venerdì 22 aprile 2022
Animali fantastici - I segreti di Silente (2022)
domenica 25 ottobre 2020
Il processo ai Chicago 7 (2020)
Succede che il Bolluomo, vedendomi sull'orlo della depressione per un paio di festival mancati, ha deciso di acquistare proiettore, cavalletto e telone per trasformare il nostro piccolo ingresso in una sorta di cinema. Così ho deciso di inaugurare il tutto con un film che potesse piacergli e di provare con Il processo ai Chicago 7 (The Trial of the Chicago 7), diretto e sceneggiato dal regista Aaron Sorkin.
Trama: sette attivisti, ai quali si aggiunge temporaneamente un membro delle Pantere Nere, vengono accusati di avere scatenato una rivolta durante la convention democratica del 1968 a Chicago. Il processo si rivela un'operazione più politica che giudiziaria, tra giudici palesemente di parte e soprusi inauditi...
Ormai vi sarete stancati di leggerlo, ma adoro la storia Americana, soprattutto quella degli anni '60 e '70, e non mi annoio mai di guardare film ambientati in quegli anni, ancor meglio se scoperchiano baratri fatti di pagine buie e vergogna sociale, ché va bene la terra della libertà ma anche un po' sticazzi, ormai lo sappiamo bene. Buio e vergogna sono due termini perfetti per riassumere la vicenda dei cosiddetti Chicago 7 (otto, se vogliamo contare anche Bobby Seale, aggiunto come indispensabile "quota di colore" per rendere gli altri imputati ancora più minacciosi), attivisti legati a diverse frange liberali che nel 1968, il giorno della Convention Democratica di Chicago, si sono ritrovati ad essere protagonisti di scontri con la polizia, per una serie di orribili circostanze che, come spesso accade, trasformano manifestazioni pacifiche in deliri violenti dove a farla da padrone sono i manganelli. All'alba dell'avvento di Nixon, evidentemente servivano dei capri espiatori per dei disordini che l'amministrazione Johnson aveva deciso di non perseguire, giusto per dimostrare il pugno di ferro del presidente e dei suoi collaboratori, e cosa c'è di meglio che un branco di liberali, hippie, neri, condannati per dare il contentino agli elettori repubblicani? Che poi il processo sia stato davvero una farsa, come ben mostrato nel film, con un giudice palesemente di parte e pronto a negare agli imputati i diritti più elementari (il trattamento riservato a Bobby Seale nella pellicola è una passeggiata a confronto di ciò che è successo nella realtà), poco importava all'epoca ed oggi, a vedere queste cose riportate sullo schermo, ci si sente male pensando che quarant'anni non sono bastati perché simili oscenità politiche, sociali e giuridiche sparissero dalla faccia del pianeta.
Il processo ai Chicago 7 è dunque un legal drama nel senso più classico del termine, fatto di testimonianze, interrogatori, giurie e giudici, ma con tutto il materiale scottante a disposizione Aaron Sorkin lo trasforma da pellicola statica e soporifera a collage assai dinamico alternando il presente del processo (ovviamente, per esigenze di spettacolo, reso più accattivante sia nelle scelte narrative che nei dialoghi e persino nei costumi) a una serie di flashback in cui si cerca di ricostruire cosa sia effettivamente accaduto durante le rivolte, per arrivare a dei fast forward in cui tutto ciò che avviene nel corso del film viene raccontato attraverso la voce del più "spettacolare" dei protagonisti, l'animale da palcoscenico che risponde al nome di Abbie Hoffman. Quest'ultimo è interpretato meravigliosamente da un Sacha Baron Cohen che ruba spesso e volentieri la scena a quello che fin dall'inizio è connotato come il vero protagonista, anche in virtù della sua natura razionale, ovvero il Tom Hayden di Eddie Redmayne, e che conferisce al film la sua iniziale, ingannevole natura di dramma "comico", un po' alla Adam McKay; in realtà, sia Abbie Hoffman che Il processo ai Chicago 7 (che, per inciso, ha un cast di altissimo livello) sviano lo spettatore presentandosi inizialmente come allegri cazzoni, per poi mostrare, andando avanti, una natura ben più tragica e profonda di quanto si possa immaginare, al punto che arrivare alla fine del film senza aver avuto voglia di prendere una macchina del tempo per andare a sfasciare la testa a buona parte dei membri e dei testimoni dell'accusa è praticamente impossibile. Il processo ai Chicago 7 è un'opera che avrebbe meritato ben più di un passaggio su Netflix (che stavolta ha fatto il colpaccio) e avrebbe dovuto godere di sale cinematografiche piene, non solo di una breve comparsa in qualche città italiana fortunata. Indice dei tempi brutti che corrono, e chissà se torneremo mai a godere di simili film sugli schermi che gli competono. Per ora, accontentiamoci di Netflix.
Del regista e sceneggiatore Aaron Sorkin ho già parlato QUI. Eddie Redmayne (Tom Hayden), Sacha Baron Cohen (Abbie Hoffman), Jeremy Strong (Jerry Rubin), John Carroll Lynch (David Dellinger), Mark Rylance (William Kunstler), Joseph Gordon-Levitt (Richard Schultz), Ben Shenkman (Leonard Weinglass), Frank Langella (Giudice Julius Hoffman), Michael Keaton (Ramsey Clark) e Caitlin FitzGerald (Agente Daphne O'Connor) li trovate invece ai rispettivi link.
J.C. Mackenzie interpreta Thomas Foran. Canadese, ha partecipato a film come The Aviator, The Departed - Il bene e il male, The Wolf of Wall Street, Molly's Game, The Irishman, The Hunt e a serie quali Alfred Hitchcock Presenta, L'ispettore Tibbs, Dark Angel, Detective Monk, CSI - Scena del crimine, 24, Desperate Housewives, Ghost Whisperer, Medium, CSI: Miami, Dexter e Hemlock Grove. Anche sceneggiatore, ha 50 anni.
