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venerdì 30 novembre 2018

Patrick (1978)

Nei mesi scorsi ho fatto un po' di acquisti su varie bancarelle dell'usato e tra questi c'era anche il DVD di Patrick, diretto nel 1978 dal regista Richard Franklin.


Trama: Patrick, ragazzo in coma da tre anni, comincia a mostrare inquietanti poteri psicocinetici...



Patrick è uno di quei film di cui ricordavo bene la copertina dai tempi del vecchio videonoleggio albisolese ma al quale non mi ero mai avvicinata. Sulla custodia del DVD che ho acquistato, come anche sulla vecchia videocassetta che ricordo, spicca lo sguardo vitreo ed inquietante dell'attore Robert Thompson, i cui occhi tondi e spalancati perseguitano lo spettatore per l'intera durata della pellicola e sono, probabilmente, la scelta più azzeccata effettuata dal regista Richard Franklin. La presenza di Patrick, corpo morto attaccato a dei fili, è costante e non può essere ignorata, sia quando la cinepresa va ad indugiare sul suo volto bloccato nel letto di degenza, sia quando i protagonisti sono altrove, perché quello sguardo maligno pare seguirli anche in luoghi apparentemente sicuri come appartamenti e ville, quasi Patrick fosse onnisciente. Mal incoglie, ovviamente, alla povera infermiera Kathy, arrivata nella clinica dov'è ricoverato Patrick per fuggire da un matrimonio insoddisfacente e subito messa a guardia della famigerata "camera 15", dove le finestre si spalancano da sole e dove la capo infermiera non ha il coraggio di entrare. Patrick, come da copione, si incapriccia della bella infermiera e lì cominciano i guai per lei e per i suoi due spasimanti (marito in odore di divorzio vs ricco medico buono giusto per una scappatella), frutto di una condizione sentimentale ed esistenziale a dir poco caotica; più che triangolo, quello raffigurato nel film è un quadrangolo che rende il tutto ancora più morbosetto, poiché Kathy si compiace del suo essere indispensabile al benessere di Patrick e anche del segreto che si ritrovano a condividere allorché il ragazzo in coma comincia a comunicare (via sputi "tarantiniani" e macchine da scrivere possedute) solo con lei.


Incurante fino all'ultimo del pericolo insito non solo nei poteri di Patrick ma anche nella sua psiche malata, Kathy declassa i suoi atti criminali a semplici dispetti e fa di tutto per rendere la libertà e la dignità a una persona che, in fin dei conti, ha assassinato la propria madre per edipica gelosia e ciò rende difficile per lo spettatore definire buona parte dei protagonisti del film come "buoni" o "cattivi", il titolare in primis: Patrick è palesemente una creatura disturbata e pericolosa, eppure l'infermiera capo e il dottore che l'ha in cura sono deprecabili quanto lui in quanto privi di pietà e scrupoli. L'ambiguità morale di Patrick e dei suoi protagonisti è una costante del film, che inquieta quasi più in virtù di essa che del suo aspetto sovrannaturale. Sinceramente, devo dire infatti che il film di Richard Franklin colpisce più per i dialoghi e per le situazioni che vengono mostrate piuttosto che per "cosa" viene mostrato; tra gli argomenti trattati nel film fanno capolino infatti perversioni più o meno sviscerate e problemi etici quali la necessità di mantenere in vita un assassino, cosa che porta a mettere persino in discussione l'esistenza di un Dio che permette agli uomini di ridursi come vegetali, tenuti in vita dalle macchine. Detto questo, nonostante il basso budget col quale è stato realizzato, percepibile non solo dallo scarso utilizzo di effetti speciali ma anche dalla presenza delle stesse tre/quattro location, Patrick gode di una buona regia e di interpreti magari non eccelsi ma comunque validi se rapportati alla qualità effettiva del film, il che rende la pellicola di Franklin un prodotto interessante, da recuperare almeno una volta nella vita anche se nella versione italiana ci sono le musiche di riciclo dei Goblin.


Del regista Richard Franklin ho già parlato QUI.

Richard Franklin ed Everett De Roche avevano già scritto un sequel del film, intitolato Patrick II: The Man Who Wasn't There, che tuttavia non è mai stato girato. In compenso, esistono un seguito non ufficiale italiano, dal titolo Patrick vive ancora, e un remake omonimo del 2013. Se Patrick vi fosse piaciuto, recuperateli entrambi e aggiungete Carrie - Lo sguardo di Satana, Fenomeni paranormali incontrollabili, Scanners e La zona morta. ENJOY!


giovedì 29 novembre 2018

(Gio) WE, Bolla! del 29/11/2018

Buon giovedì a tutti! Cominciano ad avvicinarsi le maledette festività Natalizie quindi anche le proposte cinematografiche si fanno più "importanti" e a tema... ENJOY!

Bohemian Rhapsody
Reazione a caldo: Yeah!!!
Bolla, rifletti!: L'attesissimo biopic su Freddy Mercury, già osannato fin da trailer, riuscirà ad entusiasmare anche chi apprezza le canzoni dei Queen ma non è una fan all'ultimo stadio, come me? Speriamo!!                 

Il Grinch
Reazione a caldo: Aaaw!
Bolla, rifletti!: Premesso che a me piaceva anche la versione con Jim Carrey, come rinunciare ad un cartone sul Grinch prodotto dalla Illumination Entertainment? E poi Natale è così purtroppamente vicino che non posso esimermi!

Ride
Reazione a caldo: Hm.
Bolla, rifletti!: L'esordio di Mastandrea dietro la macchina da presa sembra contemporaneamente interessante e pesantuzzo, considerato come tocca un tema assai sentito in Italia, quello delle morti sul lavoro. Credo aspetterò a recuperarlo ma sono sicura che sarà molto bello.

Se son rose
Reazione a caldo: Per piacere.
Bolla, rifletti!: Il cinepanettone di Pieraccioni, nel quale lui continua ancora ad essere convinto di essere un gran figo. Ma anche no.

Al cinema d'élite si parla invece di libri!

