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mercoledì 29 novembre 2023

Il migliore dei mondi (2023)

Cercando un film molto poco impegnativo da guardare col Bolluomo dopo una settimana stancante, la scelta è inevitabilmente caduta su Il migliore dei mondi, disponibile su Prime Video e diretto da Maccio Capatonda, Danilo Carlani (anche co-sceneggiatori) e Alessio Dogana.


Trama: Ennio Storto, elettricista cinquantenne e drogato di tecnologia, si ritrova in un universo parallelo dove quest'ultima è rimasta bloccata agli anni '90. Disperato, cerca di tornare indietro...


A casa nostra si vuole bene a Maccio dai tempi di Mai Dire nonricordonemmeno cosa, quando assieme ai suoi sodali era comparso in TV col reality Il divano scomodo. Nel frattempo sono passati quasi 20 anni, sono arrivati notorietà, serie, video, film, libri e infine Amazon, che ha prodotto e distribuito direttamente su Prime Video l'ultima opera del comico abruzzese, Il migliore dei mondi. Che è un film particolare perché vede Maccio privo dei suoi compagni/spalle di sempre, Herbert Ballerina in primis (sostituito dal frizzante Pietro Sermonti, sempre più a suo agio nei panni di personaggi sbarellati e assurdi) ma continua più o meno la poetica della sua pellicola d'esordio, Italiano medio, presentando un irreprensibile quanto sfigatissimo protagonista che, a causa di eventi al limite del fantascientifico, si ritrova costretto a cambiare vita. Ennio Storto è una persona "media" ma più orientata verso la sgradevolezza, un cinquantenne incapace di vivere senza tecnologia e convinto di non dovere mai investire più del 40% di se stesso nelle relazioni con gli altri; al di là delle esagerazioni da smartphone (una delle gag più riuscite del film è la  sua incapacità ad orientarsi senza navigatore anche solo per brevissimi tratti conosciuti), Ennio può tranquillamente venire descritto come uno stalker frustrato che sfrutta i social per procurarsi la scopata settimanale, oltre che un nerd con problemi di egocentrismo, condannato a vivere per i like che i suoi video da smanettoni gli procurano. E' inevitabile che una persona simile, ritrovatasi per "magia" in una realtà parallela dove la tecnologia si è fermata ai livelli pre-millenium bug, venga a ritrovarsi priva di tutto ciò che gli consente di vivere bene, riscoprendosi più scemo e sfigato di altri e costretto letteralmente a re-imparare cose elementari; la critica alla società moderna dove il caso o l'imprevisto non sono più contemplati è dunque palese (io stessa ammetto di dipendere molto da navigatore e recensioni di ristoranti/locali) ma non c'è, da parte dei realizzatori, una demonizzazione totale della tecnologia. Il migliore dei mondi è, anzi, un'opera attenta a sottolineare come un uso sano di smartphone e affini possa ampliare le conoscenze, facilitare la vita o rendere le persone meno sole, a patto di usarli con giudizio e non basare interamente la nostra esistenza su di loro. Un concetto che può sembrare banale, certo, ma che inconsciamente tendiamo spesso a dimenticare, o minimizziamo con un pizzico di ipocrisia.


Questa riflessione si inserisce in una trama che offre poco il fianco alla comicità tipica di Maccio, costruita piuttosto a colpi di cliché presi a spizzichi e bocconi dai generi più disparati, dalla fantascienza alla distopia, passando per l'action e la commedia romantica, che rendono Il migliore dei mondi altalenante a livello di qualità e ritmo; la parte centrale soprattutto, quella in cui il protagonista riscopre se stesso attraverso l'amore, l'ho trovata abbastanza pesantina, mentre quella finale, con un deus ex machina insospettabile, percorre il sottilissimo confine tra il surreale e l'imbarazzante. L'intuizione generale ed alcune gag sono però ottime. Come sempre succede quando c'è Maccio Capatonda di mezzo, la sua mimica facciale e il suo modo di affrontare situazioni da italiano medio riescono comunque a strapparmi una risata e Sermonti, per quanto impegnato in un personaggio infantile e, a suo modo, talmente stupido da fare il giro, ormai è diventato una garanzia di sicuro divertimento; meno sopportabile, invece, la Viola di Martina Gatti, spesso troppo artificiosa nel suo essere "innocente" a tutti i costi, anche in un contesto irreale come quello descritto nel film (ma voto 10 per le mise à la Madonna versione anni '80!). A livello di regia, siamo nella media. Le ambizioni di realizzare un film particolare ci sono, ma i limiti di budget sono abbastanza evidenti, soprattutto quando la trama entra in territori "ammeregani" che richiederebbero un po' più di dinamicità e qualche effetto speciale degno di questo nome. Nel complesso, speravo di divertirmi di più e ritengo che il buon Maccio non sia ancora troppo tagliato per argomenti ed interpretazioni "seri", ma per una serata senza troppe pretese Il migliore dei mondi non è il peggiore dei film, soprattutto se avete già un abbonamento Prime Video. Viceversa, don't bother.


Del regista e co-sceneggiatore Maccio Capatonda, che interpreta anche Ennio Storto, ho già parlato QUI. Pietro Sermonti (Alfredo Storto) e Tomas Arana (Steve Jobs) li trovate invece ai rispettivi link.


Danilo Carlani e Alessio Dogana sono entrambi al loro primo lungometraggio; Carlani aveva già lavorato con Maccio Capatonda come sceneggiatore per diversi progetti, tra cui il film Italiano medio, che vi consiglio di vedere nel caso vi fosse piaciuto Il migliore dei mondi. ENJOY!

martedì 28 novembre 2023

Thanksgiving (2023)

Ci si stavano mettendo influenza, permanenza in sala di soli 5 giorni e weekend impegnati a farmi perdere Thanksgiving, scritto e co-sceneggiato da Eli Roth, ma io sono una testarda bimba di Eli e, soprattutto, il Bolluomo è un santo...


Trama: nell'anniversario di un black friday finito in tragedia, la cittadina di Plymouth viene scossa da una serie di omicidi compiuti da un assassino misterioso...


