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martedì 15 marzo 2022

Cyrano (2021)

Il profumo di Oscar e il nome di Joe Wright mi hanno spinta a snobbare nuovamente IL Batman e a preferirgli Cyrano, diretto dal regista inglese e candidato per i costumi.


Trama: Cyrano, soldato e poeta, è innamorato da tempo immemore di Rossana ma rifiuta di dichiararsi perché affetto da nanismo. Quando la donna si invaghisce di Cristiano, Cyrano diventa, suo malgrado, confidente per lei e autore di eleganti lettere d'amore per lui, bello ma incapace di esprimersi a dovere...


Chi non conosce la triste storia di Cyrano de Bergerac, che viene narrata dalla fine del XIX secolo e che noi figli degli anni '80 conosciamo soprattutto grazie a Steve Martin e al suo Roxanne (ma anche un po' grazie a Gérard), che pur ce ne ha fornita una versione più felice ed edulcorata? Ma, soprattutto, chi non si è mai trovato nei panni scomodi del Cyrano di turno, ardente d'amore per una persona che non solo non ci considera, ma che pensa anche bene di raccontarci tutti i suoi problemi sentimentali con altr*? Il povero Cyrano è la versione battagliera e arguta dei Servi della Gleba (de)cantati da Elio e le storie tese, anestetizzati da una str... da una Rossana che cade come una pera cotta nella trappola dell'amore a prima vista, senza sapere nulla del bel giovine di cui si è invaghita, e pretende anche che detto giovine la corteggi come nessuna donna è mai stata corteggiata (nemmeno ce l'avessi d'oro bella mia, e che!), tessendone le lodi a chi, da anni, la ama in silenzio con una profondità di sentimento inarrivabile pur essendo brutto come il peccato (su sta cosa ci torniamo). A differenza di Rossana, che è la versione poco meno odiosa della Bedelia di Venerdì 12, Cristiano non è da prendere a schiaffi dal mattino alla sera, ma solo un babbalone innamorato stranamente consapevole di essere un manzo dalla testa vuota, che si sente giustamente in difetto per questo; è normale che Cyrano, spinto ad aiutarlo inizialmente per amore di Rossana, si affezioni sinceramente al ragazzo e cerchi di non mettergli i bastoni tra le ruote, anzi, gli presta la sua lingua di velluto anche a costo di vederlo convolare a nozze con la maledetta, e tutto ciò non può che riversarsi in tutta la sua complessa, tragicomica ingiustizia nel cuore dello spettatore che, pur sapendo a menadito la storia, si ritrova a sperare che Cyrano coroni prima o poi il suo sogno. Wright lo sa, abbraccia in toto la versione musical di una vicenda stra-conosciuta, la trasporta in una Sicilia desaturata dei colori e del sole ma non del fascino, e ci illude per due ore di poter forse avere un lieto fine.


Barocco nei costumi, come solo un musical ambientato nel '600 può essere, in realtà il Cyrano di Wright non è così sfarzoso a livello di scenografie (tranne per quanto riguarda l'inizio ambientato nel teatro) ma compensa il rigore naturale e architettonico di queste ultime con degli eleganti numeri musicali che sfruttano l'ampiezza e la morbidezza delle stoffe per creare movimento e regalano sequenze assai interessanti, che veicolano non solo l'amore, ma anche la natura più terrena del sentimento di Cyrano per Rossana e di Rossana per Cristiano; molto coinvolgente, in tal senso, il numero musicale imperniato su Every Letter, che vede Rossana fare quasi l'amore con le parole che crede siano di Cristiano, per non parlare del magone incredibile provato durante il duetto di Overcome, semplicemente splendida. Wright regala anche delle belle sequenze d'azione, non solo durante i duelli o gli scontri che hanno per protagonista Cyrano, ma anche nella breve parentesi al fronte, angosciante e triste contraltare dei momenti più frivoli che la precedono. Probabilmente, buona parte della riuscita dell'opera è il fatto che Wright sia marito di Haley Bennet, da qui il particolare "occhio" che la rende splendida e desiderabile, ma anche il fatto che la sceneggiatrice Erica Schmidt sia la moglie di Dinklage, sul quale come promesso spenderò due parole. Datemi pure Dinklage e tenetevi Kelvin Harrison Jr., l'interprete di Cristiano, perché tanto è espressivo ed affascinante il primo nonostante la sua condizione di nano (anzi, onestamente mi sono ritrovata più volte a disprezzare il fato tanto ingiusto con un uomo così capace e dotato, spero vivamente che possa avere ogni genere di soddisfazione dalla vita, perché se la meriterebbe!), tanto è insapore il secondo, non solo a livello di interpretazione ma proprio di aspetto. Meh o buff!, fate voi. E andate al cinema per godere appieno di questo spettacolare Cyrano, se potete!  