La casa dei libri
Reazione a caldo: Carino!!
Bolla, rifletti!: Un Chocolat ma coi libri e quanto mi piacciono i period drama ambientati nelle cittadine di provincia!! Sicuramente non riuscirò a guardarlo al cinema ma lo recupererò di sicuro!!

mercoledì 28 novembre 2018

Upgrade (2018)

E' uscito in questi giorni al cinema Upgrade, diretto e sceneggiato dal regista Leigh Whannell.


Trama: Grey è un meccanico che un giorno viene aggredito assieme alla moglie da un branco di malviventi. Lei muore, lui rimane paraplegico finché uno scienziato non gli impianta un chip chiamato Stem nel midollo. Dopo l'operazione, Grey decide di cercare gli assassini della moglie e comincia a rendersi conto che Stem è senziente...


Upgrade è un filmetto divertente dal sapore molto anni '90, a base di vendette e prodigi della scienza. Ambientato in un futuro prossimo dove le automobili viaggiano da sole e buona parte delle persone hanno degli impianti cibernetici che ne migliorano le prestazioni, ha per protagonista un meccanico "analogico", che vive letteralmente fuori dal tempo riparando macchine "d'epoca" mentre la moglie è una degli elementi di spicco delle due aziende informatiche che si contendono il mercato mondiale. Un brutto giorno, la moglie muore e Grey, questo il nome del meccanico, rimane paraplegico; avvicinato da un genio dei computer con la fobia dei germi e delle persone, il nostro recupera interamente le funzioni motorie e, anzi, diventa una specie di anti-eroe. Da uomo a metà, come viene mostrato in quelle che per me sono le sequenze migliori del film, quelle in cui Grey si abbandona in pianti disperati tra le braccia della madre affettuosa, il protagonista diventa infatti la marionetta del chip Stem, il quale da mero ausilio motorio comincia proprio a trasformarsi in burattinaio capace di far fare a Grey le cose più incredibili. Basta che lui si rilassi e il chip lo rende un ninja dotato di forza straordinaria che può anche permettersi di non guardare quando l'altro esagera e uccide i cattivi spaccando crani e torturando, il che è molto comodo quando si è in cerca degli assassini della moglie morta, un po' meno comodo quando la prodigiosa operazione è coperta da un accordo di riservatezza e tutti ti considerano ancora paraplegico. Upgrade è quindi tutto qui, niente più e niente meno, un linearissimo revenge movie con qualche colpo di scena  e un po' di morti ammazzati particolarmente gustosi.


Leigh Whannell carica tutto il peso del film su effetti speciali gradevoli e non invasivi, quanto basta per dare l'idea di un mondo futuristico dove spopolano orribili automobili a pannelli solari e molte persone hanno gli occhi blu di Paul Newman poiché dotate di impianti bionici, sul bizzarro rumore che produce Grey quando viene guidato da Stem e sul gore di un paio di sequenze goderecce dove i cattivi muoiono malissimo (paradossalmente, quando potrebbero invece far morire malissimo in un modo parecchio fantasioso, il tutto avviene fuori inquadratura) tra mascelle divelte, volti scavati nel sangue e quant'altro. Va detto, in suo onore, che Whannell non cerca di farla fuori dal vaso cercando una trama arzigogolata o chissà quali arditi movimenti di macchina piuttosto che la solita confezione accattivante a base di filtri particolari, anzi, rimane molto terra terra e viene incontro alle capacità mentali dello spettatore medio e, immagino, anche alle proprie. Logan Marshall-Green è  invece un attore simpatico e sufficientemente inespressivo, perfetto dunque per questo genere di pellicola in virtù anche del suo essere un Tom Hardy dei poveri e, a proposito di Hardy, c'è da dire che l'interazione tra Grey e Stem è MOLTO ma molto più intelligente e interessante di quella tra Eddie Brock e Venom nell'ultimo, tristissimo cinecomic Sony/Marvel. Anche solo per questo, se vi piace il genere, Upgrade meriterebbe almeno una visione disimpegnata!


Del regista e sceneggiatore Leigh Whannell ho già parlato QUI mentre Logan Marshall-Green, che interpreta Grey Trace, lo trovate QUA.

Betty Gabriel interpreta il Detective Cortez. Americana, ha partecipato a film come La notte del giudizio - Election Year, Scappa: Get Out e Unfriended: Dark Web. Ha un film in uscita.


Se Upgrade vi fosse piaciuto recuperate Robocop. ENJOY!

martedì 27 novembre 2018

A Quiet Passion (2016)



Attirata da non so bene cosa, recentemente ho recuperato A Quiet Passion, diretto e sceneggiato nel 2016 dal regista Terence Davies.


Trama: la vita di Emily Dickinson, dall'adolescenza al giorno della sua morte, tra poesie e drammi famigliari...



Come spesso accade, comincerò il post palesando la mia crassa ignoranza. Non essendo particolarmente appassionata di poesia e non avendo seguito un programma di studi valido, per quel che riguarda la letteratura in lingua inglese, né alle superiori né all'università (il che è imbarazzante visto che l'indirizzo del liceo era linguistico e la facoltà universitaria era quella di lingue...), di Emily Dickinson conosco poco o nulla e forse per questo A Quiet Passion non mi ha coinvolta più di tanto. Purtroppo, il film di Terence Davies non mi ha nemmeno spinta a volerne sapere di più, visto l'approccio anche troppo "quiet" all'argomento; si vede che il regista e sceneggiatore teneva moltissimo alla pellicola, è una sensazione che traspare da ognuno dei curatissimi fotogrammi, dai movimenti di macchina eleganti e lenti, dalla fotografia che sfrutta le luci naturali così da immergere ancor più lo spettatore nell'epoca riportata sullo schermo... eppure, a me è parso di percepire una sorta di "spaccatura" tra questo desiderio palese di eleganza e perfezione e la necessità di trasmettere qualcosa al pubblico, arrivando a trovare il film mancante proprio di un'empatia che personalmente ritengo indispensabile. Non è che il personaggio della Dickinson non venga sviscerato alla perfezione, anzi. Il suo progressivo distacco dalla famiglia e dalla società segue tempistiche lente, che consentono allo spettatore di capirne i motivi e farli propri senza per questo privare la poetessa di un'aura di eccentrico ma malinconico mistero, accentuata dalla scelta di utilizzare le poesie della Dickinson, lette da lei stessa a mo' di narratore esterno, per accompagnare le fasi della sua esistenza. La lotta della protagonista si concretizza in un desiderio di indipendenza (da un'idea retrograda della condizione femminile, da un "revival" cristiano tipico della società borghese dell'epoca) unito alla disperata ricerca della perfezione e della purezza, cristallizzata in una testarda intransigenza che nel tempo l'ha portata ad allontanarsi sempre più dalla famiglia e dalla possibilità di indulgere in qualsivoglia storia d'amore, a vivere da reclusa prima ancora che subentrasse la malattia. Mentre la vita scorre fuori dalla sua stanza, Emily si veste di bianco e scrive, ininterrottamente, cucendo a mano i raccoglitori dei fogli manoscritti in cui riversare aspirazioni, speranze, incertezze, l'amore per la natura e la fascinazione per la morte, quasi invocando quest'ultima in una sequenza particolarmente ambigua e riuscita.


