martedì 15 marzo 2022
Cyrano (2021)
martedì 25 maggio 2021
Elegia americana (2020)
Lo hanno bocciato tutti o quasi, quindi è con qualche remora che mi sono approcciata a Elegia Americana (Hillbilly Elegy), diretto nel 2020 da Ron Howard e tratto dall'autobiografia di J.D. Vance.
Trama: J.D. studia legge a Yale ma viene da una sgangheratissima famiglia degli Appalachi che gli ha lasciato parecchie cicatrici e che rischia di stroncare sul nascere la sua eventuale carriera di avvocato.
Sarà la pandemia ma a me pare i protagonisti dei film candidati ai Golden Globe siano tutti fastidiosissimi e di un'antipatia rara. Ma Rainey era da fustigare, Marla non ne parliamo e i maledetti hillbilly di Elegia Americana meriterebbero di scomparire dalla faccia della terra, tanto il loro squallore mi provoca istintivo disgusto. Ma prima di andare avanti, che cos'è un hillbilly? Noi li chiameremmo "montanari", è un modo dispregiativo di definire gli abitanti delle zone montuose d'America, connotati da poca raffinatezza e abbondanti dosi di ignoranza. I parenti di J.D., il protagonista del film, non fanno eccezione e sono lo stereotipo dell'americano repubblicano e timorato di Dio che passa la vita a sfondarsi di junk food mentre orde di figli e nipoti razzolano nello sporco e nell'indigenza, imprigionati in cittadine dove alcool e droga sono gli unici modi per sopravvivere a una vita misera, fatta di precariato e scuole lasciate a metà. Il rischio, in un ambiente simile, è quello di avere il destino già segnato, soprattutto se per carattere si tende a lasciarsi andare e non combattere, ed è ciò che rischia J.D. ogni giorno nonostante una vena di sensibilità e intelligenza che gli potrebbe fare ambire traguardi più alti; la storia di Elegia Americana è proprio la storia di J.D., dall'infanzia passata con la madre pazza e drogata all'adolescenza salvata per il rotto della cuffia da una nonna distante anni luce dall'idea di "nonnina" normale, fino alla temporanea liberazione durante gli anni della maturità, quando il tentativo di fuga dalle radici deve fare il conto con problemi familiari mai risolti.
Eppure, nonostante la palese negatività di un ambiente come quello in cui J.D. Vance è realmente vissuto, la sua è un'elegia, un'elegia dei valori che lo hanno cresciuto fin da ragazzino e che possono riassumersi in una protezione totale da parte della famiglia, un "non venire lasciati mai soli" nonostante tutti gli errori e i difetti, in virtù di una testardaggine e una vena di durezza assai simile a quella delle rocce delle montagne; emblema di questa durezza è proprio Mamaw Vance, schiacciata dalla vecchiaia e dai sogni di giovinezza infranti eppure determinata a non cedere e, soprattutto, a fare sì che il nipote non faccia la stessa fine della madre, cosa che ovviamente la rende in pratica l'unico personaggio a cui il pubblico riesce ad affezionarsi. Forse è proprio questo che ha tenuto distanti gli spettatori dall'ultimo film di Ron Howard, nonostante le interpretazioni magistrali di Amy Adams (brutta, imprevedibile e pazza) e Glenn Close, altrettanto irriconoscibile. Probabilmente molti americani non avranno gradito lo "sputtanamento" e l'occhio per nulla indulgente con cui lo star system ha messo in scena una storia di ordinaria decadenza urbana, mentre il resto del mondo, già scosso dalla pandemia, forse non aveva bisogno di una storia che, nonostante l'happy ending "formativo", è di una tristezza atroce e spesso raggiunge picchi di fastidio insostenibili. Nonostante questo, vi dirò, a me è comunque piaciuto e, anche se non lo farò mai rientrare nel novero di film per cui tiferò ai Golden (infatti nulla ha vinto, in questo caso) o agli Oscar, è una visione che consiglio.
