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martedì 29 settembre 2020
Le strade del male (2020)
venerdì 25 settembre 2020
Jack in the Box (2019)
In questo 2020 film al cinema non ne sono praticamente usciti, quindi ritenevo non fosse possibile eleggere qualcosa a "peggior pellicola dell'anno", ma fortunatamente è arrivato Jack in the Box (The Jack in the Box), diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Lawrence Foler, a dire la sua!
Trama: esposto in un piccolo museo inglese, un enorme carillon contenente un clown comincia a mietere vittime...
Se un po' mi conoscete, leggendo il Bollalmanacco, saprete ormai da tempo che clown e burattini/bambole sono per me il non plus ultra del terrore. Quando ho visto la locandina di Jack in the Box me la sono preventivamente fatta sotto e sono andata al cinema consapevole che sarei morta di paura e con la gioia di riuscire finalmente a rivedere un horror in sala ma mai, e dico MAI, mi sarei aspettata le visite di Morfeo in persona durante la visione. Allo stesso modo, MAI mi sarei aspettata che la distribuzione italiana, per quanto demoniaca e malvagia ben più di un jack-in-the-box qualsiasi, avrebbe osato portare in sala, con tutti gli horror meravigliosi usciti nel corso dell'anno, l'ultimo dei fondi di magazzino, talmente brutto e malfatto da costringermi DURANTE LA VISIONE a controllare su Imdb se non si trattasse di uno straight-to-video (spoiler: non lo è. Vergogna doppia, dunque). Togliamoci subito il dente: l'unica cosa vagamente apprezzabile di Jack in the Box è il make-up del Jack in oggetto, effettivamente inquietantissimo sia nella versione demoniaca che in quella giocattolo, quest'ultimo ovviamente reso come un pupazzo talmente maligno già di suo che nessun bambino sano di mente avrebbe il coraggio di giocarci, quindi perché diamine esporlo in un museo? Purtroppo, su un'ora e mezza di durata lo Sbirulino infernale comparirà sì e no venti minuti scarsi, peraltro giocandosi fin da subito anche il minimo briciolo di mistero o suspance sulla natura della scatola in cui è contenuto, e il regista/sceneggiatore è talmente cane da non riuscire neppure ad azzeccare le uniche cose che avrebbero potuto salvare la baracca e annichilire dal terrore lo spettatore, ovvero i jump scare (esempio banale: i film di Annabelle sono cazzatelle scorrette, ma assolvono al loro compito di privare lo spettatore del sonno).
Il resto, banalmente, è fuffa. L'impianto generale di regia, scenografia, montaggio e colonna sonora è televisivo, in un'accezione tutta anni '90 (brutti) del termine, quindi piatto che più non si può, la sceneggiatura è invece semplicemente imbarazzante e piena di tristissimi momenti morti riempiti da dialoghi di rara tristezza. Vi basti solo pensare, tanto un film simile potete anche spoilerarvelo, che il protagonista è un americano emigrato in Inghilterra a seguito di un trauma insormontabile e che tale trauma si riassume nell'aver "causato" la morte della fidanzata ignorando la telefonata notturna in cui lei, invece di chiamare il 911, ha preferito comunicare a lui la presenza di un tizio nel parco pronto ad accoltellarla. Proprio una volpe, non c'è che dire! Indecisa se ridere o piangere davanti a tanta sfiga, la coprotagonista accoglie ovviamente le confessioni indirette dell'American in England come farebbe chiunque: cambiando argomento e parlando di aria fritta per minuti interminabili, ammorbando il film con queste inquadrature da soap opera popolate da attori che sfigurerebbero persino ne Gli occhi del cuore. Non c'è un solo membro del cast che non sia la quintessenza della mancanza di personalità, sembra di avere davanti un raduno del PD ambientato in Inghilterra (per dire, ci sono personaggi "topici" come "il demonologo", "il matto traumatizzato" e "il poliziotto" che dovrebbero spiccare, invece nulla, nemmeno il casting hanno azzeccato), e il film è realizzato talmente coi piedi che, a un certo punto, scompare una donna... e il manifesto che ne comunica la scomparsa mostra palesemente un'altra persona. Concludo citando ciò che ho scritto su Facebook a fine visione: "Jack in the Box è un film talmente brutto che invece di aver paura di trovarmi davanti il pagliaccio/demone titolare ho sperato succedesse per potergli tirare un calcio nei marroni".