Correva l'anno 2007 e, su internet (ché all'epoca l'operazione Grindhouse era arrivata in Italia spezzata ed incompleta), si potevano trovare i fake trailer che accompagnavano i lungometraggi A prova di morte e Planet Terror. Ne rimasi talmente entusiasta che scrissi addirittura un post per il blog ma, siccome il post in questione è stato azzoppato dalle mille menate di ca**o di Youtube, vi faccio un brevissimo riassunto. In pratica, Tarantino e Rodriguez avevano deciso di creare una falsa "esperienza Grindhouse" facendo uscire in un'unica soluzione i loro due film e, durante le prime proiezioni (prima che l'operazione fosse un flop al botteghino), tra una pellicola e l'altra c'erano anche dei falsi trailer che erano, a mio avviso, uno più bello dell'altro: Machete, dello stesso RodriguezWerewolf Women of the SS di Rob Zombie, Don't di Edgar Wright,  Hobo with a Shotgun di Jason Eisener, John Davies e Rob Cotterill, e infine Thanksgiving, per l'appunto. Di questi, finora, erano stati realizzati solo Machete e Hobo with a Shotgun, quindi potete immaginare la mia gioia nel sapere che, dopo ben 16 anni, Roth aveva deciso di accontentarmi e dare vita a uno dei trailer più esilaranti del mucchio, ed ecco spiegato il motivo per cui ho rotto incessantemente la scatole al Bolluomo per accompagnarmi fino a Genova dopo che tutto ha congiurato per impedirmi di vedere il film a Savona. Dopo la visione, a Roth contesto solo la mancanza di coraggio legata all'iconica sequenza della cheerleader sul tappeto elastico (di questi tempi, ovviamente, capisco benissimo la sua scelta ma ci sono rimasta comunque male), per il resto mi sono molto divertita guardando Thanksgiving. Il film combina l'omaggio alla new wave horror di fine anni '90, che presentava tutta una serie di giovinetti più o meno caratterizzati costretti a scappare da un killer mascherato deciso a giurare loro vendetta per motivi più o meno condivisibili, a uno stile ben più gore rispetto ai film dell'epoca, legato in buona parte all'exploitation che aveva ispirato Grindhouse. La trama, che prende il via da una tragedia accorsa durante l'apertura di un grande magazzino in occasione di un black friday anticipato, inserisce in un contesto tipico dell'horror una critica all'acqua di rose (ma pur sempre presente, diciamolo) al consumismo sfrenato e al divario tra famiglie abbienti e poveracci, i quali possono o rimanere ancorati al loro squallore (soprattutto mentale) oppure tentare di "elevarsi" un minimo e scappare, sperando che la sfiga non ci metta lo zampino. Da par suo, la morte, incarnata dalla maschera antiquata del padre fondatore John "nomen omen" Carver, è anche in questo caso gran livellatrice e non guarda in faccia nessuno; tra un'accettata e l'altra, allo spettatore non resta che scoprire chi abbia deciso di esigere un giusto tributo per delle morti stupide e atroci, e quale rappresentante di un'umanità abbastanza cretina (anche quando si tratta di personaggi più o meno positivi) rimarrà vivo per raccontarlo.


Davanti a una serie di omicidi parecchio fantasiosi e sanguinolenti, un paio persino schifosi, le sequenze migliori del mucchio sono comunque quelle corali in cui Roth imbastisce un delirio cittadino fatto di dolore fisico quasi percepibile. La scena ambientata nel grande magazzino è angosciante, infatti, per un paio di motivi: intanto parte da presupposti anche troppo realistici e plausibili, e tiene lo spettatore col fiato sospeso nella consapevolezza della tragedia imminente, inoltre ogni singolo flash di morte porta a fare salti sulla sedia dalla sorpresa e dal male, aggiungendo, con una punta di sadismo, un odio strisciante per chi diventerà poi vittima del killer. Notevole anche la sequenza che riprende e amplia la scena della parata già presente nel fake trailer del 2007, diversissima per stile e morti da tutto il resto del film, con un mix di citazioni che spaziano da Killer Klowns from Outer Space ad Animal House, a riconferma di quanto Eli Roth sia un adorabile cialtronetto. Se così non fosse, ci si metterebbe un secondo a fare le pulci al film e trovare tutto ciò che non quadra, da stiracchiamenti di sceneggiatura sui quali non è facile sorvolare, per arrivare al cast. Ora, non so se hanno chiamato doppiatori italiani particolarmente svogliati perché pensavano di avere per le mani un horror da cestone, ma ho avuto difficoltà a capire se fossero gli attori ad essere cani in partenza o se la colpa fosse della versione italiana. Al momento, infatti, salvo solo Patrick Dempsey, perché dei ragazzetti protagonisti non ce n'è uno che mi abbia colpita favorevolmente (in compenso ci sono delle chicche esilaranti tra i personaggi secondari, tra metallari appassionati, animi sensibili dai pettorali scolpiti e gatti che si comportano da perfetti esponenti della loro razza maligna), ma aspetto di riguardarlo volentieri in lingua appena sarà disponibile in streaming, perché se c'è uno slasher divertente, ironico e sanguinoso quest'anno, è proprio Thanksgiving. Quindi rendiamo grazie ad Eli Roth, sperando che torni presto a percorrere la ritrovata via dell'horror! 


Del regista e co-sceneggiatore Eli Roth ho già parlato QUI mentre Patrick Dempsey, che interpreta lo Sceriffo Eric Newlon, lo trovate QUA.

Gina Gershon interpreta Amanda Collins. Americana, ha partecipato a film come Danko, Cocktail, I protagonisti, Showgirls, Bound - Torbido inganno, Face/Off, e a serie quali Ai confini della realtà, Melrose Place, Ellen e Chucky; come doppiatrice ha lavorato in I Griffin e American Dad!. Anche produttrice, sceneggiatrice e regista, ha 61 anni e cinque film in uscita. 


Per la cronaca, il favoloso micio presente nel film è lo stesso Tonic che ha partecipato a Pet Sematary e, all'epoca, si era persino presentato al red carpet. Con questo, se Thanksgiving vi fosse piaciuto, il consiglio è quello di recuperare la saga di Scream. ENJOY! 

venerdì 24 novembre 2023

Cimitero Vivente: Le Origini (2023)

Nei due giorni di malanno sono riuscita anche a recuperare Cimitero Vivente: Le Origini (Pet Sematary - Bloodlines), diretto e co-sceneggiato dalla regista Lindsey Anderson Beer.


Trama: proprio mentre Judd Crandall e la futura moglie Norma sono in procinto di partire per raggiungere i Peace Corps, Bill Baterman seppellisce nel terreno Mic Mac il figlio Timmy, morto in guerra. Il ritorno di Timmy dà inizio a un'ondata di orrore inarrestabile...


Cimitero Vivente: Le Origini
può tranquillamente essere definito un'inutile zozzeria. E non lo dico perché sono una "bimba di King" (nonostante sia cosa verissima) o perché Cimitero vivente è una delle mie opere preferite, sia libro che film del 1989, ma perché ha sicuramente meno dignità del gradevole remake recente e, cosa ancor più grave, è ben più brutto e noioso di Cimitero Vivente 2, che almeno qualche risata la strappava. Cimitero Vivente: Le Origini è il nulla fatto a film, l'ennesima opera a base di morti viventi priva di cuore o cervello, e poteva avere qualsiasi altro protagonista, oltre ad essere ambientato in un'altra città che non fosse Ludlow. In realtà, l'unico aspetto positivo di Cimitero Vivente: Le Origini è che prova, almeno all'inizio, a creare una "mitologia" legata al terreno Mic Mac col potere di resuscitare i corpi e maledice un'intera città grazie alle linee di sangue del titolo originale, all'ereditarietà di uno scomodo ruolo di guardiani per espiare le colpe di coloni irrispettosi. Purtroppo, questa idea originale si traduce nella presenza di personaggi che stanno a Ludlow perché devono vigilare su un luogo conosciuto da tutti, e che quindi non avrebbero motivo alcuno di seppellire lì i morti, visto che già sanno come torneranno; inoltre, si perde il cuore dell'opera originale, quel dolore inenarrabile che spinge a sperare che non ci sia niente di peggio della morte e che i nostri cari possano tornare a tenerci compagnia anche solo per qualche ora, perché non c'è un singolo personaggio del film che non sia un cartonato privo di spessore emotivo oppure un cretino. Non sono una di quelle che amano sottolineare i presunti vilipendi all'opera originale, ma qui Judd ci fa la figura del minchione, perché rinuncia a fuggire da Ludlow solo per poi battersene le balle, da vecchio, e liberare il male attraverso Louis Creed (nel libro ci sta, quella di Timmy era una sorta di leggenda oscura, l'unica vittima era stato suo padre, Judd poteva anche pensare che morti più "freschi" avessero la possibilità di tornare sani, ma qui viene sterminato mezzo consiglio comunale e lo stesso Judd perde il padre, che senso ha???).