Del regista Ron Howard ho già parlato QUI. Amy Adams (Bev), Glenn Close (Mamaw) e Haley Bennett (Lindsay) le trovate invece ai rispettivi link.
Gabriel Basso interpreta J.D. Vance. Americano, ha partecipato a film come Super 8 e Una doppia verità. Ha 27 anni.
martedì 29 settembre 2020
Le strade del male (2020)
venerdì 20 marzo 2020
Swallow (2019)
Trama: Hunter ha una vita apparentemente perfetta. Un marito bello e ricco, una casa enorme, un matrimonio da favola e un bambino in arrivo. Un giorno, però, comincia ad essere vittima di un desiderio compulsivo, quello di inghiottire piccoli oggetti, via via sempre più pericolosi...
Ho cominciato a guardare Swallow come al solito: senza sapere nulla salvo un abbozzo di trama e salvo un piccolo sprazzo autobiografico di Carlo Mirabella-Davis, la cui nonna era stata rinchiusa in un istituto di igiene mentale perché continuava a lavarsi compulsivamente le mani. Onestamente, mi aspettavo uno di quegli horror che cominciano molto lenti e finiscono in una sanguinolenta splatterata, per una serie di motivi intuibili fin dall'inizio del film, invece Swallow entra sottopelle e scava, si insinua nello stomaco come gli oggetti inghiottiti dalla protagonista e rimane lì, a far male dentro, a far sentire a disagio tutti, uomini o donne. Faccio quest'ultima precisazione perché il punto di vista attraverso cui viene raccontata la storia è sì quello di Hunter, tuttavia Swallow non è una di quelle pellicole che stigmatizzano il maschilismo imperante della società; Swallow, in realtà, ne ha per tutti, soprattutto per chi, uomo o donna che sia, manca di empatia verso le persone che vengono considerate a torto inutili e difettose, un peso da sopportare quando va bene o una macchia da nascondere quando va male, come nel caso di Hunter, piccola stepford wife che non riesce a vivere all'altezza delle aspettative di chi l'ha accolta in casa, nemmeno fosse un cucciolo. Hunter ci viene presentata, fin dall'inizio del film, come una persona tristemente sola, una moglie-trofeo che esiste solo in funzione del marito (bellissimo, ricchissimo, figlio di papà, totalmente assorbito dal suo importantissimo lavoro), dell'enorme villa che funge da gabbia dorata, e ovviamente del bambino che dovrà "regalare" alla famiglia che l'ha "adottata", a mo' di ricompensa. D'altronde, è il minimo che Hunter possa fare per i facoltosi Conrad, visto che il figlio si è abbassato a sposare una tizia senza soldi, senza lavoro, senza futuro, senza qualità, insomma, un pezzo di carne che ha solo due cose da fare bene, anzi tre: essere perfetta, sfornare figli e, soprattutto, non rompere le scatole.