Del regista Joe Wright ho già parlato QUI. Peter Dinklage (Cyrano), Haley Bennett (Rossana), e Ben Mendelsohn (De Guiche) li trovate invece ai rispettivi link.

Kelvin Harrison Jr. interpreta Cristiano. Americano, ha partecipato a film come 12 anni schiavo, Mudbound, It Comes at Night, Assassination Nation e Il processo ai Chicago 7. Anche regista e sceneggiatore, ha 28 anni e due film in uscita, tra i quali Elvis.





martedì 25 maggio 2021

Elegia americana (2020)

Lo hanno bocciato tutti o quasi, quindi è con qualche remora che mi sono approcciata a Elegia Americana (Hillbilly Elegy), diretto nel 2020 da Ron Howard e tratto dall'autobiografia di J.D. Vance.


Trama: J.D. studia legge a Yale ma viene da una sgangheratissima famiglia degli Appalachi che gli ha lasciato parecchie cicatrici e che rischia di stroncare sul nascere la sua eventuale carriera di avvocato.


Sarà la pandemia ma a me pare i protagonisti dei film candidati ai Golden Globe siano tutti fastidiosissimi e di un'antipatia rara. Ma Rainey era da fustigare, Marla non ne parliamo e i maledetti hillbilly di Elegia Americana meriterebbero di scomparire dalla faccia della terra, tanto il loro squallore mi provoca istintivo disgusto. Ma prima di andare avanti, che cos'è un hillbilly? Noi li chiameremmo "montanari", è un modo dispregiativo di definire gli abitanti delle zone montuose d'America, connotati da poca raffinatezza e abbondanti dosi di ignoranza. I parenti di J.D., il protagonista del film, non fanno eccezione e sono lo stereotipo dell'americano repubblicano e timorato di Dio che passa la vita a sfondarsi di junk food mentre orde di figli e nipoti razzolano nello sporco e nell'indigenza, imprigionati in cittadine dove alcool e droga sono gli unici modi per sopravvivere a una vita misera, fatta di precariato e scuole lasciate a metà. Il rischio, in un ambiente simile, è quello di avere il destino già segnato, soprattutto se per carattere si tende a lasciarsi andare e non combattere, ed è ciò che rischia J.D. ogni giorno nonostante una vena di sensibilità e intelligenza che gli potrebbe fare ambire traguardi più alti; la storia di Elegia Americana è proprio la storia di J.D., dall'infanzia passata con la madre pazza e drogata all'adolescenza salvata per il rotto della cuffia da una nonna distante anni luce dall'idea di "nonnina" normale, fino alla temporanea liberazione durante gli anni della maturità, quando il tentativo di fuga dalle radici deve fare il conto con problemi familiari mai risolti.


Eppure, nonostante la palese negatività di un ambiente come quello in cui J.D. Vance è realmente vissuto, la sua è un'elegia, un'elegia dei valori che lo hanno cresciuto fin da ragazzino e che possono riassumersi in una protezione totale da parte della famiglia, un "non venire lasciati mai soli" nonostante tutti gli errori e i difetti, in virtù di una testardaggine e una vena di durezza assai simile a quella delle rocce delle montagne; emblema di questa durezza è proprio Mamaw Vance, schiacciata dalla vecchiaia e dai sogni di giovinezza infranti eppure determinata a non cedere e, soprattutto, a fare sì che il nipote non faccia la stessa fine della madre, cosa che ovviamente la rende in pratica l'unico personaggio a cui il pubblico riesce ad affezionarsi. Forse è proprio questo che ha tenuto distanti gli spettatori dall'ultimo film di Ron Howard, nonostante le interpretazioni magistrali di Amy Adams (brutta, imprevedibile e pazza) e Glenn Close, altrettanto irriconoscibile. Probabilmente molti americani non avranno gradito lo "sputtanamento" e l'occhio per nulla indulgente con cui lo star system ha messo in scena una storia di ordinaria decadenza urbana, mentre il resto del mondo, già scosso dalla pandemia, forse non aveva bisogno di una storia che, nonostante l'happy ending "formativo", è di una tristezza atroce e spesso raggiunge picchi di fastidio insostenibili. Nonostante questo, vi dirò, a me è comunque piaciuto e, anche se non lo farò mai rientrare nel novero di film per cui tiferò ai Golden (infatti nulla ha vinto, in questo caso) o agli Oscar, è una visione che consiglio.


