che rende il suo personaggio ancora più inquietante, e la Monroe fa come il buon vino, ovvero migliora se lasciata a riposo. Capirete il perché di quest'ultima affermazione guardando il film, che ovviamente vi consiglio, anche in virtù di una breve durata che gli impedisce di annoiare lo spettatore, trattenendolo dall'inizio alla fine. Peccato che ormai questa regola aurea di brevità non venga più seguita!


Del regista e co-sceneggiatore Neil Jordan ho già parlato QUI. Isabelle Huppert (Greta Hideg), Chloë Grace Moretz (Frances McCullen), Maika Monroe (Erica Penn), Colm Feore (Chris McCullen) e Stephen Rea (Brian Cody) li trovate invece ai rispettivi link.


Se Greta vi fosse piaciuto recuperate Watcher (lo trovate a noleggio su varie piattaforme legali). ENJOY!

venerdì 19 maggio 2023

Orphan: First Kill (2022)

Dopo essermi preparata riguardando Orphan, in occasione dell'uscita in DVD e Blu-Ray per la Midnight Factory ho recuperato anche Orphan: First Kill, diretto dal regista William Brent Bell. SEGUONO SPOILER SUL PRIMO ORPHAN COME SE PIOVESSERO, spettatori avvisati mezzi salvati, ché non è detto l'abbiate visto già tutti. Fermatevi già qui, recuperate Orphan e poi ne riparliamo.


Trama: Leena fugge dall'ospedale psichiatrico in cui è rinchiusa e arriva in America, fingendosi la figlia scomparsa una facoltosa famiglia.


Nel 2009 usciva al cinema Orphan, un thriller horror che, nonostante l'assurdità che costituiva il nucleo della trama, funzionava benissimo in virtù della padronanza di Jaume Collet Serra, fine conoscitore dei meccanismi del genere, e delle due attrici principali, l'allora dodicenne (ma probabilmente era anche più piccola quando il film è stato girato) Isabelle Fuhrman e la stupenda, umanissima Vera Farmiga. Poiché  Esther, la demoniaca bambina protagonista, andava incontro sul finale ad un destino "abbastanza" definitivo, per far tornare il mostrino dopo la bellezza di tredici anni era necessario o compiere vergognosamente il salto dello squalo tirando fuori il bastoncino Findus dal lago ghiacciato, oppure girare un prequel che andasse a tapullare un buco presente in Orphan, ovvero raccontare agli spettatori come avesse fatto Leena, paziente di un manicomio estone, a finire in un orfanotrofio americano. I realizzatori di First Kill hanno scelto il secondo approccio, tenendo da conto che l'effetto sorpresa legato alla vera natura di Leena/Esther era già andato perduto nel primo film; la prima parte di First Kill gioca quindi a carte scoperte, mettendo in scena tutta la pericolosità della protagonista, la sua follia e la sete di sangue che non risparmia nessuno, e la pellicola prosegue alzando ulteriormente la posta, nel tentativo di non realizzare una copia conforme del primo capitolo del dittico. Il risultato, almeno a livello di trama, è un film ancora più sfrontato del precedente, che infila un colpo di scena totalmente inaspettato e, a patto di stare al gioco, regala un'ora e mezza di divertimento molto anni '80, come quando da ragazzini guardavamo quei thriller dalle trame assurde senza stare tanto a spaccare il capello spacciandoci per cinèfili dell'internet: il successo di First Kill dipende interamente dalla voglia dello spettatore di rilassarsi e farsi due risate, accogliendo gioiosamente ogni esagerazione e persino la critica di grana grossa a un certo tipo di élite, consapevoli che film "ignoranti" come questo ormai raramente vengono girati.