Lawrence Foler è il regista e sceneggiatore della pellicola. Nato in Galles, ha diretto film come Curse of the Witch's Doll. Anche produttore, ha 30 anni.
Purtroppo è già in progetto un seguito del film, che dovrebbe uscire l'anno prossimo. Personalmente, non andrò a vederlo nemmeno per sbaglio, voi fate un po' come volete e, se vi piace il genere, recuperate la serie Annabelle e aggiungete il pregevole Terrifier e Dead Silence. ENJOY!
giovedì 24 settembre 2020
(Gio)WE, Bolla! del 24/9/2020
martedì 22 settembre 2020
La babysitter - Killer Queen (2020)
La babysitter, uscito su Netflix nel 2017, aveva due meriti: uno, quello di avere attirato l'attenzione sulla bionda e bellissima Samara Weaving, due, non prendersi mai sul serio nemmeno per sbaglio. A dire il vero ci sarebbe anche un terzo merito, quello di essere uno dei film più splatter sul catalogo Netflix, non fosse che quello di La babysitter era un gore così cartoonesco da non turbare neppure gli stomaci deboli, quindi rimaniamo concentrati sui primi due punti. Purtroppo, il sequel La babysitter - Killer Queen ha l'unico, enorme difetto di privarsi del punto uno, mentre per il resto rimane fedele al secondo per tutta la sua durata, anzi, se possibile è ancora più cazzone e cretino del primo capitolo. Cole è cresciuto, non ha più bisogno di una babysitter, ma è rimasto comunque un liceale sfigato e weird, reso ancora più disadattato dagli eventi che lo hanno visto potenziale vittima sacrificale della babysitter Bee e dei suoi amici, tutti peraltro morti per mano sua o quasi; come nelle migliori tradizioni horror, infatti, nessuno gli crede, i genitori preoccupati lo considerano pazzo e persino la migliore amica d'infanzia, Melanie, finge che non sia accaduto nulla e gli consiglia di fare altrettanto. Tutto cambia durante una serata di libertà in cui Cole, trascinato da Melanie e dai suoi amici, non decide di smettere di fare il bravo ragazzo e decide di andare a una festa privata sul lago (notoriamente pessimi posti per gli horror), ritrovandosi così davanti il suo peggior incubo. E qui mi fermo, perché Killer Queen nasconde tantissime sorprese che vi lasceranno alternativamente scioccati e piacevolmente stupiti se avete voluto anche solo un po' di bene a La babysitter. Tra personaggi amatissimi che ritornano ancora più in forma di prima, altri ai quali viene concesso più spazio (i padri snaturati di Melanie e Cole) e nuovi arrivi, in tutta onestà, non particolarmente carismatici, anche questa volta Cole avrà il suo bel daffare per sopravvivere a quell'innocenza che pare essere nettare prelibato per il diavolo e, ovviamente, per dimostrare di non essere lo sfigato che tutti credono.
Judah Lewis interpreta Cole. Americano, ha partecipato a film come La babysitter e Summer of '84. Ha 19 anni.
venerdì 18 settembre 2020
Host (2020)
Trama: durante il lockdown, un gruppo di amici si riunisce per una seduta spiritica online. A causa di un maldestro errore, però, le cose vanno di male in peggio...