Del regista Ron Howard ho già parlato QUI. Amy Adams (Bev), Glenn Close (Mamaw) e Haley Bennett (Lindsay) le trovate invece ai rispettivi link. 

Gabriel Basso interpreta J.D. Vance. Americano, ha partecipato a film come Super 8 e Una doppia verità. Ha 27 anni. 



martedì 29 settembre 2020

Le strade del male (2020)

Non ho ancora trovato il coraggio di guardare Sto pensando di finirla qui e la gioia di avere Lupin The First su Amazon Prime Video si è infranta contro la presenza del solo audio italiano (va bene, mi avete convinto, compro il BluRay a scatola chiusa piuttosto che strapparmi le orecchie con il nuovo, orribile doppiaggio!) quindi ho deciso di tentare Le strade del male (The Devil All the Time), diretto e co-sceneggiato dal regista Antonio Campos a partire dal romanzo omonimo di Donald Ray Pollock.


Trama: nella provincia americana del primo dopoguerra si incrociano i destini di mezza dozzina di persone perseguitate dalla sfortuna, ossessionate dalla fede e in generale afflitte da un destino sanguinoso.


A dimostrazione del fatto che in questo periodo sono completamente avulsa dal mondo cinèfilo che conta, de Le strade del male non sapevo nulla di nulla, a malapena ero consapevole del fatto che ci fosse Tom Holland come attore principale ma a dire il vero credevo si trattasse di un horror. Trattasi invece di southern gothic, dove l'orrore esiste, certo, ma è intrinsecamente legato a una società superstiziosa e corrotta, dominata in parte da Dio (e dall'ossessiva ricerca della sua benevolenza, qualcosa che spesso sconfina nella follia religiosa) e in parte da uomini violenti, pericolosi e senza scrupoli, là dove le donne "fortunate" possono ambire ad essere mogli e madri amate ma niente di più, mentre per quelle sfortunate l'unico destino è una vita misera probabilmente conclusa con una morte violenta. All'interno della provincia rurale americana post- seconda guerra mondiale si intrecciano dunque le vicende di svariati personaggi, in un alternarsi di diversi piani temporali: il protagonista principale è Arvin Russell, ragazzo di cui seguiamo la vita dall'infanzia dominata dal padre religioso e violento fino ad arrivare a una faticosa maturità come orfano e "fratellastro" di una ragazza complessata e tristemente piegata, anche lei, dalla religione, e attorno a lui gravitano altre povere anime identificabili in una coppia di serial killer, un poliziotto corrotto, un predicatore lussurioso e un altro predicatore completamente pazzo. Come ho scritto su, i destini di tutti questi personaggi arrivano a incrociarsi tra passato e presente, accompagnati dalla voce narrante di Donald Ray Pollock, a tratti caustica e spesso amaramente ironica, come se trovasse assai divertente farsi beffe delle illusioni di esseri dannati fin dal principio, all'interno di una struttura circolare in cui tutto torna sul finale e che ha molto del noir. Non è sempre facile seguire queste vicende, dilatate in più di due ore di film all'interno delle quali la sceneggiatura pare spesso perdersi in dettagli insignificanti, pesantezze varie e squilibri (non ho letto il romanzo ma la vicenda dei due serial killer mi pare preponderante al suo interno mentre qui ha un'utilità pari a zero o quasi, e sembrerebbe quasi una nota di colore aggiunta per sconvolgere ancor più lo spettatore), eppure il risultato è interessante e talvolta inaspettato, soprattutto se si pensa agli attori coinvolti.