Messa da parte la trama, passiamo al vero scoglio dell'intera operazione. L'enorme colpo di scena di Orphan funzionava perché la Fuhrman era una bambina. Sul finale, il make up le conferiva lineamenti più adulti senza esagerare e bastavano anche solo due denti finti e marci per rivelare allo spettatore sconvolto il terrificante segreto della protagonista. Oggi la Fuhrman ha 25 anni e, nonostante non sia decrepita (ha sempre 15 anni meno di me, maledetta), i suoi lineamenti sono innegabilmente "squadrati", molto meno morbidi della bambina dell'epoca, per non parlare dello sguardo; interviste al cast confermano che, per ringiovanirla, non è stata usata CGI ma solo buon vecchio make-up, e per quanto mi riguarda posso dire che in alcune sequenze il risultato non è granché (non faccio la sborona, gente. A un certo punto Mirco, che non aveva mai visto Orphan, mi ha chiesto perché hanno scritturato una vecchia per interpretare una bambina). Guardando al risultato complessivo e tenendo conto delle difficoltà, mi viene comunque da dire chapeau. Con l'ausilio di zeppe, controfigure per i campi lunghi e inquadrature furbe, devo dire che le discrepanze sono minime e probabilmente derivano solo dalla mia voglia di far le pulci a tutti i costi, senza contare che la Fuhrman non ha perso talento, anzi. A dirla tutta, l'unico vero difetto di Orphan: First Kill, a parte il fatto che Willam Brent Bell si appoggia anche troppo alle scelte estetiche di chi lo ha preceduto (ma, come ho detto, gli va riconosciuta molta abilità nello scegliere le inquadrature adatte), è un cast di comprimari assolutamente inadatto a fungere da spalla alla protagonista, con attori moscerelli e poco carismatici che fanno rimpiangere quelli che li hanno preceduti. A parte questo, Orphan: First Kill è un film simpatico di cui vi consiglio la visione, a patto di guardare prima Orphan, ça va sans dire!


Del regista William Brent Bell ho già parlato QUI mentre Isabelle Fuhrman (Esther/Leena) la trovate QUA

Julia Stiles interpreta Tricia Albright. Americana, la ricordo per film come L'ombra del diavolo, 10 cose che odio di te,  Save the Last Dance, Omen - Il presagio e serie quali Dexter. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 41 anni. 


Rossif Sutherland interpreta Allen Albright. Canadese, figlio di Donald Sutherland, ha partecipato a film come Hellions, Possessor e a serie quali E.R. Medici in prima linea. Anche compositore e produttore, ha 44 anni e un film in uscita.


Se il film vi fosse piaciuto, ovviamente, recuperate Orphan, che va rigorosamente guardato PRIMA, nonostante First Kill sia un prequel. ENJOY!

mercoledì 17 maggio 2023

Alice, Darling (2022)

Mi sembra che nessuno dei blog che leggo di solito ne abbia parlato, quindi ci penso io a raccontarvi qualcosa su Alice, Darling, diretto nel 2022 dalla regista Mary Nighy.


Trama: durante una vacanza passata con le due migliori amiche, Alice viene costretta a riflettere sulla sua relazione col fidanzato. 


Alice, Darling è un film che mi ha attirato fin dall'ingannevole trailer. Lì per lì credevo fosse un thriller, forse sviata anche dal fatto di avere visto la Kendrick nemmeno troppo tempo fa in Un piccolo favore, invece il film di Mary Nighy è di tutt'altro genere, anche se, a tratti, risulta comunque parecchio inquietante. Alice, Darling è la storia di una donna che sta affogando. Le immagini iniziali del film ci mostrano la protagonista immersa in acque torbide, dalle quali si dibatte per uscire, pur senza troppa convinzione. L'incipit è una bellissima metafora della vita di Alice, thirtysomething fidanzata con Simon, artista di successo, la quale vive un'esistenza apparentemente perfetta tra uscite con le amiche, bei vestiti, colazioni eleganti, serate mondane; in realtà, tutto questo susseguirsi di momenti instagrammabili è solo superficiale apparenza, increspata da piccoli eventi quotidiani che stridono con la percezione esterna che si potrebbe avere di Alice. Stacchi di montaggio improvvisi spezzano la narrazione, dando un'idea della mente frammentata di una donna impaurita che, come un piccolo roditore, è preda di rapidi tic incessanti, che spaziano dallo strapparsi ciocche di capelli a controllare spasmodicamente il telefono, oppure reagisce con violenza a stimoli uditivi come la suoneria dei messaggi o una voce maschile che la chiama per nome. E' così che capiamo che Alice sta affogando e che le acque torbide in cui si dibatte hanno il volto di Simon, il sembiante di una relazione tossica che la costringe ad essere perfetta e a non fare errori, pena il venir abbandonata da un così alto esemplare di maschio alfa. Il fatto che, come ho scritto su, Alice si dibatta poco convinta per liberarsi da questa situazione, è semplice e complicato al tempo stesso, è qualcosa di personale ed intimo, da lasciare al massimo a psicoterapeuti competenti, e infatti la sceneggiatura di Alanna Francis non offre soluzioni, né quelle catartiche tipiche degli horror (anche se il maglio lo lascerebbe supporre), né quelle più goliardiche di una commedia, ma si limita a mostrare un primo passo e, soprattutto, un altro elemento importante.