Mentre in Italia si panificava a oltranza e la gente cantava dai balconi, da qualche parte nel mondo ci sarà stato qualcuno che ha impiegato il tempo del lockdown in maniera alternativa, ne sono sicura. Magari, come nel caso di Host, imbastendo una seduta spiritica via Zoom, collegando tra loro sei amici e una medium per superare la noia e passare una serata diversa. E' così che si è sviluppato uno scherzo diventato virale, realizzato da Rob Savage ai danni di alcuni suoi amici, diventando un mediometraggio (dura meno di un'ora) basato sulla semplice, stra-abusata idea di una seduta spiritica che a un certo punto prende una brutta piega, condannando i partecipanti ad avere a che fare con uno spirito assai incazzato che non esita a farla pagare pesantemente a chi ha ben pensato di prenderlo in giro. Ambientato proprio durante il lockdown, Host fa leva sulla familiarità di una situazione straordinaria e sull'inevitabile empatia che si viene a creare tra i protagonisti e lo spettatore, sul senso di claustrofobia e paura venutosi a creare a causa del Covid, accentuato ovviamente dall'elemento sovrannaturale; la breve durata del film concorre a non creare tempi morti, così che l'azione entri subito nel vivo e il pubblico non abbia neppure il tempo di storcere il naso di fronte alle solite, inevitabili forzature (va bene il lockdown, va bene qualunque cosa, ma se sento dei rumori in cucina o in soffitta non mi porto dietro il portatile, tanto le mie amiche da casa non possono uscire dallo schermo per aiutarmi) o di fronte agli spaventi cheap ma assai efficaci di cui il film abbonda, e il risultato è una pellicola dinamica e divertente, perfetta anche per chi ha poco tempo per "rilassarsi" davanti allo schermo.
Quanto alla realizzazione, Host si muove ovviamente sulla falsa riga di Unfriended e del suo seguito, come se lo spettatore stesse per l'appunto guardando una conferenza su Zoom, tra schermo diviso in sei parti, riprese quasi amatoriali, abbondanza di primi piani e vari ammenicoli utilizzati in maniera intelligente per mettere ancora più paura, come gli sciocchi effetti "alla FaceApp", le immagini riproposte in loop, ecc. Nonostante sia palesemente una produzione da due sterline, i pochi effetti speciali più improntati sull'horror e sul gore non mi sono parsi fatti a tirar via e le attrici mi sono piaciute tantissimo (l'unico a mio avviso fuori parte è l'amico roscio); poiché parte dei dialoghi e persino delle azioni compiute sullo schermo è improvvisata, oppure alla singola attrice è stato mostrato del materiale già registrato senza dirle prima cosa avrebbe visto, le reazioni delle fanciulle sono assai genuine e questo concorre ad alimentare l'empatia di cui parlavo sopra, anche perché quasi tutti i personaggi sono ben scritti e abbastanza plausibili nel loro essere "normali", soprattutto prima che l'elemento sovrannaturale entri a gamba tesa. Insomma, da Host non mi aspettavo nulla di che, invece sono rimasta molto soddisfatta e ringrazio Rob Savage per aver tenuto a mente la fondamentale massima "un bel gioco dura poco", che dovrebbe essere la regola d'oro per ogni film del genere.
Rob Savage è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Inglese, ha diretto film come Strings ed episodi di serie come Britannia. Anche direttore della fotografia, montatore e produttore, ha un film in uscita.
Se Host vi fosse piaciuto recuperate Unfriended e Unfriended: Dark Web (li trovate entrambi su Chili e altri servizi di streaming a noleggio). ENJOY!
martedì 15 settembre 2020
The Rental (2020)
Trama: due coppie di amici decidono di passare un weekend in una lussuosa villa in affitto. Una volta arrivati, cominciano le tensioni e i misteri...
Dave Franco è l'inespressivo fratellino del ben più famoso James, ed è un attore apprezzato giusto nell'interessante The Disaster Artist e per il resto dimenticato. Non ho guardato The Rental per amor di Franco, dunque, ma per quel gran figo di Dan Stevens, tuttavia mi sono accinta alla visione curiosa di capire cosa avrebbe potuto combinare, uno che come attore non è granché, dietro la macchina da presa e alla sceneggiatura. La risposta è: avrebbe potuto fare di meglio, ma anche di peggio. The Rental è infatti una di quelle pellicole passabili di rientrare nel cosiddetto genere mumblegore; per chi non sapesse di cosa sto parlando, i film mumbleCore sono solitamente indipendenti, si concentrano prevalentemente sui dialoghi tra personaggi e sull'approfondimento di legami e rapporti interpersonali, e hanno per protagonisti persone che non superano i quarant'anni. Se alla C sostituite la G, avrete il mumblegore, ovvero la versione horror di questo genere di pellicole, di cui The Rental può dirsi un esponente. Non dei migliori, come ho scritto su, anche perché verso il finale il film cambia strada e diventa un banale slasher "bianco", ovvero senza quasi una goccia di sangue, mentre la parte che precede l'esplosione dell'azione improvvisa è molto più interessante e il suo unico problema è giusto quello di mettere in scena quattro personaggi di cui solo uno apprezzabile, la bella Mina. Gli altri vanno dall'odioso al detestabile, con varie sfumature che passano dal figonzo che sa di esserlo e se ne approfitta (indovinate un po' chi...), alla fidanzata spaccamaroni la cui idea di divertimento coincide col drogarsi, per arrivare al fratellino testa di cazzo e fallito. A far scoppiare la miccia di tensioni, cose non dette e conflitti latenti ci pensa il fratello dei proprietari della villa in affitto, un razzista misogino che si ritrova a diventare anche involontario capro espiatorio per qualcosa di assolutamente imprevedibile.