Il progetto del film esisteva già decenni fa: Steven Spielberg avrebbe dovuto dirigerlo e avrebbe dovuto incontrare Heath Ledger per parlare del ruolo di Tom Hayden ma l'attore è morto il giorno prima dell'incontro. Spielberg avrebbe inoltre voluto Will Smith per il ruolo di Bobby Seale. Parlando di tempi più recenti, Seth Rogen è stato rimpiazzato da Jeremy Strong. Se Il processo ai Chicago 7 vi fosse piaciuto recuperate Codice d'onore (lo trovate su Chili e altri servizi in streaming a noleggio), Philadelphia (su Amazon Prime Video) e La parola ai giurati (su ITunes). ENJOY!
mercoledì 21 novembre 2018
Animali fantastici: I crimini di Grindelwald (2018)
Trama: benché gli sia stato revocato il permesso di espatriare, Newt Scamander viene mandato a Parigi da Albus Silente per salvare l'Obscurus Credence dalle mire del Ministero della Magia britannico e da quelle dell'evaso Grindelwald...
Animali fantastici e dove trovarli era stato una deliziosa botta di aria fresca non solo per chi, come me, bramava ancora vicende tratte dal fantomatico Potterverse, ma anche un bel film da vedere per chi di Harry Potter non conosceva ancora nulla; punto di forza della pellicola era l'ingenuo personaggio di Newt Scamander, dolce mago fuori dal mondo impegnato nella salvaguardia delle bestie magiche, degnamente spalleggiato da un "babbano" (o no mag) che si faceva portatore del punto di vista dello spettatore "ignorante" e scopriva assieme a lui tutte le meraviglie dell'universo magico. Era anche un film godibilissimo di per sé, altro enorme punto a favore, ma la Rowling ha deciso di farne un punto di partenza per una saga di cinque film ed ecco arrivare quindi I crimini di Grindelwald. Attesissimo, da parte mia, ovvio. Come ho scritto in più posti, non che me ne fregasse una mazza dei crimini del biondocrinito Johnny Depp, ma la love story tra Jacob e Queenie mi era rimasta nel cuore e, insomma, c'era anche la voglia di vedere altri animali fantastici, quindi sono corsa al cinema a vedere I crimini di Grindelwald con una marea di aspettative, in parte esaudite ma in parte, purtroppo, disattese. I pregi del secondo capitolo della saga, infatti, sopperiscono a fatica ai molti difetti di cui soffre, soprattutto a livello di sceneggiatura. Tra le cose positive c'è un ulteriore approfondimento della figura di Newt Scamander, con un Eddie Redmayne sempre più a suo agio nei panni dell'eccentrico, disadattato mago, approfondimento concretizzato in scorci della sua famiglia, del suo rifugio londinese, di ulteriori animali fantastici deliziosi (lo Snaso e gli Snasini in primis ma anche il mostro-gatto cinese, mentre le pantere multiple sul finale sono imbarazzanti a livello di CGI); c'è lo scontro a distanza tra Silente e Grindelwald, due figure incredibilmente carismatiche, ognuna a modo suo, con quel tocco di bromance (più romance che bro) che noi lettori maliziosi abbiamo sempre un po' subodorato; ci sono tanti piccoli rimandi agli adorati libri di Harry Potter e un ritorno ad Hogwarts in pompa magna oltre all'introduzione di un vecchio personaggio in guisa inaspettata; c'è, per concludere, un pre-finale emozionante e commovente che porta lo spettatore a non poter aspettare il 2020 e che bilancia, anche a livello di regia, un inizio che sulla carta sarebbe anche stato molto valido ma che sullo schermo risulta cupo, confuso, mal girato e mal tagliato.
Il resto, spiace dirlo, ma risulta fuffosino. Innanzitutto, I crimini di Grindelwald è troppo imperniato sulla ricerca delle origini di Credence (interpretato da un Ezra Miller ormai fisicato e fatto uomo ma meno interessante rispetto al film precedente), fatta di molti tempi morti e giri a non finire che mettono in mezzo un personaggio sfruttato malissimo (la fantomatica Leta Lestrange, la quale avrebbe avuto molto da dire ancora) e un altro talmente mal caratterizzato che arriva a non fregarne nulla a nessuno (il mago di colore Yusuf); ciò porta la povera Tina ad avere ben poco spazio e a ridurre la sua presenza a livello di sottotrama amorosa fatta di piccole schermaglie con Newt e, stranamente, porta a togliere importanza anche a Grindelwald e Silente, il che è un peccato perché sia Johnny Depp che Jude Law sono ammalianti e particolarmente in ruolo, il che da Jude Law me lo aspettavo ma, onestamente, non da Depp. Ma la cosa più orribile, una roba che mi stupisce vista la cura con cui la Rowling tratta i suoi personaggi, è l'involuzione della meravigliosa Queenie da ragazza un po' svampita ma con le palle a bimbo decerebrata nel giro di quattro/cinque sequenze: SPOILER Già è assurdo cominciare il film con Queenie che scaglia su Jacob un incantesimo d'amore ma posso sorvolare visto che lui semplicemente non vuole sposare la ragazza per non farla finire in prigione, scelta magari poco coraggiosa ma bellissima, coerente col personaggio di Jacob, e lei reagisce di conseguenza. I due litigano, ci sta anche questo e forse ci sta anche che Queenie, sola in un paese dove non capisce la lingua, rimanga stordita dal suo potere di Legilimens al punto da finire alla mercé dell'inutile tirapiedi di Grindelwald... ma il resto è davvero aria fritta che culmina nella resa di Queenie al mago oscuro "perché è l'unico che mi darebbe la libertà di sposare Jacob", soprattutto dopo aver visto gli altri maghi sterminati dal potere del biondo. Va bene, nel prossimo film si combatterà una guerra per l'anima di Queenie, è palese, ma tirarla così per i capelli è assurdo quanto inserire un secondo fratello di Silente che nessuno ha mai sentito nominare. E dai, J.K.! FINE SPOILER Per il resto, nulla da dire. I crimini di Grindelwald è il "tipico" film di Harry Potter fatto di ottimi effetti speciali, musiche evocative, costumi della madonna e scenografie interessanti che si uniscono ai bei paesaggi naturali. Risulta tuttavia come film "di passaggio", in preparazione dei prossimi, infatti mi è sembrato quasi che la Rowling abbia aggiustato un po' il tiro per rendere la storia più cupa e complicata rispetto al primo capitolo tirando fuori un prodotto né carne né pesce. Niente di male in questo, di merchandising e saghe si vive, solo mi aspetto una maggiore onestà nel terzo episodio che, lo so già, correrò a vedere a prescindere.