Alice, Darling, invece di giudicare il carnefice (che comunque non ci fa una bella figura) o glorificare la vittima, sottolinea l'importanza di avere una rete di sostegno, anche piccola, che possa aiutare quest'ultima ad aprire gli occhi senza particolari gesti eclatanti ma con pugno fermo, convinzione ed attenzione. Le figure delle due amiche di Alice, ostracizzate in pochi, ficcanti dialoghi da san Simon e vittime dell'influenza di quest'ultimo al punto che l'amicizia tra le tre si è sfaldata nel tempo (altro aspetto interessante della sceneggiatura è che non viene mai spiegato apertamente perché, ma viene lasciato modo allo spettatore di capire), acquistano importanza col proseguire della storia e si arricchiscono di sfumature che cambiano completamente la percezione dello spettatore, soprattutto per quanto riguarda Tess. Si potrebbe dunque riassumere Alice, Darling come il racconto di una vacanza rivelatrice, un'interessante indagine dell'animo umano, interamente retta dalla splendida interpretazione di un'Anna Kendrick inaspettatamente brava nel ruolo di una ragazza che lotta disperatamente per non soccombere alla sua vita "da sogno", ma non è tutto oro quello che luccica. Nonostante la bella confezione e le ancor più valide interpretazioni, la sceneggiatura del film si sfilaccia nell'introdurre il parallelo tra Alice e una ragazzina scomparsa, probabilmente uccisa da una persona di cui si fidava; la tragedia riverbera sicuramente nell'animo della protagonista, rendendola ancora più fragile, ma a fini meramente cinematografici, a mio avviso, ha solo la funzione di allungare il breve metraggio del film e di introdurre una pista che non porta da nessuna parte, né aumenta una tensione già degnamente costruita nella prima parte di Alice, Darling. Il mio consiglio è quello di recuperare l'opera d'esordio di Mary Nighy senza aspettarvi emozioni intense sul filo del thriller, perché rischiereste di rimanere delusi, ma di accoglierlo come un'interessante riflessione sull'accettazione passiva di una violenza talmente sottile che liberarsene risulta quasi impossibile. 


Di Anna Kendrick, che interpreta Alice, ho già parlato QUI mentre Wunmi Mosaku, che interpreta Sophie, la trovate invece QUA.

Mary Nighy è la regista della pellicola. Inglese, figlia di Bill Nighy, è al suo primo lungometraggio. Anche attrice e sceneggiatrice, ha 39 anni.


Kaniehtiio Horn interpreta Tess. Canadese, ha partecipato a film come Il giustiziere della notte - Death Wish, Possessor e a serie quali Supernatural, Hemlock Grove, The Strain e Slasher. Anche produttrice, regista e sceneggiatrice, ha 37 anni e un film in uscita. 


Se Alice, Darling vi fosse piaciuto recuperate Swallow e Primo amore. ENJOY!

martedì 16 maggio 2023

Winnie the Pooh: Blood and Honey (2023)

Lo so. Eravate erroneamente convinti che non avrei guardato Winnie the Pooh: Blood and Honey, diretto e sceneggiato dal regista Rhys Frake-Waterfield, e invece...


Trama: abbandonati da Christopher Robin nel Bosco dei Cento Acri e costretti a praticare cannibalismo, Winnie the Pooh e i suoi amici giurano vendetta contro gli esseri umani e si trasformano in feroci killer.