Pur nella convinzione che A Quiet Passion sia dunque un film visivamente bellissimo e fortemente "sentito" da Terence Davies, ciò che mi ha realmente perplessa e forse allontanata dall'argomento trattato, è l'approccio degli attori ai personaggi, soprattutto il modo teatrale di interpretarli. Immagino fosse voluto dal regista ma sia Cynthia Nixon che tutti i suoi comprimari non sembrano recitare quanto piuttosto "declamare", sia che si tratti di una poesia  sia che si tratti di interazioni quotidiane più o meno "profonde" (benché non vi sia un solo dialogo nel film meno che intellettuale e profondo, persino durante i litigi tra Emily e il fratello sul finale); gli attori si muovono e parlano come se fossero consapevoli di stare su un palcoscenico, ponendo un'enfasi particolare su ogni parola pronunciata, impegnati in una gara di arguzia che a lungo andare sfianca proprio per l'assenza di emozioni "sincere", che affiorano solo nei pochi momenti in cui Emily è arrabbiata oppure prostrata dal dolore, come se solo queste sensazioni forti fossero in grado di "scuotere" la perfezione tanto ricercata dalla protagonista. Se posso permettermi, inoltre, a parte Cynthia Nixon e Keith Carradine, gli unici dotati di un carisma e di un sembiante particolare, in grado di farsi ricordare dallo spettatore, il resto del cast non è degno di nota e rende i vari personaggi poco più di figurine sullo sfondo, per quanto eleganti. Probabilmente, ribadisco, chi dovesse essere appassionato di Emily Dickinson sorvolerà su queste caratteristiche che io ho trovato leggermente fastidiose ma io, da profana, avrei preferito una pellicola un po' più coinvolgente e più "ignorante", che venisse incontro alle mie limitate capacità mentali. Oh beh, non si può mica accontentare tutti!


Di Emma Bell (la giovane Emily), Keith Carradine (il padre), Jennifer Ehle (Vinnie Dickinson) e Cynthia Nixon (Emily Dickinson) ho già parlato ai rispettivi link.

Terence Davies è il regista e sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Voci lontane... sempre presenti, La casa della gioia e Of Time and the City. Ha 73 anni.




domenica 25 novembre 2018

Widows: Eredità criminale (2018)

Spinta da un trailer a dir poco intrigante, giovedì sono andata a vedere Widows: Eredità criminale (Widows), diretto e co-sceneggiato dal regista Steve McQueen.


Trama: rimasta vedova, Veronica decide di mettere su una banda di donne per procurarsi il denaro necessario a riparare all'ultimo furto del defunto marito.


Enrico Ruggeri cantava "mondo di uomini, fatto di uomini soli", Steve McQueen, coadiuvato da Gillian Flynn nell'adattare una serie TV degli anni '80, declina questo verso al femminile e ci presenta una storia di donne sole. Donne sole perché senza mariti, come da titolo, ma anche perché abbandonate da una società spietata con chi è di sesso femminile, relegate a ruoli di sposa, madre, amante, "segretaria", con qualche contentino alle imprenditrici donne in piena campagna elettorale. Quando i mariti se ne vanno, queste donne si ritrovano schiacciate dal peso delle colpe degli uomini e dai debiti, prive magari non solo del lavoro, ma anche delle amicizie messe da parte nel corso degli anni per assolvere al ruolo imposto; intrecciano, se hanno fortuna, legami con altre donne sole, o con le madri, zie, parenti, così da riuscire magari ad affidare a qualcuno i figli mentre si spaccano la schiena con lavori poco gratificanti e mal pagati. Mentre gli uomini, appunto, fanno cose da uomini: si mettono in politica senza averne né la voglia né la capacità, spinti dal desiderio di pecunia e di potere o per un semplice reiterarsi dell'eredità patriarcale, risolvono i loro problemi con una violenza che alle donne non dev'essere concessa (se non come vittime o spettatrici, sia chiaro), tramano e vivono la propria esistenza egoista, senza badare al dolore delle loro donne o men che meno ai loro bisogni, si limitano ad offrire sesso, soldi e l’illusione di aver coronato così i loro sogni. Sono i burattinai, all’interno di una Chicago divisa tra bianchi ricchi e neri poveri (o divenuti ricchi grazie ai bianchi), mentre le donne sono i silenziosi burattini che hanno solo il dovere di essere belle, silenziose e servizievoli. Ma Veronica non ci sta. Minacciata senza capire perché, quando si ritrova per le mani il quaderno di appunti che le ha lasciato il marito, zeppo di informazioni su furti, intrallazzi e quant’altro, invece di venderlo al migliore offerente decide di usarlo per diventare ladra a sua volta e prendersi la rivincita su una vita che le ha dato molto ma le ha tolto troppo, le due cose più importanti per lei. E coinvolge, ovviamente, anche le altre vedove, incazzate quanto lei con i mariti che, morendo, le hanno lasciate nella bratta. Ognuna di loro, neanche a dirlo, arriverà ad affrontare un percorso non facile ma che, forse, consentirà di rifiorire come donne e come esseri umani, ritrovando un’indipendenza necessaria per sopravvivere… e anche per tornare a “sentire” qualcosa, un sentimento umano di fiducia, speranza e amicizia.