Imprevedibile fino a un certo punto ovviamente, ché una volta svelato l'arcano che tanto danno causerà ai quattro baldi fanciulli, lo svolgimento del film diventa di una banalità sconcertante e la noia è lì che attende, subito dietro l'angolo. Peccato, perché oltre ad avere occhio per la scelta degli attori (Sheila Vand ha la fortuna di avere il personaggio più interessante ma anche gli altri attori sono perfetti per i rispettivi ruoli e una menzione speciale la merita Toby Huss, assolutamente detestabile e laido) mi è parso che, nonostante qualche scivolone patinato (la scena della doccia è terribile, giuro), Dave Franco abbia anche gusto per i colori e le riprese in interni. Purtroppo, il suo non è uno stile riconoscibile e a tratti pare più una scopiazzatura dei cliché del genere, privati di buona parte della personalità, e ciò mi fa pensare che la sua inespressività attoriale si sia trasferita anche alla regia e alla sceneggiatura, arrivando a fare di The Rental un film gradevole ma dimenticabile nel giro di un paio di giorni, perso nella marea di altri horror, thriller, mumblegore e quant'altro, che periodicamente escono negli States. Fortuna che Dan Stevens è sempre un bel vedere!
Del regista e co-sceneggiatore Dave Franco ho già parlato QUI. Dan Stevens (Charlie) e Alison Brie (Michelle) li trovate invece ai rispettivi link.
Sheila Vand interpreta Mina. Americana, ha partecipato a film come Argo, A Girl Walks Home Alone at Night, Holidays, Xx - Donne da morire; come doppiatrice ha lavorato in BoJack Horseman. Ha 35 anni.
Se The Rental vi fosse piaciuto recuperate The Invitation (lo trovate tranquillamente su Prime Video). ENJOY!
venerdì 11 settembre 2020
Spree (2020)
Trama: Kurt Kunkle è un wannabe influencer di ben poco successo. Per recuperare follower, Kurt decide di mettere on line la sua esperienza come autista, aggiungendo a ogni corsa un tocco a dir poco mortale...
Mentre sto scrivendo il post, la signora del "non ce n'è coviddi", tizia di cui non ricordo neppure il nome, si è aperta un account Instagram che sta già attirando milioni di iscritti. Viviamo dunque in un'epoca di merda, dove basta palesare ignoranza crassa e voilà!, invece di vergognarsi delle stronzate dette o scritte basta reinventarsi star del web e tranquilli che ci sarà qualche cretino disposto a darci del grano, anche se non sappiamo fare nulla, non abbiamo un pensiero intelligente che sia uno e sprechiamo solo l'aria che respiriamo. Di fronte a una simile, triste realtà, è naturale che molti pensino che sia non solo giusto ma persino doveroso "essere qualcuno"; d'altronde se, per l'appunto, ce l'ha fatta Ms. Coviddi ad avere i suoi 5 minuti di gloria a pagamento o se Salveenee può aspirare a una presidenza del consiglio perché mai qualsiasi ragazzetto con in mano un cellulare non dovrebbe avere il diritto di venire seguito ed ammirato? Spree si basa proprio su questo concetto e ha per protagonista Kurt Kunkle, proprietario dell'account Instagtram Kurtsworld96 e wannabe influencer con, ahilui, ben poco seguito, nonostante metta cuore ed anima in ognuno dei suoi video e sia stato il babysitter di uno degli instagrammer più famosi del momento. Per quanto ci metta passione, Kurt ha pochissimi follower quindi un giorno decide di rendere un po' più vivaci e speziati i suoi live streaming e, complice il suo lavoro come autista per il servizio di carsharing Spree, di creare l'hashtag #TheLesson per insegnare al pubblico come nasce un fenomeno del web: se la gente vuole emozioni forti, lui è pronto a dargliene, trasformando ogni corsa in auto nell'ultima dei suoi passeggeri, uccisi vuoi con abbondanti dosi di veleno vuoi in modi più sanguinosi, mano a mano che la follia e la frustrazione di Kurt crescono.