Voi direte, almeno c'è qualche momento interessante o particolarmente succoso a livello di gore? Oddio. Timmy non fa paura neppure per un istante e lo stesso vale per gli altri, sparuti "ritornanti", nonostante a un certo punto ci sia un bel profluvio di sangue versato. Il problema è che, salvo per qualche jump scare ampiamente prevedibile, il film si priva dell'atmosfera malata e a volte un po' visionaria dei film precedenti, dove i personaggi sembravano davvero persi nel dormiveglia, intontiti dal dolore o mossi da una mano malvagia e ineluttabile, quindi la noia di una storia prevedibile dall'inizio alla fine regna sovrana. Lindsey Anderson Beer ci mette del suo, in quanto ogni scena che preveda un minimo di "tafferuglio" coi morti è al limite dell'incomprensibile (sul finale, poi, ci si mette una fotografia scurissima che fa ancora più venir voglia di dormire), mentre quelle che dovrebbero trasmettere un po' di pathos o partecipazione verso il destino dei protagonisti sono piatte e fredde, e non serve far passare un camion della Orinco ogni tanto per ricordarmi che, in futuro, un* bimbett* ci rimetterà la ghirba e spingermi così a piangere. Stendo un velo pietoso anche sugli attori. Henry Thomas, poverello, ci prova, ma tutto gioca contro di lui e il vero, imperdonabile difetto del film è lo spreco di un David Duchovny che a momenti non sa neppure perché si trova lì. Ovviamente, 'sta schifezza è arrivata in Italia in un lampo grazie a Paramount +, con tutta la bella roba che rimane al palo, inedita per anni, quindi mi viene ancor più da piangere. 


Di Henry Thomas (Dan Crandall), David Duchovny (Bill Baterman), Samantha Mathis (Kathy Crandall) e Pam Grier (Marjorie Washburn) ho già parlato ai rispettivi link 

Lindsey Anderson Beer è la regista e co-sceneggiatrice del film, al suo primo lavoro dietro la macchina da presa. Americana, è anche produttrice. 


Natalie Alyn Lind
, che interpreta Norma, era la Lauren Strucker della serie The Gifted. Se Cimitero Vivente: Le Origini vi fosse piaciuto recuperate Cimitero vivente, Cimitero vivente 2 e Pet Sematary, di cui questo film è il prequel. Soprattutto, magari, leggete il romanzo di Stephen King, che è sempre cosa buona e giusta. ENJOY!

mercoledì 22 novembre 2023

C'è ancora domani (2023)

A più di due settimane dalla sua uscita, ho trovato finalmente una sera per andare a vedere C'è ancora domani, diretto e co-sceneggiato dalla regista Paola Cortellesi.


Trama: nel 1946, la casalinga Delia vive sbrigando lavori sottopagati e vivendo come una serva per il marito violento. Ma una misteriosa lettera le porterà un briciolo di speranza...


Fantastico. Sono passate più di due settimane e martedì scorso la sala era zeppa, non a livelli di Barbie e Oppenheimer ma, a memoria, non vedevo tanta folla per un film italiano dai tempi di Benvenuti al sud (e quella volta ero andata di sabato, esperienza che ha talmente scioccato i miei genitori da averli spinti a non ritentare mai più un ritorno in sala!). L'accoglienza tributata all'opera prima di Paola Cortellesi ha dell'incredibile, e non è imputabile solo alla fama che l'attrice si è costruita nel tempo, prima quella televisiva come comica ed imitatrice, poi come comprimaria e protagonista di pellicole di vario genere: il passaparola è impietoso, si veda il destino di Marvels, stroncato ancora prima dell'uscita, ma quello positivo e quasi unanime spinge anche chi non bazzica le sale ad alzare il culo dalla poltrona casalinga, anche solo per la curiosità di vedere rispettate le promesse di un trailer intrigante. Per quanto mi riguarda, C'è ancora domani ha tenuto testa sia alle aspettative sia alle mille recensioni positive sbirciate nel corso delle settimane. L'esordio della Cortellesi è un delizioso omaggio al neorealismo rosa, quel genere a cavallo tra il neorealismo e la commedia all'italiana dove venivano toccate questioni sociali legate all'attualità dell'epoca tingendole con un tocco di leggerezza. Si è nell'immediato dopoguerra, Delia è una casalinga costretta a badare al suocero infermo e a fare lavoretti sottopagati per riuscire a mantenere il marito pocofacente e violento; come se non bastasse, dei tre figli toccatile in sorte, due sono dei piccoli mostriciattoli sboccati destinati a diventare come ogni maschio della famiglia, mentre la più grande, Marcella, vive con lei un rapporto conflittuale, viziato da un senso di superiorità provato dalla giovane, disgustata dalla debolezza di una madre che ama ma di cui non capisce le scelte di vita. Il film descrive una realtà per nulla allegra, eppure ogni sequenza viene stemperata da una situazione paradossale, una battuta, una perla di saggezza popolare che sottolineano la natura grottesca della condizione della donna a quei tempi e riverberano sinistramente in un presente dove qualcosa è cambiato, sì, ma troppo è rimasto immutato. Le protagoniste del film, infatti, anche le più "emancipate", subiscono quotidianamente la violenza di non poter scegliere e dover comunque dipendere dagli uomini, sia nel caso di famiglie povere come quella di Delia, sia nel caso di famiglie più abbienti, dove madri e figlie non sono altro che begli accessori o potenziali, ulteriori fonti di reddito; ancor peggio, anche chi è convinta di essere più "furba" e moderna, rischia di non vedere le insidie celate dietro consuetudini talmente radicate da avere perso ogni sfumatura negativa, e di ricadere in ruoli codificati senza neppure accorgersene.