Del regista David Yates ho già parlato QUI. Johnny Depp (Grindelwald), Carmen Ejogo (Seraphina Picquery), Eddie Redmayne (Newt Scamander), Zoë Kravitz (Leta Lestrange), Ezra Miller (Credence Barebone), Jude Law (Albus Silente), Dan Fogler (Jacob Kowalski), Katherine Waterston (Tina Goldstein) e Jamie Campbell Bower (Giovane Grindelwald) li trovate invece ai rispettivi link.
Tra gli attori presi in considerazione per interpretare Albus Silente c'erano Christian Bale, Benedict Cumberbatch e Jared Harris. Detto questo, nell'attesa che escano i prossimi capitoli della saga (previsti, rispettivamente, per il 2020, 2022 e 2024), se Animali fantastici: I crimini di Grindelwald vi fosse piaciuto recuperate ovviamente Animali fantastici e dove trovarli aggiungendo l'intera saga di Harry Potter, così da capire meglio i vari riferimenti. ENJOY!
venerdì 25 novembre 2016
Animali fantastici e dove trovarli (2016)
Trama: il mago inglese Newt Scamander approda a New York con una valigia piena di Bestie Magiche proprio quando in città comincia a manifestarsi un pericoloso Oscuro. I sospetti del Ministero della Magia Americano ricadono ovviamente su Newt ma la verità sull'origine dell'Oscuro è ben più pericolosa...
Chiusa la parentesi Harry Potter e la maledizione dell'erede (che, peraltro, ho letto senza trovarlo abominevole come tanti avrebbero voluto far credere) è giunta di nuovo l'ora, per gli appassionati, di tornare ad immergersi nelle atmosfere magiche create da J.K. Rowling e il viaggio questa volta non parte proprio da Hogwarts, bensì dal libriccino Gli animali fantastici: dove trovarli, scritto dalla Rowling nel 2001 a scopi benefici. Il libro in questione è uno dei testi che Harry, Ron ed Hermione vengono costretti a studiare nei romanzi e, alla faccia degli scopi benefici, la Rowling ha deciso di trarne una serie di cinque film legati anche ad alcuni avvenimenti che si trovano solo sul sito Pottermore, ampliando di fatto la sua ormai tentacolare presa sui nerd di tutto il mondo e aumentando esponenzialmente le proprie finanze. Sospendo un attimo la critica morale sulla natura bieca di questa operazione chinando il capo con vergogna perché, pur consapevole di tutto ciò che ho detto sopra, Animali fantastici e dove trovarli mi è piaciuto molto, per un paio di motivi. Innanzitutto, Animali fantastici e dove trovarli è fruibile anche da un neofita poiché è stato scritto sfruttando il punto di vista privilegiato del no-mag Jacob, dell'englishman in New York Newt Scamander e di un mondo magico ancora privo dell'agevole manuale di quest'ultimo e, seconda cosa ma non meno importante, fa piazza pulita di tutte le trame legate al Prescelto e Colui-che-non-deve-essere-nominato, offrendo qualcosa di nuovo e fresco anche per gli appassionati. Il gusto della "scoperta" è dunque l'emozione che governa il film dall'inizio alla fine e che rende giustizia al titolo in quanto, al di là dell'indispensabile sotto-trama "oscura" che spero verrà sviluppata meglio nei prossimi capitoli della saga, sotto i riflettori ci sono principalmente gli Animali Fantastici. Quello di Newt è un personaggio molto delicato, un outsider capace di rendersi speciale e unico in virtù del rapporto privilegiato che ha con le bestie del mondo magico, rapporto coltivato grazie ad un'incredibile dose di sensibilità combinata con pazienza, passione e sincero amore per queste creature; accompagnati dalla mano esperta dello zoologo, noi spettatori ci mettiamo nei panni del no-mag Jacob e testimoniamo incantati un mondo precluso non solo ai normali esseri umani ma anche alla maggior parte dei maghi i quali, come abbiamo già avuto modo di evincere dai romanzi di Harry Potter e come viene ulteriormente chiarito in questo film, formano una comunità di individui elitari, diffidenti, superbi e crudeli. Nel mondo magico degli anni ’20, afflitto dallo spauracchio di Grindelwald, le bestie amate da Newt vengono bollate semplicemente come mostri, vige il divieto di sposare babbani e la pena di morte viene elargita con un sorriso, tanto che il cieco terrore mostrato dai cosiddetti Salemiani non appare poi così infondato: quello di Newt Scamander è pertanto un universo più “adulto”, dove i ricordi di scuola sono ormai lontani e mitizzati e chi non riesce ad adeguarsi alle severe leggi vigenti oppure ad usare al meglio la magia viene trattato da reietto se non addirittura obliviato e ucciso.