Al giorno d'oggi, però, il pubblico è molto volubile e non basta offrire abbondanti dosi di gore e violenza, non se non si sa presentarle con un faccino carino e dei modi di fare accattivanti: alla morte istantanea il pubblico preferisce la lunga agonia, lo shaming, lo scherzo reiterato accompagnato da slogan sempre uguali, e ormai non riesce più a distinguere quello che è reale da ciò che non lo è, sempre se poi al momento conti qualcosa. Non c'è più nemmeno una vera differenza tra chi offre contenuti interessanti ed innovativi o chi invece incarna il vuoto cosmico, perché tutto varia nel giro di un secondo, in base alle mode e agli umori di un pubblico volubile; molto interessante, a tal proposito, la scelta di regista e montatore di dotare Spree di una molteplicità di punti di vista e di corredare le immagini con un flusso continuo di commenti e reactions, che rendono il tutto non solo più dinamico ma anche folle e frenetico, spesso straniante, specchio della natura usa e getta di tutto ciò che incontriamo quotidianamente su internet, che dura giusto il tempo di un like oppure di una breve diretta in streaming. Spree comincia così come una dark comedy divertente ma diventa sempre più opprimente e angosciante, non tanto per i limiti che Kurt arriva a varcare pur di raggiungere la tanto agognata fama, ma proprio per i meccanismi anche troppo familiari che si celano dietro alla sua follia e alla superficialità di tutte le webstar che gravitano attorno a lui, anche quelle che in apparenza sembrerebbero dare solo messaggi positivi ed assennati (a mio avviso la cosa più intelligente del film è il finale, un capolavoro di cinismo che lascia letteralmente di sale lo spettatore). Spree è dunque l'American Psycho o il Taxi Driver de noantri, della nostra triste realtà che nemmeno più merita grandi autori a riportarla su schermo, e la faccetta nescia dell'adorabile Joe Keery non ha neppure un grammo del fascino di chi lo ha preceduto, perché incarna la mediocrità senza speranza che giusto un pubblico altrettanto disperato e mediocre potrebbe elevare a mito. Fortunatamente, Spree non è un film for Joe Keery's fans only, ma pur non essendo un capolavoro contiene un sacco di cosette interessanti e merita di sicuro una visione.
Di David Arquette, che interpreta Kris Kunkle, ho già parlato QUI.
Eugene Kotlyarenko è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film a me sconosciuti come 0s & 1s, Feast of Burden e Wobble Palace. E' anche attore, produttore e montatore.
Joe Keery interpreta Kurt Kunkle. Americano, famoso per il ruolo di Steve in Stranger Things, ha partecipato a film come Molly's Game. Ha 28 anni e un film in uscita.
Sasheer Zamata, che interpreta Jessie Adams, è davvero una comica americana, spesso in forza al Saturday Night Live, e lo stesso vale per Kyle Mooney, che interpreta Miles Manderville. Tra le guest star del film compare inoltre Mischa Barton, un tempo Marissa di The O.C.. ENJOY!
giovedì 10 settembre 2020
(Gio)WE, Bolla! del 10/9/2020
martedì 8 settembre 2020
The New Mutants (2020)
Trama: giovanissimi mutanti vengono rinchiusi in un istituto per tenere sotto controllo i loro poteri, almeno finché, dopo l'arrivo di Dani Moonstar, anche quello comincia a diventare un luogo pericoloso e popolato da incubi...