Purtroppo, qualcosa nella testa di Hunter a un certo punto cede e la ragazza comincia ad inghiottire oggetti. All'inizio piccole cose innocue, come un pezzo di ghiaccio o una biglia di vetro, poi sempre più grandi e pericolose, ma se pensate, anche lì, che Carlo Mirabella-Davis indulga nel potenziale splatter che una simile situazione potrebbe innescare, cascate malissimo; le sequenze confezionate dal regista sono un incubo ansiogeno che lavora stuzzicando lo spettatore, scatenando nella sua mente dei rapporti di causa-effetto incredibilmente spiacevoli e racchiusi in agghiaccianti panoramiche di ninnoli più o meno grandi e più o meno taglienti, ripuliti da una mano amorevole o impietosamente tirati fuori in una camera operatoria. E' la ribellione di Hunter, o meglio, la punta dell'iceberg di un disagio che ha radici assai più profonde (e che, ovviamente, non rivelerò), il modo autolesionista non già di vendicarsi dei propri facoltosi carcerieri quanto piuttosto di recuperare il controllo su un'esistenza che ne è priva fin dalla nascita e, soprattutto, la consapevolezza di sé. La trama di Swallow si potrebbe così definire come un particolarissimo percorso di autoaffermazione, fatto di tanti piccoli episodi di violenza psicologica che troppo spesso tendiamo a sminuire in quanto parte di una perversa "normalità" e che, in questo caso, innescano un comportamento patologico di indicibile tristezza. La sensibilità e la bravura con cui Haley Bennett si carica sulle spalle un personaggio complesso come quello di Hunter è testimoniata dall'abbondanza di primissimi piani e piani medi che la ingabbiano all'interno delle inquadrature e delle scenografie, privandola di ogni via di fuga e costringendola ad arrivare dritta al cuore dello spettatore attraverso sequenze spesso prive di dialoghi, che testimoniano tutto il disagio interiore provato dalla protagonista. Carlo Mirabella-Davis, da par suo, confeziona un primo lungometraggio perfetto, sia dal punto di vista visivo (il modo in cui rende soffocante l'opulenza, trasformando ambienti ampi ed ariosi in celle, vincolando la protagonista ai complementi d'arredo attraverso l'uso dei colori è magistrale) che a livello di trama, offrendo una riflessione coerente, coraggiosa (sì, molto. Soprattutto nel prefinale) e non banale sulla natura infida dei disagi psichici e sulla nostra esigente società. Imperdibile.
Di Haley Bennett (Hunter), Austin Stowell (Richie) e Denis O'Hare (Erwin) ho parlato ai rispettivi link.
Carlo Mirabella-Davis è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, è anche produttore.
Elizabeth Marvel interpreta Katherine Conrad. Americana, ha partecipato a film come Burn After Reading - A prova di spia, Il grinta, A Royal Weekend, Lincoln, 1981: Indagine a New York e Cattive acque. Ha 51 anni e un film in uscita.
venerdì 11 novembre 2016
La ragazza del treno (2016)
Trama: Rachel, donna con gravi problemi legati all'alcool, percorre tutti i giorni col treno la stessa tratta e comincia ad interessarsi alla vita di Megan, una ragazza che vive col marito nei pressi di una delle fermate e la cui casa è perfettamente visibile dalla carrozza dove siede Rachel. Un giorno però Megan scompare e Rachel viene coinvolta nelle complicate indagini...
Come al solito, sono arrivata al cinema completamente digiuna dal romanzo da cui è stato tratto La ragazza del treno, anche perché io i "casi editoriali" tendo un po' ad evitarli. Il risultato, probabilmente, è stato quello di essermi goduta il film più di tante altre persone che lo hanno stroncato, sottolineando come fosse solo la bravura della Blunt a risollevare le sorti della pellicola. Premesso di essere concorde con l'ultimo punto delle critiche, Emily Blunt è mostruosa e varrebbe la pena di guardare il film anche solo per lei, dal mio punto di vista La ragazza del treno è lo stesso un thriller godibilissimo, magari senza particolari aspetti degni di nota ma comunque l'ideale per intrattenersi la sera con un whodunnit che regge almeno fino alla fine del primo tempo (al netto di ragionamenti arzigogolati della sottoscritta, che hanno fatto ridere la mia collega che aveva già letto il libro, diciamo che ho picchiato abbastanza vicino alla soluzione del caso, una volta riportati i piedi per terra) e che richiede comunque un minimo di attenzione in più da parte dello spettatore. La struttura de La ragazza del treno è idealmente suddivisa in tre “capitoli” introduttivi, ognuno dedicato ad uno dei personaggi femminili, e in alcuni flashback aventi luogo in tempi diversi rispetto all’avvenimento che è il motore di tutta la vicenda, ovvero la scomparsa di Megan; buona parte della storia viene filtrata attraverso gli occhi e la memoria spezzata dell'alcolista Rachel, fatta di incertezze e lacune, quindi la bellezza del film (e del romanzo) sta proprio nell'impegno che deve mettere lo spettatore nel ricostruire la storia e comprendere tutti i segreti che in qualche modo legano i personaggi, anche quelli che apparentemente non c'entrano nulla l'uno con l'altro. Nonostante tutto l'interesse che ha suscitato in me la parte "gialla" della vicenda, devo però dare ragione ai critici più implacabili e ammettere che ciò che sta intorno alla scomparsa di Megan è ben poca cosa, e che non solo le motivazioni dei singoli individui implicati sono una più risibile dell'altra, ma anche la risoluzione finale dell'intreccio è tirata per i capelli tanto quanto ciò che veniamo a scoprire sul passato di Rachel e persino di Megan (anzi, soprattutto di Megan. Non voglio fare spoiler ma, diamine, credo di avere assistito alla disgrazia più fasulla ed improbabile della storia della fiction). Non avendo letto il libro, come ho detto, non posso dare interamente la colpa agli sceneggiatori della pellicola, sta di fatto che se già di suo il romanzo di Paula Hawkins presenta un branco di personaggi con i quali non si riesce a provare la minima empatia, è naturale che il film non piaccia a chi magari si aspettava qualcosa di più.