Tutti questi aspetti rendono Widows un film splendido. Più ben girato che ben sceneggiato, nonostante questo, perché accanto a personaggi scritti benissimo, tratteggiati con inaspettate sfumature, ci sono delle forzature e dei cliché che fanno storcere un po’ il naso (la tragedia che colpisce Veronica è incredibilmente gratuita). Invece, la regia di McQueen non sbaglia un colpo e se le scene d’azione sono pulite e credibili anche quando sono concitate, dove il regista da il meglio di sé è in quei primi piani dolorosi, nei gesti reiterati d’affetto, nell’attenzione ai dettagli, nel modo in cui la macchina da presa si allontana dall’unica scena di violenza davvero insostenibile, nei piani sequenza ripresi da un punto di vista tutto particolare in cui la città pare volere inghiottire lo small talk di uno dei protagonisti più “sciocchi” e per questo incredibilmente reale. E poi, ovviamente, ci sono gli attori. Viola Davis incarna tutta la dignità spaventata di una donna ricca ma non viziata, segnata dalla vita al punto da scegliere di sfidarla quando la morte minaccia di portarla via come il marito, un ruolo che le meriterebbe un Oscar; altra punta di diamante del cast è Elizabeth Debiki, quella che forse evolve maggiormente nel corso del film passando dall’essere un personaggio caricaturale ed insipido a cuore pulsante della vicenda con invidiabile coerenza. Ai margini, svetta la caratura di Robert Duvall il quale, assieme a Colin Farrell, da vita ad alcuni dei duetti più memorabili che potrete sentire quest’anno al cinema, talmente realistici nella loro gretta e testarda ignoranza che ho più volte avuto l’impressione di trovarmi davanti le persone per cui lavoro, con la differenza che la performance di coppia dei due attori è da applausi. Insomma, Widows è un film bellissimo, che merita di essere visto al cinema con tutta la concentrazione e la tranquillità che potrete trovare in una sala sicuramente poco affollata: è grande sfoggio di ciò che rende potente una pellicola e riconferma, ancora una volta, il talento di McQueen come regista, sceneggiatore e direttore di grandissimi cast.


Del regista e co-sceneggiatore Steve McQueen ho già parlato QUI. Viola Davis (Veronica), Liam Neeson (Harry Rawlings), Jon Bernthal (Florek), Michelle Rodriguez (Linda), Elizabeth Debicki (Alice), Carrie Coon (Amanda), Robert Duvall (Tom Mulligan), Colin Farrell (Jack Mulligan), Daniel Kaluuya (Jatemme Manning) e Lukas Haas (David) li trovate invece ai rispettivi link.

Jacki Weaver interpreta Agnieszka. Australiana, ha partecipato a film come Picnic ad Hanging Rock, Stoker, Parkland, Equals e The Disaster Artist. Ha 71  anni e cinque film in uscita.


Cynthia Erivo, che interpreta Belle, aveva già partecipato a 7 sconosciuti a El Royale. Il film è tratto dalla serie TV inglese Le vedove, del 1983, seguita da Widows 2 e She's Out e già riproposta in un'altra serie TV dal titolo Widows, del 2002. Se Widows: Eredità criminale vi fosse piaciuto potete provare a recuperarle, giusto per curiosità! ENJOY!

venerdì 23 novembre 2018

Bollalmanacco On Demand: Southland Tales - Così finisce il mondo (2006)

Torna il Bollalmanacco on Demand con una richiesta giunta direttamente da Kara Lafayette che mi ha chiesto di vedere Southland Tales - Così finisce il mondo (Southland Tales), pellicola che ha riconfermato il mio brutto rapporto con Richard Kelly, qui regista e sceneggiatore. Il prossimo film On Demand sarà Loveless. ENJOY!


Trama: in una Los Angeles "alternativa", si intrecciano le storie di Boxer Santaros, attore affetto da amnesia, del poliziotto Roland Taverner, alla ricerca del gemello perduto, di ex pornodive, ribelli ed esponenti del governo...


Correva l'anno 2001 e io andavo al cinema, un pomeriggio post università, piena di speranza a vedere Donnie Darko, solo per uscire dalla sala con un enorme punto interrogativo sulla testa. Non vi starò ovviamente a parlare del film che ha segnato una generazione di ragazzi che cominciava a scoprire internet e la possibilità di parlare di cinema al di fuori di Ciak (spero di parlarne, prima o poi, se avrò il coraggio e la voglia di affrontarlo di nuovo) ma questo piccolo non aneddoto mi serviva per introdurre il mio difficile rapporto con Richard Kelly. Si potrebbe banalmente dire che non lo capisco, forse perché non mi impegno, vinta dal fondamentale insieme di fuffa pop e deprimente che permea i suoi film, forse perché lo trovo troppo inutilmente arzigogolato, forse perché non tollero la sua fissa per le dimensioni e per i deliri del continuum spazio-temporale? O forse perché non avevo colto che Southland Tales fosse un suo film e, visto il cast, mi sarei aspettata invece una supercazzola enorme, non un delirio di storie apparentemente appiccicate a casaccio introdotte da un Justin Timberlake in guisa di narratore biblico, pronto a richiedere allo spettatore tutta l'attenzione che davanti a un film con The Rock non mi aspetto. Detto questo, lo stesso Justin Timberlake (che, per carità, non sarà una cima) ha ammesso di non aver capito che cavolo stesse interpretando e lo stesso vale, pare, per tutto il resto del cast, quindi un po' mi consolo. Per chi volesse approcciarsi a Southland Tales, in pratica trattasi di delirio post apocalittico ambientato in un universo alternativo non troppo diverso dal nostro; dopo che il Texas è stato vittima di attacchi terroristici, gli Stati Uniti vengono governati con pugno di ferro e i cittadini non hanno più di libertà, spiati 24 ore su 24 dai servizi segreti, la terza guerra mondiale incombe e un certo barone tedesco è riuscito a sfruttare il movimento perpetuo delle maree per sopperire alla crisi del carburante creando così una roba chiamata Fluid Karma che, tuttavia, rischia di alterare la struttura stessa della realtà causando la nascita di "buchi". In tutto questo, un attore vittima di amnesia si ritrova tra le mani un copione che in sostanza anticipa la realtà e finisce in mezzo alla guerra tra servizi segreti e ribelli neo-marxisti assieme ad un manipolo di altre persone di entrambi gli schieramenti, chi più consapevolmente chi meno. Insomma, un delirio bello e buono ma non è finita mica qui.