Come ho scritto, è stata una settimana bruttissima, e tutto quello che volevo per tirarmi un po' su era andare al cinema e guardare un film che aspettavo dal 2017. Preparata da critiche impietose, sono partita rassegnata all'idea di vedere come minimo una schifezza, ma ero talmente stanca e talmente pessimista che l'idea di distruggere un film nato nel 2017, rimandato per anni, riscritto a seguito di deliri legati a case di produzione e acquisizioni assortite, destinato a nascere già morto in quanto impossibilitato a diventare parte di una franchise mutante globale, dove il personaggio di Essex/Sinistro è stato forzatamente eliminato proprio per i disastri produttivi di cui sopra diventando un nome buttato lì senza un perché, mi è sembrato ingiusto. Come dice Elio, "Gino Bramieri è molto più indulgente, ti prego sii accondiscendente, concedimi l'amnistia" e io la voglio concedere a 'sto povero The New Mutants, che mi ha tenuto compagnia per un'ora e mezza durante la quale mi sono divertita molto più che con l'ultimo, mediocre X-Men. E' vero, The New Mutants "non è horror, non è cinecomic, sa soltanto quello che non è", per continuare con le citazioni, e in soldoni è un lungo episodio di Buffy The Vampire Slayer, più volte ed insistentemente nominato e visto, ambientato in un manicomio, avente per protagonisti superadolescenti dai superproblemi, non necessariamente simpatici. La "Buffy" della situazione è Dani Moonstar, dotata nei fumetti del potere di cerare visioni basate sulle paure o i desideri di amici/nemici, qui piagata da un enorme "dono" di natura non ben definita e che, dopo essersi ritrovata sola al mondo, diventa paziente di un istituto popolato da altri quattro mutanti come lei, ognuno vittima di un passato orribile legato alla prima manifestazione della loro natura. Abbiamo quindi Rahne, licantropa dal complicato rapporto con la Chiesa, il campagnolo Sam, una sorta di razzo umano, il ricco Roberto che si "scalda" troppo (poi ci torniamo) e la misteriosa Illyana, che può teletrasportarsi e creare varchi sul cosiddetto Limbo (e torniamo anche lì) ma è soprattutto una Cordelia da primato; il passato di questi ragazzi viene sviscerato nel momento in cui a ognuno di loro capita di affrontare visioni terrificanti legate ai loro traumi, visioni che diventano sempre più tangibili, pericolose e incontrollabili.
Non è un caso che molti abbiano citato Nightmare 3, visto che l'ambientazione e le visioni lo richiamano parecchio nelle atmosfere, ma The New Mutants non si appoggia tanto sull'elemento horror, quanto più sul "drama" delle relazioni tra adolescenti problematici, che nel giro di 90 minuti offre allo spettatore tutto quello che a una serie Netflix servirebbero tre stagioni per sviscerare: romanticismo, tensioni sessuali, razzismo, senso di inferiorità, traumi irrisolti, competitività e gelosia, tutto scorre davanti agli occhi del pubblico grazie alla consapevolezza di chi avrebbe voluto girare una trilogia e invece se l'è tristemente presa nello stoppino, ridotto a tirare tutti i fili di qualcosa che viene imbastito con tranquillità nella prima parte del film e poi esplode frettolosamente nella seconda parte, azione compresa. Se non si ha piacere di stare al gioco, ovviamente, ciò è quanto di peggio possa accadere in un film, soprattutto quando moltissime cose vengono date per scontate e alcune travalicano proprio la logica. Per esempio, i fan delle saghe mutanti potrebbero riuscire a colmare tutti i buchi nella storia di Illyana e rimettere un po' a posto la questione del Demone Orso oltre che quella di Essex (spoiler: alla fine di X-Men: Apocalisse si legge il suo nome su una valigetta. Se fate il conto degli anni, capirete che The New Mutants avevano cominciato a progettarlo nel 2016 e che avrebbe dovuto essere legato ad Apocalisse ma ciccia), mentre lo spettatore "normale" potrebbe chiedersi perché diamine i cinque mutanti non fuggano quando Cecilia dorme (non credo possa mantenere un campo di forza ampio decine di miglia nel sonno), perché la stessa Cecilia non si sia difesa con un campo di forza dopo l'attacco di Rahne o perché Illyana non possa semplicemente teletrasportarsi via e mandare tutti al diavolo, e questi sarebbero tutti dubbi legittimi quanto quella leggera puzza di bruciato che si sente ogni volta che viene tirato il freno sull'aspetto horror del film.