Rebecca Ferguson interpreta Anna. Svedese, ha partecipato a film come Mission: Impossible - Rogue Nation e l'imminente Florence Foster Jenkins. Ha 33 anni e cinque film in uscita.
Lisa Kudrow interpreta Martha. Indimenticabile Phoebe della serie Friends, ha partecipato a film come Terapia e pallottole, Il dottor Dolittle 2, Un boss sotto stress e altre serie quali Hercules e Innamorati pazzi; come doppiatrice, ha partecipato a serie come I Simpson, American Dad! e Bojack Horseman. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 53 anni e due film in uscita.
Laura Prepon, che interpreta Kathy, è stata un elemento importante del cast di That's 70's Show e Orange is the New Black mentre Jared Leto e Chris Evans hanno rinunciato rispettivamente ai ruoli di Scott e Tom perché impegnati con altri film. Detto questo, se La ragazza del treno vi fosse piaciuto recuperate L'amore bugiardo - Gone Girl. ENJOY!
mercoledì 5 agosto 2015
Kristy (2014)
Trama: nelle vacanze per la festa del Ringraziamento, tutti gli abitanti del dormitorio di un campus tornano a casa... tutti tranne la giovane Justine, che rimane completamente sola e in balia di un gruppo di ragazzi intenzionati ad ucciderla.
Guardando Kristy mi sono spesso ritrovata a ripensare a due film che mi hanno messo addosso un'ansia assurda. Uno è indubbiamente The Strangers, che ho sempre evitato dopo la prima, terrificante visione al cinema, l'altro è La notte del giudizio, altra ansiogena pellicola ad argomento home invasion uscita in piena estate in Italia. Forse perché nel mio caso questi due film sono stati così efficaci, durante la visione di Kristy ho provato parecchia tensione, sì, ma in generale non sono rimasta entusiasta quanto avrei sperato. Kristy (o Random, come viene conosciuto anche negli USA) "espande" il concetto di home invasion mettendo in scena l'assedio di un intero dormitorio (con biblioteca, bosco e piscina annessi) ma allo stesso tempo sottolinea come la volontà omicida non sia prerogativa di pochi cani sciolti bensì, come accadeva nel dimenticabile The Den, espressione di qualcosa di più grande e diffuso a livello nazionale. Furbamente, la sceneggiatura di Kristy prevede l'esistenza di una setta dedita all'uccisione delle cosiddette "Kristies", ovvero di quelle ragazze belle, gentili e anche fortunate (anche se nulla mi toglie dalla testa che fosse tutto un piano della Greene, invidiosa dell'immeritato successo di "Kristen" Stewart!), cosa che consente di esplorare anche il cosiddetto "lato oscuro" della rete, un sottobosco inquietante dove persone nascoste dietro pseudonimo si riuniscono e postano video o foto di terrificanti e sanguinosi omicidi ai danni di queste poverette. Il resto, come ho detto, è stato già ampiamente sviscerato e mostrato all'interno del cinema di genere: un gruppo di assassini prende di mira una ragazza sola che di regola dovrebbe venire travolta dal terrore ed accettare inerme il suo destino di agnellino sacrificale, se non fosse che dopo il momentaneo e comprensibile sconforto iniziale la tizia si trasforma in Rambo e i cattivissimi rimpiangeranno di essersi messi sulla sua strada. A dirla tutta, le parti più interessanti del film sono la dichiarazione finale di Justine e la scena post-credits, due elementi che potrebbero dare il la ad un sequel assai particolare, per il resto Kristy è prevedibile dalla prima all'ultima scena.