Il pubblico popolare non è esente da questa "codificazione", io compresa. La Cortellesi lo sa e confeziona un film che prende per mano lo spettatore portandolo verso una direzione ben precisa: d'altronde, la regista gioca molto sulle percezioni errate e sulle bugie che si raccontano le persone per sopravvivere, e lo dimostra l'efficace utilizzo della colonna sonora, che trasforma le scene più violente in musicarelli di confronto tra Delia e Ivano, mentre i lividi compaiono o scompaiono a seconda che familiari, amici o semplici conoscenti vogliano o meno vederli. La stessa "ingenuità" con cui vengono messe in scena situazioni di vita talmente tipiche da sembrare quasi farlocche l'ho percepita come la scelta consapevole di cavalcare l'onda di un omaggio nostalgico, di una memoria condivisa sedimentata da anni di film, romanzi e storie raccontate dai nonni, che spinge lo spettatore ad ignorare tanti piccoli indizi buttati lì en passant, finché sul finale si rimane così, in bilico tra il riso e il pianto, piacevolmente gabbati dalla svolta inaspettata presa dalla storia e con la voglia di ricominciare il film da capo. Forse io non faccio testo, perché la Cortellesi mi è sempre piaciuta, ma ho ovviamente apprezzato sia la sua recitazione sia quella degli altri coinvolti, soprattutto quella di un Giorgio Colangeli semplicemente abietto nell'interpretazione del terrificante nonno Ottorino, e mi sono lasciata trasportare dall'atmosfera dolceamara che permea tutto il film, inghiottendo enormi magoni tra una risata e l'altra. Poi, se volete, posso anche dirvi che C'è ancora domani non è un capolavoro e che è zeppo di ingenuità e momenti che scappano anche troppo di mano nella loro assurdità, ma è piacevole da guardare, fa riflettere e sicuramente riesce a ritagliarsi un piccolo spazio di originalità all'interno di una cinematografia italiana fatta di drammoni pesanti come macigni o cretinate senza capo né coda. Magica Paola, col prossimo film, chissà dove arriverai! (semicit.) Personalmente, sono molto curiosa di scoprirlo! 


Della regista e co-sceneggiatrice Paola Cortellesi, che interpreta anche Delia, ho già parlato QUI. Valerio Mastandrea (Ivano) e Giorgio Colangeli (Ottorino) li trovate invece ai rispettivi link.

martedì 21 novembre 2023

Suitable Flesh (2023)

Un altro horror che puntavo da un po' era Suitable Flesh, diretto dal regista Joe Lynch e liberamente tratto dal racconto La cosa sulla soglia di H.P. Lovecraft.



Trama: La psichiatra Elizabeth Derby si ritrova la vita sconvolta dopo che uno dei suoi pazienti, Asa, le confessa di essere vittima di uno scambio di corpi...


Nonostante mi piaccia molto l'horror, non sono esperta né di Stuart Gordon né di H.P. Lovecraft, di cui ho colpevolmente letto poco. Arrivavo quindi abbastanza "vergine" all'appuntamento con Suitable Flesh ed è stato solo verso metà che ho ricordato tutte le suggestioni inserite da Alan Moore in quel capolavoro di Neonomicon e capito dove avevo già sentito prima questa storia. Tratto dal racconto La cosa sulla soglia di H.P. Lovecraft e sceneggiato dal collaboratore storico di Stuart Gordon, Dennis Paoli, Suitable Flesh è la cosa più anni '80/'90 che vedrete quest'anno, e non perché cavalca la moda della riproposizione storica a tutti i costi (il che ormai, almeno a me, ha rotto le scatole) ma perché sembra realizzato con la stessa, spregiudicata "amoralità" dell'epoca. Di fatto, il film è ambientato ai giorni nostri, e i cellulari ricoprono una parte fondamentale della trama, ma entra a gamba tesa nel puritanesimo degli horror odierni puntando moltissimo sulla carne idonea del titolo originale, che viene mostrata parecchio. D'altronde, perché non dovrebbe essere così? Si parla di scambio di corpi, di una creatura immorale oltre che immortale, la quale cambia pelle come le pare e senza curarsi troppo delle anime che deve scacciare per riuscirci, una creatura ben consapevole di come dare e ricevere piacere e sempre aperta a nuove esperienze. Immaginate quindi la povera Dottoressa Derby, irreprensibile quasi cinquantenne con marito sexy ma moscino a carico, quando un giorno si ritrova in studio un ragazzetto che, dopo un primo impatto di disperazione e fragilità a mille, diventa all'improvviso uno sfrontato stronzetto pronto ad infilarsi di prepotenza nelle fantasie sessuali (e non solo) della bionda sciura, magari sfruttando un po' di suggestioni ipnotiche o malie sconosciute; in un istante la dottoressa non riesce più a togliersi Asa dalla testa ma, purtroppo per lei, la promessa di un piacere extraconiugale diventa un incubo con vista su orrori cosmici al di là della comprensione umana e sulla totale perdita di sé stessa, una corsa senza freni verso la distruzione di razionalità e realtà. E' molto interessante come la "debolezza" di Elizabeth non venga mai giudicata o strumentalizzata, anzi, Paoli riesce a veicolare non solo l'immagine di una donna forte e sicura, ma anche di una persona buona che non esiterebbe a sacrificarsi per difendere i suoi affetti più cari dall'orrore che è arrivato ad inghiottire la sua vita prima per caso e poi per capriccio, e ciò rende la sceneggiatura ancora più efficace perché lo spettatore riesce a provare sincera empatia verso la protagonista.


C'è da dire che Heather Graham è perfetta per il ruolo. All'età di 53 anni la sua bellezza delicata e botticelliana non è minimamente sfiorita e quella scintilla di sensuale malizia che l'ha sempre animata, rendendola un emblema di perfetto dualismo, è forte come un tempo, il che fa di lei la candidata ideale per un ruolo in cui menti e corpi si scambiano senza soluzione di continuità. A un certo punto, poi, si fa più preponderante la presenza di Barbara Crampton, l'altra che ha firmato un patto col Diavolo, e il film diventa ancora più divertente ed angosciante da seguire, con una "guerra tra bionde" che rischia di fare la felicità di tantissimi appassionati. Aggiungo che Suitable Flesh non è solo sesso e bionde in pericolo, ma ci sono parecchi momenti gore in cui l'orrore cosmico diventa carne difficile da liquidare con un confinamento tra quattro mura imbottite, e Lynch si diverte parecchio a giocare con punti di vista inusuali che compensano quella che, almeno per me, è un'aura un po' posticcia di nostalgia artigianale: purtroppo, Stuart Gordon non è più tra noi ed imitarne lo stile dà vita a sequenze che ho trovato un po' squallidine, il che è l'unico vero difetto che imputo a Suitable Flesh. Per il resto mi sono molto divertita e, da donna, faccio tantissimi complimenti a Judah Lewis, che nel giro di sei anni è passato dall'avere il musetto da bimbo tenerino ai tratti somatici da stallonetto che prenderebbe la babysitter Samara Weaving e le farebbe vedere i sorci verdi. Come crescono 'sti ragazzini, signora mia! O forse invecchiamo tutte tranne la Graham e la Crampton?  


Del regista Joe Lynch ho già parlato QUI. Heather Graham (Dr. Elizabeth Derby), Barbara Crampton (Dr. Daniella Upton), Judah Lewis (Asa Waite) e Bruce Davison (Ephraim Waite) li trovate invece ai rispettivi link.
 

venerdì 17 novembre 2023

The Killer (2023)

L'uscita più importante della settimana era senza dubbio The Killer, diretto dal regista David Fincher e tratto dalla graphic novel omonima di Alexis 'Matz' Nolent e Luc Jacamon.


Trama: dopo un lavoro finito male, un killer solitario comincia una lunga e metodica caccia all'uomo...