Aggiungere qualcos’altro relativamente alla trama imbastita dalla Rowling è peccato mortale, il bello di Animali fantastici e come trovarli è proprio quello di godersi una storia nuova, all’interno della quale le dinamiche tra i personaggi principali e la natura dei villain (sotto alcuni aspetti prevedibili, per altri meno) sono tutte da scoprire per poi cominciare a ricamare tutta una serie di congetture, pensieri e speranze. Quello che posso dire è che il bestiario messo in piedi dai tecnici degli effetti speciali è delizioso; accanto all’inevitabile omaggio ad animaletti già comparsi nei film precedenti che però in questa pellicola ottengono un ruolo maggiore, come per esempio l’asticello, compaiono finalmente bestiole mitiche come lo Snaso (mattatore indiscusso di buona parte del primo tempo) e il Purvincolo e si aggiungono quegli animali che i lettori del libro della Rowling aspettavano da tempo di vedere portati in vita. Da bambina quale sono, mi sono innamorata sia del mondo nascosto all’interno della valigia di Newt, un trionfo di CG combinata alla bellezza artigianale delle scenografie classiche, sia delle adorabili bestie piumate e pelose che i nostri devono recuperare (lo scimmiesco Demiguise è tenerissimo ma il premio dolcezza va agli Occamy e, soprattutto, al meraviglioso Tuono Alato di nome Frank, che interagisce assieme ad Eddie Redmayne con una naturalezza incredibile), e ammetto che anche se il film fosse stato carente per quel che riguarda il reparto “battaglie a colpi di bacchetta magica” sarei uscita comunque molto soddisfatta. Da fangirl quale sono (quindi non solo bimbaminkia), mi sono anche ritrovata a fare un tifo spaventoso per la buona riuscita di una relazione sentimentale tratteggiata magnificamente, scritta da una Rowling particolarmente ispirata e interpretata da due attori che, non me ne vogliano quelli principali e soprattutto le fan di Redmayne che mi pare sempre più assimilabile per aspetto fisico al rospo Demetan, mi sono rimasti nel cuore più di tutti gli altri, ovvero il cicciotto Dan Fogler e la svampita Alison Sudol, che spero verranno riconfermati anche nel prossimo film. Redmayne, come ho detto, continua a non piacermi ma per il personaggio schivo di Newt Scamander sfodera un linguaggio corporeo e un'interpretazione a dir poco perfetti mentre se devo proprio trovare un difetto al film lo ricercherei nell’insipienza di Tina e dell’attrice che la interpreta, difetto superato solo da un diludendo finale con tanto di occhi roteati che ovviamente non spoilero. A parte questo, mi unisco all’inaspettato applauso spontaneo partito in sala durante i titoli di coda e confermo quello che ho scritto su Facebook appena uscita dalla visione: cinematograficamente parlando, Animali fantastici e dove trovarli è MOLTO meglio di Harry Potter. E ora, resta "solo" da aspettare il 2018!
Del regista David Yates ho già parlato QUI. Eddie Redmayne (Newt Scamander), Colin Farrell (Graves), Katherine Waterston (Tina Goldstein), Dan Hedaya (Red), Jon Voight (Shaw senior) e Ron Perlman (Gnarlack) li trovate invece ai rispettivi link.
Samantha Morton interpreta Mary Lou. Inglese, la ricordo per film come Minority Report, The Libertine e Elizabeth: The Golden Age. Anche regista, sceneggiatrice e produttrice, ha 41 anni e un film in uscita.
Dan Fogler interpreta Kowalski. Americano, ha partecipato come doppiatore a film quali Kung Fu Panda e a serie come American Dad! e Robot Chicken; come attore, è comparso in serie quali Hannibal. Anche regista, produttore e sceneggiatore, ha 40 anni e tre film in uscita.
Ezra Miller interpreta Credence Barebone. Americano, ha partecipato a film come ... e ora parliamo di Kevin, Noi siamo infinito e Suicide Squad. Ha 24 anni e tre film in uscita, ovvero Justice League, The Flash e Animali fantastici e dove trovarli 2.
Carmen Ejogo interpreta Seraphina Piquery. Inglese, ha partecipato a film come The Avengers - Agenti speciali, Anarchia - La notte del giudizio e Selma - La strada per la libertà. Ha 43 anni e due film in uscita tra cui Alien: Covenant.
Una curiosità divertente sul film: Eddie Redmayne aveva fatto il provino per interpretare Tom Riddle in Harry Potter e la camera dei segreti ma era stato subito scartato mentre, una volta arrivato il successo, è stato la prima ed unica scelta per il ruolo di Newt Scamander. Michael Cera invece ha rinunciato a partecipare come Jacob Kowalski, preferendo lavorare come doppiatore di Robin nell'imminente The Lego Batman Movie. Nell'attesa che esca Animali fantastici e dove trovarli 2, previsto per il 2018, se il film vi fosse piaciuto consiglio di recuperare tutti gli Harry Potter scritti e cinematografici. ENJOY!
venerdì 26 febbraio 2016
The Danish Girl (2015)
Trama: Einar Wegener è un pittore, sposato con l'artista Gerda. Quando quest'ultima lo convince a posare per un quadro in abiti femminili, Einar a poco a poco comincia a sentirsi estraneo al suo stesso corpo e a desiderare di essere donna, fino alle estreme conseguenze...
Mentre mi accingo a scrivere qualche riga su The Danish Girl, mi ritrovo a pensare quanto il film di Tom Hooper mi sarebbe piaciuto ben di più se nel frattempo non avessi visto Room, di cui parlerò prossimamente. Purtroppo per The Danish Girl, la pellicola di Lenny Abrahamson mi ha toccata e commossa più di quanto credessi possibile, forse anche per il fatto di averla vista in lingua originale, e al confronto la storia del "primo transgender" della storia mi è parsa un compitino bello, ben eseguito ma comunque un po' superficiale. La sensazione si è acuita dopo essermi documentata brevemente sulla vita di Einar e Gerta Wegener, cosa che mi ha fatto storcere il naso davanti alla scelta di rifarsi al romanzo omonimo di David Ebershoff piuttosto che alla raccolta dei documenti scritti dalla vera Lili Elbe, decisione che ha trasformato The Danish Girl nell'edulcorato racconto di una moglie devota alle prese con un marito deciso a diventare donna, con dovizia di scene costruite a tavolino per commuovere l'audience e perlomeno UNA scena capace di far venire in mente tutt'altro allo spettatore più o meno cinefilo (I'd Fuck Me. I'd Fuck Me HARD). In sostanza, la Danish Girl del titolo potrebbe essere Gerda Wegener e non Lili, in quanto la vera protagonista del film è la povera artista interpretata da Alicia Vikander, costretta, dopo aver dato dimostrazione della sua forza di donna indipendente e molto avanti per i suoi tempi, ad assecondare i (per carità!) comprensibili desideri di un marito che capisce di essere nato donna nel corpo di un uomo, standogli vicino fino alla morte e rinunciando alla propria felicità, alla sua indipendenza e alla possibilità di rifarsi una vita accanto ad altri compagni. Dal canto suo, Einar Wegener passa dall'apprezzare le nudità di una moglie disnibita al provare sempre più piacere nel sentirsi e vedersi femmina, subendo nel tempo una terrificante metamorfosi da marito timido e sottomesso a donna egoista, testarda e, ancor peggio, banalmente conforme ai dettami dell'epoca (il fatto che smetta di dipingere e trovi enorme gioia nel divenire commessa di supermercato, con annessi pettegolezzi e risolini assieme alle colleghe, mi ha spezzato il cuore), unendo così il peggio dei due sessi in un solo, tormentato ed incompleto essere.