Abituati a vedere Tom Holland nei panni dell'amichevole Uomo Ragno di quartiere, fa piacere notare l'impegno profuso dal fanciullo nello scrollarsi di dosso facili etichette e spingersi ad indossare le vesti di un personaggio con cui non è facile empatizzare, nonostante il carico di sfiga che si porta appresso. Arvin è infatti un ragazzo privo di qualità, un animaletto preso in trappola che cerca di sopravvivere e di tenersi stretto quel poco che la vita gli ha dato, in primis la sorellastra Lenora, ma che per il resto nasconde il proprio nucleo dagli occhi dello spettatore, che arriva a volergli bene quasi per reazione all'odio smisurato verso la maggior parte dei comprimari, papà Willard compreso (il cui dolore e la cui follia sono comprensibili ma, insomma, certe scene spezzano il cuore). Tom Holland affronta dunque tutto il film compreso in una furia e una disperazione intensi, inusuali per l'attore, che può così tenere testa a un Robert Pattinson meravigliosamente leppego, al solito, inquietantissimo Bill Skarsgård e all'altro campione di laidità del film, un Jason Clarke che fa venire voglia di togliersi la pelle di dosso dallo schifo; complimenti vivissimi anche all'ex Dudley Dursley, Harry Melling, il cui sguardo spiritato è perfetto per il ruolo di predicatore invasato, e anche all'irriconoscibile Sebastian Stan, altro membro della scuderia Marvel capace di un gradevolissimo trasformismo. E il cast femminile? Come ho scritto più su, le donne de Le strade del male sono l'equivalente di accessori soggetti al volere di Dio o dell'uomo e ciò comporta uno spreco di talenti come quello di Mia Wasikowska o Haley Bennett, mentre Riley Keough ed Eliza Scanlen si difendono come possono nel tempo che viene loro concesso. In definitiva, Le strade del male è un ibrido strano ed inusuale per il catalogo Netflix, che probabilmente non incontrerà il gusto di un buon numero di utenti della piattaforma ma che a me è comunque piaciuto, nonostante alcuni difetti. Il mio consiglio è quello di recuperarlo, possibilmente a mente fresca. 


Di Robert Pattinson (Reverendo Preston Teagardin), Haley Bennett (Charlotte Russell), Tom Holland (Arvin Russell), Bill Skarsgård (Willard Russell), Riley Keough (Sandy Henderson), Mia Wasikowska (Helen Hatton), Sebastian Stan (Lee Bodecker) e Jason Clarke (Carl Henderson) ho parlato ai rispettivi link. 

Antonio Campos è il regista e co-sceneggiatore della pellicola. Americano, ha diretto film come Afterschool e Christine. Anche produttore e attore, ha 37 anni.


Harry Melling interpreta Roy Laferty. Inglese, famoso per il ruolo di Dudley Dursley nella saga cinematografica di Harry Potter, ha partecipato a film come Edison - L'uomo che illuminò il mondo e La ballata di Buster Scruggs. Ha 31 anni e due film in uscita. 


Eliza Scanlen, che interpreta Lenora, era la Beth di Piccole donne. Chris Evans avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Lee Bodecker ma ha dovuto rinunciare perché impegnato in altri lavori. Se il film vi fosse piaciuto recuperate Frailty - Nessuno è al sicuro, Hell or High Water (su Netflix), Prisoners (su Chili e altre piattaforme simili) e Non è un paese per vecchi (su Amazon Prime Video). ENJOY!

venerdì 20 marzo 2020

Swallow (2019)

In questi giorni con le sale chiuse, i consigli degli amici su Facebook diventano ancora più importanti. E' proprio grazie a questi consigli, infatti, che ho deciso di guardare Swallow, diretto e sceneggiato nel 2019 dal regista Carlo Mirabella-Davis.


Trama: Hunter ha una vita apparentemente perfetta. Un marito bello e ricco, una casa enorme, un matrimonio da favola e un bambino in arrivo. Un giorno, però, comincia ad essere vittima di un desiderio compulsivo, quello di inghiottire piccoli oggetti, via via sempre più pericolosi...


Ho cominciato a guardare Swallow come al solito: senza sapere nulla salvo un abbozzo di trama e salvo un piccolo sprazzo autobiografico di Carlo Mirabella-Davis, la cui nonna era stata rinchiusa in un istituto di igiene mentale perché continuava a lavarsi compulsivamente le mani. Onestamente, mi aspettavo uno di quegli horror che cominciano molto lenti e finiscono in una sanguinolenta splatterata, per una serie di motivi intuibili fin dall'inizio del film, invece Swallow entra sottopelle e scava, si insinua nello stomaco come gli oggetti inghiottiti dalla protagonista e rimane lì, a far male dentro, a far sentire a disagio tutti, uomini o donne. Faccio quest'ultima precisazione perché il punto di vista attraverso cui viene raccontata la storia è sì quello di Hunter, tuttavia Swallow non è una di quelle pellicole che stigmatizzano il maschilismo imperante della società; Swallow, in realtà, ne ha per tutti, soprattutto per chi, uomo o donna che sia, manca di empatia verso le persone che vengono considerate a torto inutili e difettose, un peso da sopportare quando va bene o una macchia da nascondere quando va male, come nel caso di Hunter, piccola stepford wife che non riesce a vivere all'altezza delle aspettative di chi l'ha accolta in casa, nemmeno fosse un cucciolo. Hunter ci viene presentata, fin dall'inizio del film, come una persona tristemente sola, una moglie-trofeo che esiste solo in funzione del marito (bellissimo, ricchissimo, figlio di papà, totalmente assorbito dal suo importantissimo lavoro), dell'enorme villa che funge da gabbia dorata, e ovviamente del bambino che dovrà "regalare" alla famiglia che l'ha "adottata", a mo' di ricompensa. D'altronde, è il minimo che Hunter possa fare per i facoltosi Conrad, visto che il figlio si è abbassato a sposare una tizia senza soldi, senza lavoro, senza futuro, senza qualità, insomma, un pezzo di carne che ha solo due cose da fare bene, anzi tre: essere perfetta, sfornare figli e, soprattutto, non rompere le scatole.