The Killer è la risposta elegante e riflessiva, nonché tremendamente ironica (un'ironia amarissima, ma pur sempre ironia), alla marea di film à la John Wick che hanno invaso il mercato cinematografico da una decina d'anni. Al ritmo forsennato e cartoonesco di questo genere di pellicole, Fincher contrappone un'opera che inizia con un'attesa e le riflessioni del killer del titolo, un professionista taciturno che affronta ogni ingaggio col piglio pragmatico di un contabile, accompagnato da un codice inflessibile da cui dipende la sua stessa sopravvivenza. Nonostante il giro di soldi, mezzi, accessori, location e appartamenti di lusso, la professione di assassino prezzolato viene completamente privata di fascino nel momento in cui il protagonista sottolinea la noia (e i pericoli) derivanti dalle lunghe attese, il totale distacco emotivo che si traduce in una vita solitaria, nell'estremizzazione dell'alienazione moderna, in uno spleen accompagnato dalle musiche degli Smiths; questi elementi non cambiano neppure quando un ingaggio andato male dà il via a tutta la trama, costringendo il protagonista a lottare per la propria sopravvivenza e cercare allo stesso tempo vendetta. Anche in questa situazione, però, non c'è alcuna spettacolarizzazione, solo il pragmatismo spersonalizzato di chi fa il proprio lavoro con attenzione e cura ma senza alcun coinvolgimento emotivo, ed è paradossale che lo spettatore si ritrovi, per questo, ancora più coinvolto. The Killer, infatti, è un filo di due ore che si tende fino al parossismo, nell'attesa che qualcosa (ancora) vada storto al protagonista o che ciò che si nasconde appena oltre la sua attenta anticipazione possa franargli addosso senza controllo; si può accusare il film di avere una certa lentezza, eppure io (che ormai dormo della grossa anche davanti agli horror) sono rimasta ipnotizzata dal racconto in prima persona del personaggio principale, dalla sua filosofia di vita e lavoro, da tutti i freddi e razionali ragionamenti che accompagnano ogni sua mossa, un aspetto narrativo che arricchisce una storia di una semplicità tale che ci vorrebbero due minuti a raccontarla.


Fincher apre il film con una sequenza tesissima e dal sapore quasi hitchcockiano, interamente filtrata dall'occhio analitico (e un po' guardone) di un protagonista che costruisce la tensione finché non si affloscia come un Homer a cui manca solo di pronunciare un "d'oh!", e continua a farci indossare i panni di questo assassino senza nome non solo sfruttandone lo sguardo e la parola, ma anche l'udito, poiché ogni cosa che sentiamo (suoni, parole, melodie) è quel poco che il protagonista lascia filtrare nei suoi pensieri. Questi sono due elementi della pellicola che ho apprezzato tantissimo, il terzo è lo showdown col "bruto", totalmente avulso da ogni regola moderna del genere, privo di quelle coreografie di menare che vanno così di moda, eppure talmente ben diretto che mi sembrava di sentire ogni dolorosissimo colpo preso ed inferto dai due contendenti. Il quarto, neanche a dirlo, è Fassbender, la cui teutonica bellezza viene volontariamente "ammorbidita" da abiti un po' anonimi e sfigati, perfetti per farlo passare inosservato. L'espressione glaciale e le mosse controllate dell'attore si animano di guizzi improvvisi, quando crepe di dolorosa consapevolezza (quella di essere, fondamentalmente, una povera minchia di mare in balìa degli eventi) si aprono all'interno di abitudini consolidate ma non infallibili e, forse, neppure utili. Non a caso una delle mie sequenze preferite è quella del confronto con l'"esperta"; il mezzo sorriso che Fassbender tenta di trattenere di fronte a una donna/cotton-fioc che si crede Tarantino in Desperado (o Ceccon/Balbontin nel Gialappa's Show) è delizioso, e la meravigliosa Swinton ci mette del suo, con la solita eleganza che la contraddistingue. Come nel caso di Scorsese e di Killers of the Flower Moon, anche The Killer non rientrerà nella mia top 5 di film di Fincher, ma per quanto mi riguarda sono molto soddisfatta della sua ultima opera e adesso non mi resta altro da fare che leggere il fumetto, giusto per completezza! 


Del regista David Fincher ho già parlato QUI. Michael Fassbender (il  Killer), Tilda Swinton (l'Esperta) e Arliss Howard (Il cliente - Claybourne) li trovate invece ai rispettivi link.


Se The Killer vi fosse piaciuto recuperate Leon e In Bruges - La coscienza dell'assassino. ENJOY! 

mercoledì 15 novembre 2023

Sorella morte (2023)

Siccome all'epoca mi era piaciuto parecchio Véronica, ho deciso di recuperarne il prequel uscito da poco su Netflix, Sorella morte (Hermana Muerte), diretto e co-sceneggiato dal regista Paco Plaza.


Trama: Nella Spagna post-seconda guerra mondiale, la novizia Narcisa va in un convento che funge anche da collegio femminile. Lì cominceranno ad accadere fatti inspiegabili e terribili...


Sorella morte era la suora cieca che, nel film Véronica, cercava in qualche modo di aprire gli occhi alla protagonista su ciò che la perseguitava. Onestamente, mai mi sarei aspettata che Paco Plaza ne avrebbe fatto la protagonista di un prequel, peraltro così diverso da Véronica, ma tant'è. Sorella morte è uno slow burn sovrannaturale che getta giustamente ombra sull'intera istituzione della Chiesa, che già si era dimostrata inutile nel film precedente e, in questo, risulta addirittura dannosa. La protagonista, la novizia Narcisa, da bambina era assurta agli onori della cronaca perché "miracolata" da visioni religiose e ciò l'ha ovviamente privata dell'infanzia, oltre a indirizzarla su un cammino già tracciato. Una volta cresciuta, tuttavia, Narcisa non riesce più a comunicare con la Madonna e Dio, e ciò le causa dubbi e timori che nessuno può aiutarla a superare, presa tra chi vorrebbe strumentalizzarne la fama (come la madre superiora) e chi, invece, non le ha mai creduto oppure la invidia (come sorella Julia). Nel periodo più confuso della sua vita, Narcisa si ritrova in un convento segnato dall'orrore della guerra e, come ben sappiamo noi amanti dell'horror, certi eventi violenti lasciano tracce anche dopo tanto tempo; poco dopo il suo arrivo, la novizia comincia infatti a venire perseguitata da incubi terribili e misteriosi eventi che si susseguono non solo all'interno della sua cella, ma anche in giro per il convento, coinvolgendo le piccole studentesse ospiti, le quali cominciano a parlare di una fantomatica "bambina" in grado di maledire chiunque profani i suoi inquietanti disegni. Sorella morte è un nome quantomai calzante, perché sono i dubbi e la convinzione di essere stata abbandonata da Dio che portano Narcisa a stuzzicare le possibili presenze, a mettere alla prova se stessa e la sua capacità di vedere oltre il velo della realtà, con conseguenze ovviamente tragiche che non risparmiano né gli innocenti né chi professa una fede solo di facciata, da preservare ad ogni costo. 