Se dicessi quindi che non mi sarei aspettata un protagonista migliore, sarei una bugiarda e fortuna che The Danish Girl gode di un'ottima co-protagonista altrimenti la recensione sarebbe stata totalmente negativa, cosa ingiusta per un film comunque realizzato molto bene. Eddie Redmayne me lo hanno spacciato tutti come degno vincitore dell'Oscar di quest'anno ma mi chiedo davvero come si possa decretare la superiorità di un attore che per tutto il film si limita a sorridere leziosetto manco avesse una paresi oppure ad accasciarsi a terra, giancu cumme in papé (n.d.t., bianco come un foglio); ribadisco, non avendo visto il film in lingua originale magari non ho potuto apprezzare appieno la sua interpretazione ma whatever. Molto meglio, anche in italiano, Alicia Vikander, alla quale a rigor di logica sarebbe spettata una candidatura come Miglior Attrice Protagonista, se non fosse che i produttori hanno scelto di pomparla come NON protagonista per darle una maggior possibilità di vittoria e, vi dirò, ci hanno visto lungo, anche perché la fidanzata di Fassbender non regge il confronto con Brie Larson ma potrebbe tranquillamente sbaragliare la concorrenza (a scanso di equivoci, il mio voto andrebbe alla meravigliosa Jennifer Jason Leigh ma se la Academy la pensa come me mi mangio un cane) per la categoria in cui è stata relegata. Il resto del cast a onor del vero lascia un po' a desiderare e si salva soltanto la splendida Amber Heard che, in una manciata di minuti, riesce ad imporsi decisamente più dei due mollissimi Matthias Schoenaerts (mio Dio ma quanto è MMostro????) e Ben Whishaw, mentre tocca levarsi il cappello davanti agli splendidi costumi e alle scenografie, talmente belli da provocare un insano desiderio di poter vivere negli anni '20, in una Parigi purtroppo un po' poco bohemienne per i miei gusti. Insomma, non posso nascondere un po' di delusione, soprattutto considerato che da Hooper e dagli attori coinvolti mi aspettavo come minimo un capolavoro, ma non posso nemmeno dire che The Danish Girl sia un film brutto, anzi. Forse, nonostante lo spinoso tema trattato, è un po' poco coraggioso, quello sì.
Del regista Tom Hooper ho già parlato QUI. Alicia Vikander (Gerda Wegener), Eddie Redmayne (Einar Wegener/Lili Elbe), Amber Heard (Ulla), Ben Whishaw (Henrik) e Matthias Schoenaerts (Hans Axgil) li trovate invece ai rispettivi link.
Gerda Wegener nella realtà non era la moglie sofferente e fedele dipinta nel film e nel romanzo di David Ebershoff da cui è stato tratto, la donna portava avanti una relazione "libera" col marito ed era quasi sicuramente bisessuale e molto probabilmente lesbica, come si evince dalle sue famose illustrazioni lesbo-erotiche, peraltro mai mostrate nella pellicola; inoltre, i personaggi di Henrik e Hans (con il quale, almeno nel romanzo, Gerda finisce per avere una relazione) non sono mai esistiti e Gerda e Lili (che, con tutta probabilità, era già nata intersessuale) non hanno affrontato assieme le operazioni di quest'ultima perché Gerda nel frattempo si era risposata con un italiano ed era andata a vivere prima in Italia poi in Marocco, dove ha saputo della morte di Lili dopo dieci anni. The Danish Girl ci ha messo più o meno lo stesso tempo per venire prodotto e realizzato e a un certo punto di questo lungo cammino Nicole Kidman si è offerta di produrre il film e vestire i panni di Lili, pur avendo molti problemi a trovare un'attrice che interpretasse Gerda: Charlize Theron era stata la prima scelta ma poi ha rinunciato, lo stesso è successo a Gwyneth Paltrow e Rachel Weisz, la quale ha lasciato la parte alla Vikander appena il progetto è passato nelle mani di Tom Hooper. Detto questo, se The Danish Girl vi fosse piaciuto potreste cercare Man into Woman, la vera biografia di Lili Elbe messa assieme da Niels Hoyer a partire dagli stessi scritti della donna, e aggiungere film come The Dallas Buyers Club e Boys Don't Cry. ENJOY!
lunedì 23 febbraio 2015
Oscar 2015
L'unica vera sorpresa della serata è stata la schiacciante vittoria di Birdman su Boyhood, risultato a cui non avrei dato un euro ma che mi rende comunque felice visto quanto ho amato il film di Iñárritu, premiato come miglior Regista. Birdman porta a casa non solo la statuetta per il Miglior Film ma anche quella per la miglior Sceneggiatura Originale e, giustamente, per la splendida Fotografia di Emmanuel Lubezki. Stranamente, all'accattivante Montaggio Sonoro di Birdman è stato preferito quello di American Sniper, probabilmente per dare un premio anche al povero Clint Eastwood rimasto a bocca asciutta.
Nessuna nuova dal fronte del Miglior Attore Protagonista. Eddie Redmayne vince giustamente per La teoria del tutto confermando così l'unica caratteristica positiva di un film altrimenti dimenticabile.
Senza troppe sorprese, l'Oscar per la Migliore Attrice Protagonista va a Julianne Moore, anche lei unica stella fulgida di un film che si regge interamente sulla sua interpretazione. Rimango dell'idea comunque che Rosamund Pike sarebbe stata una scelta migliore e più coraggiosa ma d'altronde a presentare la serata c'era Neil Patrick Harris e chi ha visto Gone Girl saprà che il poveraccio non è stato trattato benissimo dalla bella Rosamunda!
All'urlo di Not Quite My Tempo, J.K. Simmons sbaraglia la concorrenza e si accaparra giustamente l'Oscar per il Miglior Attore Non Protagonista. Per la cronaca, Whiplash ha vinto anche per lo splendido Montaggio e per il Sonoro, due premi sacrosanti per un film che avrebbe comunque dovuto meritare di più (per esempio il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale, che è andato invece a The Imitation Game, a mo' di contentino).