Togliamoci il dente. Non ho mai, e dico mai, sopportato Winnie the Pooh e i suoi amici, né da bambina quando passavano i cartoni Disney, né da adulta quando le mie coetanee si ricoprivano di gadget tenerelli di questa bestia del demonio e dei suoi compari foffi tra i quali, a scatenarmi il picco massimo di violenza, ricordo soprattutto Pimpi (creatura immonda nata dall'immorale rapporto tra un ravanello e un maialino) e quel mollo di Ih-Oh. E lo so, Winnie la cacchina non è una creatura Disney, magari leggendo i romanzi originali potrei arrivare ad adorarlo, chissà, ma ormai ho 42 anni suonati quindi ne dubito. Ciò detto, è stato forse questo mio odio atavico ad avermi spinta a guardare Winnie the Pooh: Blood and Honey, convinta che vedere dissacrato il personaggio mi avrebbe in qualche modo rallegrata; il problema è che il film di Rhys Frake-Waterfield è tutto meno che allegro e solo durante il prologo animato condanna al giusto destino uno dei comprimari dell'orsetto ricch... ehm, giallo, mangiato dai compari in tempo di carestia, per il resto la violenza viene inferta dagli abitanti del Bosco dei Cento Acri, non subita. Se non ci fossero Winnie e Pimpi, sui quali poi tornerò, Winnie the Pooh: Blood and Honey sarebbe un banalissimo, per quanto sanguinario, slasher a base di killer silenziosi ed efferati e vittime dal quoziente intellettivo pari a quello di Tigro, usate come carne da macello e seviziate nei luoghi più deprimenti che possiate immaginare. La sceneggiatura è un canovaccio che, di tanto in tanto, Rhys Frake-Waterfield "allunga" nel commovente tentativo di dare un po' più di spessore a quella che dovrebbe essere la final girl (poiché il suo passato non è connesso in alcun modo alla situazione contingente, sapere che è stata vittima di stalking è utile quanto sapere che due sue amiche sono lesbiche, che la terza è il tipico bagascione da Instagram e la quarta ha gli occhiali quindi dovrebbe essere più intelligente delle altre. Dovrebbe.) o di mostrare com'è diventato il Bosco dei Cento Acri da quando Pooh ha sbroccato male.


A tal proposito, facciamo due chiacchiere con la mia suspension of disbelief. Ok, in qualche modo Pooh e Pimpi dovevano diventare malvagi, ma dov'è mai stato scritto che Chistopher Robin li foraggiava e che senza di lui sarebbero morti di fame? L'altra domanda che mi sono posta spesso è perché trasformare il Bosco in una favela zeppa di rottami e carcasse di camper quando bastava dare al tutto un tocco gotico che richiamasse decomposizione e sangue senza far assomigliare la casa di Pooh a un covo di redneck, peraltro in Inghilterra. E rimanendo in tema redneck, ma quanto diavolo è rattuso Winnie the Pooh? Al di là delle orribili, invereconde maschere indossate dagli attori costretti ad incarnare Pooh e Pimpi (il quale però, finalmente, somiglia a un porco o, meglio, a un cinghiale), l'orsetto è diventato un borzo con annessa pettorina e camiciona a quadri, cosa che da una parte ha causato a me e al Bolluomo risate fuori scala, dall'altra però mi ha scatenato repulsione e disgusto perché più che un killer mi ricordava un maniaco sessuale. Ew. A parte tutta la rozzezza e le scelte sbagliate, sia a livello di cast (più cinofilo che cinefilo) che di messa in scena, c'è da dire che non mancano a Rhys Frake-Waterfield né la sfacciataggine né il gusto dello splatter artigianale, due caratteristiche che, gonfiando un po' più il budget e ficcandosi in testa l'idea di realizzare un secondo capitolo che non si basi esclusivamente sullo shock nato dallo scontro personaggino carino/incarnazione horror dello stesso, potrebbero anche portare ad un sequel più dignitoso. Nel frattempo, consiglio al regista una doccia di umiltà e il ricorso a un po' di sana ironia, perfetta per questo genere di film, perché il difetto più grosso della sua creatura è una totale mancanza di umorismo, se non vogliamo contare quello involontario. 

Rhys Frake-Waterfield è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto altri film come The Area 51 Incident, Demonic Christmas Tree e Firenado. Anche tecnico degli effetti speciali, produttore e attore, ha un film in uscita. 


Nikolai Leon
(Christopher Robin), Craig David Dowsett (Winnie-the-Pooh) e Chris Cordell (Pimpi) avevano già lavorato col regista nei suoi film precedenti. Non si ha ancora una data di uscita, ma il regista ha già annunciato un seguito di Winnie the Pooh: Blood and Honey e persino un Peter Pan's Neverland Nightmare. Non tratterrò il fiato nell'attesa ma, nel frattempo, se il genere vi intriga potete recuperare The Banana Splits Movie e Willy's Wonderland. ENJOY!

venerdì 12 maggio 2023

To Leslie (2022)

La nomination come migliore attrice protagonista ad Andrea Riseborough mi ha portata ovviamente a recuperare anche To Leslie, diretto nel 2022 dal regista Michael Morris.