Il problema di Southland Tales è che lo spettatore rischia di far fatica a seguire quello che sta succedendo, bombardato da un quantitativo spropositato di informazioni e distratto da intermezzi fatti da spezzoni di esilaranti reality show (indubbiamente, il personaggio di Sarah Michelle Gellar si becca alcune delle perle migliori e anche il biasimo della voce narrante), pagine internet, proclami governativi e spot che sono lo specchio esatto di ciò che devono subire quotidianamente i protagonisti del film, il che a pensarci bene è geniale. Meno geniale è che, a fronte di una trama "seria", si debbano subire dialoghi che incarnano il nulla cosmico quando sono faceti e che fanno scoppiare a ridere quando sono seri, instillando il dubbio sulla natura di Southland Tales: supercazzola oppure serio film distopico/fantascientifico? Dati gli attori propenderei per la prima ma la pellicola è impregnata di così tanta "arroganza" che viene anche difficile esserne certi e poi, indubbiamente, bisogna ammettere che il film non è privo di fascino. Per esempio, ho apprezzato tantissimo quel paio di numeri musicali e allucinati che arrivano a spezzare il ritmo a un certo punto, tra ballerine bionde, drogati e triangoli sul palco, mentre alcuni personaggi li ho trovati al limite del cattivo gusto, come la tizia che a un certo punto implora di poter succhiare il ca**o di The Rock, oppure totalmente inutili, come il camionista interpretato da Christopher Lambert. E quest'ultimo è solo un esempio perché di personaggi secondari fondamentalmente inutili il film è zeppo, interpretati da attori tra lo spaesato e l'incoscientemente divertito; tra i protagonisti di questo delirio alla Terry Gilliam virato in salsa californiana, spiccano di sicuro Dwayne Johnson, Justin Timberlake e Sarah Michell Gellar, probabilmente quelli che ci credono di più (The Rock, con quel tic delle dita che lo fa sembrare un rimbambito, è adorabile), mentre Seann William Scott è più inespressivo e fuori ruolo del solito, tanto che sul finale mi sarei messa le mani nei capelli. Insomma, mi tocca chiedere scusa a Silvia per aver demolito questo film ma giuro che arrivata alla fine delle ben due ore e mezza di durata la domanda è stata: "cosa diavolo ho visto?" e, soprattutto "potrò tornare indietro nel tempo per convincere me stessa a NON guardare Southland Tales?".


Di Janeane Garofalo (Generale Teena MacArthur), Sarah Michelle Gellar (Krysta Kapowski / Krysta Now), Beth Grant (Dr. Inga Von Westphalen / Marion Card), Dwayne Johnson (Boxer Santaros / Jericho Cane), Christopher Lambert (Walter Mung), John Larroquette (Vaughn Smallhouse), Jon Lovitz (Bart Bookman), Mandy Moore (Madeline Frost Santaros), Lou Taylor Pucci (Martin Kefauver), Seann William Scott (Roland Taverner), Wallace Shawn (Barone Von Westphalen) e Kevin Smith (Simon Theory) ho parlato ai rispettivi link.

Richard Kelly è il regista e sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Donnie Darko e The Box. Anche produttore, ha 43 anni.


Miranda Richardson interpreta Nana Mae Frost. Inglese, la ricordo per film come L'impero del sole, La moglie del soldato, Il mistero di Sleepy Hollow, Spider, The Hours, Il fantasma dell'Opera, Harry Potter e il calice di fuoco Harry Potter e i doni della morte - Parte I; come doppiatrice ha lavorato in Galline in fuga. Ha 60 anni.


Will Sasso interpreta Fortunio Balducci. Canadese, ha partecipato a film come Mai dire ninja, Comic Movie, Io, Dio e Bin Laden, Killing Hasselhoff e a serie quali Willy il principe di Bel Air, I viaggiatori, X-Files, Perfetti ... ma non troppo, CSI - Scena del crimine, Due uomini e mezzo, How I Met Your Mother e Grey's Anatomy; come doppiatore ha lavorato in The Cleveland Show, Robot Chicken e I Griffin. Anche sceneggiatore e produttore, ha 43 anni e tre film in uscita.


Zelda Rubinstein, che interpreta la Dottoressa Katarina Kuntzler, era la medium del film Poltergeist. La prima versione del film sarebbe dovuta durare 160 minuti ma vista la disastrosa reazione degli spettatori a Cannes è stato tagliato e rimontato col risultato che qualcosa, nei dialoghi, si è perso. Se volete capire qualcosa di più di Southland Tales, invece, sappiate che i primi tre capitoli della "saga" si trovano in forma di graphic novel col titolo di Southland Tales: The Prequel Saga. Nell'attesa che vi arrivino i volumi da internet, se Southland Tales vi è piaciuto recuperate Donnie Darko e poi spiegatemelo, grazie! ENJOY!


giovedì 22 novembre 2018

(Gio)WE, Bolla! del 22/11/2018

Buon giovedì a tutti! Questa settimana non sembra molto interessante, cinematograficamente parlando, ma mai dire mai... ENJOY!

Il vizio della speranza
Reazione a caldo: Hm.
Bolla, rifletti!: Premiato al Festival del Cinema di Roma, questo film ha i colori cupi di una periferia napoletana priva di speranza in cui accade qualcosa di inaspettato a sovvertire l'ordine. Indubbiamente, mi pare un film serio, ben confezionato e raffinato ma non è il genere di pellicole che mi attira.

Morto tra una settimana... o ti ridiamo i soldi
Reazione a caldo: Oh!
Bolla, rifletti!: Ho avuto modo di vedere spesso il trailer al cinema e l'idea è davvero buona, inoltre il film sembra spassoso. Ho solo il timore che, come spesso accade, il trailer sia meglio della pellicola, ché solitamente con questo genere di commedie nere il rischio che si spengano in corso d'opera è alto.

Robin Hood - L'origine della leggenda
Reazione a caldo: Meh.
Bolla, rifletti!: Troppo tamarro anche per me, davvero.

Forse il cinema d'élite questa settimana si è preso il film migliore...