Dire altro sulla trama significherebbe scivolare in spiacevoli spoiler, ma a me Sorella morte è sembrato più interessato a scavare nel rapporto ambiguo che gli spagnoli hanno da sempre con una Chiesa ben poco trasparente, che a terrorizzare lo spettatore; inoltre, Aria Bedmar è un'attrice ottima e lo spettatore rischia quasi di essere più coinvolto dal suo doloroso tormento interiore che da ciò che potrebbe mettere in pericolo le piccole studentesse del convento. Non che manchino i momenti spaventosi, ovviamente. Paco Plaza rifugge il jump scare a effetto e preferisce giocare di atmosfera, sfruttando inquadrature insistite dei corridoi, sale e ombre che sembrano essere la cifra stilistica del vecchio convento e che concorrono a rendere l'ambiente in cui viene a trovarsi la protagonista ancora più soffocante ed inquietante. Se, come ho detto all'inizio, Sorella morte è uno slow burn che si affida prevalentemente alle atmosfere, quando si tratta di fare sul serio con l'horror Plaza non si tira però indietro, e il prefinale è zeppo di momenti brutali (uno in particolare, anche se non sanguinoso) e decisamente spaventosi, che potrebbero compensare chi preferisce un tipo di pellicola più "diretto". Io stessa devo ammettere di avere più apprezzato Véronica, dove Plaza ha mescolato i cliché del genere "possessioni demoniache" in modo a me più congeniale, ma il regista dimostra, come sempre, di essere un finissimo conoscitore dei meccanismi che governano l'horror e di essere in grado di rivisitarli in maniera originale e coinvolgente, diversamente da pellicole come The Nun (sempre per rimanere in tema) che, in confronto, risultano stantie e banali. Considerato che il finale, direttamente legato a Véronica, è un tocco di classe che mi ha fatto venire voglia di vederlo per la terza volta, vi consiglio di non sottovalutare Sorella morte e di dargli una chance se avete Netflix. Nel caso vi mancasse il primo film, non preoccupatevi perché è comprensibilissimo anche visto da solo!


Del regista e co-sceneggiatore Paco Plaza ho già parlato QUI


Maru Valdivielso
, che interpreta Sorella Julia, era la terribile Josefa di Véronica e ha partecipato anche a La abuela; la protagonista di quest'ultimo film, Almudena Amor, interpreta invece Sorella Socorro. Tornano ovviamente Sandra Escacena nei panni di Véronica e Consuelo Trujillo in quelli di Sorella Morte. Se non l'aveste ancora capito, se Sorella morte vi fosse piaciuto consiglio di recuperare Véronica. ENJOY!

martedì 14 novembre 2023

When Evil Lurks (2023)

E' il caso horror del momento, quindi non potevo esimermi dal vedere When Evil Lurks (Cuando acecha la maldad), diretto e sceneggiato dal regista Demián Rugna.


Trama: due fratelli si ritrovano a dover proteggere se stessi e i loro cari da un male insinuante e inarrestabile...


Cercate un horror capace di fare realmente paura e di mettervi addosso anche una discreta tristezza? When Evil Lurks è ciò che fa al caso vostro. Per darvi un'idea di quello che si è messo in testa stavolta Demián Rugna (già responsabile, nel caso ve lo foste dimenticato, dell'angosciante Aterrados), dovete immaginare un ibrido tra The Outcast di Robert Kirkman, Il male di Dylan Dog e The Dark and the Wicked, "sporcato" da una doverosa punta di critica sociale che, tuttavia, non pretende di elevare un horror brutale e diretto come un'accettata in faccia. Il regista è partito dalla condizione sociale disagiata di chi vive nelle isolate campagne argentine, lontano dai luoghi di potere e decentrato rispetto agli interessi del governo, magari costretto anche a curare i propri campi con roba non proprio sana o regolamentata (andate a vedere la mostra World Press Photo a Torino. Lì si parla di Messico ma il senso del discorso è lo stesso), e da lì ha realizzato una tristissima riflessione sul Male ineluttabile, che non guarda in faccia a nessuno e distrugge, incontrollato, anche chi ha le migliori intenzioni. Il regista spiega ben poco e la storia comincia in medias res, ovvero in un universo narrativo dove capita che le persone vengano possedute e, di conseguenza, esista addirittura un protocollo governativo per disporre dei demoni senza che l'infezione si propaghi. Purtroppo, i due fratelli Pedro e Jimi scoprono a loro spese che, coi loro vicini, il governo se l'è presa molto comoda (un anno) e, come se non bastasse, l'addetto inviato ad eliminare il posseduto non ha fatto una bellissima fine; prede della paura, dell'ignoranza e della disperazione, i due fratelli e un signorotto del luogo cercano di metterci una pezza prima che sia troppo tardi, ma prendono ogni decisione sbagliata. Ora, il bello della sceneggiatura di Rugna non è solo che ti catapulta in un incubo ad occhi aperti senza prepararti, ma anche che i protagonisti (per quanto incappino inevitabilmente nelle scelte scellerate tipiche di un horror altrimenti la storia non andrebbe avanti) non risultano mai posticci o stupidi, bensì vittime di un meccanismo di malvagia predestinazione/furbizia demoniaca che, ad ogni perdita, si porta via una parte del cuore dello spettatore, il quale già dopo pochi minuti si lascia coinvolgere dal legame tra Pedro e Jimi e arriva a volergli bene.


Rugna lo sa, e giustamente infligge ai protagonisti i colpi peggiori, senza lesinare in schifo ripugnante e momenti di terrore. Questi ultimi li ricava con l'attesa, la semplice attesa di qualcosa di brutto anticipato con parole ed inquadrature insistite, ombre che si scorgono con la coda dell'occhio, luoghi bui dove non si può utilizzare la luce elettrica, attori persi in mezzo ad un inquadratura che li rende vulnerabili a tutto ciò che potrebbe entrare in campo da un momento all'altro. Lo schifo ripugnante passa invece attraverso il make up del posseduto che scatena l'orrore iniziale, talmente purulento e sporco che si sente praticamente la puzza dallo schermo, ma fosse solo quello. Animali e bambini non vengono risparmiati dalla violenza messa in scena da Rugna, che mostra tutto ciò che è lecito mostrare tra sangue e frattaglie, e più c'è dolcezza ed innocenza, più vi garantisco che verranno pervertite in modo da farvi venire un coccolone. When Evil Lurks però non è un mero campionario di efferatezze da superare sequenza dopo sequenza, alzando costantemente l'asticella del disgusto, bensì una vicenda narrata coi toni della tragedia, che parla di abbandono e pregiudizio, di forza di volontà schiacciata da qualcosa di più grande, della fine di una civiltà in cui anche chi è buono, chi ama con sincerità la sua famiglia, chi cerca di fare del suo meglio, viene alla fine inghiottito da un male alimentato da disinteresse, lassismo e tanta, troppa paura. When Evil Lurks non è un film perfetto, ci mancherebbe, ma in un anno dove, a livello di horror, a farmi battere seriamente il cuore c'è riuscito solo Flanagan con la sua Caduta della casa degli Usher, è diventato nel giro di pochissimo il primo della lista, riconfermando la capacità di Demián Rugna di entrare sotto pelle con pochi danari e tanto entusiasmo. Non perdetevelo nemmeno per sbaglio e pregate che venga distribuito presto in Italia!


Del regista Demián Rugna ho già parlato QUI.


Se When Evil Lurks vi fosse piaciuto, recuperate Aterrados The Dark and the Wicked. ENJOY!

venerdì 10 novembre 2023

Five Nights at Freddy's (2023)

Non mi ispirava per nulla, ma non dico mai no a un horror al cinema, quindi sono andata anche io a vedere Five Nights at Freddy's, diretto e co-sceneggiato dalla regista Emma Tammi.