Purtroppo, qualcosa nella testa di Hunter a un certo punto cede e la ragazza comincia ad inghiottire oggetti. All'inizio piccole cose innocue, come un pezzo di ghiaccio o una biglia di vetro, poi sempre più grandi e pericolose, ma se pensate, anche lì, che Carlo Mirabella-Davis indulga nel potenziale splatter che una simile situazione potrebbe innescare, cascate malissimo; le sequenze confezionate dal regista sono un incubo ansiogeno che lavora stuzzicando lo spettatore, scatenando nella sua mente dei rapporti di causa-effetto incredibilmente spiacevoli e racchiusi in agghiaccianti panoramiche di ninnoli più o meno grandi e più o meno taglienti, ripuliti da una mano amorevole o impietosamente tirati fuori in una camera operatoria. E' la ribellione di Hunter, o meglio, la punta dell'iceberg di un disagio che ha radici assai più profonde (e che, ovviamente, non rivelerò), il modo autolesionista non già di vendicarsi dei propri facoltosi carcerieri quanto piuttosto di recuperare il controllo su un'esistenza che ne è priva fin dalla nascita e, soprattutto, la consapevolezza di sé. La trama di Swallow si potrebbe così definire come un particolarissimo percorso di autoaffermazione, fatto di tanti piccoli episodi di violenza psicologica che troppo spesso tendiamo a sminuire in quanto parte di una perversa "normalità" e che, in questo caso, innescano un comportamento patologico di indicibile tristezza. La sensibilità e la bravura con cui Haley Bennett si carica sulle spalle un personaggio complesso come quello di Hunter è testimoniata dall'abbondanza di primissimi piani e piani medi che la ingabbiano all'interno delle inquadrature e delle scenografie, privandola di ogni via di fuga e costringendola ad arrivare dritta al cuore dello spettatore attraverso sequenze spesso prive di dialoghi, che testimoniano tutto il disagio interiore provato dalla protagonista. Carlo Mirabella-Davis, da par suo, confeziona un primo lungometraggio perfetto, sia dal punto di vista visivo (il modo in cui rende soffocante l'opulenza, trasformando ambienti ampi ed ariosi in celle, vincolando la protagonista ai complementi d'arredo attraverso l'uso dei colori è magistrale) che a livello di trama, offrendo una riflessione coerente, coraggiosa (sì, molto. Soprattutto nel prefinale) e non banale sulla natura infida dei disagi psichici e sulla nostra esigente società. Imperdibile.


Di Haley Bennett (Hunter), Austin Stowell (Richie) e Denis O'Hare (Erwin) ho parlato ai rispettivi link.

Carlo Mirabella-Davis è il regista della pellicola, al suo primo lungometraggio. Americano, è anche produttore.


Elizabeth Marvel interpreta Katherine Conrad. Americana, ha partecipato a film come Burn After Reading - A prova di spia, Il grinta, A Royal Weekend, Lincoln, 1981: Indagine a New York e Cattive acque. Ha 51 anni e un film in uscita.



venerdì 11 novembre 2016

La ragazza del treno (2016)

Approfittando del cinema a 2 euro, mercoledì scorso sono andata a vedere La ragazza del treno (The Girl on the Train), diretto dal regista Tate Taylor e tratto dal romanzo omonimo di Paula Hawkins.


Trama: Rachel, donna con gravi problemi legati all'alcool, percorre tutti i giorni col treno la stessa tratta e comincia ad interessarsi alla vita di Megan, una ragazza che vive col marito nei pressi di una delle fermate e la cui casa è perfettamente visibile dalla carrozza dove siede Rachel. Un giorno però Megan scompare e Rachel viene coinvolta nelle complicate indagini...