Troppa grazia
Reazione a caldo: Interessante
Bolla, rifletti!: Una commedia a sfondo "mistico" che, sulla carta, sembrerebbe molto divertente. Mi intimoriscono un po' Germano e la Rohrwacher, notoriamente non degli allegroni, ma questo potrebbe essere il film da vedere questa settimana.


mercoledì 21 novembre 2018

Animali fantastici: I crimini di Grindelwald (2018)

Ho rischiato di non vederlo, ché il multisala savonese in questi giorni ha qualche palese problemino tecnico e di programmazione, ma alla fine lunedì sono riuscita a guardare Animali fantastici: I crimini di Grindelwald (Fantastic Beasts: The Crimes of Grindelwald), diretto da David Yates e sceneggiato dalla stessa J.K.Rowling.


Trama: benché gli sia stato revocato il permesso di espatriare, Newt Scamander viene mandato a Parigi da Albus Silente per salvare l'Obscurus Credence dalle mire del Ministero della Magia britannico e da quelle dell'evaso Grindelwald...


Animali fantastici e dove trovarli era stato una deliziosa botta di aria fresca non solo per chi, come me, bramava ancora vicende tratte dal fantomatico Potterverse, ma anche un bel film da vedere per chi di Harry Potter non conosceva ancora nulla; punto di forza della pellicola era l'ingenuo personaggio di Newt Scamander, dolce mago fuori dal mondo impegnato nella salvaguardia delle bestie magiche, degnamente spalleggiato da un "babbano" (o no mag) che si faceva portatore del punto di vista dello spettatore "ignorante" e scopriva assieme a lui tutte le meraviglie dell'universo magico. Era anche un film godibilissimo di per sé, altro enorme punto a favore, ma la Rowling ha deciso di farne un punto di partenza per una saga di cinque film ed ecco arrivare quindi I crimini di Grindelwald. Attesissimo, da parte mia, ovvio. Come ho scritto in più posti, non che me ne fregasse una mazza dei crimini del biondocrinito Johnny Depp, ma la love story tra Jacob e Queenie mi era rimasta nel cuore e, insomma, c'era anche la voglia di vedere altri animali fantastici, quindi sono corsa al cinema a vedere I crimini di Grindelwald con una marea di aspettative, in parte esaudite ma in parte, purtroppo, disattese. I pregi del secondo capitolo della saga, infatti, sopperiscono a fatica ai molti difetti di cui soffre, soprattutto a livello di sceneggiatura. Tra le cose positive c'è un ulteriore approfondimento della figura di Newt Scamander, con un Eddie Redmayne sempre più a suo agio nei panni dell'eccentrico, disadattato mago, approfondimento concretizzato in scorci della sua famiglia, del suo rifugio londinese, di ulteriori animali fantastici deliziosi (lo Snaso e gli Snasini in primis ma anche il mostro-gatto cinese, mentre le pantere multiple sul finale sono imbarazzanti a livello di CGI); c'è lo scontro a distanza tra Silente e Grindelwald, due figure incredibilmente carismatiche, ognuna a modo suo, con quel tocco di bromance (più romance che bro) che noi lettori maliziosi abbiamo sempre un po' subodorato; ci sono tanti piccoli rimandi agli adorati libri di Harry Potter e un ritorno ad Hogwarts in pompa magna oltre all'introduzione di un vecchio personaggio in guisa inaspettata; c'è, per concludere, un pre-finale emozionante e commovente che porta lo spettatore a non poter aspettare il 2020 e che bilancia, anche a livello di regia, un inizio che sulla carta sarebbe anche stato molto valido ma che sullo schermo risulta cupo, confuso, mal girato e mal tagliato.


Il resto, spiace dirlo, ma risulta fuffosino. Innanzitutto, I crimini di Grindelwald è troppo imperniato sulla ricerca delle origini di Credence (interpretato da un Ezra Miller ormai fisicato e fatto uomo ma meno interessante rispetto al film precedente), fatta di molti tempi morti e giri a non finire che mettono in mezzo un personaggio sfruttato malissimo (la fantomatica Leta Lestrange, la quale avrebbe avuto molto da dire ancora) e un altro talmente mal caratterizzato che arriva a non fregarne nulla a nessuno (il mago di colore Yusuf); ciò porta la povera Tina ad avere ben poco spazio e a ridurre la sua presenza a livello di sottotrama amorosa fatta di piccole schermaglie con Newt e, stranamente, porta a togliere importanza anche a Grindelwald e Silente, il che è un peccato perché sia Johnny Depp che Jude Law sono ammalianti e particolarmente in ruolo, il che da Jude Law me lo aspettavo ma, onestamente, non da Depp. Ma la cosa più orribile, una roba che mi stupisce vista la cura con cui la Rowling tratta i suoi personaggi, è l'involuzione della meravigliosa Queenie da ragazza un po' svampita ma con le palle a bimbo decerebrata nel giro di quattro/cinque sequenze: SPOILER Già è assurdo cominciare il film con Queenie che scaglia su Jacob un incantesimo d'amore ma posso sorvolare visto che lui semplicemente non vuole sposare la ragazza per non farla finire in prigione, scelta magari poco coraggiosa ma bellissima, coerente col personaggio di Jacob, e lei reagisce di conseguenza. I due litigano, ci sta anche questo  e forse ci sta anche che Queenie, sola in un paese dove non capisce la lingua, rimanga stordita dal suo potere di Legilimens al punto da finire alla mercé dell'inutile tirapiedi di Grindelwald... ma il resto è davvero aria fritta che culmina nella resa di Queenie al mago oscuro "perché è l'unico che mi darebbe la libertà di sposare Jacob", soprattutto dopo aver visto gli altri maghi sterminati dal potere del biondo. Va bene, nel prossimo film si combatterà una guerra per l'anima di Queenie, è palese, ma tirarla così per i capelli è assurdo quanto inserire un secondo fratello di Silente che nessuno ha mai sentito nominare. E dai, J.K.! FINE SPOILER Per il resto, nulla da dire. I crimini di Grindelwald è il "tipico" film di Harry Potter fatto di ottimi effetti speciali, musiche evocative, costumi della madonna e scenografie interessanti che si uniscono ai bei paesaggi naturali. Risulta tuttavia come film "di passaggio", in preparazione dei prossimi, infatti mi è sembrato quasi che la Rowling abbia aggiustato un po' il tiro per rendere la storia più cupa e complicata rispetto al primo capitolo tirando fuori un prodotto né carne né pesce. Niente di male in questo, di merchandising e saghe si vive, solo mi aspetto una maggiore onestà nel terzo episodio che, lo so già, correrò a vedere a prescindere.