Trama: vittima di un passato traumatico e alla costante ricerca di un lavoro per poter mantenere la sorellina, Mike finisce per fare il guardiano notturno in un ristorante per famiglie abbandonato e popolato da inquietanti pupazzi robotici...


Essendo una vecchia di 42 anni non ho mai giocato a Five Nights at Freddy's e ho giusto una vaga idea della trama del videogioco, ma già dal trailer mi aspettavo un blando horror per ragazzi privo della follia di operazioni simili, come Willy's Wonderland e The Banana Splits Movie, quindi partivo già poco convinta. Il mio livello di convinzione non è aumentato a fine visione, anzi, ho riconfermato ogni mio pregiudizio. A onor del vero, il povero Five Nights at Freddy's partiva già svantaggiato a causa della "scorrettezza" di chi ha deciso di trarne un film con Nicolas Cage cambiando il titolo e il design dei pupazzi malvagi per non incappare in cause legali, stabilendo un livello di badassitudine difficile da superare con un PG 13 e la fazzetta fessa di Josh Hutcherson, ma l'operazione è moscia in generale. Invece di gettarla in caciara, infatti, gli sceneggiatori hanno deciso di puntare su un dramma famigliare che sbaglia praticamente ogni mossa (togliamo pure il momento "Mystic River", ma all'inizio si fatica persino a capire il legame tra Mike e Abby, la zia cattiva ha delle motivazioni talmente risibili che è impossibile accettare il suo piano arzigogolato di pagare degli scappati di casa così da ottenere l'affidamento di Abby per avere i soldi del mantenimento, e non voglio neppure cominciare a parlare della poliziotta, per carità), "arricchito" da una storia sovrannaturale che dovrebbe coinvolgere emotivamente lo spettatore e lo lascia invece basito, a chiedersi se 'sti bambini spettrali non fossero degli stronzetti già prima di venire traumatizzati. Freddy e i suoi compari, inquietanti pupazzoni che esulano da ogni logica della fisica (ma minchia, quale uomo avrebbe la capacità di camallarsi addosso chili di ferraglia e pelo finto??), vengono sfruttati il minimo indispensabile, giusto il tempo di un paio di omicidi fuori campo e del WTF più grosso di tutta la trama, ed è un peccato perché l'ambientazione del ristorante abbandonato e il loro sembiante sono il punto forte dell'intero film.


Proprio per questo, la regista Emma Tammi da il meglio di sé quando trasforma il ristorante di Freddy in un luna park del terrore dove i pupazzoni spadroneggiano, tra cunicoli bui e corridoi che sfociano in magazzini dal contenuto terrificante, con quel tocco d'ironia dato dalle canzoni allegre e dai colori sgargianti che traggono in inganno gli sprovveduti, per il resto le sequenze risultano persino ripetitive, soprattutto quella del sogno, inquietante giusto la prima volta ma riproposta all'infinito. I pupazzoni sono belli (d'altronde sono stati realizzati ed animati dal Jim Henson Creature Shop), sicuramente più di quelli di Willy's Wonderland che erano brutti come il peccato e anche poco omogenei a livello di stile, e ci sono dei momenti in cui fanno passare la voglia di scappare e spingerebbero ad abbracciarli (a nostro rischio e pericolo, ovvio). Sono, perlomeno, migliori del cast moscio tirato fuori per l'occasione, con Matthew Lillard che, da solo, spazza via a colpi di carisma tutti quelli che lo circondano nel poco tempo che gli è stato concesso, mentre il pubblico è costretto a seguire le vicissitudini di un Josh Hutcherson più sonnacchioso e inespressivo del solito, cosa che mi ha portata ad invocare il nome di Nic Cage in ogni maledetto secondo. A 'sto punto, esigo che facciano un remake degli Hunger Games con Cage travestito da pietra di fiume, o non ci sarà giustizia a questo mondo. E già questa mia ultima affermazione si avvererà quando usciranno fiumi di sequel per Five Nights at Freddy's, che sta facendo sfracelli al bottteghino. Buon per tutti i coinvolti, ai quali faccio i miei migliori auguri di un roseo futuro, ma a meno di guest star allucinanti le mie notti con Freddy finiscono qui.


Josh Hutcherson (Mike) e Matthew Lillard (Steve Raglan) li trovate ai rispettivi link. 

Emma Tammi è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto film come The Wind ed è anche produttrice e attrice.


Se Five Night at Freddy's vi fosse piaciuto recuperate Willy's Wonderland e The Banana Splits Movie. ENJOY!

mercoledì 8 novembre 2023

Mad Heidi (2022)

L'avevo perso al Tohorror dell'anno scorso, ma adesso è approdato su Prime e, siccome gli facevo la posta da anni, ho recuperato Mad Heidi, diretto e sceneggiato nel 2022 dai registi Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein.


Trama: Heidi, ragazza delle Alpi, viene rapita dalle truppe di una Svizzera nazistoide, governata con formaggio e pugno di ferro...


Sospiro. Sto forse diventando troppo vecchia per queste stronzate? Premetto, non è che mi aspettassi un capolavoro guardando Mad Heidi. E' un progetto nato anni fa, cresciuto grazie a passaparola e crowfunding, che è riuscito a venire proiettato nei festival giusto l'anno scorso, di conseguenza immaginavo ci sarebbero stati effettacci speciali al limite della decenza, con eccesso di CGI d'accatto, e attori di livello Occhi del Cuore. Anzi, vi dirò che ciò, per quanto mi riguarda, faceva parte del fascino dell'operazione, a cui guardavo con la speranza di avere un livello di so bad it's so good da rimanere negli annali del cinema di serie Z. Ciò che proprio non mi aspettavo, invece, è che mi sarei fatta due palle cubiche durante la visione di un film che di matto ha solo il titolo. Mad Heidi, purtroppo, si gioca tutte le sue carte nei primi cinque minuti, senza più allontanarsi dal concetto di una Svizzera sotto il giogo di un dittatore amante del formaggio (al posto degli ebrei ci sono gli intolleranti al lattosio) e di una Heidi adulta, circondata da versioni distorte dei personaggi del celebre romanzo/anime. In pratica, la cosa più simpatica del film è vedere come sono stati resi Peter (chiamato, nell'adattamento italiano, Peter il pastore, in ogni occasione, persino dal padre), Clara (introdotta in maniera fighissima e poi abbandonata a se stessa), il vecchio dell'alpe e la signorina Rottelmeier, diventata Rottweiler per chissà quale motivo, per il resto Heidi diventa leggermente "mad" dopo quasi un'ora di menoso prison movie al femminile, seguito da un addestramento zen che è un omaggio a quello della sposa in Kill Bill e che si conclude con uno showdown talmente rapido da risultare ben poco soddisfacente. Sì, la sceneggiatura è piena di battute e citazioni, si ride degli inevitabili stereotipi degli svizzeri o di oggetti tipici trasformati in armi, si punta il dito nel riconoscere i vari riferimenti cinematografici di genere, ma è un gioco che, pur durando per fortuna poco, stanca fin da subito.