Come al solito, sono arrivata al cinema completamente digiuna dal romanzo da cui è stato tratto La ragazza del treno, anche perché io i "casi editoriali" tendo un po' ad evitarli. Il risultato, probabilmente, è stato quello di essermi goduta il film più di tante altre persone che lo hanno stroncato, sottolineando come fosse solo la bravura della Blunt a risollevare le sorti della pellicola. Premesso di essere concorde con l'ultimo punto delle critiche, Emily Blunt è mostruosa e varrebbe la pena di guardare il film anche solo per lei, dal mio punto di vista La ragazza del treno è lo stesso un thriller godibilissimo, magari senza particolari aspetti degni di nota ma comunque l'ideale per intrattenersi la sera con un whodunnit che regge almeno fino alla fine del primo tempo (al netto di ragionamenti arzigogolati della sottoscritta, che hanno fatto ridere la mia collega che aveva già letto il libro, diciamo che ho picchiato abbastanza vicino alla soluzione del caso, una volta riportati i piedi per terra) e che richiede comunque un minimo di attenzione in più da parte dello spettatore. La struttura de La ragazza del treno è idealmente suddivisa in tre “capitoli” introduttivi, ognuno dedicato ad uno dei personaggi femminili, e in alcuni flashback aventi luogo in tempi diversi rispetto all’avvenimento che è il motore di tutta la vicenda, ovvero la scomparsa di Megan; buona parte della storia viene filtrata attraverso gli occhi e la memoria spezzata dell'alcolista Rachel, fatta di incertezze e lacune, quindi la bellezza del film (e del romanzo) sta proprio nell'impegno che deve mettere lo spettatore nel ricostruire la storia e comprendere tutti i segreti che in qualche modo legano i personaggi, anche quelli che apparentemente non c'entrano nulla l'uno con l'altro. Nonostante tutto l'interesse che ha suscitato in me la parte "gialla" della vicenda, devo però dare ragione ai critici più implacabili e ammettere che ciò che sta intorno alla scomparsa di Megan è ben poca cosa, e che non solo le motivazioni dei singoli individui implicati sono una più risibile dell'altra, ma anche la risoluzione finale dell'intreccio è tirata per i capelli tanto quanto ciò che veniamo a scoprire sul passato di Rachel e persino di Megan (anzi, soprattutto di Megan. Non voglio fare spoiler ma, diamine, credo di avere assistito alla disgrazia più fasulla ed improbabile della storia della fiction). Non avendo letto il libro, come ho detto, non posso dare interamente la colpa agli sceneggiatori della pellicola, sta di fatto che se già di suo il romanzo di Paula Hawkins presenta un branco di personaggi con i quali non si riesce a provare la minima empatia, è naturale che il film non piaccia a chi magari si aspettava qualcosa di più.


Parlando della versione cinematografica, Rachel, Megan e Anna sono infatti tre pittime della peggior specie. Rachel, poveraccia, è la meno peggio perché comunque viene tratteggiata come una donna alla quale la natura ha negato la possibilità di avere figli, cosa che l'ha portata all'alcolismo e al conseguente divorzio da Tom e, sarà per la già citata bravura della Blunt, non si riesce a volerle troppo male, neppure quando la sua natura si rivela, in sostanza, quella di una persona che necessita di sentirsi parte di "qualcosa", qualunque cosa essa sia. Fosse anche un casino nato dalla volontà di non farsi i fatti propri, per dire. Anna, la nuova moglie di Tom, è invece il nulla fatto a personaggio, meritevole di tutti gli schiaffi del mondo, innanzitutto perché usa la figlia come scusa per non fare una cippa, né in casa né fuori, e in sostanza passa il tempo a dormire e covare rancore verso chiunque. Ma muovere un po' il culo ti pare brutto? Per la cronaca, uno dei responsabili di quel finale un po' MEH è proprio lei, la quale molto probabilmente viene chiamata confidenzialmente Aquila o Volpe da amici e parenti. Megan, infine, è il terzo ma non per questo ultimo elemento di questo ensemble di tristezza femminile, un personaggio che ha meritato la mia stima solo quando ha scelto di mandare al diavolo Anna, per la quale faceva la babysitter consentendole non tanto di lavorare, quanto di "schiacciar patate e fare volontariato". Per il resto, Megan è la tipica "sgnaccamaroni" (se avete letto Il grande Magazzi di Leo Ortolani capirete di cosa parlo, in caso contrario pentitevi e comprate subito quella perla) impegnata a vivere il suo ruolo di bella e maledetta, di spleen con la patata, di tizia scazzata che non può fare un passo senza che il marito le tiri giù le mutande e la copuli, a prescindere che lei stia cucinando la bagna cauda o stia facendo jogging, condizione disagiata per la quale ella, ovviamente, soffre tantissimo, tanto da doverla dare a tutti per cambiare un po'. Non aiuta il fatto che Haley Bennett in questo film sia la fotocopia vivente di Jennifer Lawrence, attrice per la quale non nutro proprio una passione sviscerata, quindi forse i miei giudizi sul personaggio sono stati condizionati da questa somiglianza, ma giuro che sono pochi i film nei quali mi sono ritrovata così poco coinvolta a livello empatico da tre tipologie di donna che, con un po' di impegno in più, avrebbero potuto dire e dare moltissimo. A parte queste personalissime considerazioni, se avete voglia di guardare un thriller con risvolti psicologici capace di tenere desta l'attenzione fino all'ultimo e non avete grandi pretese autoriali, una chance a La ragazza del treno io la darei.