Gli altri, ovvero chi come me aveva per il belino di stare a fare barba e capelli a The New Mutants, potranno invece apprezzare l'idea di realizzare un film che non sia la solita saga del cosplay mutante tamarro fatto male. La mancanza di tutine e costumi viene compensata da almeno tre personaggi con un minimo di personalità, Rahne e Illyana in primis, interpretati da giovani attori che ci hanno messo tutta la passione del mondo, salvo ovviamente chi è stato costretto ad interpretare Roberto DaCosta, che già era privo di personalità e nerbo nei fumetti, figuriamoci in un film dove viene messo giusto come riempitivo (ah, per amor di horror facciamolo pure "scaldare" senza un motivo, ma trattasi di batteria solare umana. E il povero Sam, certo, è molto fotogenico ricoprirlo di lividi, ma ogni volta che vola dovrebbe crearsi attorno al suo corpo un campo di forza, altrimenti altro che ossa rotte, avrebbe dovuto direttamente morire). Maisie Williams e Anya Taylor Joy sono una gioia per gli occhi di chi ha amato i loro personaggi nei fumetti. La prima, paffutella e piccolina, incarna tutta la tragica dolcezza della Wolfsbane degli inizi, quella innocente e timida, costretta a reprimere una natura lupina fatta di istinti sotto un'educazione cattolica rigida e violenta, vessata dall'incubo del maledetto reverendo Craig, mentre la seconda sembra uscita dritta dalla matita di Bill Sienkiewicz e ammetto di essere rimasta a bocca aperta durante tutta la sequenza finale a vederla brandire la Spada dell'Anima e a combattere col draghetto Lockeed, altro delizioso omaggio per nerd al quale ho abboccato come il pesce ignorante che sono. E per il resto sì, avrebbe potuto e dovuto essere più horror. Sì, avrebbe potuto e dovuto essere più compatto narrativamente e meno frettoloso. Sì, alla fine della fiera c'è la somma delusione di avere avuto per le mani un film sfortunato che forse non avrebbe nemmeno dovuto uscire, tanto rimarrà lì, come l'aratro nel maggese, come la sua villainess di carta velina. Ma onestamente sono dell'idea che mi sarebbe dispiaciuto non vedere alcune delle belle cose presenti nel film e quindi, sarà che in questo periodo ogni piccolissima gioia mi pare un immenso regalo, non riesco a voler male a questo The New Mutants.
Di Anya Taylor-Joy (Illyana Rasputin), Charlie Heaton (Sam Guthrie) e Alice Braga (Cecilia Reyes) ho parlato ai rispettivi link.
Josh Boone è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Colpa delle stelle. Anche produttore, ha 41 anni e dirigerà alcuni episodi dell'imminente serie tratta da L'ombra dello scorpione.
Maisie Williams interpreta Rahne Sinclair. Inglese, famosa per il ruolo di Arya Stark nella serie Il trono di spade, ha partecipato a film come Mary Shelley - Un amore immortale e serie quali Doctor Who; come doppiatrice, ha lavorato in Robot Chicken. Anche produttrice, ha 23 anni.
Henry Zaga, che interpreta Roberto DaCosta, è nel cast dell'imminente L'ombra dello scorpione, dove interpreterà Nick Andros. Jon Hamm era stato scelto per il ruolo di Sinistro e aveva portato a termine tutte le riprese, ma il personaggio è stato completamente eliminato durante il reshoot mentre Rosario Dawson ha rinunciato al ruolo di Cecilia Reyes. Se The New Mutants vi fosse piaciuto o se siete per la completezza totale, recuperate X-Men, X-Men 2, X-Men - Conflitto finale, X-Men - L'inizio, X-Men: Giorni di un futuro passato, X-Men: Apocalisse, X-Men: Dark Phoenix, X-Men Origins: Wolverine, Wolverine - L'immortale, Logan - The Wolverine, Deadpool e Deadpool 2. ENJOY!
venerdì 4 settembre 2020
100 Bloody Acres (2012)
Trama: tre ragazzi finiscono nelle mire di due produttori di fertilizzante troppo organico, in cerca di materia prima...