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Diamo un'occhiata anche agli altri premi, perlomeno a quelli di cui posso parlare con un minimo di cognizione di causa. L'amatissimo Grand Budapest Hotel ha vinto una marea di Oscar tecnici (e vorrei ben vedere, era un gioiello!!!!); quello che mi rende più orgogliosa è ovviamente quello conferito a Milena Canonero per i meravigliosi Costumi, al quale si aggiungono Miglior Trucco, Miglior Scenografia e Miglior Colonna Sonora Originale. A proposito di colonne sonore, il bellissimo Selma si becca un altro dei "contentini" della serata, venendo premiato solo per l'orrenda canzone Glory di Common e John Legend. Rimanendo in tema contentini, il "nuovo 2001 Odissea nello spazio (mwaahahahahmavaciappàiratt'!)" Interstellar porta a casa solo l'Oscar per gli Effetti Speciali, assieme alle pernacchie e gli sputi di chi come me lo ha ridimensionato dopo l'orchitica visione. Concludo con il sommo scorno di aver visto vincere nella categoria Miglior Film d'Animazione una robetta (per quanto gradevole) come Big Hero 6 e non il capolavoro Ghibliano La storia della principessa splendente e con la promessa di recuperare Ida, Miglior Film Straniero. Ci si risente nel 2016!!
martedì 20 gennaio 2015
La teoria del tutto (2014)
Trama: il film racconta la vita di Stephen Hawking e della moglie Jane, a partire dalla terribile scoperta della malattia che ha condannato il fisico all'immobilità fino ad arrivare ai nostri giorni...
Se c'è una materia che ho sempre detestato alle superiori, assieme alla matematica, era la fisica. Proprio non arrivavo a capire quelle assurde regole che governano il nostro universo, quelle formule astruse basate (secondo me, ovviamente) sul nulla e utili al prosieguo della mia esistenza quanto un frigorifero al polo nord. Non mi vergogno quindi a dire che ho sentito nominare per la prima volta Stephen Hawking in una puntata dei Simpson e per un po' di tempo sono stata assolutamente convinta di avere davanti un personaggio inventato, poi mi sono ovviamente documentata, a differenza di alcuni blasonati giornalisti; a tutt'oggi non ho assolutamente idea di quale incredibile rivoluzione lo studioso abbia apportato all'interno della fisica, della matematica, della cosmologia e dell'astrofisica ma non importa essere saputi per poter godere di La teoria del tutto. Il film si basa soprattutto sul rapporto tra Stephen e la moglie Jane, un legame profondo messo alla prova dalla cosiddetta malattia del motoneurone che, a poco a poco, ha condannato l'astrofisico ad una progressiva atrofia muscolare che lo ha costretto prima sulla sedia a rotelle e poi a comunicare tramite un sintetizzatore vocale. La teoria del tutto mostra il giovane e brillante Stephen perdere a poco a poco il controllo del fisico ma non della mente, la bella ed intelligente Jane farsi in quattro per sostenere un uomo a cui erano stati predetti solo due anni di vita e che invece è stato suo compagno per più di venti, il sentimento che unisce i due trasformarsi da amore in grado di vincere ogni avversità in profonda amicizia minata (ma non distrutta) dalla malattia, dalle avversità e dal desiderio di Jane di avere una famiglia normale; la "teoria del tutto" che da il titolo al film, così come altre teorie di Hawking, diventano di conseguenza una sorta di corollario di quella che in definitiva è una raffinata soap-opera per "intellettuali" costellata di figli, amanti e genitori impiccioni e che, di fatto, è tranquillamente fruibile dalla maggioranza del pubblico ignorante mentre rischia di venire tacciata di ignominia dai seguaci "duri e puri" di Hawking.
Come spettatrice ignorante io mi sono ritrovata nel mezzo. Non vado matta per le storie d'amore e malattia ma non nego che La teoria del tutto mi abbia strappato più di una lacrima sul finale, soprattutto per la consapevolezza della grande forza d'animo di Hawking e della sua incredibile tenacia ed ironia, che gli hanno impedito di cadere nella disperazione e lo hanno fatto sopravvivere per lunghi anni in cui la sua attività si è rivelata fondamentale per il mondo accademico. Razionalmente, però, riconosco anche che La teoria del tutto non sia un'opera così grandiosa da meritare una statuetta come miglior film; la trama, zeppa di tutti quei piccoli barbatrucchi per creare un film da Oscar e giocata sul filo pericoloso del melodramma sentimentale, sarebbe ben poca cosa se non fosse sorretta da due interpretazioni della Madonna, da una regia elegante e raffinata e da una bella colonna sonora. Eddie Redmayne merita davvero tutti i premi vinti finora perché si annulla completamente nel personaggio di Hawking, mandando al diavolo la sua bellezza inglese (che io non apprezzo ma è indubbia) ed accentuando un fascino derivante da intelligenza, curiosità e ironia, mentre Felicity Jones è bella, fragile e forte allo stesso tempo, una presenza fondamentale con la quale è impossibile non empatizzare, nel bene e nel male. Il regista James Marsh sfrutta le suggestioni dettate dalle teorie di Hawking per creare sequenze ricercate e molto belle, dove la circolarità delle immagini (il cerchio viene riproposto in più modi, nelle scale, nel latte, nel girotondo dei due protagonisti) e del montaggio la fa da padrone, andando a colpire lo spettatore nelle sue corde più sensibili, tanto che sfido chiunque a non versare una lacrima davanti al finale, che ripercorre al contrario e velocemente l'intera vita di Stephen Hawking fino ad arrivare al primo momento in cui la malattia è arrivata a bussare alla porta, delicata ed impercettibile ma implacabile. In definitiva, per concludere, La teoria del tutto è un film bello, non eccelso, che mi ha sicuramente spinta a volerne sapere di più sull'uomo Hawking (tanto dello scienziato non capirei nulla!) e che merita indubbiamente una visione ma che, molto probabilmente, non rimarrà nelle mie personali memorie del 2015.
Di Eddie Redmayne (Stephen Hawking), David Thewlis (Dennis Sciama) ed Emily Watson (Beryl Wilde) ho già parlato ai rispettivi link.