Avendolo guardato con Mirco (poveraccio...) mi sono "goduta" sicuramente un doppiaggio italiano più penoso e svogliato del solito (nell'arena, sotto la gente che scandisce "A morte!" si sente ancora il "kill, kill!" originale, ma scherziamo??), ma ho paura che l'originale fosse anche peggio. La protagonista, più che mad, è perennemente scoglionata, quanto a doti atletiche è sicuramente più adatta di me, e grazie al pazzo, tuttavia è legnosa come un gatto di marmo e i corpo a corpo che la vedono coinvolta sono imbarazzanti. Casper Van Dien, però, è ancora più imbarazzante e io mi chiedo come abbia fatto a farsi coinvolgere nell'operazione e interpretare il presidente scemo in tuta da ginnastica; va bene che il suo momento di gloria è iniziato e finito a cavallo del nuovo millennio, ma così è aggiungere crimini alla fedina penale, santo cielo. Stendo un velo pietoso anche su tutto il resto del cast, dove si salva solo David Schofield nei panni del vecchio dell'alpe, con nota di demerito a Max Rüdlinger il quale, vuoi per il già citato doppiaggio vuoi per altro, più che una parodia dell'ispettore Kemp di Frankenstein Junior sembra il fratello scemo di Rupert Sciamenna. L'unico elemento che ho davvero apprezzato di Mad Heidi, a fronte di un comparto gore gradevole ma sottoutilizzato, è stato l'omaggio a Lenzi e al suo Incubo sulla città contaminata, anche se temo il modello dei due registi fosse, più banalmente, il Planet Terror di Rodriguez. Voglio avere ancora fiducia nell'umanità e sperare che non sia così, e incrocio contestualmente le dita perché l'esperimento Mad Heidi si concluda qui, senza sfociare nel minacciato sequel Heidi & Klara.


Di Casper Van Dien, che interpreta il Presidente Meili, ho già parlato QUI.

Johannes Hartmann e Sandro Klopfstein sono i registi e co-sceneggiatori della pellicola. Entrambi svizzeri e al loro primo lungometraggio, il primo è anche montatore, produttore e ha 38 anni, il secondo lavora come tecnico degli effetti speciali e ha 42 anni.


Se Mad Heidi vi fosse piaciuto recuperate Iron Sky, Machete e Machete Kills. ENJOY!

martedì 7 novembre 2023

Once Upon a Crime (2023)

L'incontro settimanale cinematografico con Toto era diventato troppo serio, così ho rimediato proponendogli la visione su Netflix di Once Upon a Crime (赤ずきん、旅の途中で死体と出会う- Akazukin, tabi no tochu de shitai to deau), diretto e co-sceneggiato dal regista Yūichi Fukuda e tratto dalla raccolta di racconti omonima scritta da Aito Aoyagi.


Trama: poco dopo aver intrapreso un viaggio in solitaria, Cappuccetto Rosso si imbatte in Cenerentola e, assieme a due streghe buone, l'aiuta ad andare al ballo del principe. Purtroppo, l'esperienza è funestata dal misterioso omicidio di Hans, il parrucchiere reale...


Non conosco a menadito il catalogo Netflix, ma dubito che riuscirete a trovare un film più scemo di Once Upon a Crime. Attenzione, però: scemo non vuol dire anche divertente, perché il più grande difetto di Once Upon a Crime (anche se Toto potrà dissentire trovandone mille altri) è un ritmo altalenante che si assesta troppo spesso in un mood letargico che farebbe invidia ai peggiori episodi di Detective Conan. La citazione all'opera di Gosho Aoyama non è campata in aria, perché la protagonista del film è un'inedita Cappuccetto Rosso (in originale Akazukin) in versione detective, la quale, come da meraviglioso titolo originale della pellicola, "durante il suo viaggio si imbatte in un cadavere". La Cappuccetto Rosso interpretata da Kanna Hashimoto è infatti la versione in gonnella dello Sherlock Holmes di Robert Downey Jr e, come tale, è vittima di flash zeppi di indizi da ricollegare con la sua mente acutissima, che a un certo punto le vale persino l'appellativo di "sensei" da parte di un ammiratissimo Gran Ciambellano; i flash cominciano durante l'incontro con Cenerentola, la cui triste storia viene subito intuita da Cappuccetto Rosso, e diventano parte fondamentale della trama nel momento in cui, andando al ballo, le due si ritrovano sotto le ruote della carrozza/zucca un parrucchiere reale già cadavere. La trama verte quindi sulla ricerca dell'assassino del parrucchiere in un regno dove la bellezza è l'unica virtù riconosciuta, e si intreccia con un mistero legato al passato del principe amato da Cenerentola, con rivelazioni e twist che vanno dal vagamente interessante all'idiota totale. Purtroppo, come ho scritto sopra, la capacità di sopportazione e la voglia di stupidità dello spettatore non vengono granché ricompensate, perché buona parte del film è dedicata ai ragionamenti della protagonista, che si traducono in inquadrature statiche dove i personaggi parlano e spiegano, accompagnate talvolta da flashback esplicativi.


In soccorso del nipponofilo amante del trash arriva la natura parecchio sopra le righe di detti personaggi, accentuata da costumi/parrucche che si abbandonano al kitsch più sfacciato. E' già strano, per un occidentale abituato all'iconografia Disney/occidentale, vedere volti dai tratti orientali su personaggi di fiabe famosissime, ma ovviamente la sensazione viene estremizzata dall'utilizzo di colori sgargianti sia nelle parrucche che negli abiti, che trasformano ogni attore del film in un cosplayer improbabile. A dire la verità, protagonisti come Cappuccetto Rosso (che si profonde tuttavia in una faccia malvagia da "delitto perfetto" che mi ha fatta ridere fino alle lacrime), Cenerentola e il principe vengono stravolti nei limiti, e la palma d'oro del trash va invece ai personaggi minori o quelli inventati per l'occasione: il topo/cocchiere Paul, assurdo e tenerissimo nel suo squittire utilizzato come intercalare o risposta ad ogni domanda, la sorellastra Margot coi macaron in testa e l'abito decorato da fette di mela è un altro genio del male, il re con la faccia da rospo in un mondo di belli tocca l'apice dell'ipocrisia, ma i vincitori sono la volgarissima ed incapace strega Barbara (anche se non capite una mazza di giapponese, per favore, non perdetevi il suo intercalare da vajassa perché merita tantissimo) e, ovviamente, quel laido maniaco del parrucchiere Hans, sul quale non ricamo oltre perché le parole non renderebbero. Aggiungete setting e oggetti di scena poco meno scadenti di quelli utilizzati nel vergognoso Descendants e colori vividi sparati negli occhi che nemmeno nei peggiori fondi di magazzino di H&M, e avrete un'idea del risultato. Ovviamente, non starò a consigliarvi Once Upon a Crime a meno che non siate incredibilmente indulgenti verso ogni castroneria che viene dal Paese del Sol Levante, ma mentirei se non dicessi di attendere eventuali seguiti interpretati sempre dalla valida Kanna Hashimoto... d'altronde, dovrebbero esserci altri otto racconti da cui attingere, tratti da Hansel e Gretel, Pinocchio, La piccola fiammiferaia, Il pifferaio di Hamelin, Biancaneve e altri ancora! Machikirenai!! 

Yûichi Fukuda è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Giapponese, ha diretto film come HK: Hentai Kamen e Wotakoi - L'amore è difficile per gli otaku. Anche attore, ha 55 anni.


Kanna Hashimoto aveva interpretato Ritsu nei due live action dedicati ad Assassination Classroom. ENJOY!