Del regista David Yates ho già parlato QUI. Johnny Depp (Grindelwald), Carmen Ejogo (Seraphina Picquery), Eddie Redmayne (Newt Scamander), Zoë Kravitz (Leta Lestrange), Ezra Miller (Credence Barebone), Jude Law (Albus Silente), Dan Fogler (Jacob Kowalski), Katherine Waterston (Tina Goldstein) e Jamie Campbell Bower (Giovane Grindelwald) li trovate invece ai rispettivi link.


Tra gli attori presi in considerazione per interpretare Albus Silente c'erano Christian Bale, Benedict Cumberbatch e Jared Harris. Detto questo, nell'attesa che escano i prossimi capitoli della saga (previsti, rispettivamente, per il 2020, 2022 e 2024), se Animali fantastici: I crimini di Grindelwald vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Animali fantastici e dove trovarli aggiungendo l'intera saga di Harry Potter, così da capire meglio i vari riferimenti. ENJOY!


martedì 20 novembre 2018

Dead Sushi (2012)

Ho lasciato passare gli anni, terrorizzata da orridi ricordi Igucheschi, ma finalmente ho recuperato l'assurdo Dead Sushi (デッド寿司 - Deddo Sushi), diretto e co-sceneggiato nel 2012 dal regista Noboru Iguchi.


Trama: la giovane Keiko abbandona il ristorante del padre, probabilmente il migliore chef di sushi in Giappone, per trovare la sua strada. Finisce a lavorare in un ryokan specializzato in sushi e si ritrova invischiata in un'invasione di pesce zombi...



Dopo Zombie Ass avevo praticamente giurato a me stessa che non avrei mai più guardato un film diretto da Noboro Iguchi, stufa di vedere robe raccapriccianti unite ad emissione di gas intestinali (non che qui non vengano emessi. Ma ci si contiene), tuttavia un giorno l'amico Toto mi dice "Ma guarda che io ho ancora Dead Sushi da darti!" e io non ho potuto fare altro che accettare con gioia il dono. Per fortuna mia, e del Bolluomo al quale ho imposto una visione in lingua originale con sottotitoli inglesi come minimo lacunosi, Dead Sushi non è disgustoso come Zombie Ass ma soltanto simpaticamente idiota, il film ideale per rimanere annichiliti davanti alla stupidità congenita nella quale spesso ama indulgere il popolo nipponico, che non conosce vergogna alcuna quando si tratta di mettere in piedi trame surreali e produrre film imbarazzanti con velleità "horror". Dead Sushi, come da titolo, racconta della terribile epidemia zombi che a un certo punto colpisce i nigiri e i rolls serviti all'interno di un ryokan gestito da un ex mafioso e da una ex tsoccola, all'interno del quale si sta tenendo una delle tipiche, imbarazzanti festicciole da megaditta giapponotta, quella in cui tutti i convenuti alla fine si impetroliano come rospi dimenticando la dignità, con sommo scorno delle pochissime (una) dipendenti donne presenti, oggetto della giappalaiditudine dei colleghi. La povera Keiko, figlia di un mastro susharo la quale, a detta dell'uomo, "trasmette al pesce il proprio odore di donna" e quindi non potrà mai succedergli, si ritrova così a dover affrontare proprio in quel ryokan l'incubo di ogni chef, con l'aggravante di essere preda di una crisi esistenziale nonostante le sue indubbie capacità culinarie e, soprattutto, marziali. Questo esilissimo canovaccetto viene arricchito da storie di vendetta con qualche twist inaspettato, momenti strappalacrime, mosse alla Power Rangers, fanservice a base di mossette "erotiche", bagni pubblici, body sushi e sise (quali?) al vento ma, soprattutto, diventa un'improbabile quanto efficace racconto di formazione che permette a ben DUE personaggi di superare le proprie fisime mentre gli altri sono costretti a spurgare riso per sushi dalla bocca.


Rispetto a Zombie Ass questo Dead Sushi è molto meno disgustoso e anche più cartoonesco, zeppo di bruttissimi effetti speciali digitali che non sfigurerebbero in un qualsiasi Sharknado (Sushinado?) e che accompagnano effetti artigianali a base di fili per far tremolare il sushi e protesi di lattice tra il grottesco e l'inguardabile, che vanno proprio dalla parte opposta rispetto al realismo; nonostante questo, posso dire, senza timore di risultare pazza a mia volta, di aver apprezzato questa volontà di ricorrere all'artigianato anche a costo di ottenere un effetto raffazzonato, come nel caso del terrificante uomo-tonno del finale, talmente brutto che al confronto i nemici dei Power Rangers sono a livello "WETA", ma in qualche modo adorabile. Neanche a dirlo, la parte "migliore" di Dead Sushi è però la recitazione caricatissima di molti dei coinvolti. La protagonista, tanto quanto, è sobria, se di sobrio si può parlare relativamente a una tizia che prepara sushi con piglio marziale oppure duetta in improbabili dialoghi con un tamago sushi (vero cuore tenerino della pellicola), ma la palma degli attori "so bad they're so good" va ad Asami nei panni della maitresse Yuki, una donna che nonostante l'indubbia bellezza non ha assolutamente timore di rendersi ridicola facendo le peggio smorfie e prestandosi a una disgustosa pratica erotica in cui due giappi limonano con un tuorlo d'uovo (don't ask), e ovviamente a Shigeru Matsuzaki. Costui, per età e capacità e da quel che dice Wikipedia, potrebbe essere una sorta di Gianni Morandi o Nino D'Angelo del Sol Levante, giusto un po' più abbronzato, ed è meraviglioso per il modo in cui funge da mentore per la giovane Keiko, abbandonandosi spesso e volentieri ad incomprensibii discorsi motivazionali accompagnati da una sdolcinata musica a tema. A tratti mi ha un po' ricordato il Richard Sagawa di The Happiness of the Katakuris e solo per questo non posso voler male a un'idiozia come Dead Sushi che, per inciso, insegna anche il corretto modo per degustare la prelibata pietanza nipponica... quindi perché non guardarlo, magari in compagnia di amici/fidanzati con i quali farsi delle risate?