James Marsh è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Doppio gioco e ha vinto l'Oscar per il documentario Man on Wire. Anche produttore e sceneggiatore, ha 52 anni.
Felicity Jones interpreta Jane Hawking, ruolo per cui è candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista. Inglese, ha partecipato a film come Hysteria, The Amazing Spider Man 2 - Il potere di Electro e serie come Doctor Who. Ha 31 anni e quattro film in uscita tra cui Inferno, tratto dall'omonimo libro di Dan Brown.
Harry Lloyd interpreta Brian. Inglese, ha partecipato a film come Jane Eyre, The Iron Lady e a serie come Doctor Who, Robin Hood e Il trono di spade. Anche produttore, ha 31 anni e due film in uscita.
Charlie Cox interpreta Jonathan Hellyer Jones. Inglese, ha partecipato a film come Stardust e a serie come Downton Abbey e Broadwalk Empire. Ha 32 anni, un film in uscita e dovrebbe interpretare Daredevil/Matt Murdock nelle imminenti serie TV Daredevil e The Defenders.
Il vero Stephen Hawking ha prestato la "voce" per le scene finali del film, la sua Medal of Freedom e anche la sua tesi firmata. La teoria del tutto non è l'unica pellicola che racconta la vita del grande fisico, esiste anche Hawking, film TV del 2004, dove il protagonista viene interpretato nientemeno che da Benedict Cumberbatch, grande amico tra l'altro di Eddie Redmayne; se La teoria del tutto vi fosse piaciuto recuperatelo assieme alla miriade di biopic candidati, per un motivo o per l'altro, all'Oscar di quest'anno come The Imitation Game, Foxcatcher, Big Eyes, American Sniper e Wild. ENJOY!
mercoledì 13 febbraio 2013
Les Misérables (2012)
Trama: l’ex forzato Jean Valjean decide di cambiare vita dopo l’incontro con un pio vescovo. Violata la parola, riesce persino a diventare sindaco, ma il poliziotto Javert gli è sempre alle calcagna, deciso a riconsegnarlo alla giustizia. In un momento di disattenzione ed egoismo Valjean causa la definitiva rovina e conseguente morte di una sua dipendente, Fantine, e per espiare le promette di prendersi cura della figlioletta Cosette, affidata ai terribili locandieri Thénardier. Nonostante l’incombente e costante pericolo incarnato da Javert, i due riescono a condurre una vita serena, ma l’amore e la rivoluzione sono in agguato…
Siccome di Les Misérables ho letto male dal momento stesso in cui è uscito, spezzerò subito una lancia in suo favore: a me il film è piaciuto. Non mi nascondo dietro a un dito, adoro i musical e mi faccio sempre trascinare dalla bellezza delle canzoni o dal sentimento con cui vengono cantate, e in Les Misérables ci sono tante canzoni meravigliose e un paio di performance degne di nota. Non mi vergogno nemmeno a dire che ho pianto come un vitello in almeno quattro o cinque occasioni: d'altronde il pregio del romanzo di Hugo è quello di "diluire la tragedia" con spiegoni storico-socio-politici-culturali che durano interi capitoli, mentre Hooper ammazza lo spettatore concentrando questa storia di poveri vinti in due ore e mezza (ma nelle sue intenzioni originali dovevano essere più di quattro, Dio benedica i tagli!!). All'uscita dalla sala io e le mie compagne di visione siamo sbottate in un accesso di risa isteriche invocando un musical sui Malavoglia, con Hugh Jackman/Padron 'Ntoni che piange sui lupini perduti, spero che qualche cantautore particolarmente allegro come, che so, Riccardo Cocciante mi legga ed esaudisca il nostro desiderio. Ma sto divagando, scusate, è solo che la commozione è ancora tanta e in qualche modo va sdrammatizzata. Passiamo alla recensione.
Les Misérables cinematografico è una sorta di compendio del musical di Broadway a cui si aggiungono elementi presi dal romanzo di Hugo e, come l'opera dello scrittore francese, porta avanti un parallelo tra la vita di questi miserabili e la Francia. Jean Valjean è un uomo che lo stato e la cosiddetta giustizia hanno privato dell'identità, della fiducia verso il prossimo e della possibilità di avere un lavoro onesto e una vita serena; la Francia dell'epoca trattata è più o meno simile, una nazione passata in brevissimo tempo dalla Rivoluzione all'impero di Napoleone per poi tornare alla monarchia, uno stato allo sbando dove il popolo è ridotto nella miseria più nera e dove la legge tutela solo chi è benestante, quindi rispettabile. Sia i protagonisti dell'opera che la Francia dovranno trovare nell'amore, nella passione, nella comunione d'intenti e persino nel sacrificio e nella morte la forza per riaffermare sé stessi e ritrovare la dignità perduta, perché in caso di fallimento le alternative sono ugualmente terribili: o rimanere a razzolare nel fango e nell'ignominia come gli abietti Thénardier, oppure rimanere ciecamente ancorati ai propri pregiudizi come Javert, consacrando la propria intera esistenza e la propria sanità mentale al dovere, all'odio e alla persecuzione. Nonostante siano passati secoli il succo della storia mantiene intatta la sua potenza e riesce a far dimenticare persino le ingenuità da feuilletton come la storia d'amore tra Cosette e Marius, nata nel giro di un paio di minuti e sfociata immediatamente in struggente melodrammone.