Del regista Tate Taylor ho già parlato QUI. Emily Blunt (Rachel), Haley Bennett (Megan), Justin Theroux (Tom), Luke Evans (Scott), Edgar Ramírez (Dr. Kamal Abdic) e Allison Janney (Detective Riley) li trovate invece ai rispettivi link.

Rebecca Ferguson interpreta Anna. Svedese, ha partecipato a film come Mission: Impossible - Rogue Nation e l'imminente Florence Foster Jenkins. Ha 33 anni e cinque film in uscita.


Lisa Kudrow interpreta Martha. Indimenticabile Phoebe della serie Friends, ha partecipato a film come Terapia e pallottole, Il dottor Dolittle 2, Un boss sotto stress e altre serie quali Hercules e Innamorati pazzi; come doppiatrice, ha partecipato a serie come I Simpson, American Dad! e Bojack Horseman. Anche sceneggiatrice e produttrice, ha 53 anni e due film in uscita.


Laura Prepon, che interpreta Kathy, è stata un elemento importante del cast di That's 70's Show e Orange is the New Black mentre Jared Leto e Chris Evans hanno rinunciato rispettivamente ai ruoli di Scott e Tom perché impegnati con altri film. Detto questo, se La ragazza del treno vi fosse piaciuto recuperate L'amore bugiardo - Gone Girl. ENJOY!

mercoledì 5 agosto 2015

Kristy (2014)

Questa settimana erano due i film usciti nelle sale italiane che mi intrigavano maggiormente: uno era Ex Machina, di cui dovrei riuscire a parlare nei prossimi giorni, l'altro era Kristy, diretto nel 2014 dal regista Oliver Blackburn. Segue qualche SPOILER.


Trama: nelle vacanze per la festa del Ringraziamento, tutti gli abitanti del dormitorio di un campus tornano a casa... tutti tranne la giovane Justine, che rimane completamente sola e in balia di un gruppo di ragazzi intenzionati ad ucciderla.



Guardando Kristy mi sono spesso ritrovata a ripensare a due film che mi hanno messo addosso un'ansia assurda. Uno è indubbiamente The Strangers, che ho sempre evitato dopo la prima, terrificante visione al cinema, l'altro è La notte del giudizio, altra ansiogena pellicola ad argomento home invasion uscita in piena estate in Italia. Forse perché nel mio caso questi due film sono stati così efficaci, durante la visione di Kristy ho provato parecchia tensione, sì, ma in generale non sono rimasta entusiasta quanto avrei sperato. Kristy (o Random, come viene conosciuto anche negli USA) "espande" il concetto di home invasion mettendo in scena l'assedio di un intero dormitorio (con biblioteca, bosco e piscina annessi) ma allo stesso tempo sottolinea come la volontà omicida non sia prerogativa di pochi cani sciolti bensì, come accadeva nel dimenticabile The Den, espressione di qualcosa di più grande e diffuso a livello nazionale. Furbamente, la sceneggiatura di Kristy prevede l'esistenza di una setta dedita all'uccisione delle cosiddette "Kristies", ovvero di quelle ragazze belle, gentili e anche fortunate (anche se nulla mi toglie dalla testa che fosse tutto un piano della Greene, invidiosa dell'immeritato successo di "Kristen" Stewart!), cosa che consente di esplorare anche il cosiddetto "lato oscuro" della rete, un sottobosco inquietante dove persone nascoste dietro pseudonimo si riuniscono e postano video o foto di terrificanti e sanguinosi omicidi ai danni di queste poverette. Il resto, come ho detto, è stato già ampiamente sviscerato e mostrato all'interno del cinema di genere: un gruppo di assassini prende di mira una ragazza sola che di regola dovrebbe venire travolta dal terrore ed accettare inerme il suo destino di agnellino sacrificale, se non fosse che dopo il momentaneo e comprensibile sconforto iniziale la tizia si trasforma in Rambo e i cattivissimi rimpiangeranno di essersi messi sulla sua strada. A dirla tutta, le parti più interessanti del film sono la dichiarazione finale di Justine e la scena post-credits, due elementi che potrebbero dare il la ad un sequel assai particolare, per il resto Kristy è prevedibile dalla prima all'ultima scena.