Del regista e co-sceneggiatore Noboru Iguchi ho già parlato QUI.


Se Dead Sushi vi fosse piaciuto recuperate Zombie Ass - The Toilet of the Dead e Vampire Girl vs Frankenstein Girl. ENJOY!

domenica 18 novembre 2018

I Don't Feel at Home in This World Anymore. (2017)



In una di queste calde sere d'estate ho recuperato I Don't Feel at Home in This World Anymore, film presente nel catalogo Netflix, di cui quasi tutti avevano parlato benissimo tempo addietro, diretto e sceneggiato nel 2017 dal regista Macon Blair.


Trama: dopo aver subito un furto, l'infermiera Ruth si imbarca nella ricerca della refurtiva e dei colpevoli, accompagnata dallo strano vicino di casa, Tony.



Non so se è la vecchiaia che sta cominciando a rendermi ipersensibile ma ultimamente a me sembra che la gente sia impazzita tutta. Sarà che abito in una città costiera dove d'estate il flusso di turisti sempre più "fai-da-te" rende quasi impossibile uscire di casa ma nei weekend mi tocca testimoniare ad esempi di inciviltà e menefreghismo terribili, tra gente che parcheggia a cazzo de cane, getta la spazzatura dove vuole, fa defecare i suoi dolci cagnolini su qualsiasi strada percorribile, addirittura (e non sto scherzando) fa pisciare i suoi ancor più SANTI bambini per strada, DAVANTI ai tavoli dei ristoranti all'aperto, perché portarli in bagno è difficile, per non parlare dei vecchiacci/e che, ansiosi come sono di correre a casa e aspettare la Signora Con La Falce, morire che ti facciano passare alla cassa quando tu hai UN sacchetto del pane e loro la spesa per sei mesi. Insomma, ogni giorno mi/ci tocca testimoniare ad esempi di ordinaria maleducazione sempre più fastidiosa e ciò mi ha fatta immedesimare tantissimo nella protagonista di I Don't Feel at Home in This World Anymore, infermiera timida e tranquilla, amante dell'alcool e della musica country, che all'ennesimo sopruso ingiustificato (nella fattispecie, un furto con scasso preso decisamente sottogamba dalla polizia) decide di dire BASTA. Non "basta" tipo "giorno di ordinaria follia", beninteso, quanto piuttosto un "basta" che diventa desiderio di tutelarsi e di non farsi mettere i piedi in testa, partendo dal condivisibile desiderio di recuperare la refurtiva quando la polizia mostra di non avere interesse a farlo, preferendo trattare Ruth con la miserevole condiscendenza che si offre a chi ha scioccamente lasciato la casa incustodita. Da questa semplice ricerca della refurtiva, durante la quale Ruth si allea con lo strampalato vicino di casa amante delle arti marziali, nasce un film che, nonostante il tono leggero e grottesco, racconta l'angoscia di chi non si sente più parte di questo mondo e vive ogni giorno con triste rassegnazione, sentendosi sempre più lontano da un'umanità che corre allegramente verso il baratro dell'autodistruzione, della mediocrità, dello schifo.


Tra una gag e un momento decisamente splatter, soprattutto sul finale, le riflessioni di Ruth inducono lo spettatore a gettare uno sguardo non troppo indulgente sulla propria vita, a pensare a quanto sia giusto "lasciarsi vivere" e farsi scivolare addosso tutto sopportando con una pazienza che sconfina pericolosamente nell'atarassia e nel menefreghismo; la consapevolezza che un buon 99% di noi non lascerà alcun segno nella storia non deve diventare una scusa per far sì che la deboscia abbia il sopravvento perché si può lasciare comunque un buon ricordo ad amici, parenti e semplici conoscenti... oltre che, se possibile, cercare quel minimo di soddisfazione e felicità anche per noi, ovviamente. E' per questo che la storia di Ruth, con tutte le sue inevitabili esagerazioni e licenze "poetiche" e al netto dell'indiscutibile assurdità dei personaggi di cui è popolata, rischia di radicarsi nel cuoricino dello spettatore, che può tranquillamente rispecchiarsi nella protagonista in almeno un paio di sequenze chiave; per lo stesso motivo,  I Don't Feel at Home in This World Anymore è più profondo di quanto parrebbe ad una prima, distratta occhiata e non è proprio uno di quei film da guardare col cervello spento, benché l'occhio venga coccolato da una messa in scena accattivante e un montaggio dinamico. Melanie Lynskey, attrice bravissima e fortunatamente distante dai canoni di bellezza hollywoodiani, cicciottina e dal viso non particolarmente attraente, è perfetta per il ruolo di Ruth ed è un altro, fondamentale veicolo di immedesimazione, mentre Elijah Wood, ormai abbonato ai ruoli weird, incarna l'aspetto più assurdo del film ma, attenzione, anche il suo personaggio non è da prendere sottogamba. Tony, infatti, pur con tutte le sue idiosincrasie, è il perfetto contraltare di Ruth, una persona che, a differenza della protagonista, non si limita a lasciarsi vivere ma cerca di crearsi un'oasi di realizzazione e felicità (per quanto piccola) così da non impazzire ed abbruttirsi. Che poi anche lui cerchi riscatto e lo faccia "uscendo" dal suo guscio tendendo una mano a Ruth, non solo materiale ma anche "spirituale", è l'ulteriore messaggio positivo di un film che magari non cambierà la vostra esistenza ma probabilmente vi spingerà a riflettere sul modo migliore di affrontare questo mondo dove tutti, io per prima, rischiamo di non sentirci per nulla "a casa".


Di Melanie Lynskey (Ruth), Elijah Wood (Tony), Derek Mears (Monkey Dick) e Jane Levy (Dez) ho parlato ai rispettivi link.

Macon Blair è regista e sceneggiatore della pellicola, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, inoltre interpreta l'uomo che al bar spoilera il libro a Ruth. Americano, anche produttore e stuntman, ha 44 anni.