Il punto di forza di Les Misérables, dunque, sono i passaggi in cui la critica sociale del romanzo (e di conseguenza del musical) riesce a farsi sentire e a raggiungere il cuore del pubblico: che sia la sordida rappresentazione dei bassifondi di Montreuil, che siano le scorrerie del monello Gavroche, che sia il terribile attacco alle barricate o il trionfo dei truffaldini Thénardier, la pellicola di Hooper da il suo meglio in queste sequenze corali, dove il mezzo cinematografico concorre indubbiamente a rendere più vivace la rappresentazione e riesce a infondere nuova linfa in canzoni bellissime e conosciute come At the end of the day, Lovely ladies, Master of the House e Do you hear the people sing?, che risultano così i brani più belli sia per quanto riguarda la regia, che le scenografie. Ovviamente, stiamo parlando di un musical, quindi l'aspetto più importante sono i cantanti. Qui ce ne sono due che svettano su tutti, al di là della tecnica sulla quale non posso esprimermi perché mi mancano le competenze: Anne Hathaway e Russell Crowe. Innanzitutto, ho finalmente capito perché la Hathaway, pur comparendo solo per una ventina scarsa di minuti, si sia beccata miliardi di premi e nomination. Sfido CHIUNQUE a non rimanere a bocca aperta e a non piangere come se non ci fosse un domani davanti alla sua incredibile interpretazione della tristissima I dreamed a dream. Una performance così sentita e commovente che credo avrebbe potuto spaccare il cuore a un sasso, una sequenza che varrebbe da sola il prezzo del biglietto. E l'altro è Russell Crowe. Io ero partita puntando alla tempesta ormonale davanti a Hugh Jackman ma il granitico, impenetrabile e bastardissimo Javert di Crowe è un trionfo che supera di gran lunga ogni aspettativa. Mi permetto di dire che l'ex Gladiatore ha una voce forse troppo impostata, ma il pezzo in cui canta il suo Soliloquio prima di gettarsi nella Senna mette i brividi e non solo per il suono realistico del corpo che si spezza contro la pietra. Chapeau a entrambi e menzione d'onore anche per i simpaticissimi Thénardier di Sacha Baron Cohen e Helena Bonham Carter, sempre a loro agio nei ruoli di laidi cialtroni (anche se qualcuno avrebbe dovuto ricordare alla signora Burton che il musical si ambienta a Parigi, non serviva indulgere nell'accento di Mrs.Lovett).
Purtroppo, e non avete idea di quanto mi dispiaccia, ci sono anche parecchie critiche da fare. Innanzitutto, Les Misérables abbonda di sequenze statiche. Io ne ho visti parecchi di musical ma non ne ricordo uno così pieno di primi piani e mezzi busti a bocca spalancata. In due ore e mezza, i momenti in cui i cantanti si ritrovano soli con uno sfondo alle spalle, immobili, a cantare i loro dubbi e il loro dolore superano quasi sicuramente metà della durata della pellicola e purtroppo solo Anne Hathaway può permettersi un simile trattamento. Lo stesso, ahimé, non si può dire di Hugh Jackman. Jean Valjean, posso dirlo? E che due maroni, sempre lì a frignare come un disperato, a lamentarti, a preoccuparti per tutti tranne che per te stesso e persino ad invecchiare male! Sì, il povero Hugh passa dall'essere uno scheletro inquietante all'indossare un'inguardabile parrucchetta riccia per poi morire con in faccia un improponibile trucco da vecchio. Sono sincera, era mille volte meglio Depardieu nella serie TV, Jackman non è proprio tagliato per il ruolo di Jean Valjean. Altra cosa orrenda, ma questa ce la siamo beccata solo noi italiani, è la scelta di doppiare quei dieci minuti scarsi di dialogo: santo cielo, vi rendete conto che non si possono sentire gli intermezzi pronunciati da un'altra persona e in un'altra lingua nel bel mezzo di una canzone?? Tanto, ormai avevate fatto trenta, potevate far trentuno, qualche sottotitolo in più non avrebbe creato delle sommosse popolari. E aggiungo che Santa Claus e Babbo Natale non sono proprio la stessa cosa, credo che per un film ambientato nella Francia dell'800 una simile traduzione sia quantomeno discutibile. No comment. Vabbé, a parte questi due o tre difetti, Les Misérables mi è piaciuto, lo ribadisco. Non lo candido a film dell'anno, questo proprio no, ma se volete guardare un bell'omaggio ad uno dei più grandi e conosciuti musical di Broadway non vi pentirete di aver messo piede in sala.
Del regista Tom Hooper ho già parlato qui. Di Hugh Jackman (Jean Valjean), Russell Crowe (Javert), Anne Hathaway (Fantine), Amanda Seyfried (Cosette), Sacha Baron Cohen (Thénardier) e Helena Bonham Carter (Madame Thénardier) li trovate invece ai rispettivi link.
Eddie Redmayne (vero nome Edward John David Redmayne) interpreta Marius. Inglese, ha partecipato a film come Elizabeth: The Golden Age e Marilyn. Ha 31 anni e un film in uscita.
Samantha Barks, che interpreta Eponine, aveva già incarnato il personaggio in occasione del 25simo anniversario del musical di Broadway e per fortuna la scelta è ricaduta su di lei, oppure avremmo dovuto beccarci la “performance” di Taylor Swift. Tra le altre fanciulle in lizza per il ruolo segnalo Hayden Panettiere, Scarlett Johansson ed Emily Browning, mentre ad ambire a quello di Cosette c’era anche Emma Watson. E’ cosa risaputa invece che durante i provini Anne Hathaway (fortemente voluta proprio da Hugh Jackman) abbia lasciato tutti in lacrime, surclassando così gente come Jessica Biel, Marion Cotillard, Kate Winslet e Rebecca Hall. Passiamo ora ai maschietti. Prima di ingaggiare Crowe si era pensato a Paul Bettany per il ruolo di Javert, Jamie Campbell Bower ha rifiutato il ruolo di Enjorlas e Geoffrey Rush (già Javert ne I miserabili del 1998) era stato preso in considerazione per quello di Thénardier ma, in tutta sincerità, meglio che la parte sia andata all’esilarante Sacha Baron Cohen. E con questo concludo, aggiungo solo che a fine mese Les Misérables concorrerà per otto Oscar: migliori costumi, miglior make-up (ma stiamo scherzando??!), miglior canzone originale (Suddenly), miglior scenografia, miglior sonoro, miglior film (no, sinceramente, non lo merita, soprattutto non con le altre pellicole in lizza per il premio…), Hugh Jackman miglior attore protagonista (e anche lì, assolutamente no, sarebbe immeritato…) e Anne Hathaway migliore attrice non protagonista (se potessi glielo consegnerei io ora, giuro). Nell’attesa della notte degli Oscar, se Les Misérables vi fosse piaciuto consiglio la visione de Il fantasma dell’Opera e Moulin Rouge. ENJOY!!