E niente, l'Australia dell'horror cinematografico, anche quando è contaminato con la commedia come in questo caso, ha una marcia in più. Non avrei dato un centesimo a 100 Bloody Acres, invece ho scoperto un film schifosetto ed esilarante, capace di intrattenere dall'inizio alla fine con un meraviglioso, cattivissimo equilibrio tra momenti truci e personaggi sopra le righe, una sorta di Tucker & Dale vs Evil ancora più "ignorante". Non potrebbe essere altrimenti, visto che la pellicola è ambientata nelle zone rurali del Victoria, dove le fattorie distano chilometri l'una dall'altra e dov'è facilissimo non imbattersi in anima viva per miglia e miglia, nonostante gli autoctoni si conoscano comunque tutti e si ritrovino, periodicamente, per gioiosi festival campagnoli. Un ambiente simile è terreno fertile per film come Non aprite quella porta, ma qui non siamo nel cupo Texas, bensì nel downunder cazzone, e potrebbe capitare di avere la "fortuna" di incontrare i fratelli Morgan, Reg e Lindsay, e di entrare nelle simpatie del primo, weirdo che più non si può e pronto ad aiutare Lindsay nell'impresa di famiglia, ma comunque goffo, stralunato e fondamentalmente di buon cuore. Non è così per Lindsay, dotato di faccia da talebano e scatti di rabbia incontrollabile, al quale tocca mettere una pezza ai casini combinati dal fratellino troppo zelante e ad agire in maniera spietata laddove Reg qualche remora l'avrebbe; in mezzo alla faida tra i due finiscono tre ragazzotti impegnati in un triangolo amoroso, che diventano vittime e contemporaneamente elementi destabilizzanti, soprattutto perché uno dei tre è una bella e disnibita rossa, e, insomma, tra lei e una foto della Clerici australiana è molto meglio lei.
Il meccanismo di 100 Bloody Acres è quello tipico della commedia horror, con personaggi cartooneschi e fondamentalmente assurdi impegnati a compiere le cose più truci o ad esserne vittime senza mai prendersi troppo sul serio, con l'aggiunta, in questo caso, di un pizzico di folklore australiano (che non guasta mai) e abbondante cattivo gusto, che non risparmia né i monchi né le vecchie. I personaggi sono archetipici ma ben delineati e, nonostante si possa mettere al 90% la mano sul fuoco riguardo ad ogni cosa che faranno, alcuni riservano interessanti sorprese, al punto da far prendere al film una svolta inaspettata e ancor più esilarante, il tutto grazie anche ad attori bravi e simpatici, Damon Herriman in primis. Non manca, ovviamente, un'abbondante dose di gore accompagnata da effettacci splatter decisamente all'altezza e c'è persino la chicca di un John Jarratt negli inusuali panni di poliziotto; sì, la sua è una di quelle comparsate alla Danny Trejo/Kane Hodder/Robert Englund/Star horror casuale, che durano il tempo di un battito di ciglia, ma se non altro non è pubblicizzata piazzando il suo nome come primo in cartellone e, soprattutto, è divertente e assai gustosa. Come, del resto, tutto il film. Se avete quindi voglia di un po' di sano splatter ignorante e ridere sotto i baffi, 100 Bloody Acres è il film che fa per voi!
Dei registi e sceneggiatori Cameron Cairnes e Colin Cairnes ho già parlato QUI. Damon Herriman (Reg Morgan) e John Jarratt (Sergente Burke) li trovate invece ai rispettivi link.
Se il film vi è piaciuto recuperate Tucker & Dale vs Evil. ENJOY!
giovedì 3 settembre 2020
(Gio)WE, Bolla! del 3/9/2020
The New Mutants
After 2