A proposito di scene, però, è bene sottolineare che, per quanto derivativo, Kristy non è stato girato "tanto per". Oliver Blackburn è sicuramente un regista capace di creare la tensione necessaria con delle carrellate che da sole bastano a far comprendere l'assoluta e pericolosa solitudine della protagonista (quella ripresa che parte da Justine per poi allargarsi e mostrare dall'alto l'intera vastità del campus merita più di uno chapeau) e anche l'ossessione di chi la vorrebbe morta, che si traduce in un utilizzo quasi voyeuristico della macchina da presa, che di fatto non abbandona quasi mai la figura della protagonista. La qual protagonista, tra l'altro, è bravissima e si porta sulle spalle il peso dell'intero film o, meglio, lo condivide con chi non mi sarei mai aspettata. Ho fatto dell'ironia sopra parlando di un'eventuale invidia per la Stewart da parte di Ashley Greene ma la verità è che, perlomeno basandomi sulla performance di quest'ultima in Kristy, Bella "ce l'ho solo io" Swan è indegna persino di leccare le scarpe ad Alice Cullen, a cui in questo film basta pronunciare poche parole nascosta sotto un cappuccio per essere irriconoscibile ed inquietantissima (non come quando la Stewart fa la "dura e maledetta" e le viene quella meravigliosa faccia da baccalà. Brrrr.). Il confronto tra le due ragazze occupa sì e no un quarto d'ora di film, eppure la tensione tra quella Justine che erroneamente viene etichettata come una fortunata riccastra a causa di una macchina presa in prestito e la terribile Violet fa da silenzioso e sanguinoso fil rouge di tutta la pellicola ed è sicuramente una delle cose che rimangono più impresse dopo la visione, quindi non posso fare altro che applaudire davanti ad Ashley Greene e Haley Bennett. Nonostante non mi abbia entusiasmata appieno per quanto riguarda la trama, devo quindi dire che Kristy merita ampiamente la sufficienza in campo tecnico e pertanto lo consiglio, soprattutto a chi non soffre di tachicardia ma anche a chi non si è ancora fatto la sua bella dose di home invasion annuale e potrà godere di un effetto "novità".
Di Ashley Greene, che interpreta Violet, ho già parlato QUI.
Oliver Blackburn è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Donkey Punch. E' anche sceneggiatore e attore.
Haley Bennett interpreta Justine. Americana, ha partecipato a film come Io & Marley, The Hole e The Equalizer - Il vendicatore. Ha 27 anni e cinque film in uscita.
Lucas Till interpreta Aaron. Americano, ha partecipato a film come X-Men - L'inizio, Stoker, X-Men - Giorni di un futuro passato e a serie come Dr. House e Medium. Anche produttore, ha 25 anni e cinque film in uscita tra cui X-Men: Apocalypse, dove tornerà ad interpretare il ruolo di Alex "Havok" Summers.
Tra gli altri attori, segnalo la presenza di Chris Coy nei panni dell'incappucciato blu perché era Ifigenio, il tizio col cappellino che all'inizio della quinta stagione di The Walking Dead riusciva a farsi randellare nei denti persino da un belino mollo come Tyreese, bonanima, mentre Mathew St. Patrick, che interpreta la guardia Wayne, era Keith Charles, uno dei protagonisti di Six Feet Under. Detto questo, se Kristy vi fosse piaciuto recuperate i già citati The Strangers, La notte del giudizio, The Den e aggiungete You're Next. ENJOY!