A proposito di scene, però, è bene sottolineare che, per quanto derivativo, Kristy non è stato girato "tanto per". Oliver Blackburn è sicuramente un regista capace di creare la tensione necessaria con delle carrellate che da sole bastano a far comprendere l'assoluta e pericolosa solitudine della protagonista (quella ripresa che parte da Justine per poi allargarsi e mostrare dall'alto l'intera vastità del campus merita più di uno chapeau) e anche l'ossessione di chi la vorrebbe morta, che si traduce in un utilizzo quasi voyeuristico della macchina da presa, che di fatto non abbandona quasi mai la figura della protagonista. La qual protagonista, tra l'altro, è bravissima e si porta sulle spalle il peso dell'intero film o, meglio, lo condivide con chi non mi sarei mai aspettata. Ho fatto dell'ironia sopra parlando di un'eventuale invidia per la Stewart da parte di Ashley Greene ma la verità è che, perlomeno basandomi sulla performance di quest'ultima in Kristy, Bella "ce l'ho solo io" Swan è indegna persino di leccare le scarpe ad Alice Cullen, a cui in questo film basta pronunciare poche parole nascosta sotto un cappuccio per essere irriconoscibile ed inquietantissima (non come quando la Stewart fa la "dura e maledetta" e le viene quella meravigliosa faccia da baccalà. Brrrr.). Il confronto tra le due ragazze occupa sì e no un quarto d'ora di film, eppure la tensione tra quella Justine che erroneamente viene etichettata come una fortunata riccastra a causa di una macchina presa in prestito e la terribile Violet fa da silenzioso e sanguinoso fil rouge di tutta la pellicola ed è sicuramente una delle cose che rimangono più impresse dopo la visione, quindi non posso fare altro che applaudire davanti ad Ashley Greene e Haley Bennett. Nonostante non mi abbia entusiasmata appieno per quanto riguarda la trama, devo quindi dire che Kristy merita ampiamente la sufficienza in campo tecnico e pertanto lo consiglio, soprattutto a chi non soffre di tachicardia ma anche a chi non si è ancora fatto la sua bella dose di home invasion annuale e potrà godere di un effetto "novità".


Di Ashley Greene, che interpreta Violet, ho già parlato QUI.

Oliver Blackburn è il regista della pellicola. Inglese, ha diretto film come Donkey Punch. E' anche sceneggiatore e attore.


Haley Bennett interpreta Justine. Americana, ha partecipato a film come Io & Marley, The Hole e The Equalizer - Il vendicatore. Ha 27 anni e cinque film in uscita.


Lucas Till interpreta Aaron. Americano, ha partecipato a film come X-Men - L'inizio, Stoker, X-Men - Giorni di un futuro passato e a serie come Dr. House e Medium. Anche produttore, ha 25 anni e cinque film in uscita tra cui X-Men: Apocalypse, dove tornerà ad interpretare il ruolo di Alex "Havok" Summers.


Tra gli altri attori, segnalo la presenza di Chris Coy nei panni dell'incappucciato blu perché era Ifigenio, il tizio col cappellino che all'inizio della quinta stagione di The Walking Dead riusciva a farsi randellare nei denti persino da un belino mollo come Tyreese, bonanima, mentre Mathew St. Patrick, che interpreta la guardia Wayne, era Keith Charles, uno dei protagonisti di Six Feet Under. Detto questo, se Kristy vi fosse piaciuto recuperate i già citati The Strangers, La notte del giudizio, The Den e aggiungete You're Next. ENJOY!

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