Trama: dopo aver vinto la lotteria e sperperato tutti i soldi, l'alcolista Leslie si ritrova a vivere di espedienti...


Non ho seguito granché tutta la bagarre derivante dalla nomination alla Riseborough ma, per amor di completezza, il succo del discorso è che la sua performance in To Leslie è stata candidata senza nessun premio pregresso ad avvalorarla e, soprattutto, dopo una campagna di "raccomandazioni" da parte di grandissimi nomi del mondo dello spettacolo (due su tutti: Gwyneth Paltrow ed Edward Norton) durata appena un mesetto, che ha destato sospetti soprattutto nelle attrici di colore che si sono viste snobbare in favore dell'ennesima bianca privilegiata. A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, tuttavia non essendo un'addetta ai lavori mi limito a fare spallucce e ad offrirvi soltanto il mio personalissimo giudizio sul film e sull'interpretazione di Andrea Riseborough. Innanzitutto, To Leslie è un film molto "classico", di quel sapore anni '70 richiamato dallo sguardo spietato e naturalistico col quale indaga sulla protagonista, Leslie, appunto; quest'ultima è una donna allo sbando che ha sbattuto letteralmente la porta in faccia alla fortuna presentatasi in forma di enorme vincita alla lotteria, riuscendo a dilapidare 190 mila dollari in droghe, alcool e divertimenti e a finire per strada, abbandonata da figlio, genitori e amici. Non è un bel personaggio, quello di Leslie, perché ogni sua azione è spinta da una dipendenza dagli alcolici che è alimentata da un senso di colpa infinito, per qualcosa che verrà chiarito verso la fine del film, quindi per buona parte della durata To Leslie segue una protagonista che non intende redimersi e che morde la mano di chiunque cerchi di aiutarla, con somma frustrazione dello spettatore. Per estensione, To Leslie diventa non solo lo studio di un'ubriacona all'ultimo stadio, ma di tutta la squallida società di derelitti che la circonda, di un Texas fatto di locali fatiscenti, motel dimenticati da Dio e speranze perdute, dove a farla da padrone è un tristissimo rancore misto a menefreghismo egoista, e le poche persone altruiste fanno la figura dei minchioni. Per quanto mi riguarda, sono ambienti che mi repellono abbastanza e che poco mi affascinano, tuttavia ho trovato la sceneggiatura interessante, nonostante la sua natura leggermente derivativa, il che forse rischia di inficiare il mio giudizio sull'attrice protagonista.


Sulla Riseborough, per carità, non ho nulla da dire. Regge da sola l'intero film rendendo gli altri (salvo forse Allison Janney, fredda e cattivissima ex amica dalla lingua tagliente) praticamente invisibili ed interpretando un personaggio scomodo non solo dal punto di vista psicologico, ma anche "brutto" fisicamente, sporco a livello di igiene personale. Di solito queste trasformazioni sono molto gradite all'Academy e anche agli spettatori, tuttavia a me è parso che Leslie, come personaggio, avesse poco da dire e da "insegnare"; la sua lenta risalita non deriva da chissà quale forza d'animo, quanto da un unico, difficile gesto di pietà probabilmente legato al senso di colpa, come se la fortuna volesse sfidarla a girarle le spalle una seconda volta, e, in particolare, il finale è talmente facilone da fare a pugni con lo spietato realismo utilizzato nel resto del film. Per quanto mi riguarda trovo quindi che la candidatura della Riseborough sia un po' deboluccia, ma non avendo assistito alle performance delle grandi escluse, Viola Davis in primis, non posso fare confronti e mi limito a concludere dicendo che To Leslie è un film abbastanza "medio", di cui probabilmente mi dimenticherò nelle prossime settimane, e che si poteva scegliere una pellicola indipendente un po' più originale e coraggiosa per rappresentare la categoria agli Oscar. 


Di Andrea Riseborough (Leslie), Allison Janney (Nancy), Stephen Root (Dutch) e Owen Teague (James) ho già parlato ai rispettivi link.

Michael Morris è il regista della pellicola. Inglese, al suo primo lungometraggio, ha diretto episodi di serie come House of Cards, Preacher, Locke and Key e Better Call Saul. Anche produttore, ha 49 anni. 


Marc Maron interpreta Sweeney. Comico americano, ha partecipato a film come Sharknado 3: Attacco alla casa bianca e Joker; come doppiatore, ha lavorato in I Simpson. Anche sceneggiatore, produttore, compositore e regista, ha 60 anni.